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“What a remarkable fifty years they have been for the world... Think what we would have missed if we had never heard the Beatles”

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Academic year: 2021

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1. Introduzione

“What a remarkable fifty years they have been for the world... Think what we would have missed if we had never heard the Beatles”

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: con queste parole, nel novembre 1997, la Regina Elisabetta celebrava il suo cinquantesimo anniversario di matrimonio.

A quanto pare, ancora oggi, i quattro ragazzi di Liverpool fanno parlare di sé. Sono passati 50 anni da quando hanno conquistato il cuore degli Stati Uniti con il singolo 'I Want To Hold Your Hand', riuscendo, in poco più di 2 minuti e mezzo, a entrare nella Billboard Hot 100, la classifica dei 100 brani più trasmessi dalle radio oltreoceano.

Innovatori senza precedenti, pur sotto l'influenza di Buddy Holly, degli Everly Brothers e Chuck Berry, i Beatles hanno dimostrato come il rock & roll poteva coinvolgere varietà di armonie e strutture. La compattezza del loro sound era data dalla combinazione sinergica del basso melodico di Paul unito alla batteria “folle”

di Ringo, alla chitarra “rockabilly” di George e a quella, più decisa, di John.

Idealistici, spiritosi, eclettici e irriverenti, essi hanno saputo definire e incarnare lo stile degli Anni '60 e la loro musica, iniziata con le canzoni romantiche e terminata con stravaganze perfezioniste, ha fissato dei nuovi standard per il successo artistico e commerciale della musica pop-rock.

Fino ai primi Anni '50 il Regno Unito si presentava con confini culturali e sociali molto rigidi, entro i quali prendeva coscienza una comunità “pluralistica”;

questi nuovi fermenti dettero origine a controversie con i giovani che si ribellavano alle convenzioni e alle autorità. Iniziò ad aleggiare un vento di libertà morale, il cui primo obiettivo era proprio lo smantellamento delle barriere poste tra la cultura popolare e la cultura alta. A livello artistico, si possono vedere i primi cambiamenti con Waiting For Godot, dramma teatrale beckettiano, messo in scena nel settembre 1955 all'Arts Theatre di Londra; con Look Back In Anger di Joan Osborne,

1 I. INGLIS, The Beatles, Popular Music and Society: A Thousand Voices, New York, St. Martin’s Press, 2000, p. 1.

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rappresentato nel 1956 al Royal Court Theatre; con la Pop Art introdotta l'anno successivo da una mostra alla Whitechapel Gallery; e con la pubblicazione nel 1957 di Declaration, una raccolta di saggi i cui autori

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esprimono la loro indignazione contro l'apatia, il disinteresse e il fallimento intellettuale dell'ambiente in cui vivono. Tom Maschler, curatore della raccolta, presenta gli Angries come degli anarchici, spesso socialmente alienati, e non appartenenti ad alcun movimento politico preciso

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. Doris Lessing, unica figura femminile a comparire nella raccolta, ha le idee molto chiare: "we give little attention to the people who leave - that process of elimination that goes on all the time and which excludes, very early, those likely to be original and reforming, leaving those attracted to a thing because that is what they are already like.... This social mechanism goes almost unnoticed - yet it is as powerful as any in keeping our institutions rigid and oppressive"

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; e prosegue Collins: “the average man is a conformist, accepting miseries and disasters with the stoicism of a cow standing in the rain”.

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Sempre negli Anni '50, il rock veniva giudicato un genere banale e inferiore, visto dalla critica come privo di qualsiasi significato musicale e valore duraturo; tale concezione mutò notevolmente nel decennio successivo, quando risultò impossibile continuare a definirlo “una semplice anomalia temporanea”

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. La rivalutazione di Elvis, l'impatto di Dylan con la nascita della canzone di “protesta”

e la British Invasion dei Beatles, che fecero della musica popolare il nucleo centrale dei primi movimenti studenteschi e subculturali, indussero a considerare il rock una seria forma d’arte, d’intrattenimento e d’industria. Al riguardo, va ricordata la nascita, nel 1967, della rivista musicale Rolling Stone, che ancora oggi non si interessa solo alla musica in senso stretto, ma anche a tutti i fattori socioculturali a essa contigui.

2 I cosiddetti “Angries”: Colin Wilson, John Osborne, John Wain, Kenneth Tynan, Bill Hopkins, Lindsay Anderson, Stuart Holroyd e Doris Lessing.

3 T. MASCHLER, Declaration, London, McKibbon & Kee, 1957, p. 8.

4 D. LESSING, “A Small Personal Voice”, in T. MASCHLER (ed.), op. cit., London, McKibbon & Kee, 1957, p. 60.

5 J. COLLINS, “Outsider And Beyond”, in T. MASCHLER (ed.), op. cit., London, McKibbon & Kee, 1957, p. 93.

6 I. INGLIS, op. cit., p. 6.

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Di notevole importanza è stato poi lo sviluppo della televisione: se negli Anni '50 solo il 6% della popolazione possedeva un televisore, nel 1965 sarà di proprietà di più del 90%. E in questi Swinging Sixties, i Beatles e la televisione furono una fonte di guadagno reciproco: da un lato, infatti, i Fab Four ottenevano una visibilità a livello nazionale e globale, dall'altro la televisione era ben contenta di ospitare le masse di pubblico che i Beatles stessi attiravano. Nelle loro apparizioni televisive, si passò dalle esibizioni musicali alle interviste e ai dibattiti, le cui tematiche avevano poco a che fare con le pop star “classiche”: la guerra in Vietnam, l'uso della marijuana, la religione... Così, se nel biennio '62-'63 il 76% delle loro apparizioni erano musicali, tra il 1966 e il 1970 soltanto il 17% riguardavano le esibizioni.

È stata proprio questa scissione tra il ruolo classico della pop star e quello più complesso incarnato dai Beatles, a renderli così speciali. Definiti “uomini di idee”, “intellettuali”

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, in quanto portavoce di una generazione e guida di una controcultura globale, c'è anche chi li paragona ai giocolieri e menestrelli medievali. Sì, l'epoca è sicuramente diversa a livello tecnologico e geopolitico, ma proprio come i menestrelli, i Beatles hanno usato la loro musica per rivestire più ruoli: intrattenitori, critici, cronisti, opinionisti, corteggiati ma anche ostacolati da quelli che volevano far loro da “padroni”.

“Who would have thought that the pop music of the 1960s would develop into a force as vital as that of the jongleur of old?”.

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1.1 Gli esordi

La storia dei Beatles ha inizio il 6 luglio del 1957, quando l'allora sedicenne John Lennon, leader della band locale The Quarrymen, ebbe il piacere (la fortuna?) di conoscere Paul McCartney durante una festa parrocchiale nella chiesa di St. Peter a Liverpool. E da lì è stato tutto un susseguirsi di vicende: poco dopo, infatti, Paul

7 Ibidem, p. 9.

8 J. PEYSER, “The Music of Sound or the Beatles and Beatless”, in J. EISEN (ed.), The Age of Rock, New York, Vintage, 1969, p. 127.

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invitò George Harrison, suo compagno di liceo, a entrare nella band, che cambiò il suo nome in Johnny and the Moondogs. Nel gennaio del 1960 il gruppo venne completato con Stuart Stutcliffe al basso e Pete Best alla batteria; diventarono così The Beatles (coleotteri), forse ispirati da un altro gruppo famoso dell'epoca, i Crickets (grilli) di Buddy Holly.

Circa un anno dopo, il 21 febbraio 1961, i quattro giovani debuttarono al Cavern, storico locale di Liverpool che fu il loro trampolino di lancio, iniziando quelle che nel giro di due anni sarebbero diventate 300 performance live.

1.2 Il periodo tedesco: Amburgo

Allan Williams, primo manager della band, propose loro una scrittura ad Amburgo, e la prima volta che la band si esibì con un contratto a nome “The Beatles” fu proprio nella cittadina tedesca il 17 agosto 1960. Mancava ancora un batterista e Williams decise di ingaggiare il diciottenne Pete Best, figlio di Mona Best, proprietaria del Casbah Club di Liverpool. A settembre, i Beatles si ritrovarono in pianta stabile in quattro diversi locali (Indra, Kaiserkeller, Top Ten e All Star), tutti situati a Reeperbahn, il malfamato quartiere a luci rosse della città, la cui clientela abituale era costituita da marinai ubriaconi, prostitute, rockers e teppisti. Dopo circa un mese, i Beatles si spostarono al Kaiserkeller perché troppo rumorosi, ed è qui che iniziarono a condividere il palcoscenico con un altro gruppo rock di Liverpool, Rory Storm & The Hurricanes, il cui batterista era proprio Ringo Starr.

Grazie ai concerti spettacolari, eseguiti su fiumi di birra e anfetamine, ai quattro venne prolungato il contratto per due mesi, ma dovettero rimpatriare improvvisamente perché Harrison era minorenne e Lennon, insieme a Best, aveva provocato un incendio nella sua camera d’albergo.

I Beatles vi fecero ritorno dal 1 aprile al 1 luglio 1961, periodo durante il quale

suonarono, per ben 48 date, senza la mediazione del loro manager e grazie

soprattutto ai fan che si erano conquistati; e infine nell'aprile-maggio del 1962, in

cui si stabilì il lignaggio definitivo della band: “Stu” Stutcliffe aveva lasciato i

compagni per studiare arte all'Accademia di Amburgo (morirà poi precocemente

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per un'emorragia cerebrale) e il mancino Paul prese le redini del basso; di lì a poco incontrarono Brian Epstein, loro manager e mentore fino al 1967, quando un mix di farmaci e alcol ne causò la scomparsa.

1.3 I Beatles negli studios

Brian Epstein, che all'epoca gestiva un negozio di elettrodomestici e dischi, nonostante non fosse pratico del business musicale, riuscì ad allargare le scritture della band, ottenendo un provino con la Decca Records il 1 gennaio 1962;

l'audizione fu fallimentare, ma fortunatamente l'8 agosto dello stesso anno i Beatles riuscirono a firmare un contratto con l'etichetta Parlophone della EMI, di cui era responsabile George Martin. Fu proprio Martin, in seguito, a far allontanare Pete Best, considerato poco competente; così fece il suo ingresso il giovane Ringo Starr, che gli altri tre conoscevano dai tempi di Amburgo.

La prima canzone incisa dalla band, 'Love Me Do', raggiunse il diciassettesimo posto nelle classifiche britanniche, mentre il secondo singolo 'Please Please Me' ebbe più fortuna, raggiungendo in poco tempo il primo posto.

Due mesi dopo, nel marzo 1963, uscì l'album omonimo, che vendette subito 500 mila copie; fu una vera e propria novità per l'epoca, in quanto esso non conteneva 12 brani come tutti i 33 giri, ma addirittura 14, di cui otto inediti. Il disco, in cui occorre ricordare la frizzante 'Twist And Shout', conquistò il primo posto nella classifica delle vendite di LP e segnò l’effettivo ingresso della band nel mondo della musica.

1.4 Le prime tournée e il fenomeno della Beatlemania: isteria di massa

Il 1963 fu l'anno che decretò la popolarità del gruppo: produzioni musicali, apparizioni televisive, 80 mila fan nel giro di pochissimo tempo, ma soprattutto le tournée, forse il tassello più importante per la diffusione della loro immagine.

Concerti in tutto il Regno Unito, dalla Scozia (per la seconda volta, dopo il 1960)

alla Svezia, passando per le principali piazze inglesi; i quattro amici si esibivano in

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chiusura degli spettacoli, erano sempre più presenti nei cartelloni pubblicitari e sempre più popolari.

Tra il 7 e il 22 febbraio 1964 volarono oltreoceano per la loro prima visita in terra statunitense; accolti all'aeroporto di New York da un esercito di fotografi e da circa 10 mila fan in delirio, si esibirono prima alla Carnegie Hall newyorkese e poi al Washington Coliseum, nella città di Washington, partecipando inoltre a una puntata dell'Ed Sullivan Show, durante la quale, come dichiarò poi George Harrison: “...anche i criminali si sono presi dieci minuti di pausa per guardare lo show dei Beatles”

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: in quei dieci minuti, in effetti, a New York non venne registrato alcun crimine.

E così il fenomeno della Beatlemania, iniziata già con i primi tour britannici, raggiunse il suo apice: urla, persecuzioni, fan che si accampavano per le strade nella speranza di intravedere i loro idoli e di acquistare gli ultimi biglietti, regali lanciati sul palco. Un po' come ci racconta Cindy Lauper nella sua canzone 'Girls Just Wanna Have Fun'. Se si guardano le foto o i video potremmo pensare di essere immersi nelle manifestazioni femminili del '68; no, niente figlie dei fiori, in realtà siamo nel 1964 e queste ragazze cercano di divincolarsi dalla polizia, urlano “I love you Paul!”, come possedute o illuminate da una luce interiore.

Sebbene non possa essere considerato un movimento né una forma di protesta in senso stretto, la Beatlemania è stata sicuramente la prima esplosione di massa capeggiata dalle donne. Sorge allora spontanea la domanda: può la Beatlemania essere considerata una forma subculturale della ribellione sessuale? In realtà, la società dell’epoca era fortemente basata sulle distinzioni di gender, le ragazze dovevano essere buone, pure, beneducate, e incarnare questi ideali all'interno del proprio gruppo di amicizie. Niente sesso prima del matrimonio; vita sociale limitata all'ambiente scolastico e come scopo ultimo della vita il diventare casalinga, sposarsi, sfornare figli e restare invisibili. Così, perdere il controllo durante i concerti, svenire, correre nella calca poteva apparire un modo (conscio o meno) per protestare contro questa repressione sessuale, e sovvertire così lo status di

9 BEATLES, The Beatles Anthology, Milano, Rizzoli, 2010, p. 119.

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“good and pure girls”.

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La rivista Life del 31 gennaio 1964 recita così: “A Beatle who ventures unguarded into the streets runs the very real peril of being dismembered or crushed to death by his fans”

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. La band non aveva scampo, furono stabilite delle strategie di entrata e uscita dai teatri sempre più elaborate per passare in incognito e non essere assaliti dalle fan deliranti: l’esistenza dei musicisti era diventata un percorso

“room-car-stage-car-room”.

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Negli Stati Uniti si raggiunse un livello di idolatria religiosa: “The Beatles seemed to be speaking directly to us, in a funny way, for us”

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; le sensazioni che i quattro riuscivano a trasmettere erano simili a quelle che si possono provare per una finale di football o per le calamità naturali

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e il New York Times Magazine, in un articolo del 23 febbraio 1964, provò a fornire una spiegazione psicologica e antropologica di questo fenomeno. Il giornalista David Dempsey affermò che in realtà le ragazze si stavano semplicemente conformando alla massa, erano schiave del ritmo, gli obbedivano, come fossero degli insetti

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(qui è interessante il gioco di parole “insetti” e Beatles → coleotteri, insetti appunto). Nell’immaginario collettivo, i Fab Four erano dottori stregoni che lanciavano delle maledizioni su centinaia di nativi omologati al fine di risvegliare in loro gli istinti più primitivi.

Questo tipo di caratterizzazione contribuì alla promozione dei Beatles al rango di star, e la popolarità, per converso, finiva per giustificare l'adulazione: molto spesso accadeva che le urla deliranti dei fan coprissero la musica a tal punto che il pubblico diventava il vero spettacolo, e non più la band. “My pal and I fought our way through to the queue for entry, grasping our tickets. […] when the Beatles finally came on, most of the audience downstairs began screaming, abandoned all reserve and charged down to the front – jelly babies being hurled at the stage –

10 B. EHRENREICH et al., “A Sexually Defiant Consumer Culture?” in K. GELDER and S. THORNTON (eds), The Subcultures Reader, London, Routledge, 1997, p. 530.

11 Ibidem, p. 524.

12 Ibidem, p. 527.

13 Ibidem, p. 534.

14 Ibidem, p. 525.

15 Ibidem, p. 526.

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and general pandemonium ensued (John Beckett, a fan)”.

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Le tournée proseguirono nel Nord Europa, a Hong Kong, in Australia e Nuova Zelanda, arrivando anche in Italia per un mini-tour nel giugno 1965, mese in cui, nel pieno della loro carriera, la regina Elisabetta annunciò che avrebbe proclamato i quattro musicisti Membri dell'Ordine dell'Impero Britannico non soltanto per aver aumentato il commercio estero, ma soprattutto per meriti sociali, culturali e musicali (Lennon restituì la medaglia nel 1969 in segno di protesta contro la guerra). Tornarono negli Stati Uniti, dove il 15 agosto 1965, davanti a un pubblico di 55 mila persone, tennero un concerto allo Shea Stadium di New York.

Nel frattempo, la band aveva lanciato l'album A Hard Day's Night, nel luglio '64, il primo composto esclusivamente da brani originali e l'unico i cui testi sono firmati esclusivamente dall'accoppiata vincente Lennon-McCartney. Emblematico e divertente è il titolo del successivo Beatles For Sale, uscito cinque mesi dopo: i Fab Four erano notevolmente impegnati dai tour, avevano bisogno di 'Eight Days A Week', la canzone del disco che ebbe più successo.

Nel poco tempo libero si dedicarono alle incisioni musicali negli studi e al cinema (da ricordare, le pellicole A Hard Day's Night e Help!). L'album Help! fu lanciato nell'agosto 1965: si trattava di un disco completamente stereofonico, la cui musica nacque sotto l'influenza di un musicista contemporaneo, il tamburino Bob Dylan.

Solo quattro mesi dopo presentarono Rubber Soul, disco molto raffinato in cui compare il sound del sitar indiano; considerato uno degli album più curati dal punto di vista tecnico e il più innovatore sul piano musicale, venne registrato in sole quattro settimane dopo la tournée statunitense. Subì influenze del folk rock di Dylan e dei Byrds, e può essere ritenuto l'anello di congiunzione tra il genere pop di Help! e lo sperimentalismo successivo di Revolver. Recita Norman: “the Beatles are mutants. Prototypes of evolutionary agents sent by God to create a new species, a young race of laughing freemen. They are the wisest, holiest, most effective avatars the human race has ever produced”.

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16 M. CREASY, Beatlemania! The Real Story of the Beatles’UK Tours 1963-1965, London, Omnibus Press, 2010, p. 229.

17 P. NORMAN, Shout!, London, Hamish Hamilton, 1981, p. 287.

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I Fab Four non cantavano più l'amore romantico-adolescenziale dei primi album, ma introducevano nuove tematiche-tabù, tra cui il sesso, il tradimento, l'incertezza esistenziale ('Nowhere Man') e la nostalgia dell'infanzia ('In My Life'); il brano 'Michelle', mix tra inglese e francese, è il primo ad avere come titolo un nome proprio.

1.5 L’apice artistico

Siamo nel biennio 1966-7, considerato il punto di maturità artistica della band con il lancio di Revolver il 5 agosto 1966, album frutto di lunghe sessioni in studio di cui lo stesso produttore George Martin fece gli arrangiamenti orchestrali; ricordiamo 'Eleanor Rigby', 'Yellow Submarine', ma i brani che rendono l'album espressione di un rock psichedelico-progressivo sono 'I'm Only Sleeping', registrato al contrario;

'She Said She Said', ispirato a un trip dopo l’assunzione di LSD; 'Tomorrow Never Knows', ispirato al Libro dei Morti della cultura tibetana, che ha come tema principale proprio la morte.

Nel 1 giugno 1967 esce il disco forse più importante di tutta la carriera della band e della storia del rock: parliamo di Sgt Pepper's Lonely Heart Club Band, inizialmente pensato come un concept album che avrebbe dovuto rievocare gli anni della loro infanzia trascorsa a Liverpool. Il titolo emblematico è frutto della mente fantasiosa di Paul, il quale, al ritorno da un viaggio in Kenya, dichiarò di voler comporre un album eseguito da un gruppo immaginario di musicisti, questa banda di ottoni vittoriani del Sergente Pepper: il disco fece registrare vendite per oltre 32 milioni di copie, vincendo anche un Grammy Award nel 1967 come il migliore dell'anno e uno nel 1968 per la miglior copertina pop art.

Fu poi il turno di Magical Mystery Tour, uscito anche come pellicola con il titolo

omonimo: scaturito da McCartney, il progetto cinematografico prevedeva la

realizzazione di un documentario all'interno di un autobus coloratissimo che

recava la scritta “Magical Mystery Tour”. Il film non venne accolto molto

positivamente dalla critica, e c'è chi dice che la morte di Epstein abbia influito sui

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suoi scarsi esiti. D’altra parte, il disco ha avuto molto successo tra il pubblico, come afferma Poirier: “people tend to listen to the Beatles the way families in the last century listened to readings of Dickens”

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. Concepito come parte integrante del disco precedente, esso si articola in due parti: la prima contiene la colonna sonora del film, mentre la seconda è una raccolta di singoli, e così canzoni quali 'Penny Lane', 'Strawberry Fields Forever', 'All You Need Is Love', e le “pepperiane” 'A Day In The Life', 'Lucy In The Sky With Diamonds' e 'A Little Help From My Friends' diventarono dei capolavori evergreen.

A seguito della morte del loro manager Brian Epstein, il 1968 si aprì con la fondazione della società di produzione propria, denominata “Apple”: con essa, la band aveva intenzione di offrire una possibilità a tutti gli artisti che volessero esprimersi senza dover affrontare una dura gavetta; l'idea era di realizzare “un comunismo occidentale”, per cui i Beatles, trovandosi ora in una condizione economica molto positiva, avrebbero aiutato gli altri a realizzare i loro sogni.

Nel novembre uscì il disco doppio The Beatles, meglio conosciuto come The White Album (per la sua copertina completamente bianca), ricco di brani psichedelici e alternativi, combinati da un mix di jazz, blues e musica etnica: importanti i brani 'Revolution 9', 'Helter Skelter', 'Sexy Sadie', 'Ob-La-Di Ob-La-Da' e 'When My Guitar Gently Weeps'.

1.6 Dissidi e scioglimento

Il 30 gennaio 1969 fu per i Beatles, e per tutti i loro fan, la data dell'ultimo concerto dal vivo, tenutosi sulla terrazza del loro quartier generale londinese, la Apple, e perciò ricordato da tutti come il “Rooftop Concert”. Mancavano ormai gli ultimi tre videoclip del progetto Get Back (che prevedeva un ritorno alle origini con brani spontanei e poco ricercati) e fu indetta una riunione in cui scoppiò il disastro:

morto Epstein, John, Ringo e George pensavano di ingaggiare il manager dei Rolling

18 R. POIRIER, “Learning From The Beatles”, in J. EISEN (ed.), The Age of Rock, New York, Vintage, 1969, p. 162.

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Stones, Allan Klein, per risanare il deficit raggiunto dalla loro società, la Apple, ma Paul non era d'accordo. L'unica che faceva pressione per avere un album in breve tempo era la EMI, che riuscì a sedare le loro controversie, seppur per un breve periodo, durante il quale i Beatles composero i loro ultimi brani che confluirono in Abbey Road, rivelatosi poi la pietra miliare della loro carriera. Album miracoloso, poiché ormai i dissidi interni si facevano sempre più frequenti, il suo lato B è costituito interamente da un medley in cui si ha un continuo susseguirsi di ballate e brani rock fino a un crescendo finale; nel lato A troviamo brani singoli, tra cui le famose 'Here Comes The Sun', 'Come Together' e 'The End'.

La rottura definitiva venne annunciata il 10 aprile 1970, e in molti hanno attribuito la causa a Yoko Ono, artista pacifista e nuova compagna di John. In realtà, come spiegò poi McCartney, registrare in studio con attorno Yoko non era facile, le tensioni c'erano, ma John era ormai da tempo con un piede fuori dal gruppo; la sua compagna fu solo la goccia che fece traboccare il vaso, forse accelerò il disinteresse di John per il mondo dei Beatles, ma egli se ne sarebbe comunque andato. Fu piuttosto Allan Klein, il nuovo manager, a metterli l'uno contro l'altro.

Verso la fine degli Anni '70 si vociferò su una riunione dei Beatles, ma il sogno dei fan venne brutalmente interrotto dai cinque colpi di pistola con i quali Mark David Chapman uccise John l'8 dicembre 1980. Una riunione però c'è stata, nel 1995, al fine di incidere due brani inediti dello stesso Lennon 'Free As A Bird' e 'Real Love', che Yoko Ono concesse ai tre Beatles “superstiti” come parte della promozione per l’uscita del documentario Beatles Anthology. Per qualcuno si trattò di una trovata commerciale, per la maggior parte dei fan fu la possibilità di vedere ancora unita la band che ha rivoluzionato la musica. Storiche le parole di Lennon: “whatever wind was blowing at the time, moved the Beatles too. I'm not saying we weren't flags on the top of the ship. But the whole boat was moving, maybe the Beatles were in the crow's nest shouting “Land Ho!” … but we were all in the same damn boat”.

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19 I. INGLIS, op. cit., p. 20.

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2. Le cover degli album

La pubblicità viene definita da Ugo Volli come “strumento estetico e ideologico di massa, serbatoio a cui attingiamo il nostro modo di guardare le cose, di scoprire il bello, di divertirci e sognare”

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e la semiotica si pone come obiettivo lo studio in profondità dei testi pubblicitari, andando al di là di una lettura superficiale, per analizzarne le strutture di senso, la sintassi e i modelli semantici.

Oggi il consumo riveste un ruolo sociale fondamentale; genera, infatti, delle identità sociali immediatamente acquistabili e scambiabili sul mercato per creare la complessità sociale, produce cioè delle immagini prefabbricate e totalmente pubblicitarie nelle quali potersi immedesimare e interagire con gli altri individui.

Ciò che conta attualmente nel consumo è sempre più il concetto di fruizione:

consumo e comunicazione si scambiano addirittura di ruolo, tanto che il vero investimento avviene, prima ancora che nell’atto d’acquisto o nell’uso dei prodotti, nella comunicazione stessa.

Il testo pubblicitario è un messaggio persuasivo che, riprendendo termini e formule sintattiche, li trasforma in funzione dei suoi scopi economici, accentuandone il valore espressivo. Nel messaggio pubblicitario, nulla agisce a livello subliminale su un destinatario-consumatore del tutto passivo che, al contrario, viene costantemente sollecitato ad animare la sfera di esperienze individuali e sociali, entro cui si riconosce e costituisce, dalla molteplicità dei livelli semantici del messaggio. Accanto al messaggio prettamente linguistico, la ricerca semiotica inizia a porsi il problema di analizzare quella parte del testo pubblicitario che fa ricorso a sostanze espressive di tipo visivo, per cui lo studio delle immagini pubblicitarie inaugura una vera e propria semiologia della visualità.

Se c’è un’immagine in un annuncio pubblicitario, essa possiede un qualche valore comunicativo e, dunque, un potenziale di significazione; come la parola, anche l’immagine possiede due livelli di lettura: quello propriamente pubblicitario, di tipo

20 U. VOLLI, Semiotica della pubblicità, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 56.

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connotativo, e quello visivo, di tipo denotativo, legato al fatto che l’immagine “sta lì in quanto rappresentazione di qualcos’altro”.

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Lo studio semiotico dell’immagine permette quindi una comparazione tra visivo e verbale. Il discorso pubblicitario non è tanto una forma retorica di persuasione del consumatore a comprare determinati prodotti, quanto una procedura di valorizzazione dei prodotti e una costruzione dell’immagine di marca che li sostiene; il consumatore non si limita a scegliere un prodotto soltanto per ragioni di calcolo economico, ma attribuisce ad esso determinati valori.

Qual è allora lo scopo del testo pubblicitario? Come anticipa i tratti del suo spettatore e in che modo gli fa da guida? Lo scopo del testo pubblicitario, come è stato più volte ribadito, consiste nel riuscire a far valere il prodotto. È altrettanto vero che dal punto di vista semiotico è rilevante notare come il far valere, cioè la costruzione di un valore dell'oggetto, sia inevitabilmente legato alla modalità del far volere, cioè alla presa di un soggetto desiderante, per il quale il dato oggetto-prodotto pubblicizzato ha un valore. Il testo deve perciò seguire una costruzione tale per non esser soltanto ricevuto, ma assunto: lo spot è una proposta contrattuale in cui viene mostrata l'identità di marca e di prodotto e si chiede al consumatore di sottoscriverla. Allo stesso tempo viene mostrata anche un'immagine dello stesso consumatore, nella quale il ricevente empirico deve potere, sapere e volere riconoscersi.

La pubblicità è quindi un grande motore per l’economia, per il consumismo, e allo stesso tempo diventa uno strumento di propaganda in ambito sociale: è un vero e proprio testo che crea uno spazio e un tempo nei quali concretizza l’idea che vuole dare del prodotto. Nella sua costruzione, il testo pubblicitario segue lo schema elaborato da Roman Jakobson

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per i testi linguistici, il quale prevede:

- Mittente - Destinatario - Messaggio

21 Ibidem, p. 60.

22 R. JAKOBSON, Saggi di Linguistica Generale, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 74.

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14 - Codice

- Canale - Contesto

L’analisi della pubblicità a livello semiotico dimostra come si renda un oggetto desiderabile e come sia possibile sedurre e far nascere delle emozioni tramite le immagini e le parole. I messaggi contenuti nelle copertine degli album dei Beatles hanno rivestito un ruolo fondamentale nel marketing e nel fascino generale della band. “Ripuliti” da Brian Epstein, loro manager, il quale dettò per molto tempo il codice estetico e comportamentale che la band doveva assumere (niente giacche in pelle, niente parolacce né fumo sul palco), piano piano i Beatles si accorsero che ciò che producevano era arte, e che la loro immagine doveva riflettere ciò. Le copertine dei loro album furono fondamentali per la mitologizzazione sociologica del brand, e i Fab Four vengono ancora considerati dei pionieri per aver utilizzato le copertine unendo le parole con le immagini, il verbale con il visivo.

2.1 Autoidentificazione e propaganda

Del resto oggi, in molti concerti dal vivo, sono innumerevoli gli artisti che puntano su dettagli visivi, costosi e stupefacenti, quali set, costumi ed effetti speciali, al fine di potenziare e visualizzare la loro musica. Nella storia dei Beatles questa attenzione volta all’immagine, all’iconografia, è visibile proprio a partire dalle copertine dei loro LP. Ovviamente l’obiettivo principale della copertina di un disco è la protezione che essa assicura a ciò che sta dentro; basti pensare che all’inizio del XX secolo gli album venivano venduti senza alcun imballaggio o in custodie di carta, ed era perciò altamente probabile che venissero danneggiati. In secondo luogo, la copertina ha il compito di pubblicizzare le canzoni contenute dal disco, e diventa perciò un mezzo di propaganda molto efficace che deve mirare, alla stessa maniera della televisione o dei giornali, a catturare l’attenzione del consumatore.

Inoltre, nel caso in cui essa contenga anche i testi delle canzoni, diventa un’ottima

guida e supporto essenziale per l’acquirente che può così seguire le parole mentre

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riproduce l’album, facilitando e amplificando la propria esperienza musicale.

Infine, anche l’immagine di per sé può favorire la vendita, come afferma il designer Neville Brody: “…a volte mi baso soltanto sulla copertina quando devo comprare un album, che poi magari metto da parte perché non mi piacciono le canzoni”.

23

Dato il successo globale della band di Liverpool, i titoli, i contenuti e le copertine dei loro album furono adattati in base al mercato in cui venivano pubblicizzati; tra il 1962 e il 1970 la band ha inciso 13 album nel Regno Unito e, nello stesso periodo, ben 23 negli Stati Uniti. Se consideriamo poi la pubblicazione di materiale vecchio, di canzoni inedite, copertine proibite o ritirate dal mercato, arriviamo a contare centinaia di copertine diverse. In questo capitolo, invece, mi soffermerò ad analizzare quelle dei 12 album che i Fab Four hanno ufficialmente lanciato nel Regno Unito:

1) Please Please Me, marzo 1963 2) With The Beatles, novembre 1963 3) A Hard Day’s Night, aprile 1964 4) Beatles For Sale, dicembre 1964 5) Help!, agosto 1965

6) Rubber Soul, dicembre 1965 7) Revolver, agosto 1966

8) Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band, giugno 1967 9) The Beatles (The White Album), novembre 1968 10) Yellow Submarine, gennaio 1969

11) Abbey Road, settembre 1969 12) Let It Be, maggio 1970

La mia analisi si concentrerà su tre aspetti: come le copertine abbiano garantito una sintesi perfetta dell’estetica del gruppo e delle sue canzoni; come le copertine abbiano influenzato la musica popolare; e, infine, la possibilità di operare un’analisi grafica e della funziona perlocutiva svolta dalle copertine.

2.2 Le cover dei Beatles

23 M. SORGER, 'Covering music', unpublished M.A. thesis, Pratt Institute, 1988, p. 56.

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La fotografia che ritrae i Beatles affacciati alle scale delle sede londinese della EMI, futura copertina di Please Please Me, colloca il gruppo all’interno delle convenzioni dell’industria della musica pop; vestiti in giacca e cravatta, tutti sorridenti con lo sguardo volto alla macchina fotografica, i quattro componenti incarnano in tutto e per tutto la pop star dell’epoca: giovani, belli e sicuri di sé. Mai la EMI avrebbe pensato che i Beatles sarebbero diventati più di un gruppo pop “bello da vedere”;

siamo agli inizi del 1963, e i Fab Four erano ancora sconosciuti al di fuori dei confini britannici.

Le cover dei cinque album successivi vennero fotografate da Robert Freeman, e svolsero un ruolo importante nel consolidare l’identità della band. Durante la British Invasion negli Stati Uniti, nel biennio 1964-5, la musica popolare inglese passò dal semplice imitare gli stili americani al dominare la scena dei mercati internazionali, e si decise perciò di mantenere ed enfatizzare l’aspetto casual e giocoso dei quattro ragazzi di Liverpool.

Un primo cambiamento dell’aspetto effervescente della band, quasi a suggerire la voglia di esplorare strade diverse dalla canzone pop di tre minuti circa, si ebbe con la copertina di Rubber Soul, a fine 1965. È il primo album in cui non compare la parola “Beatles” e, sebbene tutta la band sia presente, soltanto Lennon guarda verso l’obiettivo della macchina fotografica; Starr, McCartney e Harrison ignorano il fotografo, e il loro sguardo volto altrove fa proprio pensare alla volontà di cambiamento ed emancipazione. Come nelle copertine di With The Beatles e Beatles For Sale, nessuno di loro sorride e i più hanno i volti allungati e deformati.

24

Uno dei cambiamenti più importanti e sorprendenti ha interessato la scelta dei temi da trattare negli album successivi: dei primi sei, lanciati tra il 1963 e il 1965, circa il 76% delle canzoni hanno come soggetto l’amore romantico, mentre degli ultimi album soltanto il 5% di esse può essere definita, forse per convenzione,

“canzoni d’amore”. Il passaggio della band dalle tematiche scontate e prevedibili della canzone popolare a testi che prendono in considerazione il pagamento delle

24 M. EVANS, The Art of the Beatles, Liverpool, HarperCollins, 1984, p. 28: Evans attribuisce la deformità dei volti all’uso di droghe da parte della band.

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tasse (‘Taxman’) o la vita in un sottomarino (‘Yellow Submarine’) ha portato numerosi studiosi a considerare Revolver, uscito nell’agosto 1966, un punto di distacco “…from conventions of commercialised pop music. [..] an extraordinary breakthrough”.

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Innovativa è persino la sua copertina, realizzata da Klaus Voorman, artista che la band aveva conosciuto ad Amburgo nelle sue prime fasi:

essa è un collage di tante piccole foto dei quattro musicisti mescolate ai ritratti dei loro volti, eseguiti con l’inchiostro di china; queste incongruenze e idiosincrasie della copertina, in cui gli stessi Beatles rifiutano una qualsiasi nozione di uniformità nella postura e nella collocazione, unite al bianco e nero (mentre all’epoca prevalevano le copertine coloratissime) prepararono i fan alle innovazioni musicali presenti nell’album.

Soltanto il progetto per realizzare la copertina di Sgt Pepper costò ai Beatles 1500 £. È stato il primo album la cui parte interna non era un semplice foglio bianco e sempre il primo album ad avere, oltre ai testi delle canzoni stampati sul retro, la prima traccia mai censurata dalla BBC, ‘A Day In The Life’. Abbiamo a che fare con una copertina epica, geniale, la cui stravaganza e complessità riflettono le canzoni che troviamo all’interno “…a collage as colourful, imaginative and intriguing as the record itself”

26

. Progettata da Peter Blake e Jann Haworth, presenta i Beatles

“autentici”, vestiti in completo e mentori dei quattro “nuovi” Beatles, vestiti con uniformi di seta coloratissime, con ottoni e strumenti a fiato al posto delle chitarre;

sono in piedi dietro a una grancassa, sulla quale mostrano fieramente il nome della nuova band, per l’appunto “la band dei cuori solitari del Sergente Pepper”. Sono circondati da figure famose, tra cui Shirley Temple, Einstein, Marx, Wilde; dei fiori, che poggiano su quella che assomiglia a una tomba, costituiscono la parola

“Beatles”. Le frasche sotto la grancassa sembrerebbero delle piantine di marijuana, è presente anche la figura di una dea indiana. Perché tutto questo? Il loro scopo principale era che i fan, i critici musicali, tutto il mondo, rivalutasse la loro identità.

La realizzazione degli ultimi quattro album è stata fortemente influenzata

25 W. MELLERS, Twilight of the Gods: The Beatles in Retrospect, London, Faber & Faber, 1973, p.

69.

26 N. SCHAFFNER, The Beatles Forever, New York, Fine Communications, 1977, p. 81.

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dalle vicende personali della band; in primis, la morte di Epstein, manager fedelissimo che li lasciò abbandonati al caso; poi la fondazione della Apple, casa discografica che i Beatles cercarono di gestire autonomamente, ma che infine provocò un’enorme quantità di debiti; infine l’incontro con il guru Maharishi Mahesh Yogi e l’adesione della band alla Meditazione Trascendentale.

La copertina di The Beatles venne realizzata da Richard Hamilton, uno dei primi esponenti della pop art; è in bianco e nero, e le parole in rilievo rimandano sia alla band che al titolo dell’album. Una copertina che apparentemente non aveva nulla da dire, ma che in realtà diceva tutto, come poi affermò John Lennon “it was just me and a backing group, Paul and a backing group. We broke up then”.

27

Il film d’animazione Yellow Submarine uscì nel luglio 1968, ma i fan dovettero aspettare sei mesi per l’uscita dell’album omonimo che, oltre alla colonna sonora della pellicola, conteneva soltanto quattro nuovi testi; fu la prima volta, durante la loro carriera, che i Beatles ebbero poco controllo sulla loro immagine, tantoché le voci del cartoon vennero doppiate da degli attori. La grafica colorita della copertina, realizzata da Heinz Edelmann, nonché la stessa stravaganza delle caricature ritratte nella pellicola, si combinano male e sono in netto contrasto con la musica contenuta dall’album, assemblata a sua volta in maniera quasi casuale.

C’è uno scopo ben preciso per cui Abbey Road non presenta né il nome del gruppo né il titolo dell’album in copertina? Il fotografo Iain McMillan non fece altro che posizionarsi nei pressi dello studio di registrazione Abbey Road EMI, a Londra, siglando così una “firma” visiva che avrebbe collegato per sempre la musica dei Beatles al luogo in cui avvenivano le registrazioni. Il lato A, contenente il pop tradizionale, tra cui ballate e canzoni romantiche, si amalgama bene con il lato B, caratterizzato da un rock’n’roll nuovo; il tutto viene completato dalla foto di quattro giovani indipendenti, che camminano da sinistra a destra, come se uscissero dagli studios e si avviassero così verso la fine della loro carriera. Anche questa copertina è considerata da molti una prova inconfutabile della presunta morte di Paul McCartney. Paul è infatti l’unico a essere scalzo, e in Gran Bretagna

27 B. MILES, John Lennon in His Own Words, London, Omnibus Press, 1980, p. 69.

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è usanza seppellire i morti senza calzature; in più è l’unico fuori passo. Significa che allora è morto veramente? Ad avvalorare questa tesi ci sarebbero poi gli altri componenti: John sembra un sacerdote/angelo, il fatto che Ringo sia vestito di nero potrebbe indicare che egli è un funzionario delle pompe funebri, e infine George, vestito con dei jeans, fungerebbe da becchino. La targa della vettura parcheggiata, LMW, è acronimo di “Linda McCartney Widow/Weeps”? E il furgone sull’altro lato della strada ricorda i Black Maria, usati dalla polizia in caso di incidenti stradali (secondo i fanatici, Paul sarebbe morto proprio a causa di un incidente, e poi sostituito con un sosia). Fantasticherie (indizi sottili?) a parte, la copertina di Abbey Road resta una delle più significative.

Anche nel disco finale, Let It Be, i quattro artisti compaiono senza nome. Si tratta di una fotografia con quattro sezioni su cui è raffigurato il volto di ognuno di loro;

sono sezioni separate da una cornice nera, a simboleggiare le opinioni, le ambizioni e i progetti diversi che ciascuno aveva. È l’album che purtroppo decretò la fine della band, in cui la musica stessa rivela l’assenza di unità e di ottimismo.

2.3 Rivoluzione grafica

Forse l’affermazione di George Martin “the art of the vinyl album sleeve . . . did not have much of a life before the Beatles”

28

non era poi così sbagliata. Con l’eccezione di Please Please Me, la cui copertina, come abbiamo visto, era piuttosto convenzionale per l’epoca, gli altri album possono essere divisi in tre gruppi, a seconda che la loro copertina abbia scopi promozionali (da With The Beatles a Rubber Soul), artistici (da Revolver a The Beatles) e musicali (Abbey Road e Let It Be). La foto realizzata da Robert Freeman per l’album With The Beatles, descritta come l’immagine più famosa dell’iconografia beatlesiana, convinse diversi gruppi che si trovavano nel vortice della Beatlemania (tra cui i Rolling Stones e i Kinks) a imitare la postura solenne dei Fab Four. Nonostante la EMI desiderasse una copertina colorata per l’album, i Beatles e il loro manager ebbero la meglio,

28 G. MARTIN, Summer of Love: The Making of Sgt Pepper, London, Pan Books, 1994, p. 121.

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riuscendo a utilizzare la fotografia in bianco e nero anche per il successivo A Hard Day’s Night con il quale, esprimendo visualmente la relazione tra l’album e il film omonimo, si superò la necessità di usare la copertina di un album più per pubblicizzare la pellicola che le canzoni da esso contenute.

L’immagine che appare sulla copertina di Beatles For Sale è la prima fotografia a colori che Robert Freeman scattò ai Fab Four; sia il titolo dell’album che la sua copertina rappresentano uno sguardo attento alla natura della relazione tra la band e i suoi fan: “in its simplest form, we have in a photograph surrogate possession of a cherished person”.

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Successivamente, il tipico primo piano sui volti dei quattro musicisti, presente nei primi quattro album, venne sacrificato con Help!: qui i Beatles sono colti per intero, abbastanza lontani dall’obiettivo, e i loro abiti contrastano con uno sfondo completamente bianco in cui muovono le braccia cercando di scandire con l’alfabeto semaforico una parola che inizialmente doveva essere proprio Help!, ma che poi venne improvvisata con il risultato di “NUVJ”. Una parola priva di significato, ma allettante dal punto di vista visivo, a dimostrare che scopo della pubblicità era quello di creare delle immagini che vendessero i prodotti, senza la necessità di aderire alla realtà.

Con Rubber Soul arriviamo a una copertina che rivoluzionò la grafica degli album, presentando una tipografia quasi psichedelica e annunciando così uno stile che sarebbe diventato lo stile dei figli dei fiori, subcultura che si sviluppò intorno al 1966 nella costa occidentale degli Stati Uniti. I due album successivi, Revolver e Sgt Pepper, tra il 1966 e il 1967 vinsero un grammy award ciascuno per la migliore copertina; la prima, realizzata da Klaus Voorman che ritraeva i quattro tra disegni a china e foto ritagliate dai giornali, venne poi imitata dai disegnatori e pubblicitari.

La seconda è senza dubbio la copertina più celebrata che sia stata prodotta dalla musica popolare, un mix di immagini psichedeliche, della cultura popolare e delle favole; è stata la prima a sottoporsi come puro oggetto di analisi e investigazione, tante sono le figure di personaggi famosi che compaiono in questo “quadro”.

Se con The Beatles, meglio conosciuto come White Album, si reagì a quanto era

29 S. SONTAG, On Photography, London, Allan Lane, 1978, p. 20.

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stato fatto con Sgt Pepper, ritornando a una grafica minimalista e priva dei colori eccessivi e accecanti della psichedelia, con la copertina di Yellow Submarine si creò un mix delle arti visive presenti negli ultimi Anni ’60: pop art, psichedelia, art nouveau… Con i Beatles-cartoni animati ritratti a Pepperland, la copertina fu molto significativa per il merchandising: lenzuola, giocattoli, abiti, puzzle, cartoline, lampade e piatti erano tra i tanti prodotti lanciati sul mercato insieme all’album e al film omonimo.

Abbey Road è forse l’unica tra le copertine dei Beatles ad avere un’immagine banale, diventata però il simbolo più potente di tutte le immagini della band; anche la sua realizzazione è stata molto semplice: il fotografo MacMillan non fece altro che posizionare la sua macchina fotografica in mezzo a Abbey Road, vicino agli studi di registrazione, e mentre le forze dell’ordine fermavano il traffico, i Beatles attraversavano le famosissime strisce pedonali e si facevano immortalare. I Red Hot Chili Peppers hanno voluto farne una parodia nel loro album Abbey Road EP del 1988, la cui copertina li ritrae nudi e con dei calzini sulle parte intime mentre attraversano proprio Abbey road.

Infine, con Let It Be, i Beatles fecero ritorno alle convenzioni della posa

“personaggio” dei loro primi album, con una cover che dal punto di vista del disegno aveva poco da offrire.

2.4 Funzione perlocutiva

Nel suo libro

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Fiske divide le canzoni dei Beatles tra readerly texts e writerly texts.

I primi possono essere descritti come dei testi chiusi, di accessibile interpretazione, che non danno adito a particolari dubbi interpretativi e richiedono un lettore passivo, ricettivo e disciplinato che ne accetti il significato come un qualcosa di già dato; invece i secondi sono dei testi aperti che richiedono il coinvolgimento dell’ascoltatore, che viene costantemente spronato a fornire una spiegazione. Non esistono testi che abbiano un’unica e assoluta interpretazione, ma è pur necessario

30 J. FISKE, Understanding Popular Culture, London, Taylor & Francis, 1989.

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darne una alla fine; e in un’epoca in cui il successo di una band dipendeva quasi esclusivamente dalla vendita dei dischi, gli ascoltatori-acquirenti dovevano avere idee chiare sul prodotto che avrebbero acquistato. Come fecero i Beatles a riuscire nell’intento? Esplicitando il nome della band, il loro aspetto fisico, il titolo dell’LP;

dove non appare il nome “Beatles”, c’è la fotografia a parlare per loro; viceversa, quando non appare un loro ritratto, come in The Beatles, c’è il loro nome a

“rinfrancare” il cuore dei fan. Ogni copertina dei Beatles è quello che è, la copertina di un nuovo album, ci sono poche alternative di interpretazione dei testi; e anche quella di Sgt Pepper, seppure strana, coloratissima e psichedelica, aderisce a queste regole: titolo dell’album (nella grancassa), Beatles in due versioni (vestiti da musicisti della banda e in giacca e cravatta), nome della band (composto dai fiori).

Al contrario, artisti affermati come i Pink Floyd hanno lanciato degli album privi di titolo, nome del gruppo e loro foto; per esempio, dischi come The Dark Side Of The Moon, Atom Heart Mother e Wish You Were Here non contengono alcun riferimento al gruppo, e le immagini non hanno alcuna connessione con i testi musicali, ma creano invece dei significati molteplici senza proporre messaggi univoci all’ascoltatore.

La copertina, sia bianca che coloratissima e pacchiana, definita da molti un

“silent salesman”, che sarebbe “morta” circa 40 anni dopo con l’invenzione del CD

da parte della Philips, è stata un mezzo di promozione fortissimo e ai Beatles va

riconosciuto un grande merito per essere riusciti, proprio tramite le copertine dei

dischi, a collegare in una singola unità i loro tratti fisici con l’output musicale, l’arte

e la musica pop.

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3. Testi e linguaggio nel primo e secondo periodo

In From Me To You: il linguaggio dei Beatles dall’austerità allo sperpero si affronta, attraverso studi e grafici, il cambiamento radicale avvenuto tra le prime canzoni della band, quelle dell’early period 1962-65, e le ultime, tipiche del later period 1966-70.

Gli autori dello studio, Guy Cook e Neil Mercer, individuano questi cambiamenti soprattutto nel linguaggio; infatti, nei primi testi i Beatles usano soltanto dei pronomi indeterminati per riferirsi ai protagonisti delle loro canzoni: I è l’io narrante, you è molto spesso il confidente, she l’amata e he il rivale in amore.

Questa rapidità porta l’ascoltatore a identificare facilmente i protagonisti di dibattiti, scambi di battute, pettegolezzi; vengono colti soltanto dei piccoli frammenti delle vite dei personaggi, di cui è reso noto soltanto il sesso, il ruolo che hanno nel rapporto amoroso e alcuni tratti caratteristici, estendendo queste poche peculiarità a tutti gli uomini e le donne che intessono delle relazioni.

Nei secondi testi, individuano invece delle caratteristiche opposte. I pronomi

indefiniti sono pressoché assenti, o comunque la loro funzione cambia: magari she

non è tanto la persona amata, ma piuttosto la ragazza comune che il cantante

osserva; allo stesso tempo, aumenta l’uso dei nomi propri di persona, tra cui

Eleanor Rigby, Doctor Robert, Father Mckenzie, Michelle, Julia, Sexie Sadie; e dei

nomi propri di luogo, come Penny Lane, Isle of Wight, Strawberry Fields. Si passa

alla narrativa, alla poesia, alla filosofia, a canzoni più specifiche in cui il cantante,

spesso escluso dall’azione, fornisce all’ascoltatore maggiori dettagli spazio –

temporali. Inoltre, nel primo periodo, i testi contenevano espressioni ridondanti,

ripetitive, riguardanti soprattutto l’amore; questo perché le canzoni erano

destinate a rappresentazioni live, e quindi si puntava più sull’aspetto musicale che

non sulla complessità dei testi. Come vedremo più avanti, infatti, quando i Fab Four

decisero nel 1966 di lasciare le tournée e di dedicarsi alle registrazioni negli studi,

poterono iniziare a comporre testi più elaborati e più attenti, che caratterizzarono

(24)

24 proprio il secondo periodo della loro carriera.

In questo capitolo approfondirò la questione, analizzando, per entrambi i periodi, le caratteristiche delle love songs e procederò poi a rintracciare elementi di “disturbi e patologie mentali” nei testi composti dalla band.

3.1 Love Songs

Delle 221 canzoni che i Beatles hanno composto durante tutta la loro carriera, più della metà, ben 112, riguardano l’amore: 74 sono state scritte nel primo periodo e le rimanenti 38 appartengono al periodo più maturo. Lee

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individua sei categorie di “amore”:

1) EROS, l’amore romantico

2) LUDUS, l’amore casuale, giocoso, fatto per puro divertimento 3) STORGE, l’amore – amicizia

4) PRAGMA, l’approccio pratico e realistico di una relazione amorosa 5) MANIA, l’amore ossessivo

6) AGAPE, l’amore universale

Di tutte le 112 canzoni, in testa alla classifica compare il tema dell’amore romantico, con ben 41 testi. Esemplificativo è ‘I Saw Her Standing There’:

[..] Well, my heart went boom When I acrossed that room And I held her hand in mine.

Whoa, we danced through the night, And we held each other tight,

And before too long I fell in love with her. (Please Please Me, 1963)

Al secondo posto segue l’amore ludico con 35 canzoni, tra cui ‘I’ll Cry Instead’:

[.. ] And when I do you’d better hide all the girls‘

Cause I’m gonna break their hearts all ‘round the World. (A Hard Day’s Night, 1964)

31 J. A. LEE, The Colours of Love, Toronto, New Press, 1973, p. 75.

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La teoria dell’amore universale, esplicitata in ben 13 testi, è decantata alla perfezione in ‘When My Guitar Gently Weeps’, composta da George Harrison:

[..] I look at you all, see the love there that’s sleeping While my guitar gently weeps

I look at you all. (The White Album, 1968)

‘When I’m Sixty-four’ è invece una delle 12 canzoni a rientrare nella categoria dell’amore – amicizia:

[..] Every summer we can rent a cottage in the Isle of Wight If it’s not too dear

We shall scrimp and save

Grand children on your knee. (Sgt Pepper, 1967)

L’amore ossessivo è presente in 10 testi, tra cui ‘Run For Your Life’ in cui la mania dell’innamorato si capisce fin dalle prime righe:

Well, I’d rather see you dead little girl Than to be with another man You better keep your head, little girl

Or I won’t know where I am. (Rubber Soul, 1965)

Infine ‘We Can Work It Out’ è l’unica canzone della categoria “pragma”:

[..] Run the risk of knowing that our love may soon be gone.

We can work it out,

We can work it out. (Beatles Oldies (But Goldies!), 1966)

Il contrasto tra il primo e il secondo periodo è impressionante: se nel triennio 1962- 65 più del 90% dei testi riguardava l’amore, il periodo finale 1966-70 conta le love songs per poco più del 20%. L’epoca della svolta è segnata dal 1966, “inaugurato”

da Lennon con i suoi commenti pesanti, e molto poco ortodossi, sulle religioni

odierne, definendo la band come più popolare e amata dello stesso Gesù Cristo. A

metà dello stesso anno, i quattro decisero di interrompere i tour per dedicarsi alle

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registrazioni in studio, iniziarono a conoscere l’LSD, la marijuana e la Meditazione Trascendentale. Il colpo di grazia che marcò ancora di più il cambiamento in progress fu segnato dalla morte di Epstein nel 1967, dalla successiva fondazione della Apple e dal connubio Lennon – Yoko.

E proprio del 1966 è Revolver, l’album che consacrò la carriera della band.

Nonostante la sua uscita seguisse di soli pochi mesi quella di Rubber Soul, la distanza tra questi due dischi è la più ampia, a livello di suono e composizione, tra due dischi consecutivi dei Beatles; l’unico possibile difetto che si può riscontrare è quello di apparire un album eccessivamente trasversale, che ospita due canzoni così lontane tra di loro come ‘Yellow Submarine’ e ‘Tomorrow Never Knows’.

Tuttavia, le diverse intenzioni e influenze dei quattro componenti hanno dato origine a una sequenza eterogenea, coesa, non affatto conflittuale: i contributi musicali dei quattro, sia in veste di autori che di compositori, sono ben divisi, e le differenze stilistiche tra John e Paul cominciano a cristallizzarsi. Mentre il primo continuava a proporre una musica sempre più onirica e ipnotica al fine di esprimere le proprie sensazioni ed esperienze (‘I’m Only Sleeping’, ‘Dr Robert’,

‘And Your Bird Can Sing’, ‘She Said She Said’), l’altro si distaccava dall’esperienza personale per realizzare dei brani con arrangiamenti e sonorità piuttosto inconsuete (‘Eleanor Rigby’, ‘For No One’, ‘Got To Get You Into My Life’); in aggiunta a tutto questo, il grande chitarrista George emerse inaspettatamente come compositore di ‘Taxman’, che apre l’album, ‘I Want To Tell You’ e ‘Love You To’, in cui compare il sitar indiano.

È vero che nel secondo periodo i Beatles composero meno canzoni d’amore, ma inversamente aumentò la self-composition dei testi: come dichiarò Martin a proposito dell’interruzione delle tournée: “Now that they had some time and space, they were spreading their wings”

32

. Bob Dylan inoltre ebbe un’enorme influenza su di loro, come afferma Paul McCartney: “The nice thing about Dylan for me was he brought back poetry… Dylan introduced that into our lives”.

33

Infine, gli

32 G. MARTIN, Summer of Love, London, McMillan, 1994, p. 24.

33 R. WILLIAMS, “The Trip”, in Mojo, XVI, 1, 1982, p. 53.

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stessi Beatles erano maturati, non avevano più alcun interesse a trattare esclusivamente tematiche amorose. Se infatti mettiamo a confronto le love songs dei due periodi, notiamo che nella seconda fase beatlesiana scendono di classifica le canzoni appartenenti alle categorie dell’amore giocoso e romantico, mentre aumentano quelle dell’amore universale e dell’amore-amicizia: come dimenticarsi della rilassante e positiva ‘All You Need Is Love’?

3.2 Disturbi mentali

La questione dei “disturbi mentali” segue una tradizione lunghissima; basti pensare a Dr Jekyll & Mr Hyde, Frankestein e Il malato immaginario in letteratura, a Psycho e Shining nel cinema. Anche nella musica troviamo riferimenti, più o meno espliciti, a questi tipi di malessere. Talvolta sono i titoli stessi delle canzoni, come Hysteria dei Muse o Lovefool dei Cardigans, a fornirci degli indizi; oppure ci possono essere delle canzoni che hanno titoli apparentemente innocui e nascondono poi dei testi problematici, come One Of These Days dei Pink Floyd, il cui unico verso rivela un aspetto atroce “I’m gonna cut you into little pieces”. Che si tratti di testi espliciti o meno, spesso si canta il dolore per l’amore perduto, o l’euforia per quello corrisposto; lo stress mentale e fisico per la lontananza dell’amante; la sfiducia negli altri; le manie di persecuzione e così via.

In questa sezione del capitolo mi propongo di rintracciare alcuni aspetti, presenti nelle canzoni della musica popolare dei Beatles, che possano rimandare ai vari tipi di malessere. Scrive Frith: “…pop songs give people the terms in which to articulate, and so experience their emotions”.

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Per fare una piccola introduzione alla materia, mi rifaccio a quanto pubblicato da Kagan e Segal,

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i quali distinguono i “disturbi organici” dai “disturbi funzionali”: i primi si riversano in maniera evidente anche sul fisico dell’individuo, mentre i secondi si manifestano soltanto a livello mentale, e comprendono le psicosi e le nevrosi. Essi descrivono

34 S. FRITH, Music for Pleasure, Cambridge, Polity, 1988, p. 84.

35 J. KAGALL & J. SEAGAL, Psychology: An Introduction, Orlando, Harcourt Brace Jovanovich, 1992.

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le nevrosi come “disturbi spesso causati da un evento tragico… l’individuo è conscio della sua malattia e rimane in contatto con la realtà”,

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mentre l’individuo colpito da psicosi non si rende conto della situazione e perde contatto con il mondo esterno.

Nelle 27 canzoni che ho preso in analisi, per quanto riguarda la nevrosi ho riconosciuto aspetti di depressione, ossessione e ansia; al contrario, per quanto riguarda la psicosi ho riconosciuto forme di schizofrenia, di paranoia e di bipolarismo. Proprio queste 27 canzoni, a mio parere, vanno oltre le semplici lamentele di unhappiness da parte del cantante e, in alcuni versi, rivelano dei sintomi appartenenti ai disturbi che ho appena citato.

La depressione è spesso descritta nei testi come conseguenza di un amore finito o del ritiro dalla quotidianità da parte del protagonista; il linguaggio è quello di un uomo disperato che non sa come continuare a vivere, poiché la sua vita non ha più senso.

Le canzoni che a mio parere ne contengono traccia sono 11: ‘Misery’, ‘It Won’t Be Long’, ‘Don’t Bother Me’, ‘I Call Your Name’, ‘Tell Me Why’, ‘I’ll Cry Instead’, ‘I’m A Loser’, ‘Ticket To Ride’, ‘I Need You’, ‘Yesterday’ e ‘For No One’.

[..] The world is treating me bad, misery.

I’ve lost her now for sure, I won’t see her no more,

It’s gonna be a drag in misery. (‘Misery’, Please Please Me, 1963)

[..] Every night the tears come down from my eyes

Every day I’ve done nothing but cry. (‘It Won’t Be Long’, With The Beatles, 1963)

[..] I know I’ll never be the same If I don’t get here back again.

Because I know she’ll always be

The only girl for me. (‘Don’t Bother Me’, With The Beatles, 1963)

[..] Oh I can’t sleep at night

36 Ibidem, p. 53.

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Since you’ve been gone I never weep at night

I can’t go on. (‘I Call Your Name’, EP Long Tall Sally, 1964)

[..] Well I gave you everything I had But you left me sitting on my own.

Did you have to treat me oh so bad?

All I do is hang my head and moan. (‘Tell Me Why’, A Hard Day’s Night, 1964)

[..] Don’t want to cry when there’s people there, I get shy when they start to stare,

I’m gonna hide myself away. (‘I’ll Cry Instead’, A Hard Day’s Night, 1964)

[..] Although I act and I laugh like a clown, Beneath this mask I am wearing a frown.

My tears are falling like rain from the sky, Is it for her or myself that I cry?

I’m a loser, I’m a loser. (‘I’m A Loser’, Beatles For Sale, 1964)

I think I’m gonna be sad, I think it’s today, yeah.

The girl that’s driving me mad

Is going away. (‘Ticket To Ride’, Help!, 1965)

[..] Please remember how I feel about you, I could never really live without you.

So come on back and see, Just what you mean to me,

I need you. (‘I need you’, Help!, 1965)

[..] Why se had to go?

I don’t know, she wouldn’t say.

I said something wrong,

Now I long for yesterday. (‘Yesterday’, Help!, 1965)

[..] You want her, you need her And yet you don’t believe her When she said her love is dead.

And in her eyes you see nothing,

No sign of love behind the tears. (‘For No One’, Revolver, 1966)

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L’ossessione invece si manifesta sotto diversi aspetti: l’io narrante ha dei pensieri ricorrenti che non può controllare, oppure ha delle paure non giustificate che l’amante lo abbandoni (ne segue la minaccia), o ancora teme che qualcosa andrà storto. Il linguaggio è conciso ma ridondante, ci sono forti ripetizioni.

I testi da me considerati sono sei: ‘You Can’t Do That’, ‘You Won’t See Me’, ‘What Goes On’, ‘Run For Your Life’, ‘Oh! Darling’ e ‘I Want You’ (in quest’ultima il protagonista riconosce la sua ossessione).

I got something to say that might cause you pain:

If I catch you talking to that boy again I’m gonna let you down

And leave you flat,

Because I told you before, oh

You can’t do that. (‘You Can’t Do That’, A Hard Day’s Night, 1964)

[..] We have lost the time, That was so hard to find, And I will lose my mind

If you won’t see me. (‘You Won’t See Me’, Rubber Soul, 1965)

[..] It’s so easy for a girl like you to lie, Tell me why.

What goes on in your heart?

What goes on in your mind?

You’re tearing me apart When you treat me so unkind.

What goes on in your mind? (‘What Goes On’, Rubber Soul, 1965)

[..] Well, I’d rather see you dead, little girl Than to be with another man.

You better keep your head, little girl. (‘Run For Your Life’, Rubber Soul, 1965)

[..] When you told me you didn’t need me anymore Well, you know I nearly broke down and cried.

When you told me you didn’t need me anymore

Well, you know I nearly broke down and died. (‘Oh! Darling’, Abbey Road,1969)

I want you, I want you so bad.

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I want you, I want you so bad.

It’s driving me mad,

It’s driving me mad. (‘I want you’, Abbey Road, 1969)

L’ansia è espressa tramite la sensazione, di fastidio e insoddisfazione, che il protagonista prova a causa della sua situazione attuale di stanchezza o inettitudine.

Ho individuato soltanto due canzoni della band: ‘Help!’ e ‘Nowhere Man’.

[..] When I was younger, So much younger than today I never needed anybody’s help In any way.

But now these days are gone,

I’m not so self assured. (‘Help!’, Help!, 1965)

He’s a real nowhere Man, Sitting in his Nowhere Land, Making all his nowhere plans For nobody.

Doesn’t have a point of view, Knows not where he’s going to.

Isnt’ he a bit like you and me? (‘Nowhere Man’, Rubber Soul, 1965)

Per quanto riguarda la schizofrenia, essa viene resa manifesta sia come mancanza di volontà e personalità frantumata, in ‘I’m Only Sleeping’ e ‘I’m So Tired’, che come disturbi sensoriali in ‘She Said She Said’ e ‘The Fool On The Hill’. Le ultime due canzoni presentano una dimensione fortemente narrativa, cioè vi è una terza persona coinvolta, mentre ‘I’m Only Sleeping’ e ‘I’m So Tired’ vengono trattate in prima persona.

[..] Please don’t wake me, no don’t shake me.

Leave me where i am, I’m only sleeping.

Everybody seems to think I’m lazy,

I don’t mind, I think they’re crazy. (‘I’m Only Sleeping’, Revolver, 1966)

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