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L'analogia fra micro- e macrocosmo nel pensiero greco preplatonico

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA E STORIA

DELL’ANTICHITÀ

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

L’analogia fra micro- e macrocosmo nel pensiero greco

preplatonico

RELATORE: CANDIDATO:

Prof.ssa Maria Michela Sassi Paolo Tamponi

CORRELATORE: Prof. Andrea Taddei

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Indice

Introduzione ... 3

Capitolo 1. Mileto ... 9

1. La nascita del pensiero filosofico e Talete ... 9

2. Anassimandro: il kosmos che rinasce ... 12

3. Anassimene, il soffio che tiene insieme ... 26

Capitolo 2. Filolao ... 31

1. Il cosmo (ri)composto da armonia ... 31

2. Gerarchie dell’essere nel microcosmo ... 38

3. Dove giunge il logos ... 48

Capitolo 3. Empedocle ... 55

1. Principi del divenire ... 55

2. Meccanica vitalistica ... 65

3. Generazione e sviluppo del cosmo e dei “viventi” ... 73

4. Fra unità e polarità: lo sviluppo dello Sfero e dell’embrione ... 88

5. “Tutto respira”… e la terra traspira ... 104

Capitolo 4. Il trattato Sul regime ... 111

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3

Introduzione

Nel mio lavoro di tesi ho avuto modo di verificare come, nell’arco cronologico del pensiero antico preso in considerazione, l’analogia micromacrocosmica si fonda sull’idea di un vitalismo generale più o meno connotato in senso biologico, e consiste nell’assimilazione di due livelli, dotati di scale dimensionali diverse: il livello macrocosmico, ovvero la totalità delle cose esistenti, in particolare l’ambito cosmologico e le stirpi dei “viventi”, contiene quello microcosmico, ovvero l’essere vivente considerato singolarmente, con particolare attenzione all’uomo. Questo secondo livello è comunque il punto di partenza per l’attribuzione di vita al cosmo. I due livelli sono uniti dal rapporto che sussiste fra la totalità e le sue parti, cosicché l’individuo è

parte del tutto, ma contemporaneamente rappresenta la totalità delle proprie parti; ai due

livelli inoltre sono attribuite caratteristiche analoghe per composizione materiale, struttura e funzioni. L’“origine” o “fonte” del divenire naturale riveste un ruolo fondamentale poiché consente di mettere in relazione le cause eterne e i cambiamenti

naturali, unità e molteplicità, macrocosmo e microcosmo, regolando i processi del

divenire.

Nella Ionia di fine VII e inizio VI secolo a. C. Talete, capostipite della scuola di Mileto, e Anassimene, terzo esponente di essa, hanno individuato un “elemento” materiale esperibile, rispettivamente l’acqua (hydor) e l’aria (aer), come principio di tutte le manifestazioni, che “nascono” da esso. In particolare Anassimene ha inteso tutta la realtà in senso biologico se ha definito l’aria come “soffio vitale” (psychè) e soprattutto come “respiro” (pneuma) e le ha attribuito la funzione di controllo e di “tenere insieme” tanto l’individuo quanto il cosmo (synkratein). È molto più dettagliato il quadro che possiamo ricostruire sul secondo dei Milesii, Anassimandro, che ha

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postulato come principio una sostanza dal carattere “indefinito” (apeiron) dalla quale, tramite secrezione (enkrisis o apokrisis), si separa un “germe vitale” (gonimon) che sviluppandosi diventa il “cosmo” che conosciamo, nel quale la “giustizia” (dike) e la “compensazione” (tisis) reciproca fra gli “elementi” costitutivi avvengono “secondo necessità” (kata to chreon). L’apeiron non solo “circonda” il cosmo, ma lo “indirizza” come farebbe un “timoniere” (kybernao): in questo modo al principio è attribuita una forte connotazione personale, comprendente una sapienza di tipo “tecnico”. Oltre alla continuità materiale, derivante dalla comune origine, nel livello macrocosmico e in quello microcosmico si trova un’analoga struttura, quella concentrica, comune ai corpi celesti, all’albero con la sua “corteccia” (phloios) e ai primi animali, che erano circondati da un “guscio”, ma pure avviene un comune percorso dall’umido al secco, nel momento in cui viene postulato un invecchiamento, concepito per l’appunto come disseccamento, sia nel cosmo sia nell’essere vivente. Nel livello macrocosmico tale percorso si ripete con andamento ciclico, in modo tale che un singolo cosmo si avvicenda ad un altro, in una serie di “infiniti mondi” (apeiroi kosmoi).

Nell’Agrigento di V secolo a. C. Empedocle risponde alle affermazioni parmenidee con un’ontologia rigorosa che stabilisce elementi di staticità, ma pure capace di accordarsi con l’esperienza comune del cambiamento, ponendo alla base di

tutto sei principi di per sé immutabili, ma in movimento, la cui continua interazione è la causa di tutti i fenomeni. Tali principi si suddividono in quattro materiali detti “radici” (rhizomata), ovvero fuoco, acqua, terra e aria, e due “motori”, detti “Amicizia”

(Philotes) e “Contesa” (Neikos). La dimensione fisica dei sei principi è di nuovo

caratterizzata da un vitalismo fortemente connotato in senso biologico e da una dimensione “personale”, di tipo sia umano sia divino, secondo la quale i principi sono dissimili per “sfera d’influenza” o “prerogativa” (timè) e per “carattere” (ethos). La

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dimensione divina è molto presente in un discorso che è insieme cosmico ed

esistenziale, nella concezione di un’entità spirituale detta daimon (la cui serie di incarnazioni può ricordare la serie di “infiniti mondi” di Anassimandro), ma pure attraverso la designazione di cinque dei sei principi con teonimi tradizionali, fra i quali

sono particolarmente rilevanti Afrodite e l’epiteto Cipride, riferiti ad Amicizia. Essa infatti presiede alla sfera della generazione esercitando la sua artigianalità che “adatta” le une alle altre le sue creature, come esprime il nome Harmonia – termine che in

Empedocle connota intenzionalità, con un significato meno astratto di quello che avrà in

Filolao.

I principi, che continuamente “sono in cambiamento” (allassonta), “dominano” (krateousi) “secondo la rotazione del tempo” (periplomenoio chronoio): la circolarità

anche fisica si manifesta sia nel macrocosmo sia nel microcosmo, nel primo ambito col

ciclo cosmico e con quello stagionale, nel secondo con la respirazione e, in un certo

senso, con la riproduzione. Il ciclo cosmico, data la sua indefinita alternanza di forza e

di posizione di Amicizia e di Contesa, è paragonabile al processo respiratorio, in cui il sangue e l’aria si muovono con alternanza indefinita verso l’interno e verso l’esterno del corpo. Il ciclo cosmico comprende inoltre la fase di totale unificazione (anche in termini di omogeneità materiale), segnata dallo “Sfero”, paragonabile a quella embriologica – si pensi in particolare alle uova con la loro forma – poiché le quattro radici “nascono come unità” (symphyo); esse successivamente “nascono come molteplicità” (diaphyo) facendo sviluppare le parti del cosmo e del corpo; fa seguito la spinta verso una (nuova) unità,

che nel livello microcosmico è mediata dal desiderio (pothos) fra i due sessi. Esistono altri casi di “mescolanza equilibrata” (mese krasis) quali l’aria di primavera, o d’altro canto il sangue che circonda il cuore e le carni.

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sincronicamente e secondo un medesimo schema di corrispondenze fra sede e caratteri

fisici: nella parte destra e calda della terra, a Sud (e ad Est), nascono i primi uomini, e

nella parte sinistra e fredda della terra, a Nord, nascono le prime donne, così come nell’epoca attuale, in cui non è solo la terra ad essere “come gravida” (quasi

praegnante), la generazione di un maschio o di una femmina dipende – oltre che dalle

caratteristiche dei semi di entrambi i genitori – dalle fasi di riscaldamento dell’utero,

che rispecchiano quelle di illuminazione della luna. Un altro processo fisiologico, quello della traspirazione, è sovrapposto da Empedocle stesso ad uno cosmologico: l’azione del calore produce la secrezione di un liquido salato tanto a partire dalla pelle dell’uomo, ovvero il sudore (hidros), quanto a partire dalla terra (ghe), ovvero il mare (thalassa).

Più avanti nel V secolo a. C., ancora in Magna Grecia ma a Crotone, si è distinto

Filolao. Nonostante la posteriorità di questo personaggio rispetto ad Empedocle, nella scansione dei capitoli ho preferito anticiparne la trattazione perché l’ambiente pitagorico, di cui Filolao è rappresentativo, si è formato prima dell’attività di Empedocle ed ha esercitato un forte influsso su di essa. Filolao è autore di un sistema di

pensiero articolato in molteplici ambiti dotati di una certa autonomia, ma anche di principi comuni, come il calore e soprattutto il “seme” (sperma), comune a tutte le cose, sia al cosmo sia ai “viventi”. La dimensione biologica, comunque, si inserisce in un impianto “matematico” più sviluppato (e si direbbe più astratto) rispetto a quello dei Milesii: Filolao infatti preferisce non parlare della physis in sé ma solo delle sue manifestazioni finite e dell’“entità adattatrice” (harmonia) che le tiene insieme in modo adatto tramite specifiche grandezze numeriche (megethos). Come in Anassimandro,

anche in Filolao (sebbene notato meno frequentemente) possiamo reperire il ricorso a

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7

interna ed una esterna si accompagna alla contrazione di un “debito” (chreos) all’atto di inspirazione dell’aria: poiché essa deve essere restituita, non sembra appartenere ai viventi, al contrario di quanto inteso da Anassimene.

Nelle opere “ippocratiche”, per la maggior parte databili fra la fine del V secolo a. C. e gli inizi del IV, l’uomo è considerato nel rapporto con l’ambiente in cui vive:

così in Arie, acque, luoghi, ne La natura dell’uomo, e in particolare nel trattato Sul

regime, il cui autore consiglia pratiche terapeutiche basate sulle qualità ormai divenute

canoniche di caldo (thermon), freddo (psychron), umido (hygron) e secco (xeron), che costituiscono i principi costitutivi dell’uomo e dell’ambiente. L’equilibrio dell’uomo è favorito dall’interazione con gli ambienti a lui più idonei in virtù dell’influsso da essi esercitato. Il comportamento dei principi è in linea con quello descritto dai physiologoi

quanto ai rapporti di forza reciproci che si sviluppano nel corso di un continuo “cambiamento” (alloiosis), prodotto da processi di unione e separazione nei quali nulla viene ad essere né viene meno, e caratterizzato da un’“armonia” complessiva. La somiglianza di idee sorprende meno se si considera che alcune concezioni di Empedocle

e di Filolao sono state considerate propriamente mediche. Il trattato Sul regime si fonda

su una serie di opposizioni polari che fanno capo da un lato al fuoco (pyr), di per sé caldo e secco, e dall’altro all’acqua (hydor), di per sé fredda e umida. Le qualità del fuoco sono evidenti a Sud e quelle dell’acqua a Nord, e analogamente nei popoli che abitano ciascuna zona, ma pure si manifestano in modo corrispondente negli uomini e

nelle donne. In ambito procreativo sono determinanti per la determinazione del sesso del nascituro sia le qualità che prevalgono nella “regione” (chore) dell’utero, sia quelle presenti nei “corpi secreti” (somata apokrithenta) da ciascuno dei genitori. È evidente la forte ripresa del pensiero empedocleo, non solo qui ma anche con l’idea che ai fini del concepimento di un maschio entrambi i genitori debbano seguire uno stile di vita “di

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8

fuoco”, caratterizzato da una maggiore quantità di “fatiche” (ponoi), poiché per sua natura il fuoco determina un “consumo” (analosis), e analogamente che il concepimento di una femmina sia favorito da un regime “d’acqua”, comprendente una maggiore quantità di “alimenti” (sita), poiché l’acqua dà “nutrimento” (threpsis). Il fuoco, avendo ruolo attivo, presiede ai processi della natura, a cui le “arti” o i “mestieri” (technai) sono simili in quanto la imitano (mimeomai): essi danno luogo ad un’interazione equilibrata

di forze opposte, regolata da un fattore quantitativo improntato in ultima analisi al Pitagorismo, come rivela l’espressione “armonia corretta” (harmonia orthe).

Nello scritto medico, ancora, la dimensione temporale dell’individuo è suddivisa in “età” (helikiai) della vita – durante le quali l’anima “compie un movimento circolare” (periphoitao) con velocità diverse – e che hanno le stesse qualità delle corrispondenti stagioni dell’anno. Nel trattato, poi, è affermata esplicitamente un’analogia micromacrocosmica per “le cose nel corpo” (ta en to somati), che sono “imitazione del tutto” (apomimesis tou holou), in particolare tre “circuiti” (periodoi), identificabili con le “vene cave” (phlebes koiliai), la cui disposizione e i cui “poteri” (dynameis) hanno corrispondenza con i corpi celesti della luna (selene), del sole (helios) e delle stelle

(asteres). Tale corrispondenza fra parti del corpo e dell’universo è operante durante i sogni, nei quali l’anima vede scenari i cui elementi rispecchiano la condizione delle parti del corpo associate ad essi.

Da ultimo, è importante osservare che le linee di riflessione tracciate dai naturalisti e dai medici dell’età “presocratica” saranno ampiamente riprese da Platone, che a metà del V secolo a. C., nel tardo Timeo, propone una cosmologia presentata come un discorso “verosimile” sulla costituzione dell’anima e del corpo del cosmo e dei viventi ad opera del Demiurgo divino, che, per la sua bontà, ha imposto proporzioni alla

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Capitolo 1. Mileto

1. La nascita del pensiero filosofico e Talete

Nel contesto sociale che porta alla nascita della polis avviene il passaggio dal

mito alla scienza, che comporta una rivoluzione di mentalità: all’idea di un passato che “illumina” il presente è preferito attribuire alla quotidianità del presente il compito di rendere intelligibile l’originale, anche attraverso il piano linguistico, interessato da un registro ricco di astrazioni, concettualizzazioni, espressioni di necessità (che

sostituiscono le personificazioni in senso tradizionale), e un lessico specifico. L’esigenza di comprensione del reale si esplica ora in un discorso razionale, che ricerca la migliore spiegazione, ma senza operare uno stacco netto rispetto al mito1. Essa

prende la forma di una cosmologia, ovvero una teoria coerente sull’universo, inteso

come un tutto ordinato, i cui elementi costitutivi interagiscono con regolarità e secondo

un equilibrio complessivo. Le forze che compongono l’ordine cosmico sono spiegate in

termini qualitativi e attraverso le categorie conoscitive della polarità e dell’analogia,

enunciando differenze e somiglianze significative fra ambiti al fine di chiarire il meno

noto attraverso il più noto.

Fra le analogie, quella micro-macrocosmica è degna di particolare attenzione poiché estende il concetto prettamente biologico di “organismo” all’intero universo, i cui fenomeni sono processi fra le “membra” interdipendenti di una realtà unitaria,

1

Cfr. J. P. Vernant, Les origines de la pensée grecque, PUF, Paris, 1962, pp. 96-9; C. J. Classen,

Anaximander, Hermes, XC (1962), pp. 159-161, 163, 167-170; G. E. R. Lloyd, Early Greek Science: Thales to Aristotle, Norton & Co., New York, 1970, trad. it. La scienza dei Greci, Laterza, Bari, 1978, pp.

15-17; Id., Magic, Reason and Experience. Studies in the Origin and Development of Greek Science, Cambridge University Press, Cambridge, 1979, trad. it. Magia ragione esperienza. Nascita e forme della

scienza greca, Boringhieri, Torino, 1982, pp. 17-20. L’assenza nel mondo greco di un'ortodossia religiosa

ha permesso un dibattito critico su alcune concezioni riguardanti il “divino” e il "soprannaturale" (ad es. terremoti, fulmini o eclissi). L’“agone” è aperto, perché fondato sulla circolazione di idee, ma le singole enunciazioni appaiono verità definitive talvolta sancite da un’autorità divina. Il primo a proporre un sistema è forse Esiodo, seguito dai physiologoi.

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vivente e divina, mentre i “viventi” nel senso comune del termine sono guardati come “piccoli cosmi”, secondo una formulazione risalente a Democrito (ἄνθρωπος μικρὸς κόσμος, 68 B 34 DK)2

.

Rispetto alla “mentalità mitica”, che potremmo dire teocentrica in quanto pone il

divino ad un livello anche conoscitivo irraggiungibile dall’uomo, quella “filosofica” è

più antropocentrica in quanto ritiene che l’uomo partecipi del principio o dei principi

che ordinano il cosmo. La physis, oggetto d’indagine privilegiato della filosofia, è in

continuità col mito per via della sua connotazione divina, ma il suo ordine, a differenza

di quello più arbitrario di Zeus, non ammette deroghe3. Essa è concepita come un

continuum spazio-temporale animato, ricondotto per lo più ad un principio, archè

(generalmente materiale), punto di partenza per ogni sviluppo. Il termine physis fa riferimento sia alla “natura”, ovvero al carattere, desumibile dall’origine, sia al processo di crescita, mentre il significato primario di archè è “principio di comando”: è dunque

preso in prestito (come altri termini causali) dalla sfera sociale e giuridica4.

2

Cfr. G. E. R. Lloyd, Polarity and Analogy, Cambridge University Press, Cambridge, 1966, trad. it.

Polarità ed analogia: due modi di argomentazione nel pensiero greco classico, Loffredo, Napoli, 1992,

pp. 22-4, 99-102, 179-89, 235, 246, 290-4, 303-5, 377-82, 411-7, 434-8; H. C. Baldry, Embryological

Analogies in Pre-Socratic Cosmogony, “The Classical Quarterly”, XXVI (1932), pp. 27-30; M. M. Sassi, Cosmologie ioniche: modelli e sviluppo, “La parola del passato”, XCI (1980), p. 90. L’analogia

micromacrocosmica ha una valenza marcatamente biologica e prende le mosse dalla figura di Eros; la prima è forse quella dell’uovo-mondo mitico, peraltro ripreso da alcune riflessioni più “razionali” della filosofia e della scienza, in particolare da Empedocle (per cui si veda infra, p. 90). Si veda anche qui di seguito, n. 4.

3 Cfr. Lloyd, Polarità ed Analogia, cit., p. 199; Id., Le cosmologie greche, in Id., Methods and Problems

in Greek Science, 1991, Cambridge University Press, Cambridge, trad. it. Metodi e problemi della scienza greca, Laterza, Bari, 1993, pp. 244-52, 254, 265.

4

Cfr. F. M. Cornford, From Religion to Philosophy: a Study in the Origins of Western Speculation, New York, Harper, 1957, trad. it Dalla religione alla filosofia: uno studio sulle origini della speculazione

occidentale, Argo, Lecce, 2002, pp. 163, 171-5; Cfr. Lloyd, Polarità ed analogia, cit., pp. 236-7 con n.

37; G. E. R. Lloyd, L’invenzione della natura, in Metodi e problemi, cit., pp. 724 ss.; Id., La scienza dei

Greci, cit., p. 43; Sassi, Cosmologie, cit., p. 89. Cornford ritiene la physis un retaggio metafisico

pre-religioso (magico), sottoposto dalla filosofia a processo analitico ma preso per buono; Lloyd, al contrario, la ritiene un’“invenzione” di carattere “razionalistico”, dichiaratamente indipendente dalla sfera sovrasensibile, che nondimeno recupera aspetti delle due principali correnti religiose greche, quella olimpica e quella dionisiaca. Si veda anche infra, p. 16 con. 18. Il cosmo o suoi aspetti possono essere intesi, oltre che in chiave strettamente biologica, attraverso il filtro della tecnologia o della politica, estensioni dell’attività umana e cariche di ideali e valori: la forza che pervade il cosmo ha una connotazione intelligente (finalistica), paragonabile a quella di un “tecnico” (timoniere o artigiano, “erede” di Efesto), e l’organizzazione dei componenti può essere descritta con termini giuridico-sociali. Il

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11

L’affermazione generale di Aristotele secondo cui l’archè è ciò da cui tutte le cose si generano (τὸ δ’ἐξ οὗ γίγνεται, τοῦτ’ἐστὶν ἀρχὴν πάντων) è interpretabile in una

cornice biologica. Secondo quanto Aristotele afferma nel I libro della Metafisica, Talete ha probabilmente posto l’acqua (ὕδωρ) come archè, sulla base dell’osservazione (ἐκ τοῦ… ὁρᾶν) che il nutrimento di tutte le cose è umido (πάντων... τροφὴν ὑγρὰν οὖσαν), così come lo sono i semi (τὰ σπέρματα τὴν φύσιν ὑγρὰν ἔχειν), e che il caldo stesso –

qualità vitale per eccellenza – deriva dall’umido e in esso vive (αὐτὸ τὸ θερμὸν ἐκ τούτου γιγνόμενον καὶ τούτῳ ζῶν, Aristot., Metaph. I, 11, A12 DK); all’opposto, i cadaveri si disseccano (τὰ νεκρούμενα ξηραίνεται, Simpl., A13 DK). In continuità con

Aristotele si trova la testimonianza di Aezio secondo cui tutto è animato e pieno di dei

(τὸ δὲ πᾶν ἔμψυχον ἅμα καὶ δαιμόνων πλῆρες, A23 DK). Essa è interpretabile sia come

se esistesse una distinzione fra materia animata e inanimata, o come se essa non

esistesse e tutte le cose fosse concepite come viventi, essendo tutte manifestazioni

mutevoli della sostanza divina.

Leggendo γίγνεται in senso vitalistico e considerando l’unità “sostanziale” delle cose, che traggono il loro nutrimento dall’umido e ad esso ritornano, si può ritenere che già da Talete tutta la materia fosse concepita come vivente, e che i casi menzionati

siano solo esempi eclatanti della vitalità della materia5. Egli potrebbe aver trovato il principio del movimento nell’anima (κινητικόν τι τὴν ψυχὴν ὑπολαβεῖν), e attraverso questo aver spiegato il magnetismo (εἴπερ τὸν λίθον ἔφη ψυχὴν ἔχειν ὅτι τὸν σίδηρον κινεῖ, Aristotele, De anima I, A22 DK), e certe proprietà dell’ambra (Diogene Laerzio, A1 DK); ma è (soprattutto?) nell’umido che penetra una forza motrice (διήκειν δὲ καὶ

concetto stesso di kosmos implica una forza artigiana che lo compone “adornando” la materia e “adattandola” ad uno scopo. Per Anassimandro si veda infra, pp. 12-20, e per Empedocle infra, pp.59 ss.

5 Cfr. W. K. C. Guthrie, A History of Greek Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge, I, 1967,

p. 66. Diogene Laerzio (A1 DK) attesta, sull’autorità di Aristotele e Ippia, una concezione ilozoistica di Talete. In A12 DK si legge che tutte le cose consistono della stessa materia del principio (ἐξ οὗ γὰρ ἔστιν ἅπαντα τὰ ὄντα) e che inizialmente derivano da esso (καὶ ἐξ οὗ γίγνεται πρώτου) e ad esso infine tornano (καὶ εἰς ὃ φθείρεται τελευταῖον); “nascita” e “distruzione” sono escluse (οὔτε γίγνεσθαι οὐδὲν οἴονται οὔτ’ἀπόλλυσθαι).

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διὰ τοῦ στοιχειδοὺς ὑγροῦ δύναμιν θείαν κινητικὴν αὐτοῦ, Aezio, A23 DK)6 .

La scelta di Talete, secondo Aristotele nello stesso passo della Metafisica, è in continuità con la tradizione poetica: nell’Iliade Oceano è detto origine di tutti gli dei (XIV, v. 246; al v. 201 egli e Teti sono detti i padri della generazione), e l’acqua dello

Stige è garante dei giuramenti degli dei (τὸν ὅρκον θεῶν ὕδωρ... Στύγα, riferito a XV, v.

37), essendo la cosa più antica (τὸ πρεσβύτατον) e dunque più degna di rispetto (τὸ τιμιώτατον). Da Esiodo (Th., v. 123), invece, sembra ripresa l’idea che il principio possieda la facoltà generativa7: per Talete l’acqua genera tutti gli altri elementi, anche il

fuoco, suo opposto.

2. Anassimandro: il kosmos che rinasce

Per la ricostruzione della dottrina di Anassimandro un’ottima base è offerta dal passo di Simplicio in Phys., 24,13-25 (A9 e B1 DK):

τῶν δὲ ἓν καὶ κινούμενον καὶ ἄπειρον λεγόντων Ἀναξίμανδρος... ἀρχήν τε καὶ στοιχεῖον εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ ἄπειρον, πρῶτος τοῦτο τοὔνομα κομίσας τῆς ἀρχῆς, λέγει δ’αὐτὴν μήτε ὕδωρ μήτε ἄλλο τι τῶν καλουμένων εἶναι στοιχείων, ἀλλ’ἑτέραν τινὰ φύσιν ἄπειρον, ἐξ ἧς ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους· ἐξ ὧν δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι, καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι κατὰ τὸ χρεών· διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν, ποιητικοτέροις ὀνόμασιν αὐτὰ λέγων.

Fra quelli che hanno detto che l’uno è sia in movimento sia infinito, Anassimandro… afferma che ‘l’infinito è archè ed elemento delle cose che esistono’, avendo per primo utilizzato il termine ‘archè’ (o “questo termine per l’archè”), e dice che ‘essa non è né acqua né alcuno

dei cosiddetti elementi, ma una certa altra natura infinita, dalla quale [dice che] nascono tutti i cieli ed i corpi celesti (o “i mondi”) dentro di essi; le cose da cui avviene la nascita di

6 Cfr. Cornford, Dalla religione, cit., p. 175. Per primo Talete avrebbe ritenuto la psychè una “natura

perennemente mobile o semovente” (φύσιν ἀεικίνητον ἢ αὐτοκίνητον, Aezio, A22a DK). Non è chiaro a che cosa si faccia riferimento con psychè né per Talete né per Anassimene (per cui si veda infra, pp. 26 ss.). Aristotele attribuisce “alla maggior parte” dei primi filosofi cause soltanto materiali (τὰς ἐν ὕλης εἴδει μόνας ᾠήθησαν ἀρχὰς εἶναι πάντων, Metaph. I, A12 DK), nondimeno egli stesso riferisce di un agente di movimento non meccanico, ma piuttosto spontaneo e capace di generare qualcosa di diverso da sé.

7 Cfr. Lloyd, La scienza dei Greci, cit., p. 20. Il Chaos genera entità in certa misura diverse da sé (Notte

ed Erebo), ma comunque simili ad esso per la loro connotazione oscura; queste a loro volta, unendosi, generano Etere e Giorno, che mantengono il legame sostanziale con le entità prime (dato il rapporto biologico), pur essendo opposti ad esse in virtù della connotazione luminosa.

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quanto esiste, nella loro direzione avviene anche la distruzione secondo necessità: esse infatti pagano il giusto per l’ingiustizia, l’una all’altra, secondo la disposizione del tempo’,

esprimendo queste dottrine con parole assai poetiche8.

Solo la sezione evidenziata in grassetto è catalogata da Diels come B1, e per

quanto la pretesa di una citazione verbatim non possa definirsi fondata, nondimeno

possiamo ritenere originale il contenuto: le cose esistenti (τὰ ὄντα) devono la loro

nascita (γένεσις) e la loro distruzione (φθορά) alle medesime entità (ἐξ ὧν, εἰς ταῦτα), le

quali reciprocamente si danneggiano e si risarciscono (διδόναι… δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας) in modo necessario (κατὰ τὸ χρεών) e secondo l’ordine del tempo (κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν). Dalla formulazione di Simplicio si evince che ingiustizia e

compensazione spiegano (γὰρ) la generazione e la distruzione in una cornice che si direbbe ciclica. L’intero passo, inoltre, racchiude i punti salienti della dottrina ricostruibile: la natura materiale dell’archè e la sua capacità generativa, l’esistenza di leggi precise all’interno del cosmo generato, una molteplicità di ouranoi e di kosmoi9

. Cornford nota che compaiono tre livelli di realtà: l’apeiron, gli stoicheia e gli

onta10. L’apeiron è il principio eterno, contenente i presupposti per tutti gli sviluppi

successivi: il suo ruolo di archè è da concepire come “punto di partenza” nel senso dinamico di “fonte vitale e di energia” da cui le cose hanno origine o sono conoscibili11

.

8 Questa traduzione e tutte le altre sono mie. 9

Cfr. C. H. Kahn, Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, 1960 (ristampa 1994, Hackett, Indianapolis-Cambridge), pp. 30-2, 186, 235-6; Classen, Anaximander, cit., pp. 167, 169; Sassi,

Cosmologie, cit., pp. 81-3, 88-91. Si veda inoltre infra, p. 17 n. 19.

10

Cfr. Cornford, Dalla religione, cit., p. 192; Kahn, op. cit., pp. 45-6; M. M. Sassi, Gli inizi della

filosofia: in Grecia, Bollati Boringhieri, Torino, 2009, pp. 72, 78. I primi due livelli possono intendersi

come un doppio principio del divenire: la compresenza di elementi monistici e pluralistici, secondo Kahn, potrebbe spiegare la scarsa inclinazione di Aristotele a nominare il Milesio.

11 Dalla formulazione di Simplicio non è chiaro se Anassimandro abbia utilizzato (per primo) il termine

archè, o se per primo abbia posto l’infinità del principio. Aristotele (A15 DK, B3 DK) testimonia per

l’apeiron le qualificazioni di immortale (ἀθάνατον καὶ ἀνώλεθρον), ingenerato e incorruttibile in quanto principio (ἀγένητον καὶ ἄφθαρτον ὡς ἀρχή τις οὖσα) e lo identifica col divino (τοῦτ’εἶναι τὸ θεῖον); cfr. anche Ippolito (B2 DK). In esso si può vedere (prima G. Vlastos, e poi C. J. Classen, Anaximander, cit., p. 161) una ripresa del passo (Th., vv. 735-741) che descrive la regione del Tartaro in cui si trova una

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14

L’annotazione di Simplicio relativa alla coloritura poetica del dettato è un “indizio” della continuità con la tradizione omerica, e soprattutto esiodea. Il principio di

Anassimandro, infatti, in continuità col Chaos, precede tutte le cose ed ha estensione

indefinita nello spazio e nel tempo.

La natura materiale dell’apeiron è unanimemente connotata come diversa da

quella degli elementi conosciuti e specificamente caratterizzati, e precisamente come

indefinita (φύσις ἀόριστος, Simplicio, A9a DK; cfr. Diogene Laerzio, A1 DK), come intermedia (μεταξύ o μέσον), o come “mescolanza” degli elementi (μίγμα, μίξις τῶν ἁπάντων). La seconda classificazione è da escludere in quanto presuppone la fisica anassimenea, mentre va accettata la terza, e in base ad essa va intesa la prima, cosicché ci figureremo l’apeiron come una mescolanza omogenea inesperibile formata dagli opposti che si neutralizzano a vicenda12. L’apeiron è il principio da cui proviene la

dimensione finita, che con esso ha un rapporto di continuità materiale, e nondimeno

esercita una funzione ordinatrice sulla materia di cui tale dimensione è composta, in

termini di avvolgimento e controllo regolatore (περιέχειν ἅπαντα καὶ πάντα κυβερνᾶν,

“grande voragine” (χάσμα μέγ’) che contiene le “fonti” (πηγαί) da cui scaturiscono gli elementi. Sull’effettiva infinità dell’apeiron si veda infra, p. 17.

12 Sambursky – apud N. Rescher, Cosmic Evolution in Anaximander, “Studium Generale”, XI (1958), p.

729 n. 25 – fa notare che l’indefinibilità dell’apeiron è evidente nel nome, che esprime «its complete lack of attributes». Per quanto riguarda la rappresentazione come materia intermedia cfr. C. J. Classen,

Anaximander and Anaximenes, “Phronesis”, XXII (1977), p. 95; K. Alt, Zum Satz des Anaximenes über die Seele. Untersuchung von Aetios Περὶ ἀρχῶν, “Hermes”, CI (1977), p. 144. Aristotele riporta

(A16DK), senza specificare l’autore, una dottrina che identifica l’uno con un elemento altro, più denso del fuoco e più rado dell’aria, infinito. La mancata menzione di Anassimandro nella lista dei monisti del primo libro della Metafisica e l’anonimità della suddetta dottrina secondo la Alt ha favorito da parte di alcuni dossografi successivi ad Aristotele e Teofrasto (Alessandro di Afrodisia, A16 DK, e Simplicio, A17 DK) l’attribuzione ad Anassimandro della dottrina del Mittelding, ovvero una sostanza che ha facilità di trasformazione “in entrambe le direzioni” (Ar192W). Ma queste testimonianze presuppongono la concezione anassimenea secondo cui il principio è passibile di trasformazione a seguito di condensazione e rarefazione (per cui si veda infra, p. 24). Per la qualificazione del principio come mescolanza, invece, cfr. Classen, Anaximander, pp. 164, 166; Id., Anaximander and Anaximenes, cit., p. 94; Sassi,

Cosmologie, cit., p. 88. Il concetto di “mescolanza” (μίγμα, cfr. Ar1 W, Ar5 W) attribuito da Aristotele ad

Anassimandro non va inteso secondo la concezione aristotelica della materia. L’apeiron, che è insieme condizione iniziale (Urstaat) e materia iniziale (Urstoff), si trova “accanto agli elementi” (παρὰ τὰ στοιχεῖα, A16 DK, ripreso da Simplicio, A9 DK) sia in termini spaziali, sia in quanto si trova fuori dai rapporti di opposizione.

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Aristotele, Phys. III, A15 DK)13, in virtù della sua posizione esterna al conflitto

cosmico.

Nella concezione del principio si hanno delle permanenze dell’antico concetto di

monarchia e sovranità, che pure è rivisitato nella forma di un giudice o arbitro che garantisce l’equilibrio dei rapporti fra gli elementi: il verbo kybernao, infatti, esprime con una metafora l’esercizio di una forza intelligente attraverso la tecnica del “timoniere”, che qui ha l’effetto di porre dei limiti, d’intensità e di durata, alla supremazia di un opposto sull’altro per tutto il percorso del cosmo14.

Gli stoicheia vanno qui intesi come “masse cosmiche”, ovvero “elementi” ante

litteram, nei quali sono inscindibili i concetti di materia, forza e qualità. Queste ultime sono le quattro “canoniche” di caldo (θερμόν) e freddo (ψυχρόν), secco (ξηρόν) e umido (ὑγρόν), nominate dallo stesso Simplicio in A9 DK, ed evidentemente caratterizzate da

un rapporto di polarità15. In Ps. Plutarco leggiamo che “l’apeiron contiene l’intera causa

della generazione e della distruzione del tutto” (τὸ ἄπειρον... τὴν πᾶσαν αἰτίαν ἔχειν τῆς τοῦ παντὸς γενέσεώς τε καὶ φθορᾶς, A 10 DK): tale causa è da identificare per certi aspetti con la “forza infinita” (ἀίδιος κίνησις, A 9 DK), coeterna ad esso. La nascita

(γένεσις) delle cose (ὄντα) si configura come ingiustizia (ἀδικία): secondo Cornford

perché comporta una sottrazione agli elementi di appartenenza, ed è seguita dalla

distruzione (φθορά), che costituisce la compensazione (τίσις) di tale ingiustizia16.

13 Quest’espressione è utilizzata da Aristotele anche in relazione all’archè di altri autori. Per il fr. 2 di

Anassimene si veda infra, pp. 26 ss.

14

Cfr. Vernant, op. cit., pp. 1-4, 29-39, 110-4; Classen, Anaximander, cit., p. 166; Lloyd, Polarità ed

Analogia, cit., pp. 219-22, 277, 295; Alt, op. cit., p. 132; Sassi, Cosmologie, cit., p. 88; Id., Gli inizi, cit.,

p. 78. Si veda inoltre infra, p. 17.

15 Cfr. Kahn, op. cit., pp. 101, 119-165 (spec. 162); Lloyd, G. E. R., The Hot and the Cold, the Dry and

the Wet in Greek Philosophy, “The Journal of Hellenic Studies”, LXXXVIII (1964); Sassi, Cosmologie,

cit., p. 83; Id., Gli inizi, cit., p. 78. Ps. Plutarco (A10 DK, per cui si veda infra, pp. 20 ss.) annovera solo caldo e freddo come opposti derivanti dal principio, nondimeno l’importanza cosmica di umido e secco è evidente dal fatto che sia l’acqua (A27 DK), sia gli animali (A30 DK) procedono dal primo al secondo. È utile, inoltre, il confronto con Eraclito – anche a proposito dell’ἐκπύρωσις (cfr. Kahn, op. cit., pp. 184-5).

16

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Colpa e riparazione, dunque nascita e distruzione, avvengono a cavallo fra il

secondo livello, quello degli stoicheia, ed il terzo, quello degli onta, e non riguardano

affatto il primo, quello dell’apeiron, se non nella misura in cui esso riveste la funzione di “arbitro” all’interno del “processo” evocata dall’espressione δίκην διδόναι17

. Secondo l’ipotesi tradizionale, basata sul citato passo della Fisica (A 15 DK) e su Aezio, l’apeiron è non solo l’origine, ma anche la destinazione delle cose. Kahn però, sulla scia di Cherniss, respinge questa interpretazione, da ricondurre alla lettura banalizzante che

Aezio dà della lezione al plurale (ἐξ ὧν - εἰς ταῦτα, riportata fedelmente da Simplicio),

da cui si ricava che sono gli stoicheia ciò da cui derivano e a cui tornano ta onta18. La nozione di “giustizia” di Anassimandro deriva dall’unificazione di concezioni teologiche differenti: una è quella “olimpica” (morale), rappresentata dalla “necessità” (τὸ χρεών), fautrice di una proporzione ideale e statica e del rispetto dei confini, che

sembra condannare il divenire in quanto foriero di lotta e prevaricazioni in quanto “ingiusti”. L’altra è “dionisiaca”, di carattere vitalistico e dotata di una forza che distrugge le costruzioni culturali annullando le opposizioni e con rituali d’inversione, ed

è ripresa dalla “scansione del tempo” (χρόνου τάξις). Secondo la prima ogni elemento

dovrebbe avere (solo) la propria quantità di materia, in uno stato di equilibrio che si

trova compiutamente nella condizione atemporale dell’ἄπειρον; la seconda “infrange” la

prima, poiché la vita comporta il costante superamento di barriere. Questa dike è la “via”: gli elementi “si danno a vicenda la possibilità di procedere” all’infinito,

17 Cfr. L. Gernet, Recherches sur le développement de la pensée juridique et morale en Grèce, Leroux,

Paris, 1917, pp. 459-62; Kahn (op. cit., p. 167) evidenzia che gli stoicheia sono l’unico referente possibile del genitivo, trattandosi dell’unico neutro plurale nonché dell’interesse principale della sezione. Va notato poi che “le cose” (αὐτὰ) che si pagano il fio a vicenda potrebbero essere, a livello grammaticale e logico, tanto gli stoicheia quanto gli onta.

18 Cfr. Kahn, op. cit., pp. 12, 75, 166-183, 193-6; Lloyd, Polarità ed Analogia, cit., pp. 98-100. In Ar3 W

si legge ἅπαντα γὰρ ἐξ οὗ ἐστι, καὶ διαλύεται εἰς τοῦτο, e in Aezio (A14 DK) ἐκ γὰρ τούτου πάντα γίνεσθαι καὶ πάντα φθείρεσθαι. L’ipotesi “neo-orfica”, che sulla base di questa lezione intende colpa e riparazione rispettivamente come individuazione e ritorno all’apeiron, è confutata da Kahn in quanto alla corrispondenza fra la capacità generativa dell’apeiron e quella degli stoicheia (dall’archè al prodotto) non si accompagna quella in termini dissolutivi dagli stoicheia all’apeiron (dal prodotto all’ archè).

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17

attraverso le reciproche trasformazioni. La “giustizia del divenire” è un continuo

avvicendamento di disuguaglianze (squilibri fra le forze) in porzioni di tempo limitate e

prestabilite, bilanciate nella cornice di un tempo ciclico19. Le qualità elementari, pur non

essendo classificate secondo una gerarchia di valori, veicolano dei significati, in

particolare la combinazione di caldo e umido è associata alla vita, quella di freddo e

secco alla morte20.

La ciclicità della dimensione temporale e la capacità generativa dell’apeiron sono essenziali in rapporto alla dottrina dei “mondi infiniti”, che i dossografi mettono in

relazione con la natura del principio. Per comprendere meglio questo legame bisognerà

riflettere sul significato della parola che designa il principio. Aristotele dà una spiegazione etimologica secondo cui l’apeiron è “ciò che non ha limiti” (ἀ- privativo + πέρας). Con un’altra lettura del prefisso, esso diventa “ciò che non lascia conoscere i propri limiti”, che nondimeno possono esistere: Debrunner, sulla scia di un’interpretazione riportata da Porfirio e delle considerazioni di Schleiermacher, propone per l’apeiron l’etimologia ἀ- + πεῖρα, “ciò che è fuori dall’esperienza sensibile”, citando l’uso omerico di ἀπερέσιος/ἀπείρων per un referente i cui confini sono noti21. Fra gli studiosi moderni Kirk ha avanzato il dubbio circa

19

Cfr. Kahn, op. cit., pp. 169-183, 192-3, 223; Lloyd, Polarità ed Analogia, cit., pp. 219-20, 230; R. Parker, Polytheism and Society at Athens, Oxford University Press, Oxford, 2005, p. 314. La religione olimpica prevede una suddivisione e differenziazione morale di spazi e funzioni (τιμαί), garantita dalla

Moira, figura superiore agli stessi dei, che sancisce l’illegittimità dello sconfinamento (ὑπερβασία);

tuttavia le Moire presiedono alle tappe della vita umana, ovvero al superamento necessario di alcuni confini. Nel misticismo (soprattutto nel dionisismo delle origini) la dinamicità di un processo amorale pervade e unisce tutte le parti del reale, mettendole in comunicazione anche oltre le barriere illusorie fra vita e morte (le fasi alterne del processo; ma anche fra entità “viventi” e non). Dalla religione olimpica si sviluppa la corrente filosofica “scientifica”. Il dionisismo, invece, è continuato dalla corrente filosofica mistica, che dà voce all’esigenza di comunanza (κοινωνία), anche col divino: essa correla lo spazio (stato della materia) e il tempo (agente di trasformazione) nella concezione di un organismo vivente (unità) che ripete (vive) all’infinito lo stesso percorso. In relazione all’interazione delle qualità, W. Bröcker (Heraklit

zitiert Anaximander, “Hermes”, LXXXIV (1956), pp. 382-384) giunge a ipotizzare una ripresa diretta

della dottrina di Anassimandro nel fr. 126 di Eraclito (τὰ ψυχρὰ θέρεται, θερμὸν ψύχεται, ὑγρὸν αὐαίνεται, καρφαλέον νοτίζεται): questo testo, in cui ognuna delle quattro qualità si trasforma nel proprio opposto, o quanto meno comunica con esso, sarebbe l’origine da cui Simplicio ricava la formulazione del fr. 1 (cfr. anche A9 DK). Anche non condividendo una tesi così radicale (cfr. Kahn, op. cit. p. 196), si potrà ritenere che la dottrina del milesio abbia influenzato Eraclito.

20 Cfr. Lloyd, The Hot and the Cold, cit., pp. 100-102; Sassi, Cosmologie, cit., p. 90.

21 Cfr. Classen, Anaximander, cit., p. 165, e Kahn, op. cit. pp. 231-5. A proposito degli apeiroi kosmoi si

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18

la sua estensione infinita. Va notato che negare l’infinità ontologica dell’apeiron sembra

rendere necessario un sistema chiuso, ciclico e reversibile (analogo a quello di

Aristotele), e dunque il ritorno della materia al principio stesso, cosicché sia possibile la

generazione di “infiniti mondi” a partire dall’apeiron. Si dovrà dunque considerare il principio come letteralmente infinito, e ritenere che la materia “generata” da esso si esaurisca nel processo di “crescita” e “invecchiamento” del cosmo, e infine che esso “muoia” prima che sia generato il cosmo successivo.

Durante il “periodo cosmico”, invece, le interazioni fra gli elementi sono improntate ad una “giustizia” che a tratti appare “ingiusta”; i termini δίκη e ἀδικία, se pure non andranno intesi come categorie pienamente morali, nondimeno mantengono la

tassatività propria della sfera legale. Lloyd ha notato una somiglianza fra il comportamento degli “elementi” di Anassimandro ed istituti sociali e giuridici dell’età arcaica fra membri di uguale status. In particolare, la partecipazione degli elementi al

processo del divenire ricorderebbe un eranos, termine presente già nell’Odissea (I, vv.

225-6, XI, vv. 415), indicante un banchetto i cui membri sono uniti da un circuito di

reciprocità, e che contribuiscono alle spese e godono dei benefici in parti uguali all’interno della collettività di cui fanno parte22

. È inoltre evidente la continuità con le

sezioni iliadiche del dasmós degli dei e dello Scudo di Achille.

Nel dasmós degli dei (Il. XV, vv. 158-217) la tensione fra Zeus e Poseidone (che

presiedono rispettivamente al cielo e al mare) è conseguenza di un “conflitto d’interessi”: il primo dio si difende rifacendosi ad un modello gerarchico, il secondo ad uno egualitario. Poseidone si ritrova a cedere provvisoriamente a Zeus, ma pretende il

rispetto della volontà propria e degli altri dei, pena la loro ostilità, che darebbe luogo ad

22 Cfr. L. Gernet, Eranos. Presentazione, traduzione e commento di Andrea Taddei, “Dike”, II (1999), pp.

5-61; Kahn, op. cit., pp. 169-183, 192-3, 223; Lloyd, Polarità ed Analogia, cit., pp. 219-20, 230. Potremmo dire che gli “elementi” esercitano le loro prerogative con pari diritto, anche se il concetto di “onore” o “prerogativa” (τιμή) appare esplicitamente in Empedocle, per cui si veda infra, pp. 51 ss.

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un’azione che ripristini l’equilibrio infranto23. All’interno dello Scudo di Achille (Il. XVIII, vv. 478-607), invece, è in corso di svolgimento una scena giudiziaria (νεῖκος, vv.

497-508) in cui due uomini cercano di accordarsi sulla compensazione (ποινή, v. 498; ἀποδοῦναι, v. 499) intorno a un omicidio, ricorrendo ad un “arbitro” (ἵστωρ, v. 501), e ad una giuria di “anziani” disposti “in cerchio sacro” (γέροντες... ἱερῷ ἐνὶ κύκλῳ, vv.

503-4); la questione potrebbe vertere sulla modalità o sull’entità (πεῖραρ, v. 501) del

compenso24.

Lo Scudo nella sua interezza, inoltre, può essere inteso non solo come summa dell’Iliade, sebbene alcuni tratti importanti (come la partecipazione al giudizio di tutte le parti sociali e il tentativo di ricomposizione non cruenta) rivelino la mentalità di un’epoca che non si riconosce più nei valori eroici. Le scene rappresentate nello Scudo, inoltre, sono state intese come κόσμου μίμημα (in uno scolio ad Arato), dato che

rispecchiano le concezioni correnti relative all’organizzazione delle parti del tutto in

termini sia spaziali sia temporali. Ad esempio, sono enumerate costellazioni e ritualità

23

Cfr. Cornford, Dalla religione, cit., pp. 58-66, Lloyd, Polarità ed Analogia, cit., pp. 204-5; Id., Metodi

e problemi, cit., p. 257. Poseidone percepisce come arrogante (ὑπέροπλον, v. 185) la volontà di Zeus di

non rimanere nel suo terzo (τριτάτῃ ἐνὶ μοίρῃ, v. 195) e di sopraffazione (εἴ... βίῃ ἀέκοντα καθέξει, v. 186): il dio del mare infatti è pari al fratello per onore e dominio (ὁμότιμον, ἰσόμοιρον, v. 209). D’altra parte, la preminenza di Zeus per forza e per nascita (βίῃ πολὺ φέρτερος... γενεῇ πρότερος, vv. 165-6) può avvalersi dell’appoggio delle Erinni (πρεσβυτέροισιν Ἐρινύες αἰὲν ἕπονται, v. 204): Poseidone è costretto a cedere controvoglia, e contrappone un altro modello di forza, basato sulla maggioranza numerica, che avvalora la minaccia di ripercussioni. Esiodo adotta una soluzione di compromesso (Th., vv. 881-5), in cui la supremazia di Zeus avviene col consenso degli altri dei, a cui fa seguito la “suddivisione” (δασμός) delle competenze per assegnazione. A questo passo sembra aver pensato Empedocle nella descrizione dei rapporti fra le radici (si veda infra, p. 55).

24 Cfr. L. Gernet, Il tempo nelle forme arcaiche del diritto, in Id., Antropologia della Grecia antica, a cura

di R. Di Donato, Mondadori, Milano, 1983, pp. 236-8; G. Nagy, Homeric Responses, University of Texas Press, Austin, 2003 (già pubblicato come The Shield of Achilles: End of The Iliad and Beginnings of the

Polis, in S. Langdon, ed., New Light on a Dark Age: Exploring the Culture of Geometric Greece,

Columbia, 1997, pp. 194-207), pp. 86-7; D. F. Wilson, Ransom, Revenge and Heroic Identity in the Iliad, Cambridge University Press, Cambridge, 2002, pp. 13, 19, 30-1, 147, 160; G. Cerri, a cura di, Omero,

Iliade – Libro XVIII Lo Scudo di Achille, Carocci, Roma, 2010, pp. 177-8; L. Gernet, La nozione mitica del valore in Grecia, in Id. Antropologia, cit., p. 104; S. Fusai, Il processo omerico. Dall’histor omerico all’historie erodotea, CEDAM, Padova, 2006, pp. 44-55, 95-7, 110-3, 171-2; A. Taddei, Recensione a: S.

Fusai, Il processo omerico. Dall’histor omerico all’historie erodotea, CEDAM, Padova, 2006, “Lexis”, XXVII (2009), pp. 587-590. Il πεῖραρ ricercato è un “appropriate limit”, al quale concorrono varie istituzioni: il confronto diretto fra le parti, forse il giudizio delegato ad uno e quello delegato a molti. L’histor, “colui che sa”, figura informata (“esperto di leggi” o conoscitore di un’ampia casistica) e super

(20)

20

stagionali. Sullo scudo sono forgiate una città in stato di pace e una in stato di discordia; sebbene questi due concetti siano ricondotti ad Empedocle, essi sono ravvisabili già in Anassimandro, come pure la circolarità della superficie della terra, deducibile, nel passo iliadico, dalla forma di Oceano, che scorre nella sezione esterna dello scudo. Sembra inoltre ravvisabile una rappresentazione delle stagioni nelle immagini del maggese a primavera (vv. 541-9), della mietitura estiva (vv. 550-60), della vendemmia col canto del λίνος, il cui tema è la morte e la futura rinascita della vegetazione (vv. 561-72); una delle altre due scene si potrebbe intendere come invernale. La danza poi, che porta i nomi di Dedalo e del Labirinto, può evocare un’artigianalità ordinatrice di grande pregio, affine al concetto di kosmos 25

. Nella

testimonianza A10 DK Ps. Plutarco attribuisce ad Anassimandro una cosmogonia che

per Baldry è una “versione macrocosmica delle credenze biologiche”. Non è con Anassimandro che compare l’analogia fra la dimensione biologica e quella cosmica, ma con lui, a quanto si può ricostruire, essa si carica di una coloritura scientifica.

...φησὶ δὲ ἐκ τοῦ ἀιδίου γόνιμον θερμοῦ τε καὶ ψυχροῦ κατὰ τὴν γένεσιν τοῦδε τοῦ κόσμου ἀποκριθῆναι καί τινα ἐκ τοῦ φλογὸς σφαῖραν περιφυῆναι τῷ περὶ τὴν γῆν ἀέρι ὡς τῷ δένδρῳ φλοιόν· ἥστινος ἀπορραγείσης καὶ εἴς τινας ἀποκλεισθείσης κύκλους ὑποστῆναι τὸν ἥλιον καὶ τὴν σελήνην καὶ τοὺς ἀστέρας. ἔτι φησὶν ὅτι κατ’ἀρχὰς ἐξ ἀλλοειδῶν ζῴων ὁ ἄνθρωπος ἐγεννήθη...

…e dice che dall’eterno è stato secreto il germe del caldo e del freddo relativamente alla nascita di questo universo e (che) intorno all’atmosfera che circonda la terra cresce una sfera di fiamma come una corteccia rispetto all’albero; rottasi questa e racchiusa in alcuni cerchi, si costituiscono il sole e la luna e le stelle. Dice ancora che in principio l’uomo è stato generato da altri animali…

25 Cfr. R. Di Donato, Esperienza di Omero, Nistri-Lischi, Pisa, 1999, pp. 31-65; Id., Diacronia di civiltà.

Lo Scudo rivisitato, “A. I. O. N., Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli”, sez. Fil.-Lett.,

XXXI (2009), pp. 15-21. Un’interpretazione allegorica, riconducibile a Cratete di Mallo, rintraccia precise corrispondenze fra elementi di sistemi filosofici e dello Scudo, che potrebbero riflettere idee contemporanee già alla canonizzazione di Omero (tra l’VIII ed il VI secolo a. C.). Empedocle darà grande importanza ai concetti di “Amicizia” e di “Contesa” (si veda infra, pp. 50 ss.), mentre il concetto di “imitazione del cosmo” è ripreso nel trattato ippocratico Sul regime (per cui si veda infra, pp. 112 ss.).

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21

Da questo passo apprendiamo che a partire dal principio eterno (ἐκ τοῦ ἀιδίου)

avviene la nascita di cinque entità concentriche rispetto a quella di origine che le

circonda: la materia generatrice di caldo e freddo (γόνιμον θερμοῦ τε καὶ ψυχροῦ… ἀποκριθῆναι)26

, dalla quale nasce l’“ordine cosmico” che conosciamo (κατὰ τὴν γένεσιν τοῦδε τοῦ κόσμου); a partire da questa materia, una sfera di fuoco (φλογὸς σφαῖραν) è cresciuta attorno all’atmosfera (περιφυῆναι… τῷ… ἀέρι), che a sua volta si trova intorno alla terra (περὶ τὴν γῆν); la sfera si frammenta (ἥστινος ἀπορραγείσης) e le sue

parti sono racchiuse da orbite (εἴς τινας ἀποκλεισθείσης κύκλους), cosicché si

costituiscono i corpi celesti (ὑποστῆναι τὸν ἥλιον καὶ τὴν σελήνην καὶ τοὺς ἀστέρας);

segue la formazione di certi viventi, a partire dai quali nasce l’uomo (ἐξ ἀλλοειδῶν ζῴων ὁ ἄνθρωπος ἐγεννήθη). Il passo contiene termini marcatamente biologici: innanzitutto il “germe vitale” (γόνιμον), il cui percorso di separazione dal principio è descritto come “secrezione” (ἀπόκρισις), e i cui ulteriori sviluppi sono assimilati al processo della nascita (γένεσις, ἀπόρρηξις); sono degni di nota anche due termini che

indicano avvolgimento, ovvero περιφυῆναι, contenente la radice di physis, indicante l’azione di crescita intorno a qualcosa, e φλοιός, della stessa famiglia del verbo φλέω, “essere pieno”, che propriamente indica “the inner bark of the trees”, ma può riferirsi a qualsiasi involucro intorno ad un organismo in crescita, e generalmente in

Anassimandro è importante la sua posizione esterna27.

Al centro dell’universo (cfr. A1 DK e A26 DK), ferma (μένειν, Aristotele, Cael. II, A26 DK) si trova la terra, sospesa senza essere trattenuta da alcunché (μετέωρον, ὑπὸ

26

Il teofrasteo ἀποκρίνεσθαι è più autorevole dell’aristotelico ἐκκρίνεσθαι, e in generale, nella discordanza, è preferibile Teofrasto. Cfr. Kahn, op. cit., pp. 19, 22-4.

27 Si potrà parlare di “sviluppo embrionale” a proposito della cosmogonia poiché l’esito di tale processo è

la formazione di nuclei, ma le singole fasi seguono un ordine tutto sommato inverso rispetto a quanto osservabile nella crescita dell’embrione. La sfera infuocata, infatti, in prima istanza circonda lo strato d’aria, comportandosi da “skin of the world”, e in seguito ognuno dei suoi frammenti è a propria volta circondato dall’aria, essendo i corpi celesti dei fuochi avvolti direttamente da un nutrimento d’aria, ed esternamente dall’apeiron. La descrizione proposta da Baldry (op. cit., pp. 27-30) in linea generale è valida, ma è più adatta alla cosmogonia di Filolao, incentrata sul processo respiratorio (per cui si veda

(22)

22 μηδενός κρατουμένην)28

. Il suo aspetto è cilindrico, e ricorda una colonna (cfr. B5 e A

10 DK), o il tronco di un albero, come suggerito anche dall’espressione “come corteccia per l’albero” (ὡς τῷ δένδρῳ φλοιόν), riferita alla sfera di fuoco e poi ai corpi celesti, che avranno forma simile ma dimensioni maggiori, e saranno disposti concentricamente

intorno alla terra a guisa di anelli29. Essi sono disposti, a partire dalla terra, nella

sequenza stelle-luna-sole (cfr. A11 DK), di provenienza iranica (come riscontrato da

Burkert) e curiosamente inversa a quella attestata a partire da Anassimene. Un ordine

ancora diverso sarà affermato dall’autore del De victu. Rispetto alla descrizione omerica

(Il. VIII, 13-16), in cui sono elencati, dall’alto verso il basso, il cielo, la terra, l’Ade e il

Tartaro, un’importante novità di Anassimandro è costituita dalla specificazione di

rapporti proporzionali, basati sul numero tre, relativi alle dimensioni e alle distanze dei

corpi celesti (cfr. A21 DK)30.

Il quadro cosmologico tracciato dallo Ps. Plutarco è arricchito dalle

testimonianze relative ad uno sviluppo progressivo del cosmo, in termini sia “meteorologici” sia “biologici”, a partire da una condizione più umida per giungere ad una più secca. Aristotele, nel II libro della Meteorologia (A27.1 DK), riporta che per

Anassimandro in origine lo spazio intorno alla terra era bagnato (τὸ πρῶτον ὑγρὸν ἅπαντα τὸν περὶ τὴν γῆν τόπον); l’azione essiccante del fuoco solare sull’acqua originaria (ὑπὸ δὲ τοῦ ἡλίου ξηραινομένου) produce vapore (τὸ μὲν διατμίσαν) e il mare

(τὸ δὲ λειφθὲν θάλατταν εἶναι), che alla fine sarà completamente asciutto (τέλος

28 Vi è un grande stacco rispetto al predecessore Talete, per il quale la terra galleggia sull’acqua (11 A 14

DK), e al successivo Anassimene (13 A 7 DK), per il quale essa è sospesa sull’aria (si veda infra, p. 29 n. 54).

29 Cfr. Baldry, op. cit., pp. 29-30; Rescher, op. cit., spec. pp. 725 e 727, in cui è proposto un modello

cosmico ad anelli; Lloyd, Polarità ed Analogia, cit., pp. 312-8; Sassi, Cosmologie, cit., pp. 75-6. La luce proveniente dal fuoco passa attraverso un’apertura (διὰ στομίου) nell’orbita d’aria. Tale apertura è in continua rotazione “come la ruota di un carro”, e conosce diversi gradi di occlusione (A21 e B4 DK). Questo meccanismo spiega sia i moti apparenti dei corpi celesti, sia le fasi lunari, sia le eclissi.

30 Cfr. Vernant, op. cit., pp. 40-5, 115-126; Kahn, op. cit., pp. 61-3, 92-8; Lloyd, Metodi e problemi, cit.,

p. 272. La forma circolare unita all’accentuazione dei caratteri di simmetria appare un’estensione del modello urbanistico e sociale della polis, il cui centro, l’agorà, è sede del dibattito pubblico e del nuovo ordinamento giuridico. Per la sequenza astronomica nel De victu si veda infra, pp. 112-5.

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ἔσεσθαί ποτε πᾶσαν ξηράν). “Costantemente” (oppure “ogni volta”, ἑκάστοτε) il mare è prosciugato dal sole (θάλασσαν... ξηραινομένην ἑκάστοτε ὑπὸ τοῦ ἡλίου): i “rivolgimenti del sole e della luna” (τροπὰς ἡλίου καὶ σελήνης) producono i vapori e in particolare i venti (πνεύματα), di cui il fuoco si nutre31.

Un percorso analogo e contemporaneo a quello del cosmo è compiuto dai

viventi: i primi fra loro si sono generati nell’elemento umido (ἐν ὑγρῷ, Aezio, A30

DK), col contributo del sole e del vapore, che certamente gioca un ruolo fondamentale

anche in questo contesto32. Col passare del tempo (προβαινούσης δὲ τῆς ἡλικίας),

probabilmente all’apparire della terra emersa, i viventi, dapprima circondati da corazze

spinose (φλοιοῖς περιεχόμενα ἀκανθώδεσι), conoscono la rottura dell’involucro

(περιρρηγνυμένου τοῦ φλοιοῦ), migrano in un ambiente più secco (ἀποβαίνειν ἐπὶ τὸ ξηρότερον), la terra appunto, e giungono ad una rapida conclusione della loro vita (ἐπ’ὀλίγον χρόνον μεταβιῶναι, Aezio, A30 DK).

La storia dell’uomo è una parte di questa storia più grande, essendo stato egli, in

origine, simile ad un altro animale (ἑτέρῳ ζῴῳ γεγονέναι... παραπλήσιον κατ’ἀρχάς),

ovvero ad un pesce (τουτέστιν ἰχθύι, Ippolito, A11 DK); un’altra versione è che l’uomo

sia nato da altri animali (ἐξ ἀλλοειδῶν ζῷων ὁ ἄνθρωπος ἐγεννήθη, Ps. Plutarco, A10 DK), precisamente all’interno di pesci (ἐν ἰχθύσιν ἐγγένεσθαι τὸ πρῶτον ἀνθρώπους, Plutarco, A30 DK), forse simili agli squali (ὥσπερ οἱ γαλεοί) e che sia stato nutrito da

questi. Gli uomini se ne sono disgiunti (ἐκβῆναι) per guadagnare terra (γῆς λαβέσθαι)

dopo esser diventati capaci di badare a sé stessi (γενομένους ἱκανοὺς ἑαυτοῖς βοηθεῖν,

31 Cfr. Kahn, op. cit., pag. 189 n. 1. Dalla produzione di vapori, e in generale dall’interazione di fuoco e

acqua, dipendono tutti i fenomeni meteorologici (cfr. A11 e A23 DK). I “rivolgimenti” planetari, poi, sono movimenti sempre identici a sé per via del ritorno periodico alle stesse posizioni.

32 Cfr. Kahn, op. cit., p. 114. Il testo dei mss., τὰ δὲ ζῷα γίνεσθαι ἐξατμιζόμενα ὑπὸ τοῦ ἡλίου (A11 DK),

è accettato da Laks e Most e tradotto “the animals are born by evaporation from the effect of the sun”; Diels – seguito da Wöhrle – propose invece di correggere integrando <ἐξ ὑγροῦ>, ἐξατμιζομένου (“a partire dall’umido evaporato”). Anche senza che siano chiari i dettagli, si evince la centralità del “vivifying πνεῦμα”, elemento aeriforme (sentito in generale come affine alla psychè), partecipe del caldo e dell’umido.

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Plut., A30 DK)33. Si ricava la relazione generale fra la rottura dell’involucro ed il

passaggio ad una condizione più secca34. Un percorso di vita parzialmente diverso, comune al ciclo stagionale e alle fasi di vita dell’uomo, sarà affermato nel trattato ippocratico Sul regime35.

Anche Ps. Plut. (A10 DK) parla dell’antropogonia, partendo dal presupposto che

l’uomo, avendo necessità di un lungo accudimento (πολυχρονίου δεῖσθαι τιθηνέσεως),

non avrebbe potuto sopravvivere in origine (οὐκ ἄν ποτε... διασωθῆναι). Si tratta di un

caso isolato (μόνον δὲ τὸν ἄνθρωπον), poiché gli altri viventi (τὰ μὲν ἄλλα) in breve

tempo si nutrono da sé (δι’ἑαυτῶν ταχὺ νέμεσθαι). L’uomo, dunque, deve essere nato in

una fase di relativa sicurezza, in cui non era necessaria una protezione fisica

incorporata36.

Col passare del tempo, il mare diventerà completamente secco (A 27.1 DK), e all’esaurimento dell’acqua farà seguito quello dell’aria e dunque quello del fuoco per assenza di nutrimento. Si determinerà così una condizione per certi versi analoga a

quella descritta da Aristotele (Phys. II, A15.2 DK = Ar3 W), caratterizzata dall’esistenza di un solo elemento (la materia secca)37

: la cessazione di polarità che

determina la fine del cosmo. L’esaurimento del cosmo a seguito di un processo di

invecchiamento e disseccamento deve essere la causa della secrezione di un nuovo

33 Qui l’espressione ἐπ’ὀλίγον χρόνον μεταβιῶναι si deve intendere (con Zeller e Burnet) come

“sopravvivono per breve tempo” (certamente dopo aver dato vita ad una nuova generazione più adatta al nuovo ambiente). Μεταβιῶναι è un hapax che potrebbe anche significare “cambiare stile di vita” (Kahn,

op. cit., pag. 69), ma qui a dettare il significato è l’avverbio, che non va inteso come “a poco a poco”

(sarebbe stato κατ’ὀλίγον).

34 Cfr. Kahn, op.cit., p. 112 n.1. Gli involucri del sistema di Anassimandro, individuati da Kahn, sono

l’apeiron, il fuoco nella prima fase e in seguito l’aria che lo circonda, la nube che include il vento. Questi elementi inclusivi sono un limite, ma almeno nel caso delle corazze anche una protezione, e almeno nella fase iniziale contiene il nutrimento; l’aria, poi, è essa stessa nutrimento per il fuoco.

35 Si veda infra, pp. 112 ss.

36 Cfr. Kahn, op. cit., pp. 51, 112-3, 225 n. 25; F. Lämmli, Vom Chaos zum Kosmos. Zur Geschichte einer

Idee, Reinhardt, Basel, 1962, p. 91; Sassi, Cosmologie, cit., pp. 84, 86-88 (spec. n. 18) e 90; Id., Gli inizi,

cit., p. 77, n. 13; Id., Cosmologie, cit., p. 102.

37 In questo passo della Fisica si considera che l’infinità di un elemento causerebbe la distruzione degli

altri. Nello scenario finale di Anassimandro, invece, l’esistenza (non quantitativamente infinita) di un solo elemento (che non è archè) è sancita dal venir meno degli altri elementi (acqua e fuoco e aria).

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