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Giacché la filosofia si propone di intendere ciò che è immutabile, eterno, in sé e per sé: il suo scopo è la verità

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Academic year: 2021

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DAL MEDIOEVO AL XIX SECOLO Concordisti e anticoncordisti: da Ficino alla Historia critica

Liberiamo, vi prego, gli animi celesti desiderosi della celeste patria, liberiamoli quanto prima (quamprimum) dalle catene terrene affinchè, supportati dalle ali platoniche e con la guida di Dio (Deo duce), possiamo più liberi giungere alla fede eterna dove contemplare in felicità stabile l’eccellenza del nostro genere1.

Non puoi ritrovare altri filosofi che più dei platonici hanno colto la religione cristiana.

È dunque merito delle reti platoniche se hai pescato, per Cristo, ingegni sopraffini2. Era un incredibile amante della verità, capace di spingersi a tal punto per l’amore del vero che se qualcosa non lo convinceva parlava sinceramente anche contro quei dottori che pure seguiva. Ciò con il passare del tempo, dopo aver già assunto l’abito domenicano e dopo aver sparso la fama del proprio nome, mostrò ancora più apertamente, poiché avendo avuto notizia che si conservavano alcuni testi greci del filosofo Sesto, nei quali erano state confutate tutte le dottrine rinvenute con mezzi umani, aveva dato incarico, poco prima che morisse, di tradurli dal greco in latino3 La storiografia ‘non critica’: Hegel

La prima idea che ci si presenta innanzi nel trattare la storia della filosofia è che il suo argomento contiene già esso stesso una contraddizione interiore. Giacché la filosofia si propone di intendere ciò che è immutabile, eterno, in sé e per sé: il suo scopo è la verità. La storia invece racconta ciò che fu in un determinato tempo e poi sparì in un altro tempo, perché fu sostituito da qualcos’altro. Noi partiamo infatti dal presupposto che la verità sia eterna: essa non rientra nell’ambito di ciò che passa, quindi non ha alcuna storia. E se tuttavia essa ha una storia, dal momento che la storia è soltanto la rappresentazione di una serie di figure sorpassate di conoscenza, in questa storia non può trovarsi la verità, poiché la verità non è cosa transitoria4.

Qui subito ci imbattiamo nella concezione assai comune della storia della filosofia come esposizione delle opinioni filosofiche. (…) Ma, un tale materiale, a volerlo pur considerare con benevolenza, si può chiamare tutt’al più un complesso di opinioni. (…) Una simile storia, che altro non è se non una filastrocca di opinioni differenti, non può essere che oggetto di una curiosità inutile o, se si vuole, un interesse di pura erudizione.

1 MARISILIO FICINO, Theologia platonica de animarum immortalitate, in Opera et quae hactenus existere, Parigi 1641, p. 75.

2 ID., Epistula ad Picum, ibid., p. 423.

3 GIANFRANCESCO PICO DELLA MIRANDOLA,Vita Hieronymi Savonarolae, ed. E Schisto, Firenze 1999, p. 31

4 G.W.F.HEGEL, Introduzione alla storia della filosofia, ed. it. a cura di A. Plebe, Bari 1982, p. 43.

Giacchè l’erudizione consiste appunto nel conoscere una quantità di cose inutili, cioè tali che non hanno alcun interesse intrinseco all’infuori di quello di esser conosciute.

(…) Ma, se la storia della filosofia non fosse altro che una galleria di opinioni, per quanto siano opinioni che riguardano Dio e l’essenza delle cose naturali e spirituali, essa sarebbe in ogni caso una scienza del tutto superflua e noiosa, per quanto profitto si possa trarre dall’esercizio del pensiero e dell’erudizione. Che cosa vi può essere di più inutile che l’apprendere una serie di semplici opinioni? Che cosa di più noioso? E infatti quelle opere che espongono la storia della filosofia in modo che le idee filosofiche vi appaiano come una serie di opinioni rivelano subito a prima vista quanto siano aride e incapaci di suscitare interesse5.

Emerge [scil. nella religione cristiana] la consapevolezza dell’unità tra natura divina e natura umana. (…) Il culto e la vita cristiana consistono nel fatto che l’individuo, il soggetto (…) è in condizione di riconoscersi all’altezza della circostanza che lo spirito di Dio, la grazia, come si suol dire, dimori al suo interno. È la dottrina della riconciliazione6. (…) Anche nelle religioni antiche il divino è unito con ciò che è naturale ed umano: ma non è riconciliato, è congiunto in maniera naturale; [nel caso delle religioni antiche] l’unità di Dio con ciò che è umano e naturale è immediata ed è perciò un’unità priva di spirito (…). Si dà unità spirituale solo in quanto lo spirito è concreto, vivente: solo il processo in se stesso produce l’unità e la libertà7

La storiografia ‘non critica’: il tomismo

Le filosofie di Platone, di Aristotele et caetera, insomma, tutte le filosofie sono sempre vive e ancora presenti nei loro principi; mentre invece la nostra filosofia non può più trovarsi in quella forma e in quel grado in cui si trovano le filosofie platonica ed aristotelica. Noi non possiamo più rimanere a quelle filosofie, esse non possono essere ridestate. Così al giorno d’oggi non ci possono essere più dei platonici, degli aristotelici, degli stoici, degli epicurei. Cercare di ridestare queste filosofie significherebbe voler far retrocedere ad un momento già superato lo spirito, che ormai è più evoluto e ha raggiunto una maggior comprensione di se stesso8.

5 Ibid., pp. 47-48

6 Cfr. 2 Cor 5,19.

7 G.W.F.HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, ed. it. a c. di R.Bortoli, Bari 2009, pp.

390-391.

8 ID., Introduzione alla storia della filosofia, ed. it. cit., pp. 85-86.

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Sopra tutti i Dottori Scolastici, emerge come duce e maestro San Tommaso d’Aquino, il quale, come avverte il cardinale Gaetano, "perché tenne in somma venerazione gli antichi sacri dottori, per questo ebbe in sorte, in certo qual modo, l’intelligenza di tutti"

. Le loro dottrine, come membra dello stesso corpo sparse qua e là, raccolse Tommaso e ne compose un tutto; le dispose con ordine meraviglioso, e le accrebbe con grandi aggiunte, così da meritare di essere stimato singolare presidio ed onore della Chiesa Cattolica. Egli, d’ingegno docile ed acuto, di memoria facile e tenace, di vita integerrima, amante unicamente della verità, ricchissimo della divina e della umana scienza a guisa di sole riscaldò il mondo con il calore delle sue virtù, e lo riempì dello splendore della sua dottrina. Non esiste settore della filosofia che egli non abbia acutamente e solidamente trattato, perché egli disputò delle leggi della dialettica, di Dio e delle sostanze incorporee, dell’uomo e delle altre cose sensibili, degli atti umani e dei loro principi, in modo che in lui non rimane da desiderare né una copiosa messe di questioni, né un conveniente ordinamento di parti, né un metodo eccellente di procedere, né una fermezza di principi o una forza di argomenti, né una limpidezza o proprietà del dire, né facilità di spiegare qualunque più astrusa materia.

Quelli che desiderassero piuttosto un orientamento filosofico in questa massa di fatti studieranno con profitto i due volumi della Histoire de la philosophie médiévale di M. De Wulf. Vi troveranno (…) una serie di studi storici condotti in nome di principi filosofici definiti, che dalla loro luce traggono vantaggio

Come vedremo, il medioevo ha avuto due grandi secoli di civiltà e cultura, il XII ed il XIII. I secoli che li preparano e quelli che li seguono sono certamente inferiori9.

Tommaso ha il senso della parsimonia; la soppressione di ciò che è inutile o illogico fa risaltare la struttura della sua filosofia. Tra tutti gli scolastici è quello che spiega il maximum di un problema con un minimum di nozioni. La scolastica da lui costruita si può paragonare alle cattedrali del secolo XIII che similmente cercano la potenza nella logica e nella sobrietà. (…) Sotto un altro riguardo sorpassa Aristotele in quanto sintetizza il naturalismo di quest’ultimo con l’idealismo di Platone ed Agostino, temperando e completando l’uno con l’altro. Egli utilizza anche gli arabi e i giudei, principalmente Avicenna e Maimonide. Tutto ciò che egli attinge dai suoi predecessori è ripensato in una sintesi personale. Il pensiero scolastico acquista nel tomismo una purezza ed uno splendore che lo impongono come uno dei risultati più grandiosi del pensiero medievale, cattivandogli l’ammirazione dei secoli10.

9 M.DE WULF, Storia della filosofia medievale, tr. it. di V. Miano, Firenze 1944, p. 24.

10 ID., Storia della filosofia medievale, II, 11, 267, ed. it. a cura di V. Miano, pp. 165-166.

Avevo intrapreso, in una università romana, una tesi di dottorato dove tentavo di descrivere la contemplazione secondo la teologia di S. Tommaso d’Aquino. Senza averne chiara coscienza, cercavo di dare una forma ‘scientifica’ (virgolettato nel testo originale) all’intensa esperienza avuta durante un soggiorno occasionale al convento di studi del Saulchoir (vicino Tournai), comunità domenicana dove convivono la condizione religiosa, l’ampiezza di una vita liturgica, uno studio assiduo (…) da quel momento, ho dato pieno significato alla parola ‘contemplazione’ (virgolettato nel testo originale)11.

Assicurarsi il contatto diretto con lo spirito di San Tommaso nel corso del suo lavoro, coglierlo nella sua originale reazione di fronte ai problemi che gli si ponevano, entrare nel movimento della sua ricerca, della sua ‘questione disputata’, seguire fin nei suoi procedimenti verbali lo sforzo creativo del suo pensiero, afferrare così, al di là dei suoi ragionamenti e delle sue conclusioni, i postulati che segretamente li guidano, scoprire l’iniziativa intellettuale che decide di una filosofia nel momento in cui sta fissando il proprio sistema. Insomma, è far beneficiare la lettura di S. Tommaso della tecnica e della luce che i moderni procedimenti esegetici hanno procurato alla spiegazione dei testi nella pedagogia universitaria contemporanea12.

Non si tratta di diventare specialisti, maestri all'interno delle proprie frontiere chiuse, ma di comporre, nel senso migliore del termine, una scuola di teologia, e cioè un organismo di pensiero in cui la luce della fede dà una tale fiducia alla ragione da servirsene nella elaborazione scientifica e religiosa della Rivelazione (...) L'effetto proprio della libertà spirituale di san Tommaso fu questo stato di invenzione in cui si fissò il suo spirito (...) Portare in sé questa eredità e volerla mettere in pratica era, intorno al 1900, una scommessa, forse addirittura una pretesa inopportuna13

Al servizio di queste intenzioni, giunse a proposito l’applicazione del metodo storico allo studio dei testi e delle dottrine del Medioevo. (…) Non si trattava di una semplice curiosità, di un’impresa archeologica (…) Era il frutto della convinzione che l’intelligenza di un testo e di una dottrina è strettamente legata con la conoscenza dell’ambiente che li ha visti nascere, perché l’intenzione che li ha prodotti viene raggiunta nel contesto in cui sono nati e hanno preso forma (…) Invece di affastellare come testimoni uniformi ed impersonali le esegesi dei commentatori, ci sembra dunque più efficace e più autentico riconoscere le loro intenzioni, decifrare le loro tendenze,

11 M.D.CHENU, De la contemplation à l’engegement, in «La vie spirituelle», 68 (1968), pp. 99-100; cfr. A.DE LIBERA, Les études de philosophie mèdiévale de Gilson à nos jours, in Gli studi di filosofia medievale, cit., p. 36.

12 M.D.CHENU, Le Saulchoir. Una scuola di teologia, ed. it. a cura diG. Alberigo, C. Monf.

1982, p. 35.

13 Ibid., p. 32.

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per poter apprezzare la qualità della loro interpretazione, in se stessa e nel destino del tomismo14

La storiografia ‘non critica’: Renan

Il primo dovere dell’uomo sincero è quello di non influenzare le proprie opinioni, di lasciare cioè che la realtà si rifletta in lui come nella camera oscura del fotografo e assistere da spettatore alla battaglia delle idee che si svolge nel profondo della propria coscienza. Davanti al processo spontaneo delle modificazioni interiori della nostra retina intellettuale, si deve rimanere passivi, non si deve intervenire. Ciò non significa che il risultato dello sviluppo inconscio ci sia indifferente o che non possa condurre ad esiti importanti; tuttavia, quando parla la ragione, noi non abbiamo il diritto di avere un desiderio, ma dobbiamo soltanto ascoltare, pronti ad essere trascinati, legati mani e piedi, là dove ci portano gli argomenti migliori. La produzione della verità è un fenomeno oggettivo, estraneo all’io, che si verifica indipendentemente dalla nostra volontà, è una sorta di precipitato chimico che dobbiamo accontentarci di osservare con curiosità15.

Se dovessimo cercare nella storia della filosofia solo dei risultati positivi e immediatamente applicabili ai bisogni del nostro tempo, si dovrebbe rimproverare all’argomento di queste ricerche di essere all’incirca sterile. Sono il primo a riconoscere che non abbiamo niente o quasi da apprendere né da Averroè, né dagli Arabi né dal Medioevo. Benché i problemi che preoccupano oggigiorno lo spirito umano siano in fin dei conti identici a quelli che l’hanno da sempre sollecitato, la forma che tali problemi assumono ai giorni nostri è così caratteristica del nostro secolo che davvero poche delle soluzioni antiche sono ancora suscettibili di essere applicate. Non bisogna chiedere al passato che il passato stesso. (…) Bisognerà dunque rassegnarci al progresso: non sortirà da questo studio quasi nessun risultato che la filosofia contemporanea possa assimilare con vantaggio, se non il risultato storico stesso. Non è alla razza semitica che dobbiamo chiedere lezioni di filosofia. (…) Supponendo che la filosofia sia condannata sempre a non essere che un eterno e vano tentativo di definire l’infinito, non si può negare almeno che vi sia in questo sforzo, per gli spiriti curiosi, uno spettacolo degno della più alta attenzione. Mi sono in generale trattenuto dall’esprimere la mio opinione sui problemi (…). Il sistema personale dello storico che racconta le lotte delle scuole e delle fazioni non serve, la maggior parte delle volte, che a falsare il suo giudizio e rovinare il risultato della sua ricostruzione. (…) Ciò non è,

14 Ibid.

15 E.RENAN, Examen de conscience philosophique, in «Revue des Deux mondes», 1889, ed.

it. a c. di D.PAONE in G.CAMPIONI (a cura di), E. Renan, Scritti Filosofici, Milano 2008, p.

487.

ricordiamolo, né indifferenza né scetticismo, è la critica; non si è storici che a condizione di saper riprodurre a volontà in se stessi i differenti tipi di vita del passato16. Così, i dottori più rispettati del XIII secolo sono d’accordo nel combattere l’averroismo, e le forme della loro polemica non consentono di supporre che si trattasse, per loro, di una disputa oziosa e senza avversari. C’era evidentemente, in presenza della scolastica ortodossa, una scuola che pretendeva di mascherare le sue pessime dottrine con l’autorità del Commentatore. Ma dove cercare questa scuola, di cui nessuno scritto ci è pervenuto?17

Mentre i domenicani, fedeli alle direttive che ricevevano da Roma, percorrevano il mondo come veri segugi della Chiesa per stanare gli eretici e fare all’eterodossia la temibile guerra del sillogismo e del rogo, la famiglia di san Francesco non smetteva di produrre spiriti ardenti18

Garin e Gentile

Fu tra la seconda metà del secolo XVIII ed il principio del secolo XIX che alla raffigurazione delle sette filosofiche si sostituì l’esposizione del ‘progresso’ dello spirito o dell’umanità in genere, e venne affermandosi l’idea dell’unità e continuità del filosofare. (…) La rigorosa tesi dell’unità come data a priori (…), sotto l’influsso combinato delle correnti idealistiche (e variamente storicistiche) e della storiografia neoscolastica (o in genere fondata su presupposti ‘teologizzanti’), costituì uno dei canoni interpretativi di più largo uso negli scritti di storia della filosofia in lingua italiana19

Come «Cuvier da un osso ricostruiva idealmente l’animale», perché l’animale è un’unità, un’entelechia, così lo storico da un frammento può ricostruire l’intero sistema, da una questione speciale la visione totale. E siccome Gentile era, nonostante ogni suo modo retorico, coerente alla sua logica, da quel frammento ricostruire addirittura tutta la filosofia, non di quel filosofo, di quell’età, di quella nazione, ma la Filosfia con la maiuscola, sic et simpliciter20

In The unity of philosophical experience, il ‘metodo comparativo’ applicato alla ‘varietà’ delle filosofie ‘storiche’ riesce ad enuclearne le ‘essenze’ - «nella sua purezza astratta l’essenza del criticismo sussiste per se stessa» - e, quindi, applicato alle ‘essenze’

spersonalizzate raggiunge la filosofia, ossia quella unica filosofia che è la philosophia

16 E.RENAN, Averroe et l’averroisme, Préface, ed. it. a c. di F.PETRUZZELLI in G.CAMPIONI

(a cura di), Ernest Renan. Scritti filosofici, Milano 2008, pp. 563-571.

17 Ibid., II, 2, 9, p. 1027.

18 Ibid., p. 1029.

19 E.GARIN, La filosofia come sapere storico, Bari 1959, pp. 11-12.

20 Ibid., p. 17.

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perennis, in cui quel che è il criticismo di Kant non lo apprendiamo più da Kant, ma dal

‘criticismo’ in sé21

[Il dovere dello storico è] ritrovare connessioni effettive, legami, somiglianze. Che un pensatore abbia letto un atro pensatore, che abbia risposto a certe domande, che abbia fatto certe esperienze, che abbia avuto certi colloqui, che si sia mosso in una società, persona fra certe determinate persone – ecco quello che lo storico deve accertare. Non esiste la Filosofia, davanti al cui tribunale chiamare al redde rationem le filosofie ed i filosofi: esistono uomini che hanno cercato di rendersi criticamente conto in modo unitario della loro esperienza e del loro tempo. (…) Questi nessi lo storico trova22. Conclusioni

E.GILSON,Lo spirito della filosofia medievale: «Ciò che i filosofi del Medioevo chiedono loro (scil. ai filosofi antichi) è invece tutto e soltanto ciò per cui sono veri; e là dove non sono ancora tali completamente, come possano divenirlo. (…) L’età dei commentatori, come ci si compiace chiamarla, fu soprattutto l’età dei filosofi commentatori. Non bisogna dunque biasimarli insieme di avere sempre sulla bocca il nome di Aristotele e di fargli costantemente dire ciò che non ha mai detto. Essi non si sono mai camuffati da storici, ma hanno voluto essere filosofi e, a meno di esigere, ciò che Dio non voglia, che la filosofia sia esclusivamente popolata di storici della filosofia, la storia stessa non ha niente da rimproverare loro. Che resta dunque nell’atteggiamento dei maestri medievali che possa offenderci o porci in imbarazzo? Nulla forse, se non la loro modesta docilità a volersi istruire sulla filosofia, prima di lavorare al suo progresso. (…)

“Noi siamo” diceva Bernardo di Chartres “come nani seduti sulle spalle di giganti.

Vediamo dunque più cose e più lontane che non gli Antichi, non per l’acutezza della nostra vista, né per l’altezza della nostra statura, ma solo perché essi ci portano e ci sollevano con la loro gigantesca altezza”. Noi abbiamo perduto questa fiera modestia.

Molti dei nostri contemporanei vogliono restare a terra; ponendo la loro gloria nel non vedere più nulla, se non se stessi, si consolano della loro statura, assicurandosi di essere vecchi. Triste vecchiaia quella che perde la memoria. Se fosse vero, come si è detto, che san Tommaso sia stato un fanciullo e Descartes un uomo, noi saremmo ben vicini alla decrepitezza. Auguriamo piuttosto che la giovinezza eterna del vero ci conservi a lungo nella sua infanzia, pieni di speranza nell’avvenire e di forza per entrarvi».

Ibidem: «Secondo l’Apostolo, il cristianesimo non è per nulla una filosofia, ma una religione. (…) Il cristianesimo di San Paolo non è una filosofia che si aggiunga ad altre filosofie, e neppure che le sostituisca, è una religione che rende inutile ciò che comunemente si chiama filosofia, e che ne dispensa. (…) Il Vangelo è una salvezza,

21 Ibid., p. 19; cfr. E.GILSON, The Unity of Philosophical Experience, Londra 19552, p. 308 e seqq.

22 Cfr. ibid., pp. 29-30.

non una sapienza (…). Che che dunque Paolo vuole è eliminare l’apprente sapienza greca, che non è in realtà se non follia, in nome dell’apparente follia cristiana, che in realtà e sapienza. In luogo di dire che, secondo San Paolo, il Vangelo è una salvezza, non una sapienza, sarebbe meglio dire che la salvezza che egli predica è ai suoi occhi la vera sapienza e ciò precisamente perché è una salvezza».

Ibidem: «Ecco formulata dal II secolo in termini definitivi la carta eterna dell’umanesimo cristiano. Eraclito è dei nostri; Socrate ci appartiene, poiché egli ha conosciuto il Cristo con una conoscenza parziale, grazie allo sforzo di una ragione, di cui il Verbo è l’origine; nostri pure sono gli stoici, e con essi tutti i veri filosofi, in cui brillavano già i semi di quella verità, che la rivelazione ci scopre oggi nella sua pienezza. (…) Di qui un capovolgimento del problema, altrettanto curioso che inevitabile. Se tutto ciò che c’era di vero nella filosofia era un presentimento e come un abbozzo del cristianesimo, chi possiede il cristianesimo deve possedere per ciò stesso tutto ciò che c’era di vero e tutto ciò che potrà mai esservi di vero nella filosofia. In altri termini, e per quanto strano ciò possa sembrare, la posizione razionale più favorevole non è più quella del razionalista, ma quella de credente; la posizione filosofica più favorevole non è più quella del filosofo, ma quella del cristiano».

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