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Roberto Esposilo Bios

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Academic year: 2022

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Roberto Esposilo Bios

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© 2004 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino www.einaudi.it

ISBN 8 8 - 0 6 - 1 7 1 7 4 - 7

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Roberto Esposito

Biopolitica e filosofia

Einaudi

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Indice

p. VII Introduzione

I. L'enigma della biopolitica

3 I . Bio/politica

i6 2. Politica, natura, storia 25 3. Politica della vita 32 4. Politica sulla vita

II. Il paradigma di immunizzazione

41 I . Immunità 54 2. Sovranità 61 3. Proprietà 68 4. Libertà

III. Biopotere e biopotenza

79 I . G r a n d e politica 87 2. Controforze 96 3. Doppia negazione 105 4. D o p o l'uomo

IV. Tanatopolitica (il ciclo del ghénos)

1 1 5 I . Rigenerazione 124 2. Degenerazione 135 3. Eugenetica 146 4. Genocidio

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Indice

V. Filosofia del bios

159 I. La filosofia dopo il nazismo 171 2. La carne

185 3, La nascita 200 4. Norma di vita

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Introduzione

I. Francia, novembre 2000. Una decisione della Corte di Cas- sazione apre un lacerante dissidio nella giurisprudenza francese, rovesciando due giudizi in appello, a loro volta contrari ad altret- tante sentenze emesse in precedenti istanze. Essa riconosce ad un bambino, di nome Nicolas Perruche, nato con gravissime lesioni genetiche, il diritto di sporgere denuncia contro il medico che non aveva correttamente diagnosticato la malattia di rosolia alla ma- dre incinta, impedendole cosi di abortire secondo la sua espressa volontà. Quello che, in tale vicenda, appare oggetto di controver- sia non risolubile sul piano giuridico è l'attribuzione al piccolo Nicolas del diritto di non nascere. Ad essere in discussione non è l'errore, accertato, del laboratorio medico, quanto lo statuto di soggetto di chi lo contesta. Come può, un individuo, ricorrere giu- ridicamente contro la circostanza - quella della propria nascita - che sola gli fornisce soggettività giuridica ? La difficoltà è insieme di ordine logico ed ontologico. Se è già problematico che un esse- re possa invocare il proprio diritto a non essere, è ancora più dif- ficile pensare a un non essere, come è appunto chi non sia ancora nato, che reclami il diritto a restare tale, e cioè a non entrare nel- la sfera dell'essere. Ciò che appare indecidibile, in termini di leg- ge, è la relazione tra realtà biologica e personalità giuridica - tra vita naturale e forma di vita. E vero che, nascendo in quelle con- dizioni, il bambino ha subito un danno. Ma chi, se non egli stes- so, avrebbe potuto decidere di evitarlo, eliminando anticipata- mente il proprio essere soggetto di vita, la propria vita di sogget- to? Non solo. Siccome ad ogni diritto soggettivo corrisponde l'obbligo di non ostacolarlo da parte di chi fosse in condizione di farlo, ciò significa che la madre sarebbe stata costretta ad aborti- re a prescindere dalla sua libera scelta. Il diritto del feto a non na- scere configurerebbe, insomma, un dovere preventivo, da parte di chi lo ha concepito, di sopprimerlo, istituendo cosi una cesura eu-

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vili Introduzione

genetica, legalmente riconosciuta, tra una vita giudicata valida ed un'altra, come si disse nella Germania nazista, «non degna di es- sere vissuta».

Afghanistan, novembre 2001. A due mesi dall'attacco terrori- stico dell'i I settembre, nei cieli dell'Afghanistan prende forma un nuovo tipo di guerra 'umanitaria'. L'aggettivo non riguarda più l'intenzione del conflitto - come era avvenuto in Bosnia e nel Ko- sovo, dove s'intendeva difendere intere popolazioni dalla minac- cia di genocidio etnico - ma il^suo stesso strumento privilegiato, vale a dire i bombardamenti. E cosi che sul medesimo territorio, e nello stesso tempo, insieme a bombe ad alto potenziale distrut- tivo, vengono sganciati anche viveri e medicinali. Non bisogna perdere di vista la soglia che in questo modo si oltrepassa. Il pro- blema non sta soltanto nella dubbia legittimità giuridica di guerre condotte in nome di diritti universali in base alla decisione arbi- traria, o interessata, di chi ha la forza di imporle e di condurle; e neanche nella difformità che spesso si determina tra finalità pro- poste ed esiti conseguiti. L'ossimoro più acuto del bombardamento umanitario sta piuttosto nella sovrapposizione, che in esso si ma- nifesta, tra dichiarata difesa della vita ed effettiva produzione di morte. Già le guerre novecentesche ci avevano abituato al rove- sciamento della proporzione tra vittime militari - prima largamente prevalenti - e vittime civili, oggi di gran lunga superiori alle pri- me. Cosi come da sempre le persecuzioni razziali si basano sul pre- supposto che la morte degli uni rafforzi la vita degli altri. Ma pro- prio perciò tra morte e vita - tra vita da distruggere e vita da sal- vare - permane, e anzi si approfondisce, il solco di una netta divisione. Ora è proprio tale discrimine che è tendenzialmente can- cellato nella logica di bombardamenti destinati a uccidere e pro- teggere le medesime persone. La radice di tale indistinzione non va ricercata tanto, come spesso si fa, in un mutamento struttura- le della guerra, quanto, piuttosto, nella trasformazione, assai più radicale, dell'idea di humanitas che lo sottende. Assunta per seco- li come ciò che pone gli uomini al di sopra della semplice vita co- mune alle altre specie viventi, e proprio perciò caricata anche di valore politico, essa torna sempre più ad aderire alla propria ma- teria biologica. Ma, una volta schiacciata sulla sua pura sostanza vitale, e cioè sottratta ad ogni forma giuridico-politica, l'umanità dell'uomo resta necessariamente esposta a ciò che può contempo- raneamente salvarla ed annientarla.

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Introduzione ix

Russia, ottobre 2002. Gruppi speciali della polizia di Stato fan- no irruzione nel teatro Dubrovska di Mosca, dove un commando ceceno tiene in ostaggio quasi mille persone, provocando la mor- te, con un gas inabilitante dagli effetti letali, di 128 ostaggi, oltre che di quasi tutti i terroristi. L'episodio, giustificato ed anzi as- sunto a modello di fermezza da parte degli altri governi, segna un ulteriore passaggio rispetto a quello prima commentato. Anche se in questo caso non si è fatto uso del termine 'umanitario', la logi- ca di fondo non è diversa: la morte di decine di uomini scaturisce dalla stessa volontà di salvarne quanti più è possibile. Senza sof- fermarci su altre circostanze inquietanti, come l'uso di gas proibi- ti dai trattati internazionali o l'impossibilità di predisporre anti- doti adeguati pur di mantenere il segreto sulla loro natura, restia- mo al punto che c'interessa: la morte degli ostaggi non è stata, come può accadere in casi del genere, un effetto indiretto e acci- dentale dell'azione delle forze dell'ordine. A sopprimerli non so- no stati i ceceni sorpresi dall'assalto dei poliziotti, ma direttamente questi ultimi. Spesso si parla della specularità di metodi tra i ter- roristi e coloro che li fronteggiano. Ciò può essere spiegabile e, en- tro certi limiti, perfino inevitabile. Ma forse mai si sono visti agen- ti governativi, impiegati a salvare i prigionieri da una morte pos- sibile, effettuare essi stessi la strage che i terroristi si limitavano a minacciare. In questa scelta da parte del presidente russo hanno inciso vari fattori: la volontà di scoraggiare altri tentativi del ge- nere, il messaggio ai ceceni che la loro battaglia è senza speranza, uno sfoggio di potere sovrano nel tempo della sua apparente crisi.

Ma, al suo fondo, c'è qualcosa d'altro che ne costituisce il tacito presupposto. Il blitz al teatro Dubrovska non segna, come pure è stato detto, il ritiro della politica di fronte alla nuda forza. E non è neanche riducibile allo svelamento del nesso originario tra poli- tica e male. Esso è l'espressione estrema che la politica può assu-' mere quando si trova ad affrontare senza mediazioni la questione della sopravvivenza di uomini in bilico tra la vita e la morte. Per trattenerli a tutti i costi in vita, può perfino decidere di affrettar- ne la morte.

Cina, febbraio 200}. La stampa occidentale diffonde la noti- zia, tenuta rigorosamente nascosta dal governo cinese, che nella sola provincia dell'Henan vi sono più di un milione e mezzo di sie- ropositivi, con percentuali che in alcuni villaggi, come quello di

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vili Introduzione

Donghu, raggiungono l'ottanta per cento della popolazione. A dif- ferenza che in altri paesi del terzo mondo, il contagio non ha una causa naturale o socioculturale, ma immediatamente economico- politica. Alla sua origine non vi sono rapporti sessuali non protet- ti e neanche uso sporco di droga, bensì la vendita in massa di san- gue, stimolata e gestita direttamente dal governo centrale. Il sangue, estratto a contadini bisognosi di danaro, viene centrifu- gato in grossi contenitori che separano il plasma dai globuli rossi.

Mentre il primo è inviato a ricchi acquirenti, questi ultimi sono di nuovo iniettati ai donatori per evitare l'anemia e spingerli a ripe- tere l'operazione di continuo. Ma basta che uno solo di essi sia in- fetto, per contagiare l'intera partita di sangue senza plasma con- tenuto nei grandi calderoni. In questo modo interi villaggi si sono riempiti di sieropositivi quasi sempre destinati a morte certa per mancanza di medicine. E vero che proprio la Cina ha recentemente messo in commercio farmaci anti-Aids prodotti localmente a bas - so costo. Ma non per i contadini dell'Henan, non solo ignorati dal governo, ma obbligati a tenere segreta la loro vicenda per non fi- nire in carcere. La cosa è stata svelata da chi, rimasto solo per la morte di tutti i congiunti, ha preferito andare a morire in prigio- ne anziché nella propria capanna. Basta spostare l'obiettivo su un altro fenomeno ancora più vasto, per accorgersi che la selezione biologica, in un paese che ancora si definisce comunista, non è so- lo di classe, ma anche di sesso: almeno da quando la politica stata- le del 'figlio unico', volta a bloccare la crescita demografica, uni- ta all'impiego della tecnica ecografica, porta all'aborto di gran par- te di quelle che sarebbero divenute future donne. Ciò rende inutile l'uso, tradizionale nelle campagne, di affogare le bambine già na- te, ma è destinato ad incrementare la sproporzione numerica tra maschi e femmine: si calcola che tra meno di venti anni sarà dif- ficile, per gli uomini cinesi, trovare una moglie, se non strappan- dola alla famiglia ancora adolescente. Forse è per questa situazio- ne che in Cina il rapporto tra i suicidi femminili e quelli maschili è di cinque a uno.

Ruanda, aprile 2004. Un rapporto dell'Onu ci informa che cir- ca diecimila bambini della stessa età costituiscono il frutto biolo- gico degli stupri etnici messi in atto dieci anni fa nel corso del ge- nocidio consumato dagli Hutu nei confronti dei Tutsi. Come è poi accaduto in Bosnia e in altre parti del mondo, tale pratica modifi- ca in modo inedito il rapporto tra vita e morte conosciuto nelle

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