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Callimaco e Simonide: ancora sul fr. 64 Pf.

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(1)

Callimaco e Simonide:

ancora sul fr. 64 Pf.

ajxiw'n de; ejgw; ”Omhron ejx ~Omhvrou safhnivzein aujto;n ejxhgouvmenon eJauto;n uJpedeivknuon (Porph. Quaest. Hom. I 11)

Tra le voci che si levano dal frammentario panorama degli Aitia callimachei è quella di Simonide. Il poeta sepolcrale consacrato da un’intera tradizione pronuncia un singolarissimo epitafio amplificato in forma di elegia (fr. 64 Pf.)

1

:

oujd` a[]n toi Kamavrina tovson kako;n oJkkovson aj[n]drov"

kinh]qei;" oJsivou tuvmbo" ejpikremavsai:

kai; g]a;_r_ ejmovn kote sh'ma, tov moi pro; povlho" e[c[eu]an Zh'n`] `Akraganti'noi Xeivni[o]n_ aJ_zovmenoi,

5 i\fi k]at` ou\n h[reiyen ajnh;r kakov", ei[ tin` ajkouvei["

Foivnik]a_ ptovlio" scevtlion hJgemovna:

puvrgw/] d` ejgkatevle_x_e_n ejmh;n livqon oujde; to; gravmma hj/devsqÕh to; levgon tovn [m]e Lew_prevpeo"

kei'sqaÕi_ Khvi>on a[ndra to;n iJerovn, o}" ta; perissav 10 . . kai;] m_nhvmhn prw'to" o}" ejfrasavmhn,

oujd` uJmÕeva", Poluvdeuke", uJpevtresen, oi{ me melavõqÕrou mevlloÕnto" pivptein ejkto;" e[qesqev kote

daitumÕovnwn a[po mou'non, o{te Krannwvnio" õaijÕai' w[Õl_isõqÕe_õn megÕavloõu"Õ oi\ko" ejpi; õSÕkõoÕpavdõaÕ".

15 w[_n_ake", ajl_ . . [i> . . ] . ga;r e[t` h\n_[

] . . . w_ou'med[ ] . bos_i_n_[

. . . . l_mou;s_[ ] . i>_o_undo . [ . . . hst . [ ]en ajnh'ge_n[

. . . . [ ] . [ . ] . etV . k_ . . [

20 . . .

1 Per un apparato più aggiornato rispetto a quello di Pfeiffer e un testo per certi aspetti più vicino all’editio princeps di E. Lobel (The Oxyrhynchus Papyri, XIX, London 1948, 15-21), vd.

G. Massimilla, Il sepolcro di Simonide (Callimaco, fr. 64 Pf.), in AA.VV., Callimachea, I. «Atti della prima giornata di studi su Callimaco. Roma, 14 maggio 2003», a c. di A. Martina e Adele- Teresa Cozzoli, Roma 2006, 33-52: 35s.

(2)

A rendere peculiare l’autoepitafio è innanzi tutto il fatto che esso si debba immaginare pronunciato dal defunto Simonide non dalla tomba, come di solito accade negli epigrammi sepolcrali, ma da uno spazio indefinito: il poeta di Ceo denuncia infatti la sacrilega distruzione del suo sepolcro agrigentino da parte di un hJgemwvn della città (v. 6)

2

. Callimaco, che sembra qui sperimentare un incontro fra la sua musa elegiaca e quella epigrammatica

3

, da un lato estende alla forma elegiaca l’artificio tradizionalmente epigrammatico, consistente nell’assumere come perso-

na loquens il poeta defunto4

; dall’altro, propone un’originale variazione di un dif- fuso tipo di epitafio, caratterizzato dalla maledizione contro i violatori di tombe

5

: in questo caso, alla minaccia consueta si sostituisce il resoconto di un evento effet- tivamente accaduto, che doveva trovare spazio nel séguito dell’elegia

6

. Contraria- mente a quanto la tradizione sepolcrale di norma prevede, dunque, il defunto è in

2 Come osserva giustamente Massimilla (o.c. 34), non sembra avere alcun fondamento l’ipotesi di A. Barigazzi (Due note callimachee, in AA.VV., «Studi in onore di Anthos Ardizzoni», a c. di E. Livrea e G.A. Privitera, I, Roma 1978, 49-60: 59), secondo cui si dovrebbe pensare ad un nuovo sepolcro eretto dagli Agrigentini in onore del poeta di Ceo.

3 Si pensi che, prima della scoperta e della pubblicazione del P. Oxy. 2211, i vv. 7-14 – noti grazie alla Suda – erano considerati parte di un epigramma: così M. Gabathuler (Hellenistische Epigramme auf Dichter, Diss. Basel 1937, 14 e 63) presentava il testo come epigramma nr. 24 della sua raccolta. Tuttavia, già U. v. Wilamowitz-Moellendorff (Hellenistische Dichtung in der Zeit des Kallimachos, I, Berlin 1924, 180 n. 1) affermava categoricamente: «Fr. 71 über das Grab des Simonides in Akragas und seine Zerstörung ist ohne jeden Grund unter die Epigramme gestellt. Es klingt durchaus nicht danach und konnte in den Aitia vorkommen, die ja von Phalaris von Akragas erzählten».

Sul rapporto tra epigramma ed elegia nella produzione callimachea, vd. P.J. Parsons, Callimachus and the Hellenistic epigram, in AA.VV., Callimaque, «Entr. Hardt» XLVIII (2002) 99-141: 129s.

4 Come fa notare Massimilla (o.c. 49), tale scelta è peraltro funzionale all’esigenza di compensare il venir meno della cornice narrativa del dialogo onirico del poeta con le Muse, che caratterizzava invece la prima metà degli Aitia. Callimaco sembra farvi ricorso anche nei frr. 97 (sulle mura pelasgiche di Atene) e 110 Pf. (la Chioma di Berenice).

5 Vd. e.g. GVI 239,3s. (Tessaglia, III d.C.), 248 extra metrum (Taso, II d.C.), 262 extra metrum (Epiro, II d.C.), 910 extra metrum (Tracia, II/III d.C.), 1045,7s. (Filippi, II/III d.C.), 2035,18-20 (Tebe, III/IV d.C.), IGUR 1260 extra metrum (Roma, II/III d.C.), SGO 03/02/61 extra metrum (Efeso, I d.C.), 04/06/01,4s. (Lidia, I d.C.), 08/01/37,6-8 (Cizico, III d.C.), 08/06/09 extra metrum (Misia, II/III d.C.), 08/08/15,2-4 (Misia, III d.C.), 09/05/14,13-17 (Bitinia, II/III d.C.), 09/

06/93,9s. (Nicomedia, II d.C.), 09/08/04,14-18 (Bitinia, II d.C.), 10/02/15,9-11 (Paflagonia, II/III d.C.), 17/19/02,5s. (Licia, III d.C.), 18/01/14,5s. ed extra metrum (Pisidia, II/III d.C.), 18/01/15,6s.

(Pisidia, II/III d.C.), 18/01/16,6s. (Pisidia, II/III d.C.), 19/09/02 extra metrum (Cilicia, II/III d.C.).

Per una raccolta sistematica di esempi, si rinvia a J. Strubbe, ARAI EPITUMBIOI. Imprecations against Desecrators of the Grave in the Greek Epitaphs of Asia Minor. A Catalogue, Bonn 1997.

6 Secondo Massimilla (o.c. 37), l’aition relativo al sepolcro di Simonide doveva essere piuttosto breve, «visto che in P. Oxy. 2211 il v. 19 occupa il ventottesimo rigo di una pagina, la cui facciata successiva comincia con gli ultimi nove versi dell’aition seguente (fr. 66), sicché il trapasso da una sezione all’altra avveniva di certo nella parte inferiore della pagina in questione».

Per un caso di ‘contrappasso’ in fin di vita, vd. e.g. l’idropisia di Eraclito (Eraclito. Testimonian- ze e imitazioni, introd., trad. e comm. a c. di R. Mondolfo e L. Tarán, Firenze 1972, 19).

(3)

grado di dimostrare a posteriori la fondatezza del monito, troppo spesso inascoltato, a non toccare la tomba, e non stupisce che a farlo sia un defunto di eccezionale autorità, quale il ‘padre’ della poesia funeraria greca.

In tutto ciò è naturalmente presente un elemento paradossale: il massimo poeta di epitafi che la tradizione greca abbia riconosciuto, in una sorta di fatale contrappasso, si troverebbe ad essere privato della sepoltura, e quindi di quell’unica garanzia di immortalità che il sentire comune associava proprio al monumento funebre

7

.

Il fr. 64 di Callimaco ha destato di recente l’interesse di molti, sia nello sforzo di elaborare una ricostruzione del testo che ne lasci meglio intravvedere i profili

8

, sia nel tentativo di definire un quadro storico più coerente degli eventi cui l’aition fa riferimento.

Interessante è, in tal senso, la ricostruzione suggerita da Livrea, che – sulla scorta di de Waele

9

– riconosce quale testimonianza-chiave per identificare la cir- costanza bellica cui allude Callimaco il racconto di Diodoro Siculo relativo all’as- sedio della città di Agrigento da parte del generale cartaginese Annibale nel 406 a.C.

10

: in quell’occasione – riferisce Diodoro (XIII 86,1ss.)

11

– Annibale avrebbe

7 Su un presunto epitafio di Simonide citato – e forse anche composto – da Tzetztes, vd.

Silvia Barbantani, Three burials (Ibycus, Stesichorus, Simonides). Facts and fiction about lyric poets of Magna Graecia in the epigrams of the Greek Anthology, in Greek poets in Italy, «Atti del convegno. Fiesole, 11-12 giugno 2007», in corso di pubblicazione.

8 Oggetto privilegiato di attenzione è l’incipit del v. 10, per il quale molto interessante mi pare la proposta ejxeu'ron] di M. Magnani (Callim. Aet. III fr. 64,9s. Pf. e la Sylloge Simonidea,

«ZPE» CLIX, 2007, 13-22: 19), benché forse longius spatio. Oltre a h[idh kai;] proposto dubitanter da Maas e Pfeiffer (ap. Lobel, o.c. 19), integrazioni alternative sono e.g. w[nhsa] di M. Di Marco (Callimaco, Aitia, fr. 64, 9-10 Pf.: una nuova proposta, in AA.VV., Callimachea cit. 53-56: 55), h[eisa] di Francesca Angiò (Callimaco, Aitia, fr. 64, 10 Pf., ibid. 57), indipendentemente sugge- rita da M. Gronewald (Kallimachos, Aitia fr. 64,10 Pf., «ZPE» CLVII, 2006, 46), ed infine h w kai;] di E. Livrea, «curioso ma tutt’altro che impossibile» (La tomba di Simonide da Callimaco a S. Saba, «ZPE» CLVI, 2006, 53-57: 57), dove h w non sarebbero altro che le lettere appena definite ta; perissav (già Lobel, ad l. riteneva che in lacuna si alludesse alle «extra letters»).

9 J.A. de W., Acragas Graeca. Die historische Topographie des griechischen Akragas auf Sizilien, I. Historischer Teil, ’s-Gravenhage 1971, 47-49.

10 In Eliano si legge (fr. 66 Domingo-Forasté, da Suda s 441 A.): `A k r a g a n t iv n w n s t r a t h g o; " h\n o[noma F o i' n i x: Surakousivoi" de; ejpolevmoun ou|toi. oujkou'n o{de oJ Foi'nix dialuvei to;n tavfon tou' Simwnivdou mavla ajkhdw'" te kai; ajnoivktw", kai; ejk tw'n livqwn tw'nde ajnivsthsi puvrgon: kai; kata; tou'ton eJavlw hJ povli". e[oike de; kai; Kallivmaco" touvtoi" oJmologei'n, ktl. L’allusione ad uno stratego agrigentino di nome Fenice si dovrebbe intendere come un fraintendimento da parte di Eliano (o della sua fonte) del testo callimacheo, in cui l’etnico Foivnika sarebbe stato preso come un nome proprio.

11 In cui si legge: oiJ de; peri; to;n `Annivban speuvdonte" kata; pleivona mevrh ta;" prosbola;"

poiei'sqai, parhvggeilan toi'" stratiwvtai" kaqairei'n ta; mnhvmata kai; cwvmata kataskeuavzein mevcri tw'n teicw'n. tacu; de; tw'n e[rgwn dia; th;n poluceirivan sunteloumevnwn ejnevpesen eij" to;

stratovpedon pollh; deisidaimoniva. to;n ga;r tou' Qhvrwno" tavfon o[nta kaq` uJperbolh;n mevgan sunevbainen uJpo; keraunou' diasei'sqai: diovper aujtou' kaqairoumevnou tw'n te mavntewvn tine"

(4)

dato ordine ai suoi soldati di distruggere la necropoli che si stendeva a ridosso delle mura, di reimpiegare le pietre sepolcrali per costruire cwvmata utili ad espugnare la città, e a tale gesto empio sarebbe seguita una pestilenza, manifestazione del- l’ira divina

12

.

Va comunque sottolineato che nel testo di Diodoro non vi è alcun cenno alla tomba di Simonide. Livrea suggerisce in via ipotetica che Callimaco abbia desunto la notizia della sua profanazione dalle opere degli storici Filisto o Timeo, e che la memoria dell’antico assedio di Agrigento abbia destato l’interesse del poeta di Cirene in séguito al rinnovarsi dell’evento per ben due volte in anni recenti, rispettivamente nel 262 e 255 a.C.

13

Quest’ultima coincidenza pare senz’altro verosimile, ma i dati disponibili sembrano autorizzare soltanto l’ipotesi che dalle fonti menzionate Callimaco abbia desunto le informazioni relative allo smantellamento della necropoli di Agrigento.

La notizia relativa alla profanazione della tomba di Simonide resta pur sempre del t u t t o i s o l a t a entro l’orizzonte dell’attuale documentazione.

A fronte della situazione descritta, una sorprendente consonanza con il tono e le parole del Simonide callimacheo si riscontra in un testo tramandato come simonideo, che a mio avviso non è stato sinora adeguatamente valorizzato nell’esegesi dell’elegia di Callimaco. Nel contesto della vita di Cleobulo, Diogene Laerzio (I 90) riferisce il celebre epitafio di Mida

14

attribuendolo al sapiente di Lindo, e prosegue:

pronohvsante" diekwvlusan, eujqu; de; kai; loimo;" ejnevpesen eij" to; stratovpedon, kai; polloi;

me;n ejteleuvtwn, oujk ojlivgoi de; strevblai" kai; deinai'" talaipwrivai" perievpipton. ajpevqane de;

kai; `Annivba" oJ strathgov", kai; tw'n ejpi; ta;" fulaka;" propempomevnwn h[ggellovn tine" dia;

nukto;" ei[dwla faivnesqai tw'n teteleuthkovtwn.

12 Agli stessi anni pensa anche J.S. Bruss (Lessons from Ceos: written and spoken word in Callimachus, in AA.VV., Callimachus II, ed. by M. Annette Harder-R.F. Regtuit-Gerry C. Wakker, Leuven 2004, 49-69: 63s.), che tuttavia identifica il ‘Cartaginese’ con Imilcone, che avrebbe assunto il comando delle truppe cartaginesi dopo la morte di Annibale. Massimilla (o.c. 40-43) riconduce invece l’evento storico cui allude Callimaco agli scontri fra la Siracusa di Agatocle e l’Agrigento guidata da un non meglio noto Fenice, verificatisi alla fine del IV secolo a.C. De- cisiva però l’obiezione di Livrea, secondo cui la città di Agrigento in quelle circostanze non fu distrutta né assediata.

13 Livrea, o.c. 55: «nel 262 i consoli L. Postumio e Q. Mamilio conquistarono Agrigento dopo sette mesi di tremendo assedio, deportando ben venticinquemila abitanti (cf. Polyb. 1.19.25), e nel 255 il generale cartaginese Cartalone prese Agrigento radendone al suolo le mura». Dal- l’ipotesi che sia la conquista cartaginese di Agrigento del 255 a richiamare alla memoria di Callimaco – per analogia e per contrasto al tempo stesso – il più antico assedio, Livrea deduce anche una datazione posteriore a questa data per la sezione interessata degli Aitia.

14 calkh' parqevno" eijmiv, Mivdou d` ejpi; shvmati kei'mai. / e[st` a]n u{dwr te rJevh/ kai; devndrea makra; teqhvlh/, / hjevliov" t` ajniw;n lavmph/, lamprav te selhvnh, / kai; potamoiv ge rJevwsin, ajnakluvzh/

de; qavlassa, / aujtou' th'/de mevnousa poluklauvtw/ ejpi; tuvmbw/, / ajggelevw pariou'si, Mivda" o{ti th'/de tevqaptai. Un’edizione critica dell’epigramma è approntata da T. Dorandi, Per la restitu- zione del testo dell’epigramma per Mida nella Vita di Cleobulo di Diogene Laerzio, «Prometheus»

XXXII/1 (2006) 83s.

(5)

fevrousi de; martuvrion Simwnivdou a\/sma, o{pou fhsiv (PMG 581):

tiv" ken aijnhvseie novw/ pivsuno" Livndou naevtan Kleovboulon ajenavoi" potamoi'" a[nqesiv t` eijarinoi'"

ajelivou te flogi; cruseva" te selavna"

kai; qalassaivaisi divnais` ajntiva qevnta mevno" stavla";

5 a{panta gavr ejsti qew'n h{ssw: l iv q o n d e;

k a i; b r ov t e o i p a l av m a i q r a uv o n t i: mwrou' fwto;" a{de boulav.

Secondo la testimonianza di Diogene, Simonide avrebbe composto il carme in questione in polemica risposta alla trionfante fiducia nell’immortalità garantita da una stele, espressa nell’epitafio di Mida. Una simile considerazione da parte di Simonide suona paradossale, e richiama in tal senso i versi di Callimaco: ma il punto di contatto più evidente tra i due testi consiste nel tema della profanazione di una tomba per mano umana

15

.

La coincidenza è significativa, e non mi pare possa essere considerata casuale:

a portarla in luce è il solo Bruss

16

, che tuttavia, nel contesto di una riflessione incentrata su oralità e scrittura nella poesia di Callimaco, si limita a segnalare come la distruzione della tomba di Simonide di cui riferisce il fr. 64 sia «a vindication of words attributed to Simonides», e a sottolineare l’ironia della combinazione. Ma le implicazioni di una simile coincidenza – tutt’altro che marginali per l’interpre- tazione dell’aition callimacheo – meritano di essere più attentamente considerate.

Bruss dà il giusto rilievo al significato che il fr. 64 ha nella definizione dell’at- teggiamento dell’alessandrino Callimaco nei confronti della tradizione letteraria orale da un lato, e di una nuova, crescente, prassi di fruizione e produzione lette- raria, che passa attraverso il medium della scrittura, dall’altro. La rilettura dei versi callimachei che meglio lasciano intravvedere il ‘laboratorio’ del poeta conduce Bruss ad una conclusione ambigua: il poeta doctus Callimaco, la cui erudizione si basa sulla l e t t u r a di testi scritti, riesce a celarsi molto bene dietro il profilo di un Callimaco ‘oralista’; se egli si mostra già perfettamente inserito nel nuovo con- testo di una civiltà della scrittura, sembra anche impiegare – in piena consapevo- lezza – i mezzi acquisiti entro una simile cultura per ribadire la superiorità della

15 Quanto alla frase m w r o u' / f w t o; " a{ d e b o u l av, se inteso come riferito all’azione descritta subito prima (l iv q o n d e; / k a i; b r ov t e o i p a l av m a i q r a uv o n t i), crea un’ul- teriore liaison tra i due testi, che alluderebbero entrambi ad un responsabile della profanazione – aj n h; r k a k ov " in Callimaco (v. 5), m w r o u' f w t o; " in Simonide (vv. 6s.). Più verosimile pare l’interpretazione di m w r o u' / f w t o; " a{ d e b o u l av come risposta alla domanda retorica iniziale, con una contrapposizione evidente tra novw/ pivsuno" e m w r o u' f w t o; ". In ogni caso, non si può forse escludere che una certa ambiguità del testo abbia condizionato anche l’interpre- tazione callimachea.

16 O.c. 62-64: cf. anche Magnani, o.c. 19.

(6)

tradizione orale. Ciò emerge con particolare evidenza, secondo la lettura di Bruss, proprio dall’aition relativo al sepolcro di Simonide: la ‘voce’ di Simonide, svinco- lata dal gravmma sepolcrale, intatta nonostante la distruzione di questo grazie alla poesia di Callimaco ma prima ancora a quella dello stesso Simonide, afferma la propria superiorità su qualunque forma di scrittura

17

. Coerente con tale ipotesi sembra essere peraltro la produzione epigrammatica callimachea: la messa in scena di uno Sprechakt che caratterizza la struttura degli epigrammi di Callimaco si spie- ga infatti come strategia volta proprio a ridurre le distanze tra oralità e scrittura

18

. Una simile lettura del fr. 64 – per cui la voce del poeta sopravvive alla distru- zione della sua lapide e risuona nei versi di un’elegia – consente di riconoscere nel messaggio poetico di Simonide e di Callimaco non solo una negazione dell’immor- talità offerta da una stele, ma anche una componente positiva: una dichiarazione di fiducia nella ‘voce’ della poesia che attraversa i secoli

19

. Anche l’intarsio dell’epitafio di Simonide nell’elegia, e al tempo stesso la ripresa da parte del Callimaco elegiaco di certi moduli propri dell’epigramma, sembrano lasciarsi leggere in tale prospet- tiva nei termini di un ‘superamento’ della scrittura epigrafica ad opera della poesia.

Come oralità e scrittura sono inestricabilmente connesse nella sua riflessione poetica, così in Callimaco si sovrappongono e si confondono il poeta e il filologo:

anche nel fr. 64 l’espressione diretta delle idee del primo sembra passare attraverso il cannocchiale del secondo. Nel confronto con PMG 581, l’elegia callimachea non può che apparire anche come una p r o p o s t a d i i n t e r p r e t a z i o n e di quel testo: proprio il riconoscimento di una singolare affinità di vedute con l’auctor elegiaco ed epigrammatico per antonomasia potrebbe aver suggerito a Callimaco la composizione dell’aition simonideo.

L’identificazione della fonte di ispirazione dell’elegia callimachea nel carme di Simonide consentirebbe di spiegare la mancanza di conferme relative alla pre-

17 «In short, the written word, preserved on nothing less than stone, fails when unvoiced»

(Bruss, o.c. 64). Lo stesso Bruss fa notare che l’etnico Foi'nix può ricordare l’origine fenicia delle lettere dell’alfabeto greco: «ironically, the ethnos that gave the Greeks writing cannot understand it» (ibid.). In tal senso, la ‘sconfitta’ di Fenice si lascia leggere come simbolica del soccombere della comunicazione scritta a fronte dell’autentica immortalità garantita dal ‘canto’.

18 Vd. da ultimo l’accurato studio di Doris Meyer, Inszeniertes Lesevergnügen. Das inschriftliche Epigramm und seine Rezeption bei Kallimachos, Stuttgart 2005, da me recensito in «BMCR»

(2006.09.27).

19 È suggestivo tentare un confronto tra Callimaco e Posidippo di Pella, che, sia pure da posizioni probabilmente distanti da quelle callimachee, condivideva la stessa temperie culturale e storica. Un’analoga intersezione di piani, che mostra quanto strettamente la nuova cultura sia connessa con quella precedente, si riscontra anche nell’epitafio di Dorica: l’ejpigrammatopoiov"

Posidippo rende il proprio omaggio alla grande poesia e al suo eterno risuonare, ma pur sempre dalle colonne di scrittura di un rotolo papiraceo (Sapfw'/ai de; mevnousi fivlh" e[ti kai; menevousin / wj/dh'" aiJ leukai; fqeggovmenai selivde" / ou[noma so;n makaristovn, o} Nauvkrati" w|de fulavxei / e[st` a]n i[h/ Neivlou nau'" ejf` aJlo;" pelavgh, 122,5-8 A.-B.).

(7)

sunta distruzione della tomba del poeta di Ceo ad Agrigento. Callimaco, in altre parole, potrebbe aver dato vita – sullo sfondo di un evento storico reale come lo smantellamento della necropoli agrigentina del 406 a.C. – ad una vicenda verosi- mile ma intessuta di materiali poetici, e soprattutto paradigmatica in termini di riflessione metaletteraria

20

. Una simile ipotesi non solo pare del tutto coerente con il gusto e la sensibilità alessandrini, ma trova anche conforto negli echi della poesia simonidea che percorrono il testo, e che tradiscono l’orizzonte l e t t e r a r i o piut- tosto che s t o r i c o-a r c h e o l o g i c o in cui deve aver preso corpo l’elegia.

A rivelare il carattere letterario-erudito del poema sono innanzi tutto le infor- mazioni che trovano qui la loro prima attestazione: l’empia impresa del Foi'nix, il richiamo di tipo proverbiale a Camarina (vv. 1s.)

21

, l’attribuzione a Simonide del- l’invenzione della mnemotecnica (v. 10), e l’episodio del crollo del palazzo degli Scopadi da cui il poeta si sarebbe miracolosamente salvato (vv. 11ss.).

20 Non è forse privo di interesse segnalare che una vicenda per certi aspetti simile a quella relativa alla presunta tomba di Simonide avrebbe coinvolto – secondo il racconto della Vit.

Sophocl. 15 (test. 1,63-70 R.2) – anche il sepolcro di Sofocle nei pressi di Atene (kai; ejpi; tw'n patrwv/wn tavfwn <eij" to;n tavfon> ejtevqh tw'n para; th;n ejpi; Dekevleian oJdo;n keimevnwn pro; tou' teivcou" iaV stadivwn: fasi; de; o{ti kai; tw'/ mnhvmati aujtou' seirh'na ejpevsthsan, oiJ de; khlhdovna calkh'n. kai; tou'ton to;n tovpon ejpiteteicikovtwn Lakedaimonivwn kata; `Aqhnaivwn Diovnuso"

kat` o[nar ejpista;" Lusavndrw/ ejkevleusen ejpitrevyai teqh'nai to;n a[ndra eij" to;n tavfon: wJ" de;

wjligwvrhsen oJ Luvsandro", deuvteron aujtw'/ ejpevsth oJ Diovnuso" to; aujto; keleuvwn: oJ de; Luvsandro"

punqanovmeno" para; tw'n fugavdwn, tiv" ei[h oJ teleuthvsa", kai; maqw;n o{ti Sofoklh'" uJpavrcei, khvruka pevmya" ejdivdou qavptein to;n a[ndra): il generale spartano Lisandro sarebbe stato indotto da Dioniso in persona, apparsogli in sogno, a consentire la sepoltura di Sofocle nella zona fortificata. Se l’esito delle due storie è diverso, ad accomunarle è l’idea che le tombe dei poeti godano di una speciale protezione degli dèi: tale motivo, che il confronto con la Vita Sophoclis mostra essere topico, potrebbe aver suggerito a Callimaco una vicenda altrettanto inscritta in eventi storici quanto quella sofoclea. Per un caso di rimozione sacrilega di una tomba e della conseguente punizione divina, in età bizantina, vd. Livrea, o.c. 55-57.

21 L’espressione proverbiale con cui Callimaco sceglie di aprire il suo aition conosce una discreta fortuna: mh; kivnei Kamavrinan è la forma in cui Zenobio (V 18 = CPG I 123) cita tale proverbio, che farebbe riferimento alla palude di nome Camarina, prosciugata o canalizzata contrariamente all’indicazione dell’oracolo delfico («non muovere Camarina»). La conseguenza di tale azione sarebbe stata la rovina della vicina e omonima città, e il proverbio viene solitamente citato per indicare qual è la sorte di chi agisce contro se stesso: ma una parte della tradizione (Serv. Aen. III 701) allude, in particolare, ad una pestilenza subita quale punizione dai Camarinesi, ed è assai probabile che proprio questo elemento abbia attirato l’attenzione di Callimaco e lo abbia indotto a stabilire un’iperbolica associazione tra la sventura dei Camarinesi e quella del- l’empio condottiero. Tutte le attestazioni del proverbio sono successive al testo callimacheo e non risalgono oltre Virgilio (Aen. III 700s.): una raccolta delle fonti relative ai proverbi riguar- danti Camarina e i Camarinesi si trova in Camarina città greca. La tradizione scritta. Fonti raccolte e commentate da Marina Mattioli, introd. di Federica Cordano, Milano 2002, 217-232:

217-228. Vd. in proposito anche Massimilla, o.c. 37-39 ed ora E. Lelli, Volpe e leone: il prover- bio nella poesia greca (Alceo, Cratino, Callimaco), Roma 2006, 152s.

(8)

Per quel che riguarda la mnemotecnica, in assenza di precedenti testimonianze in proposito, non si può escludere che il riferimento di Callimaco potesse basarsi proprio su quanto si legge nella stessa poesia di Simonide: nel fr. 89 W.

2

, tratto da Aristid. Or. 28,59s. (II 160,20 K.) e appartenente ad una serie di versi ritenuti dallo stesso West di provenienza epigrammatica (frr. 86-91), la memoria di Simonide viene celebrata come senza pari:

mnhvmhn d` ou[tinav fhmi Simwnivdh/ ijsofarivzein

22

.

Ma non si dovrà ignorare che, nello stesso testo, poco oltre, viene anche citato il nome del padre del poeta, che Callimaco riferisce nel v. 8 della sua elegia:

ojgdwkontaevtei paidi; Lewprevpeo"

23

.

La definizione dell’identità di Simonide come inventore delle lettere ‘lunghe’

24

e al tempo stesso come campione di memoria appare – nel contesto dell’interpretazione proposta – particolarmente significativa, anzi funzionale: una simile rappresenta- zione, infatti, permette a Callimaco di collocare il poeta di Ceo nella prospettiva di un confronto fra gravmmata e mnhvmh, di cui si è detto sopra

25

. Ma la mnhvmh simonidea è anche l’emblema di una rivoluzione epocale nel modo di concepire la poesia: con Simonide la memoria non è più una forma di conoscenza privilegiata e ispirata che conduce alla ‘verità’, ma una tecnica laicizzata, che destituisce il poeta del suo ruolo tradizionale di ‘maestro di verità’

26

. Simonide incarna in tal senso un nuovo e ‘moderno’ modello di poeta.

22 Su Simonide e la mnemotecnica, vd. H. Blum, Die antike Mnemotechnik, Hildesheim 1969, 41-46 e Frances Yates, L’arte della memoria, trad. it. Torino 1972 (ed. or. London 1966), 3-6, 27-29, 40-42 e passim. Del fr. 89 W.2 W. Slater (Simonides’ House, «Phoenix» XXVI, 1972, 232-240: 235s.) propone un’interpretazione ‘eterodossa’, secondo cui il termine mnhvmhn sarebbe qui usato nel senso di ‘fama’, ma sarebbe stato frainteso poi come ‘capacità mnemonica’: da tale fraintendimento sarebbe derivata la tradizione relativa alla portentosa memoria di Simonide.

Come fa notare S. Goldhill (A footnote in the history of Greek epitaphs: Simonides 146 Bergk,

«Phoenix» XLII, 1988, 189-197), il valore di mnhvmhn ipotizzato da Slater risulterebbe affatto isolato nell’àmbito della tradizione epigrammatica sepolcrale: non mi pare pertanto condivisibile neppure l’interpretazione del distico proposta dallo stesso Goldhill, per cui Simonide farebbe leva proprio sul duplice significato – attivo e passivo – di mnhvmh.

23 Pone l’aition callimacheo in relazione con il fr. 89 W.2 di Simonide anche la Barbantani, o.c. 49s., la quale, pur ipotizzando che Callimaco conoscesse addirittura il testo del vero epitafio simonideo, ammette anche: «maybe the Hellenistic poet had in mind, if not Simonides’ true epitaph, a specific epigram attributed to the lyric poet, Simon. fr. 89 West2».

24 Vd. P. Oxy. XV 1800 fr. 1 II 40ss. e Suda s 439 A.

25 Per quel che riguarda il ruolo di Simonide nell’introduzione dei segni che avrebbero portato l’alfabeto ionico al numero di 24 grafemi, vd. la proposta di ricostruzione di Magnani, o.c. 16s.

26 Canoniche restano in proposito le riflessioni di M. Detienne, Simonide de Céos ou la sécularisation de la poésie, «REG» LXXVII (1964) 405-419: 410ss., ma vd. anche Id., I maestri di verità nella Grecia arcaica, Roma-Bari 1977 (ed. or. Paris 1967), 1-16.

(9)

Che Callimaco abbia ben presenti questi versi simonidei pare dunque difficil- mente dubitabile: ma altri elementi del testo confortano l’idea che il poema di Callimaco intrecci variamente materiali letterari simonidei.

Se il celebre episodio del crollo del palazzo degli Scopadi doveva innanzi tutto trovare qualche riscontro in un carme di Simonide e sembra avere comunque Callimaco come testimone più antico a noi noto

27

, anche l’associazione degli Scopadi alla città di Crannone sembra avere trovato spazio già nei qrh'noi simonidei (PMG 529). Ma un esame lessicale del poema callimacheo rivela coincidenze ancora più interessan- ti. Nella prospettiva di chi conferisce alle indicazioni di Callimaco una consistenza topografica ed archeologica precisa

28

, anche una determinazione quale pro; povlho"

sembra avere una valenza realistica: non si può trascurare però che la locuzione deriva primariamente da Il. X 110

29

, e compare in questa forma anche in uno degli epigrammi ‘simonidei’ (AP VII 442 = FGE 904-907):

eujqumavcwn ajndrw'n mnhswvmeqa, tw'n o{de tuvmbo", oi} qavnon eu[mhlon rJuovmenoi Tegevan

aijcmhtai; p r o; p ov l h o ", i{na sfivsi mh; kaqevlhtai

~Ella;" ajpofqimevnou krato;" ejleuqerivan.

Le categorie di ajnh;r kakov" e di ajnh;r iJerov", poi, non sono prive di eco nella poesia simonidea, che alla definizione di simili criteri di giudizio morale dedica la rifles- sione più ampia in PMG 542 (vv. 17s. pravxa" ga;r eu\ pa'" aj n h; r aj g a q ov ", / k a k o; " d` eij kakw'"): la definizione del Foi'nix come ajnh;r kakov" è in effetti coerente con il criterio pragmatico suggerito in ultima analisi da Simonide, secondo cui da lodare sono quanti «non fan di proposito / niente di turpe»

30

. In questa categoria non rientra il Foi'nix, a causa della sua empia azione, e a lui sarà dunque da riservare la condanna simonidea di ajnh;r kakov".

La vicenda storica del cartaginese Annibale, che nell’àmbito dell’assedio di Agrigento del 406 a.C. avrebbe fatto smantellare la necropoli e sarebbe morto nella successiva pestilenza, risulta compatibile con quanto si legge nel testo callimacheo, solo qualora si intenda il sintagma ptovlio" scevtlion hJgemovna (v. 6) nel senso di

27 Vd. PMG 510 (Cic. De or. II 86): Page (ad l.) ricostruisce l’esistenza di due carmi (l’epinicio per un pugile, pieno di lodi dei Tindaridi, e un carme sulla morte degli Scopadi) e di due leggende, l’una relativa al rifiuto del compenso in denaro per Simonide da parte del suo patrono, non soddisfatto dei troppi elogi riservati dal poeta a Castore e Polluce piuttosto che a lui, e l’altra relativa invece alla memoria di Simonide, capace poi di ricordare alla perfezione il luogo in cui si trovavano i convitati prima del crollo della sala, che miracolosamente risparmiò lui soltanto. Vd. anche frr. 509s. Campb.

28 Per cui vd., ad es., L. Lehnus, A Callimachean medley, «ZPE» CXLVII (2004) 27-32:

31s., e la recentissima sintesi della questione proposta da Magnani, o.c. 21s.

29 Da cui anche Nonn. D. VII 166, XLVI 141, Quint. Smyrn. VI 313.

30 C. Neri, La lirica greca. Temi e testi, Roma 2004, 258.

(10)

«sventurato condottiero della città»: con maggiore precisione rispetto ad ajnh;r kakov", l’espressione definirebbe il condottiero della città ‘disgraziato’, ovvero empio per la violazione della necropoli e al tempo stesso sventurato per la morte improvvisa a causa della peste

31

. Annibale, in effetti, non divenne mai hJgemwvn di Agrigento, essendo morto prima dell’espugnazione della città. Se l’esito infausto della vicenda del condottiero fenicio doveva con ogni probabilità essere brevemente illustrato nel séguito del poemetto, la definizione di ptovlio" scevtlion hJgemovna potrebbe legger- si quale efficace anticipazione. Non è privo di significato rilevare a questo riguardo che l’aggettivo scevtlio" viene usato una sola volta nel corpus simonideo superstite proprio nella stessa accezione, tipica della lexis tragica (PMG 575):

s c ev t l i e pai' dolomhvdeo" `Afrodivta", to;n “Arh/ †dolomhcavnw/ tevken

32

.

Mentre l’impiego della forma femminile di livqo" segna un’adesione indubbia alla tradizione epigrammatica, specialmente sepolcrale

33

, più interessante è la locuzio- ne Khvi>on a[ndra to;n iJerovn, con cui nell’epitafio callimacheo inscritto nell’elegia viene designato Simonide (v. 9). Una simile definizione trova un parallelo eviden- te nel Simonide qei'o" ajoido;" oJ Khvio" di Theocr. 16,44, e nella più celebre antonomasia Ci'o" ajoidov", con cui Teocrito stesso allude ad Omero in ben due occasioni, 7,45-49:

w{" moi kai; tevktwn mevg` ajpevcqetai o{sti" ejreunh'/

i\son o[reu" korufa'/ televsai dovmon `Wromevdonto",

31 Come fa notare già Magnani, o.c. 21, l’espressione sarebbe usata da Callimaco con accento ironicamente – e non sinceramente – commiserativo.

32 All’uso callimacheo potrebbe forse adattarsi anche il significato di ‘ostinato’, che Sylvie Vanséveren (Scevtlio" dans l’épopée homérique. Étude sémantique et morphologique, in Quaestiones Homericae. «Acta Colloquii Namurcensis habiti diebus 7-9 mensis Septembris anni 1995», edd.

L. Isebaert & R. Lebrun, adiuv. P. Normand, Louvain-Namur 1998, 253-273) riconosce all’ag- gettivo in àmbito omerico: «l’adjectif souligne tout d’abord l’entêtement, l’obstination de certains personnages à perséverer dans des actes ou des idées, le plus souvent de façon négative». L’osti- nazione del condottiero cartaginese lo avrebbe portato paradossalmente a non diventare mai hJgemwvn di Agrigento: la locuzione andrebbe quindi intesa anche in questo caso in senso ironico.

Sulla ricostruzione e l’interpretazione di PMG 575, vd. F. Pontani, Simonide e Amore (a propo- sito di PMG 575), in questo volume, pp. 119-142.

33 Vd. e.g. Iul. Aegypt. AP VI 28,6, Damoch. AP VI 63,5, Iul. Aegypt. AP VI 68,4, Diod.

AP VII 40,1 (GPh 2166), anon. AP VII 346,2, Crin. AP VII 380,4 (GPh 2002), Leon. AP VII 740,1 (HE 2435), Greg. Naz. AP VIII 77,2, anon. AP IX 67,1 (FGE 1304), Adae. AP IX 544,5 (GPh 41), anon. AP IX 695,1, Antip. Sid. AP IX 723,1 (HE 434), Plat. [Iun.] AP IX 747,1 (FGE 303), Plat. Iun. AP IX 748,1 (FGE 299), Asclep. o Antip. Thess. AP IX 752,2 (HE 1015), Aemil.

AP IX 756,1 (GPh 63), adesp. AP IX 780,1, anon. AP XVI 142,1, Antip. Sid. AP XVI 167,2 (HE 465), anon. AP XVI 175,1, Theaet. AP XVI 221,1, Nil. Schol. AP XVI 247,3.

(11)

kai; Moisa'n o[rnice" o{soi poti; C i' o n aj o i d ov n ajntiva kokkuvzonte" ejtwvsia mocqivzonti

e 22,218-220:

uJmi'n ku'do", a[nakte", ejmhvsato C i' o " aj o i d ov " , uJmnhvsa" Priavmoio povlin kai; nh'a" `Acaiw'n

`Iliavda" te mavca" `Acilh'av te puvrgon ajuth'".

La definizione pare familiare anche alla tradizione erudita e lessicografica

34

, ma soprattutto è impiegata per la prima volta proprio da Simonide, nel fr. 19 W.

2

= 7 Gent.-Pr., conservato da Stob. IV 34,28:

e}n de; to; kavlliston C i' o " e[eipen ajnhvr:

“oi{h per fuvllwn genehv, toivh de; kai; ajndrw'n”:

pau'roiv min qnhtw'n ou[asi dexavmenoi

stevrnoi" ejgkatevqento: pavresti ga;r ejlpi;" eJkavstw/

ajndrw'n, h{ te nevwn sthvqesin ejmfuvetai.

Il fatto che Khvi>on a[ndra sia ulteriormente precisato da to;n iJerovn fa apparire ancora più verosimile l’ipotesi che Callimaco – come pure Teocrito – operi una sorta di sovrapposizione tra l’uomo/cantore di Chio, iJerov" quant’altri mai

35

, e l’uo- mo di Ceo, di cui il poeta elegiaco ed epigrammatico Callimaco sembra voler rivendicare una non inferiore sacralità

36

.

34 Oltre allo schol. 7,47 poti; [to;n] Ci'on ajoidovn: to;n ”Omhron, si considerino e.g. Phlp. c 8 rec. E Daly C i' o ": ejpivqeton, oJ aj n hv r, Eust. ad Il. 21,25-27 w{sper de; to; a[nax, ou{tw kai; to;

di'o", o{ ejstin e[ndoxo", ejpi; ajnqrwvpwn uJperecovntwn levgetai kaq` oJmoiovthta tou' Diov", ejx ou|

divi>o" kai; kravsei di'o", wJ" Civo" nh'so" kai; ajp` aujth'" Civi>o" kai; C i' o " aj n hv r e ad Od.

1462,54s. oJ mevntoi C i' o " aj n h; r h] oi\no" h[ ti toiou'ton, properispa'tai dia; th;n sunaivresin th;n ejk tou' Civi>o". Sulla definizione di Ci'o" ajnhvr o Ci'o" ajoidov" per Omero, vd. anche Barbara Graziosi, Inventing Homer. The Early Reception of Epic, Cambridge 2002, 62-79: come mostra L. Sbardella (Ci'o" ajoidov": l’Omero di Teocrito, in La cultura ellenistica. L’opera letteraria e l’esegesi antica. «Atti del Convegno COFIN 2001. Università di Roma “Tor Vergata”, 22-24 settembre 2003», a c. di R. Pretagostini-E. Dettori, Roma 2004, 81-94), l’ambiguità di tale espressione, che si riferisce ad Omero ma anche allo «stesso cantore omeride che ne conserva e tramanda il patrimonio di canti attraverso la prassi rapsodica», ha pesato sull’intera tradizione poetica successiva. Quanto al ‘cantore di Ceo’, vd. Hdn. Epim. p. 66,8s. Boissonade Kei'o" ajnh;r, oJ ajpo; th'" Kevw, Suda k 1476 A. Kei'o" ajnhvr: ajpo; th'" Kevw.

35 Vd. e.g. anon. AP VII 3 ejnqavde t h; n iJ e r h; n k e f a l h; n kata; gai'a kaluvptei, / ajndrw'n hJrwvwn kosmhvtora q e i' o n ”O m h r o n.

36 Secondo N. Austin (Idyll 16: Theocritus and Simonides, «TAPhA» XCVIII, 1967, 1-21:

10ss.), Teocrito assume a proprio modello Simonide, e tra i grandi autori della tradizione lo riconosce come il più vicino a sé, quasi un alter ego: più in generale, a proposito dell’attenzione

(12)

Non sfugga peraltro il fatto che il testo simonideo che Callimaco potrebbe far risuonare in Khvi>on a[ndra è incentrato proprio sul tema dell’umana precarietà, in sintonia dunque con gli accenti del Simonide callimacheo

37

.

Nessuna forzatura, dunque, nella riproduzione della voce dell’antico poeta, ma una rigorosa attenzione nei confronti delle tracce che se ne sono conservate: che il Callimaco filologo lavori nel fr. 64 fianco a fianco con il poeta, riconosceva d’altro canto già Gabathuler (o.c. 63), cui pure dell’elegia era noto solo quanto trasmesso per tradizione indiretta

38

. Né il poeta Callimaco è da meno del filologo: la costru- zione d’insieme è raffinata e ricercata nei dettagli. Secondo quanto fa rilevare Bing (o.c. 67s.), ad ogni livello del componimento opera un processo di «incorporation»:

la presunta pietra tombale di Simonide è incorporata nel muro, la voce di un poeta è inscritta in quella di un altro, l’epitafio – aggiungerei – è intarsiato nell’elegia, e il filologo coincide con il poeta.

In conclusione, se il collegamento tra il nostro aition e il sacrilegio di Annibale pare assai verosimile, l’effettiva esistenza tra quelle tombe del sepolcro di Simonide non è dimostrabile. La lettura proposta del fr. 64 contribuisce, cioè, a mettere in discussione la storicità della ‘tomba di Simonide’ nei termini in cui se ne è trattato sinora, e suggerisce un diverso atteggiamento nei confronti del testo callimacheo, che sembra doversi leggere in costante relazione intertestuale con la poesia di Simonide. Non risultano tuttavia intaccati né il valore delle indagini volte a circo- scrivere per quanto possibile i realia che i versi di Callimaco presuppongono – sia pure per giungere a constatare che non è possibile procedere oltre una generica

degli autori di età ellenistica nei confronti di Simonide, egli osserva che «Simonides had the gift of catching and reproducing colloquial speech patterns», e che «in this mimetic ability he again shows himself a forerunner of Theocritus and the Alexandrinians». Ma anche Plat. Resp. 29,331e, 30,335e definisce Simonide rispettivamente come sofo;" ga;r kai; qei'o" ajnhvr, e come uno tw'n sofw'n te kai; makarivwn ajndrw'n. Sul rapporto, poi, tra Simonide e Omero, si vedano le rifles- sioni di G. Arrighetti (La ejpwvnumo" hJmiqevwn genehv di Simonide, fr. 11,16-18 W.2) e di C. Brillante (Omero, Simonide e l’elegia di Platea), in questo volume, risp. pp. 89-98 e 99-118.

37 Toni pessimistici che solo in apparenza sono in contraddizione con lo spirito di commos- sa e riconoscente celebrazione proprio del testo forse meglio noto di Simonide, l’encomio/epitafio dei caduti alle Termopili (PMG 531): tw'n ejn Qermopuvlai" qanovntwn / eujkleh;" me;n aJ tuvca, kalo;~ d` oJ povtmo", / bwmo;" d` oJ tavfo", pro; govwn de; mna'sti", oJ d` oi\kto" e[paino": / ejntavfion de; toiou'ton ou[t` eujrwv" / ou[q` oJ pandamavtwr ajmaurwvsei crovno". / ajndrw'n ajgaqw'n o{de shko;"

oijkevtan eujdoxivan / ~Ellavdo" ei{leto: marturei' de; kai; Lewnivda", / Spavrta" basileuv", ajreta'"

mevgan leloipwv" / kovsmon ajevnaovn te klevo". La tomba degli Spartani è un’ara, e nulla potrà oscurare la loro gloria proprio perché a custodirla è la eujdoxiva (v. 6) della Grecia intera, unica vera garanzia di immortalità.

38 «Mag dieses [Epigramm] aus den Studien des Dichters herausgewachsen sein». De Waele (o.c. 49), in margine alla sua ricostruzione delle vicende storiche cui allude il testo callimacheo, osserva che a Callimaco «die Historiker, die diese Episode sizilischer Geschichte beschrieben haben, Philistos oder Timaios, nicht unbekannt gewesen sein können, was bei der Gelehrsamkeit und Belesenheit des Alexandriners auch kaum verwundern kann».

(13)

identificazione di circostanze e luoghi – né il fondamento documentario del lavoro callimacheo, che per ridare voce ad un poeta ricorre in primis ai suoi versi. L’ana- lisi del testo svolta ne porta anzi in luce, in ultima analisi, la coerenza con un principio metodologico callimacheo: il fr. 64 mostra, cioè, che nell’aj m av r t u r o n o uj d e; n aj e iv d w (fr. 612 Pf.)

39

meglio non potrebbe esprimersi l’identità del poeta-filologo.

V

A L E N T I N A

G

A R U L L I*

Abstract

The destruction of Simonides’ grave, which Callimachus refers to in Aitia fr. 64 Pf., may be a literary construction, as several connections between Callimachus’ lines and some Simonidean texts – in primis PMG 581 – seem to suggest.

39 Per una diversa interpretazione del frammento, vd. Doris Meyer, „Nichts Unbezeugtes singe ich“: Die fiktive Darstellung der Wissenstradierung bei Kallimachos, in AA.VV., Vermittlung und Tradierung von Wissen in der griechischen Kultur, hrsg. v. W. Kullmann und J. Althoff, Tübingen 1993, 317-336.

* Ringrazio Luigi Lehnus ed Enrico Magnelli per la lettura in anteprima e i preziosi sug- gerimenti.

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