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I dati di fine settimana ci mostrano mercati che "si assestano" o "rimbalzano a gatto morto" dopo gli choc delle ultime settimane

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24 Gennaio 2016 – "Lenire le sofferenze delle Banche"?

I dati di fine settimana ci mostrano mercati che "si assestano" o

"rimbalzano a gatto morto" dopo gli choc delle ultime settimane ma le variazioni di fine settimana nascondono rimbalzi anche più ampi, sì, ma da ulteriori nuovi minimi. Perché, prima di assestarsi, i mercati passano tre giorni a estendere il tonfo.

E questa, in generale, è la prima conclusione sullo scenario della settimana: i mercati continuano il pesante ribasso iniziato fra dicembre e Capodanno.

Poi: prima di "assestarsi" a fine settimana, i mercati segnano un altro tonfo.

Ovviamente sapete già tutto, martellati da giornali e tivù, sul paio di giornate di panico sui settori bancari globali, e specificamente su quello europeo:

Milano minimo a 17800 (allarme da crollo)

Dow Jones minimo a 15450, -5%, e preallarme ribassista acuto, Shanghai, minimo a 2830, tentativo fallito di annullare l'allarme di 3000, da lì arretramento del 5%,

eccetera.

E poi ci sono i casi appunto delle Banche,

con episodi di panico non solo su alcuni titoli italiani, magari esagerati da eventuali "errori di comunicazione" (il famoso Montepaschi, che in quattro giorni fa -40%, +74% e - 22%. Siete "gente di numeri", non c'è bisogno di dirvi che il +74% serve solo a tornare al punto di partenza del -40% del giorno prima, e che alla fine resta il -22%),

con un andamento meno folle ma comunque preoccupante dell'indice bancario europeo (-7, +7%, per un banale -1% finale che conferma il -17% da Capodanno e -31% dall'estate),

ma soprattutto (e chissà come mai io ci martellavo da tempo, quando questo indice era l'unico a andare controtendenza a un fragile recupero) con il caso clamoroso delle Banche tedesche:

affondano sull'ennesimo minimo, partecipano al rimbalzo di fine settimana con un +3%, ma chiudono comunque a -6.61%

[58.89: fra 50 e 60 siamo sui minimi assoluti del "crollo Lehman" del 2009].

Poi: rimbalzo delle banche a fine settimana, ma indice Itrax dei credit default swap del settore... in ulteriore ribasso?

E, quando parla Draghi cercando di rassicurare i mercati, Milano rimbalza, Montepaschi rimbalza, ma i Tedeschi restano lì piantati su minimi storici che Milano non ha ancora nemmeno rivisitato?

Fiacca Francoforte, fiacca Shanghai?

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Stanno scendendo, allora, globalmente, i creditori?

Uhm...

Quando è che di solito perdono, i creditori?

In due casi:

* quando devono accettare di rinegoziare i loro crediti, condonandone una parte, o vedendo gli interessi e il capitale diluirsi in un'inflazione,

cosicché aver impiegato il capitale in quegli investimenti o finanziamenti non sembra esser stata una grande idea,

oppure "al contrario":

* quando i debitori rifiutano di pagare i debiti, spesso al culmine di una deflazione.

Una deflazione favorisce i creditori, finché non uccide i debitori.

(Chiede: "Quale dei due casi si sia verificando? In quale dei due scenari siamo?"

Irrilevante. Irrilevante, una volta che sappiamo che il primo, se protratto, porta per forza al secondo.

Comunque sapete che, a grandi linee, io ritengo che quella del 2009/2013/2014 sia stata una inflazione spudorata, anche se si è sfogata sulle Borse e sui bond lasciando deboli le materie prime.

Deve seguire una deflazione.

Quella di cui vi siete lamentati con Draghi non era ancora una deflazione).

Attenzione: avendo abbastanza tempo a disposizione, la perdita può essere totale, o amplissima, in entrambi i casi.

Dice: "ma se il debitore fa default recupero 40 o 50 centesimi per dollaro, invece con l'inflazione è una erosione graduale...".

Mah...

In sette anni (2008/2016) di stimoli monetari, se c'è un finanziamento che avrebbe richiesto tassi intorno al 6% per essere profittevole e avere margini di sicurezza (6% equivale a un tasso d'insolvenze sopportabile appunto del 6%), ma che ho costretto a un tasso dello 0.5%,

1) distruggo oltre il 40% del profitto dell'operazione,

2) metto il creditore in condizione di poter sopportare soltanto uno 0.5% di sofferenze.

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E questa è la correlazione, la vera correlazione, fra "crediti inesigibili" e "interventi della BCE".

Due temi che in questi giorni invece vengono discussi come se fossero antitetici. Come se uno risolvesse l'altro.

"Le Banche soffrono, allentiamo il credito della Banca centrale",

A cose serve preoccuparsi dei crediti inesigibili, se costringo i creditori a prestare a tassi che impediscono di creare riserve? E quindi disincentivano (razionalmente) l'assunzione di rischi?

E se anche immagino di coprire i rischi di insolvenza e i conseguenti rischi sistemici con meccanismi di "assicurazione"

collettiva (fondi di garanzia, nazionalizzazioni, aggregazioni, ecc.), il problema di come finanziare questi meccanismi resta, finché le Banche non generano profitti, e finché la fiscalità generale è quella che è (aumentare le tasse? ma dài...).

Infine: il maggiore e più grave equivoco, è credere che tassi a zero o quasi (e sono forti le pressioni su Draghi perché li abbassi ancora, e qualcuno [non io] si aspetta che in caso di disastro anche la FED americana possa fare marcia indietro rispetto al piccolo aumento appena fatto) "aiutino le imprese e le famiglie a restituire i prestiti e le Banche a ridurre le sofferenze".

Una delle componenti principali del tasso d'interesse su un prestito è il "premio di rischio". Abolirlo, elimina una componente decisiva della gestione del rischio di credito.

Rende intollerabili le insolvenze.

Le Banche non prestano "perché appesantite dalle sofferenze"?

Le Banche non prestano perché allo 0.75% di tasso d'interesse dovrebbero scommettere che in futuro soltanto 0.75 clienti su cento abbiamo difficoltà economiche, o commettano errori, o sbaglino le loro previsioni sul prezzo del greggio o sulle quotazioni dello yen.

Sì, il rischio di credito si combina con il rischio-greggio [vedi sotto].

Prima di creare una "bad bank" e aspettarsi che rilanci il credito,

sarebbe opportuno ripensare a cosa il credito sia, come funzioni, a cosa servano tassi e selezione dei debitori.

Altrimenti quella di questi giorni, che è sembrata a qualcuno

"una ricaduta della crisi del 2008/2009",

sarà la premessa della ricaduta del 2017, di quella del 2019, di quella del 2022.

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Un'altra delle mie "fisse", oltre a quella di guardare le quotazioni [profetiche, come vedete] delle Banche del Paese che si presumeva "spietato ma solido creditore", la Germania, è quella di guardare e aggiornare la storia della Borsa giapponese.

Ventisei, quasi ventisette, anni di repliche di questo meccanismo di continua ricaduta in crisi legate all'inceppamento del sistema creditizio,

nonostante ventisei, quasi ventisette, anni di tassi bassissimi.

Imparare no, eh?

Facciamo "una bella holding delle Banche di credito cooperativo", e via.

Non ho molto da aggiungere, perché i mercati si sono presi in realtà sì e no 36 ore di pausa sui livelli di allarme da crisi acuta che vi avevo indicato il 3 e il 17 gennaio,

e sarebbe ridicolo valutare sulla base di questa minima pausa, per esempio, l'"efficacia" degli interventi verbali di Draghi.

Ho sentito il direttore di un giornale tradizionalmente

"fuochista" e "filo-istituzionale" come il "Sole XXIV Ore"

esprimersi in termini insolitamente freddi dopo l'intervento di Draghi che ha innescato il rimbalzino delle Borse europee (rassicurando sulle Banche italiane e su possibili nuovi aiuti da parte della BCE).

Sentire da una fonte certamente non "critica" un avvertimento a "non illudersi sul rimbalzo delle Borse" giovedì/venerdì, sentirgli dire che a provocare il ribasso delle Banche non era stata semplicemente "speculazione",

sentir dire che "si possono distruggere risparmi con i crolli in Borsa, ma se ne possono distruggere altrettanti inducendo con falso ottimismo a comprare rialzi fasulli", e che "qualche rialzo dei mesi scorsi era fasullo"

[be'... caro... adesso, arrivi?

Perché non le ho lette sul "XXIV Ore" queste cose, quando dovevo battagliare tutte le domeniche per impedire ai clienti di comprarsi Unicredit a 6.99? O a 40, eh? se è per quello]...

... be', insomma.

Un po' forse era un modo di fare pressing sugli amici europei.

O su chi deve parlarci a proposito della "bad bank".

Un po'... difficile tacere, qualche volta. Qualche volta si dice quel tanto di verità che basta per evitare di essere, un

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E infine:

rischio di sistema: se c'è qualcosa che i tonfi delle scorse settimane e le modalità dei rimbalzi di questi giorni hanno chiarito, è che su importanti segmenti di mercato gli operatori non hanno prezzi

"fondamentali" cui fare riferimento.

In Borsa si dice "quando un coltello cade, lascialo arrivare a terra, non cercare di prenderlo al volo".

Bene, in queste settimane (secondo me, da due mesi) passano molto tempo a discutere (anche per iscritto) se il pavimento ci sia o no, e comunque faticano a trovarlo.

"Aggiustamenti" del 40% da un giorno all'altro, nelle due direzioni, dei titoli di una Banca, significano questo.

Ne avevamo parlato verso fine anno.

Avevo spiegato [13 dicembre] che questo tipo di incertezza aumenta quando una importante variabile nella determinazione del prezzo viene "calmierata" e sottratta al "voto" dei mercati (e questo è accaduto con i tassi d'interesse e con il prezzo dei titoli di Stato, entrambi cruciali per i bilanci bancari), e che l'incertezza peggiora se viene deformato anche il criterio per attualizzare i valori futuri (rate, mutui, cedole):

quando ho attualizzato 30 anni di rate a un tasso pari allo zero per cento (significa: "soldi oggi e soldi fra trent'anni, è lo stesso"), e improvvisamente devo riattualizzare quel flusso a un tasso del...

1? 1.5? 0.75? Boh? per cento, scopro che le oscillazioni di valore di un portafoglio di mutui sono amplissime.

Figuriamoci quelle di un portafoglio di derivati.

Il mercato deve "leggere" e interpretare uno choc come quello provocato dal greggio,

deve ripensare gli utili sulla base della frenata dell'economia cinese,

e già questo sarebbe un compito arduo, che sta tenendo occupati i commentatori a tempo pieno (se ne leggono un po' di tutti i colori).

Ma se alle variabili industriali e politiche si aggiunge un'incertezza puramente statistica, matematica, il rischio di errori diventa spaventoso, e il mercato si fa pagare questo rischio.

E: al massimo dell'incertezza sulla credibilità dei prezzi, diventa massimamente fragile il settore che vende "numeri su carta": quello bancario.

Anche se il problema è il petrolio, o l'acciaio cinese.

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