MODELLI DI STIMA DEL VOLUME PER I POLLONI DI FA G G I O D E L L’APPENNINO LUCANO SETTENTRIONALE (1)
FDC 524 : 222 : 176.1 Fagus : (450.77)
Gli studi dendroauxometrici sui boschi lucani risultano molto carenti e circoscritti in ambito locale. Il presente lavoro è consistito nella individuazione delle relazioni esistenti tra il volume e le dimensioni degli alberi dei soprassuoli a ceduo di faggio dell’appennino lucano settentrionale. Sono stati, a tale scopo, realizzate tavole di cubatura ad una e a dop - pia entrata che costituiscono modelli previsionali da utilizzare a fini estimativi in ambito locale. Il contributo, dopo aver fornito un inquadramento dei soprassuoli considerati ed una descrizione sintetica dei rilievi effettuati, pone l’attenzione sui modelli pre v i s i o n a l i impiegati comunemente in questo tipo di analisi, descrivendo in dettaglio la metodologia p rescelta per l’individuazione delle variazioni del volume degli alberi in funzione del solo d i a m e t ro a 1.30 m dal suolo e di tale diametro e dell’altezza totale. I coefficienti numerici delle equazioni previsionali ricercate sono stati stimati utilizzando l’analisi di re g re s s i o n e con i minimi quadrati ponderati in considerazione della eteroschedasticità presente nelle o s s e rvazioni campionarie. L’analisi dell’entità e della distribuzione degli scostamenti tra valori osservati e corrispondenti valori attesi hanno evidenziato un buon adattamento alle o s s e rvazioni sperimentali da parte dei modelli perequativi pre s c e l t i .
P
REMESSALa carenza di modelli di previsione delle masse arboree e di adeguati studi dendro-auxometrici utili per la conoscenza dei boschi cedui costitui- sce da anni un serio inconveniente nella gestione del patrimonio forestale della regione lucana. I boschi cedui presenti in Basilicata si estendono su una superficie di circa 63.000 ettari, di questi quasi 2.400 ha sono costituiti
– I.F.M. n. 2 anno 2002
(*) D o t t o re in Scienze Forestali, Dottore di Ricerca. Università degli Studi della Basilicata – Dipartimento di Produzione Vegetale, Sezione di Selvicoltura.
(**) Tesista in Scienze Forestali presso il medesimo Istituto.
(1) Il lavoro è stato svolto dagli Autori in parti eguali.
da faggio, trattati, per la maggior parte (1.982 ha), a ceduo semplice e, in misura minore, a ceduo composto (L
AM
ARCA, 1989). Attualmente il legno ricavato da questi soprassuoli trova principale impiego nella produzione di e n e rgia, in falegnameria grossolana e per la realizzazione di piccoli lavori a rtigianali. Occorre però pre c i s a re che, potenzialmente, questi boschi p o t re b b e ro re n d e re disponibili produzioni per un mercato ancora più ampio, in particolare per la tecnologia del legno lamellare incollato (B
ERTIet al., 1991; B
E RT I, 1994) in grado di utilizzare anche piccoli elementi di legno massiccio o per l’industria cartaria per la produzione di paste che- miotermomeccaniche: il legno proveniente dai cedui di faggio, infatti, con o p p o rtune mescolanze fornisce vantaggiose paste ad alta resa (F
E R R A-
RI
, 1997). Pur esistendo un certo interesse intorno alle capacità di accresci- mento di questi soprassuoli, non esistono attualmente, per i cedui di faggio lucani, studi e ricerche in grado di caratterizzarne le potenzialità produtti- ve. Il lavoro, nell’intento di ampliare le conoscenze relative a queste forma- zioni, è consistito in uno studio sui modelli di previsione del volume den- d rometrico dei soprassuoli cedui di faggio. Dopo alcune considerazioni sulla distribuzione e l’ecologia del faggio in Basilicata e nel territorio consi- derato, vengono discusse le procedure che hanno consentito di individuare il modello ottimale di previsione delle masse legnose. Le equazioni adottate p e rmettono di stimare il volume dendrometrico dei polloni, esclusa la ramaglia minuta, in funzione del solo diametro a 1,30 dal suolo e dello stes- so diametro e dell’altezza totale dei polloni.
L’
AMBIENTEL’ a reale lucano del faggio è legato ai maggiori complessi montuosi della catena appenninica. L’orizzonte vegetazionale è compreso tra i 1100 e i 1800 m s.l.m.; lungo una fascia così ampia, sono individuabili una associa- zione tipica delle zone a quota più elevata, la faggeta mesofila appartenente all’Asyneumati-Fagetum (G
ENTILE, 1969) ed una attribuibile alla parte infe- r i o re della medesima zona, la faggeta termofila ascrivibile all’associazione Aceri lobelii-Fagetum (A
I TAet al.,1984). I boschi cedui investigati sono localizzati nella fascia appenninica lucana settentrionale e sono inquadrabili tutti in quest’ultima associazione; generalmente, infatti, questi soprassuoli non si spingono oltre i 1200 m di quota.
Le specie caratteristiche dell’associazione sono C o rydalis solida, A c e r
lobelii, Chaerophyllum temulum e Asperula taurina var. macrophylla. Nello
strato arboreo si rinvengono, sporadicamente, Acer pseudoplatanus, A c e r
l o b e l i i, Sorbus aucuparia e più raramente Ilex aquifolium. Queste specie
a r b o ree, in consociazione coi giovani faggi, vanno a costituire lo strato
arbustivo «alto», non superando, generalmente, i 5-6 metri di altezza.
Lo strato arbustivo «basso» è caratterizzato dalla presenza di Rubus hirtus, Pyrus pyraster, Rosa canina, Euonymus europaeus e da lianose quali Hedera helix e Clematis vitalba. Lo strato erbaceo presenta caratteri diversi a secon- da della esposizione dei versanti e delle caratteristiche dei suoli, ma in gene- re sono abbondanti le specie tipiche della faggeta centroeuropea. Fra que- ste, le specie maggiormente rinvenute nell’area in esame sono: Daphne lau - reola, Euphorbia amygdaloides, Allium ursinum, Melica uniflora, Cyclamen hederifolium, Mercurialis perennis, Doronicum orientale, Arum maculatum e Polygonatum multiflorum.
Per l’inquadramento climatico dell’area oggetto di studio sono stati utilizzati i dati climatici delle stazioni di Potenza, Picerno, Balvano, Muro Lucano e Avigliano.
L’analisi dei dati consente di caratterizzare il clima come tipicamente mediterraneo-montano, contraddistinto da estati calde e secche e da inverni piovosi (fig. 1). L’ a rea può essere inquadrata nella fascia del F a g e t u m d e l Pavari, l’orizzonte montano inferiore a latifoglie sciafile. I boschi investigati si trovano su substrati di natura geolitologica assai diversa: una parte di essi si rinviene sui conglomerati poligenici del Pliocene inferiore e su sabbie giallastre con lenti di conglomerati del Pliocene medio, tipici dei versanti settentrionali del complesso di M. Li Foy di Picerno. Verso ovest, sulla montagna appenninica esterna (comune di Balvano), i cedui di faggio vege- tano su formazioni calcareo-dolomitiche dell’Unità Carbonatica del Triassi- co-Giurese. Più a est si rinviene il complesso montuoso di Monte Caruso;
su queste pendici i cedui di faggio vegetano su terreni del Miocene inferio-
Figura 1 – Diagrammi termoudometrici delle stazioni di Picerno e Potenza.
re-Oligocene superiore, appartenenti al complesso delle calcareniti e delle calciruditi. I suoli rinvenuti, pur originatisi su diverse formazioni litologiche e con esposizioni variabili, sono riferibili alle terre brune con gradi più o meno spinti di acidificazione.
M
ATERIALI E METODIL’obiettivo della ricerca è l’analisi delle relazioni esistenti tra volumi e dimensione degli alberi al fine di predisporre modelli previsionali da utiliz- z a re a fini estimativi in ambito locale. Il campionamento non ha seguito, pertanto, schemi complessi ed articolati da utilizzarsi in ambiti territoriali molto vasti (C
UNIA, 1979; B
RANDINIe T
ABACCHI, 1996) ma ci si è limitati alla selezione degli alberi modello in funzione delle loro dimensioni e della loro forma. Il campionamento, pertanto, è stato non probabilistico del tipo a scelta ragionata: le unità statistiche sono state selezionate soggettivamente in maniera da rappresentare adeguatamente il fenomeno in esame. Una parte degli alberi modello individuati è costituita da soggetti che cadevano al taglio durante la fase di utilizzazione dei boschi cedui di proprietà privata (comuni di Balvano, Muro Lucano e Picerno) mentre la restante parte è formata da alberi scelti in boschi di proprietà pubblica durante la fase di redazione di un Piano di Assestamento Forestale (comune di Av i g l i a n o ) . Di seguito (tab. 1) si riporta la distribuzione delle osservazioni in funzione del diametro e dell’altezza.
Tabella 1 – Ripartizione degli alberi modello per classi dimensionali (D [cm]; H [m]).
H 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Totale
D
5 1 - 5 6
6 5 - - 1 6
7 1 2 1 3 7
8 1 1 5 2 9
9 1 3 - 1 2 7
10 2 4 6
11 1 1 4 6
12 5 5
13 1 - 3 5 1 10
14 1 2 3 6
15 4 2 6
16 1 3 1 5
17 2 3 5
18 1 1 - 2 4
19 1 - 3 4
20 1 - 1 2 4
Totale 7 2 14 10 20 18 14 9 2 96
Per ognuno dei 96 alberi modello selezionati sono stati rilevati (tab. 2):
– diametro a 1.30 m dal suolo;
– altezza totale;
– c i rc o n f e renza del fusto ad intervalli di un metro a part i re da 0.5 m dal suolo e fino al diametro di svettamento di 3 cm in punta;
– sezioni lungo i rami ogni 10 cm fino a 3 cm di diametro.
Il volume dendrometrico di ogni albero modello è stato, quindi, otte- nuto sommando il volume dei rami al volume del fusto svettato calcolato con la formula di Heyer (L
AM
ARCA, 1999).
Tabella 2 – Statistica descrittiva delle variabili dendrometriche osservate.
variabili n. osservazioni media minimo massimo dev. stand.
D (a 1.3 m) cm 96 11.80 5.00 20.00 4.36
H m 96 12.09 7.85 15.90 1.98
Volume dm3 96 88.23 10.30 250.01 64.64
Nell’analisi di re g ressione per l’approntamento di modelli stere o m e t r i c i un aspetto da valutare preventivamente è il controllo della omogeneità della varianza della variabile dipendente in quanto, così come ampiamente dimo- strato in letteratura (C
U N I A, 1964; T
A B A C C H I, 1985; C
I A N C I Oet al., 1989;
T
A B A C C H I, 1989a; T
A B A C C H I, 1989b; T
A B A C C H Ie T
O S I, 1992), la condizione di eteroschedasticità è molto frequente nelle relazioni che legano le masse a r b o ree alle variabili dimensionali. In questi casi i valori di volume non si distribuiscono in modo omogeneo nel campo di variazione ipsodiametrica ma la variabilità risulta crescente all’aumentare del diametro e dell’altezza.
In sostanza viene disattesa la condizione di costanza della varianza σ
2:
per cui l’analisi di regressione condotta con i minimi quadrati ordinari porterebbe a stime non distorte, consistenti, ma poco efficienti (P
ICCOLOe V
ITALE, 1981; C
AMUSSIet al., 1986) e i test statistici e gli intervalli di confi- denza dei coefficienti risulterebbero poco credibili in quanto questi ultimi non godono più della proprietà di essere a minima varianza (T
A B A C-
CHI
, 1989a; C
IANCIOet al., 1989).
Nel caso in esame la presenza di eteroschedasticità è stata verificata sia
graficamente attraverso l’analisi della distribuzione delle osservazioni del
volume in funzione del diametro e dell’altezza, sia tramite l’applicazione del
test di G o l d f e l d - Q u a n d t. Si è reso necessario, pertanto, applicare l’analisi
della regressione con i minimi quadrati ponderati, procedura che consiste nel pesare ogni scarto con un fattore inversamente proporzionale alla sua varianza (C
AMUSSIet al., 1986; T
ABACCHI, 1989a). È stato ampiamente evi- denziato che un buon modello interpretativo della varianza del volume assume la forma:
σ
2= kZ
dove Z = d
2o d
2h (nel caso, rispettivamente, di funzioni stereometriche a una e a doppia entrata). Nella tabella 3 vengono riportati il valore della variabile aleatoria calcolata con il test di G o l d f e l d - Q u a n d t, i coeff i c i e n t i della funzione di ponderazione e il relativo coefficiente di determinazione.
Tabella 3 – Stima dei coefficienti della funzione di ponderazione e valore della variabile aleatoria per il test di Goldfeld-Quandt.
modello di ponderazione
var. dipend. Q 2= kZ (Z = D2H) R2
k λ
volume 30.16 0.1455 1.4631 0.9427
2= [(dm3)2]; d [cm]; h [m]; Q = variabile aleatoria test Goldfeld-Quandt.
La funzione di ponderazione consente di rendere omogenee le varian- ze della variabile dipendente permettendo di condurre l’analisi di regressio- ne con i minimi quadrati ordinari ottenendo, di conseguenza, stime dei coefficienti dei modelli previsionali corrette ed efficienti in quanto a mini- ma varianza.
Per la definizione del modello di re g ressione ottimale, sulla base di n u m e rosi studi condotti sul fenomeno stereometrico, si è definito un modello massimo in cui il volume risulta funzione delle variabili esplicative d, d
2, d
3, h, h
2e tutte le possibili combinazioni tra queste variabili.
L’utilizzo di variabili esplicative che considerano le dimensioni degli alberi e tutte le loro possibili combinazioni conduce ad imbattersi, sovente, nel fenomeno della multicollinearità (T
ABACCHI, 1985; C
IANCIOet al., 1989;
T
ABACCHIe T
OSI, 1992). Il fenomeno si verifica quando tra le variabili indi-
pendenti del modello di re g ressione esiste una forte correlazione tale da
re n d e re impossibile l’isolamento dell’effetto che ognuna di esse ha sulla
variabile dipendente (S
A LVAT O R E, 1985; C
A M U S S Iet al., 1989; G
A R D I N Ie t
al., 2000). Per avere delle stime attendibili si rende necessario riformulare il
modello eliminando le variabili collineari o ricorrendo a metodologie di sta-
bilizzazione delle stime dei coefficienti numerici come la ridge re g re s s i o n
(B
R O W Ne B
E AT T I E, 1975; B
A R Ee H
A N N, 1981; P
I C C O L Oe V
I TA L E, 1981;
La tabella successiva (tab. 5) mette in evidenza la significatività dei c o e fficienti di re g ressione saggiata tramite l’utilizzo del test t di Student.
I valori di t dei coefficienti, dati dal rapporto tra il valore stimato del para- metro e il suo errore standard, risultano tutti significativamente diversi da zero, con nessuna probabilità (per α = 0.01) che i parametri possano assu- mere valore nullo.
C
IANCIOet al., 1989). La procedura adottata nel presente lavoro per la sele- zione delle variabili esplicative, la stepwise regression (H
OCKING, 1976; D
ELF
AVERO, 1978; D
ELF
AVEROe T
ABACCHI, 1984; T
ABACCHI, 1985, C
AMUSSIet al., 1986), consente di contenere il fenomeno della multicollinearità evitan- do il ricorso a metodi complessi di riduzione artificiale della collinearità tra le variabili indipendenti (T
ABACCHIe T
OSI, 1992).
R
ISULTATI E DISCUSSIONEIl procedimento utilizzato ha consentito l’ottenimento di un modello operativo ottimale nel quale tutte le variabili selezionate contribuiscono in modo significativo alla spiegazione del fenomeno stereometrico. I risultati conclusivi sono riassunti nella tabella 4, dove è riportata la funzione stereo- metrica definitiva, i relativi coefficienti numerici e le varianze residue della regressione.
Tabella 4 – Stima dei parametri del modello di regressione.
Modello Coefficienti Varianza residua E.S.S. R2
a = -0.306669 b = -0.045374
V = a + bD2H +cD3H +dD c = -0.000808 1.673*10-4 0.7547 0.99983 d = -2.250024
D [cm]; H [m]; V [dm3]
Tabella 5 – Stima dei coefficienti (normali e standardizzati) e loro significatività.
Beta Errore standard coefficienti Errore standard t (0.01; 92)
di Beta dei coefficienti
Intercetta 0.306669 0.505452 0.6067
D2H 1.284337 0.020003 0.045374 0.000707 64.2071
D3H -0.458930 0.014167 -0.000808 0.000025 -32.3950
D 0.170888 0.007537 2.250024 0.099237 22.6731
D [cm]; H [m]
In definitiva, le variabili selezionate sono risultate D
2H, D
3H e D; l’ana- lisi dei c o e fficienti di determinazione parz i a l e evidenzia che la variabile D
2H assorbe quasi il 99% della variabilità, demandando ai termini successivi una quota di variabilità marginale di poco superiore, complessivamente, all’1%:
R
2= 0.9998327 R
2D2H= 0.989667 R
2D3H⋅
D2H= 0.009231 R
2D·
D2H,
D3H= 0.000935
Questo si spiega con il fatto che la variabile indipendente D
2H è una componente costituzionale della variabile dipendente per cui essa assorbe, nella maggior parte dei casi, oltre il 90% della variabilità totale, lasciando agli altri termini, espressioni modificate del coefficiente di riduzione, l’as- sorbimento di una quota non superiore al 2-3% della variabilità totale (D
ELF
AVEROe H
ELLRIGL, 1978).
L’aggiunta, al modello stereometrico in oggetto, degli ulteriori due ter- mini che assorbono una porzione molto marginale della variabilità, è giusti- ficata dal fatto che la loro introduzione contribuisce a migliorare sensibil- mente, come verrà di seguito specificato, la distribuzione dei residui nel campo di esistenza della funzione.
Il controllo della bontà dell’azione di perequazione è stata svolta, pre-
ventivamente, attraverso la ricerca di valori ed andamenti non consoni rispet-
to a quelli attesi; l’analisi (fig. 2 e 3) non ha evidenziato la presenza di valori
attesi negativi né tantomeno la presenza di punti di minimo o di flesso nella
funzione di perequazione che avre b b e ro indotto a riform u l a re il modello. La
verifica è stata effettuata anche per gli andamenti del coefficiente di riduzione
o rdinario (fig. 4): il grafico evidenzia andamenti non ottimali per le classi
dimensionali minori. Questa diff o rmità rispetto all’andamento ottimale atte-
so (dovuto, molto probabilmente, alla presenza di termini aggiuntivi al d
2h
nel modello previsionale adottato) è dovuto all’ottimizzazione della funzione
s t e reometrica nell’interpretazione dei valori volumetrici a scapito di quelli
derivati, quali il coefficiente di riduzione ordinario. Una volta verificata l’ade-
guatezza dell’andamento della equazione di re g ressione, l’analisi è stata con-
dotta sui residui che forniscono, sotto diversi aspetti, indicazioni valide del-
l’azione di compensazione (D
A N I E Le W
O O D, 1980; T
A B A C C H I, 1985). Alcuni
degli indicatori utilizzati (media algebrica dei residui, media quadratica degli
s c a rti assoluti e relativi) si basano sull’entità degli scarti tra valori osservati e
valori attesi mentre altri test non parametrici (S
IEGEL, 1966; T
ABACCHI, 1985)
si fondano esclusivamente sul segno degli scarti della re g ressione con il van-
taggio di essere, quindi, indipendenti dal criterio di stima dei parametri e
dalla forma del modello di perequazione.
Figura 2 – Variazione del volume dendrometrico dei polloni in fun- zione del diametro a 1.30 m e dell’altezza totale.
Figura 3 – Andamento dei volumi attesi in funzione del diametro e per alcune classi di altezza.
Il valore della variata relativa al test dei segni (z
1) si basa sulla fre- quenza dei segni positivi e negativi nello spazio campionario: quanto più le due frequenze risultano simili tanto minore risulta il valore della deviata z
1che, confrontato con la deviata della distribuzione normale standardiz- zata, al prestabilito livello di probabilità , consente di respingere o accet- tare l’ipotesi nulla. Il valore della variata relativa al test delle successioni (z
2) consente di stabilire se l’ordine della successione dei segni è casuale (ipotesi nulla H
0) oppure se gli scarti tendono ad associarsi in qualche parte dello spazio campionario (valori di z
2maggiori, a livello probabilisti- co , del valore della deviata normale). Il valore, infine, della variabile aleatoria
2consente di stabilire, suddividendo lo spazio campionario in più gruppi, la frequenza degli scarti di segno opposto nelle diverse classi dimensionali (tab. 6).
Figura 4 – Andamento del valore atteso del coefficiente di riduzione ordinario in funzione dell’altezza totale e per alcune classi di diametro.
Tabella 6 – Valori dei residui e delle variabili aleatorie dei test statistici sulla distribuzione dei residui.
Modello Media Media Media Test dei Test delle Test 2
algebrica quadratica quadratica segni (z1) successioni (z2) scarti assoluti scarti relativi
Volume
dendrometrico -1.192*10-7 0.7388 0.0627 0.30 1.81 15.10
Scostamenti di volume [dm3]
z0.95, 96=1.98; z0.99, 96= 2.63; 20.95, 9= 16.9; 20.99, 9= 21.7
L’analisi dei residui mostra un buon adattamento del modello pere- quativo alle osservazioni sperimentali: lo scostamento con segno mostra una media algebrica molto prossima allo zero; anche le medie quadratiche degli scarti assoluti e relativi sono contenute ed in linea con i valori attesi per questo tipo di fenomeno. I valori delle variabili aleatorie relative ai test sulla distribuzione dei residui, infine, mostrano tutti valori sempre inferiori ai valori critici tabellari a dimostrazione di una buona distribuzio- ne dei residui nel campo di escursione della funzione. La distribuzione normale dei residui è stata messa in evidenza attraverso il normal probabi - lity plot (A
FIFIe C
LARK, 1984) e il grafico della distribuzione di frequenza dei residui standardizzati. Nella tabella 7 vengono riportati i valori medi attesi del volume dendrometrico in corrispondenza dei valori di diametro e altezza totale.
Tabella 7 – Valori medi attesi del volume dendrometrico dei polloni di faggio, in corrispondenza di alcuni valori di diametro e altezza totale.
H 8 9 10 11 12 13 14 15 16
D
5 19.82 20.86 21.89
6 25.48 26.94 28.40 29.85
7 19.82 33.57 35.52 37.46 39.41
8 40.71 43.21 45.70 48.20
9 51.42 54.50 57.59 60.68
10 60.10 63.83 67.56 71.30 75.02
11 69.20 73.62 78.03 82.45 86.86
12 78.68 83.82 88.96 94.09 99.23
13 94.38 100.27 106.16 112.06 117.95
14 105.24 111.92 118.60 125.27 131.95
15 123.84 131.32 138.81 146.29
16 135.98 144.29 152.59 160.90 169.21
17 157.42 166.56 175.71 184.85
18 170.66 180.65 190.64 200.63
19 183.95 197.79 205.63 216.46
20 197.22 208.90 220.59 232.28
D [cm]; H [m]; V [dm3]
A conclusione della discussione, infine, si riportano i risultati della fun-
zione di perequazione del volume dendrometrico dei polloni in funzione del
solo diametro a 1.30 m. Anche in questo caso le variabili sono state ponderate
mediante la funzione σ
2= k(d
2)
λper poter successivamente condurre l’analisi
con i minimi quadrati ordinari. Per la determinazione dell’equazione stere o-
metrica è stato individuato un modello massimo in cui il volume è funzione
del diametro elevato fino alla terza potenza (d, d
2, d
3); i risultati dell’analisi di re g ressione condotta con la procedura stepwise sono riportati nella tabella 8 m e n t re in quella successiva (tab. 9) vengono evidenziati i valori attesi del volume dendrometrico in funzione del diametro a 1.30 m.
Tabella 8 – Stima dei coefficienti e loro significatività per la funzione stereometrica ad una entrata.
Beta Errore standard Coefficienti Errore standard t (0.01; 93)
di Beta dei coefficienti
Intercetta -3.83358 0.101044 -37.9398
D2 0.887431 0.01294 0.49441 0.000721 686.0002
D2 0.114000 0.001294 1.57329 0.017853 88.1239
R2= 0.99999; E.S.S. = 0.12734 D [cm]; H [m]
Tabella 9 – Valori attesi del volume in funzione del solo diametro con la serie delle altezze indicative.
D (cm) V (dm3) H (m)
5 16.39 9.2
6 23.40 9.8
7 31.41 10.3
8 40.39 10.7
9 50.37 11.2
10 61.34 11.6
11 73.30 11.9
12 86.24 12.3
13 100.17 12.6
14 115.10 12.9
15 131.01 13.2
16 147.91 13.5
17 165.80 13.8
18 184.67 14.0
19 204.55 14.3
20 225.40 14.5
D = diametro a 1.30 dal suolo H = altezza totale
V = volume del fusto e dei rami svettati a 3 cm
SUMMARY
Volume equations for beech tree in coppice stands of Northern Lucanian Apennine