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Δ CAPITOLO VIII Imaging e spettroscopia su scala micro/nanometrica r ≈≈ 5 m

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Academic year: 2021

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CAPITOLO VIII

Imaging e spettroscopia su scala micro/nanometrica

1) La micro-spettroscopia infrarossa

Il Microscopio per infrarosso consente di effettuare spettri nel medio IR, la regione in cui le vibrazioni molecolari rappresentano vere “impronte digitali” delle specie chimiche. Esso consente di ottenere gli spettri di campioni disomogenei con una risoluzione spaziale fino al limite di diffrazione ( Δr ≈ λ ≈ 5 µm ).

La sorgente è un interferometro di Michelson (a sinistra nella foto) che invia al microscopio la radiazione già modulata. Questa viene inviata al campione e si possono selezionare le misure in riflettività o in trasmissione spostando gli specchi lungo il cammino ottico che percorre. La focalizzazione sul campione è effettuata da specchi dorati Cassegrain (Fig. 1-a) o Scwarzchild (Fig. 1-b)che permettono di mantenere il fascio assiale; la luce riflessa o trasmessa arriva infine a un rivelatore piroelettrico o a un MCT raffreddato all’azoto liquido, che manda il segnale elettrico ai circuiti di digitalizzazione e al pc.

Un microscopio ottico con telecamera consente di inquadrare la zona di interesse; lo scan è effettuato da una tavola mossa da motori passo-passo comandati dal pc, che muovono il campione di pochi micron alla volta nelle direzioni x e y.

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Fig. 1-a: Cassegrain Fig. 1-b: Schwarzchild

La Fig. 2 mostra il profilo di un sottile foglio di plastica, ottenuto in trasmissione con il microscopio ottico la cui calibrazione consente la misura degli spessori dei 4 strati. Si vuole determinare la composizione chimica dei primi tre (spessi rispettivamente 22, 33 e 11 micron). La Fig. 3 mostra gli spettri corrispondenti, che ne permettono l’identificazione chimica. Si noti l’ottimo rapporto S/N, nonostante le dimensioni ridotte del campione (fonte:

Bruker Optics).

Fig. 2

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Fig. 3

La microscopia infrarossa può essere accoppiata con la Riflettanza totale attenuata (ATR) illustrata nella Fig. 4.

Fig. 4

Il campione è appoggiato, o spalmato, su un cristallo (di silicio o di seleniuro di zinco, detto IRTRAN) trasparente nell’infrarosso. La radiazione, proveniente direttamente dall’interferometro o da un apposito obiettivo del microscopio, entra nel cristallo all’angolo di riflessione totale e subisce riflessioni interne multiple. Il suo campo evanescente penetra nel campione, il cui indice di rifrazione è minore di quello del cristallo, per uno spessore di circa 2-3 micron; la radiazione uscente mostra gli assorbimenti alle frequenze proprie del campione, come in un normale esperimento di spettroscopia, con il vantaggio che la luce viene assorbita più volte. Quindi il metodo consente di ottenere spettri anche da campioni molto sottili.

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2) Il Microscopio tunnel a scansione (STM)

Il Microscopio a effetto tunnel (Scanning Tunneling Microscope, STM), inventato da Binnig e Rohrer nel 1981, fu il primo strumento in grado di mostrare i singoli atomi della superficie di un solido, purché si trattasse di un conduttore (metallo, semiconduttore drogato o superconduttore). Infatti la sua risoluzione laterale

Δr è di almeno 0,1 nm, cioè la dimensione di un atomo.

Fig. 5

Al campione è applicato un potenziale V rispetto alla punta metallica (Fig. 5). Quando la punta, il cui raggio di curvatura è dell’ordine di pochi nm, si avvicina al metallo a meno di d = 1 nm senza toccarlo, scambia elettroni col metallo per effetto tunnel attraverso la barriera isolante di spessore d costituita dallo strato di vuoto tra i due. Viene misurata l’intensità di corrente tunnel I, che dipende esponenzialmente da d:

I ∝V

dexp(−A φd) (1)

dove A è una costante, φ è l’altezza media della barriera di potenziale tra punta e campione e V la tensione di bias punta-campione.

(5)

D’altronde, la corrente punta-campione è anche pari alla carica dell’elettrone per la probabilità di transizione per unità di tempo di un elettrone dal suo stato occupato di energia E nella punta (tip, t) ad uno vuoto, di energia più bassa E-eV, nel campione (sample, s), data dalla regola d’oro di Fermi:

dove N è la densità degli stati, f è la funzione di Fermi-Dirac che fornisce la probabilità di occupazione di quegli stati e l’elemento di matrice del tunneling Mts

è l’operatore che descrive la densità di corrente di probabilità che passa attraverso la barriera, integrato sulla superficie Σ della punta. χs e ψt sono infatti le autofunzioni dell’elettrone in campione e punta.

Una formula analoga vale per la corrente inversa; la corrente netta sarà quindi data da I = It→s− Is→t=2πe

! Mts2

−∞

Nt(E)Ns(E − eV )[ ft(E) − fs(E − eV )]dE

Quindi la corrente contiene la densità degli stati locale Ns del campione, che quindi viene sondata dalla punta. Così si distinguono gli atomi, con le loro nuvole elettroniche, separati da spazi vuoti.

La superficie del campione viene avvicinata alla punta (che ha un raggio di curvatura di pochi nm) e poi spostata lateralmente con l’uso di quarzi piezoelettrici (“i piezo”) comandati dal PC.

Questi si contraggono o si dilatano in ognuna delle tre direzioni dello spazio di Δl fino a parecchie decine di micron, con sensibilità migliore di 0,1 nm. Per un piezo a forma di treppiede, in cui ognuna delle gambe x, y, z è lunga l e la tensione V è applicata ai capi di l, vale la formula

Δl=δ l

hV (2)

dove l è la lunghezza del piezo in quella direzione, h il suo spessore e δ il coefficiente piezoelettrico dl/dV.

Fig. 5

(6)

Se invece il piezo è un cilindro diviso in 4 settori come nei sistemi più moderni (Fig 5), per gli spostamenti lungo l’asse z del cilindro continua a valere la (2), mentre lo spostamento laterale, che è comandato dalla d. d. p. ai capi di ognuna delle due coppie ortogonali di settori, è governato da

Δx,y =2 2δ l

2

πdhVx,y (3)

Quindi, quando i piezo fanno scorrere la punta, I viene modulata dai massimi e i minimi della densità elettronica della superficie e forma la mappa del campione.

La famosa immagine a colori falsati della Fig. 6 (Crommie et al., Science 1993) mostra atomi di ferro “deposti” in cerchio su una superficie dii rame, rappresentati da picchi di N(E). Le onde stazionarie circolari sono create dagli atomi di rame confinati all’interno del “corral” di Fe.

Invece nella Fig. 7 (fonte IBM) si vede il panorama “nanometrico” di una superficie di rame (111); si distinguono nella rugosità le singole file di atomi, mentre i picchi più stretti sono le risonanze degli elettroni che formano onde stazionarie quando vengono riflessi dai gradini della superficie.

Fig. 6

(7)

Fig. 7

Nell’STM sono possibili due modi di funzionamento: a corrente costante o ad altezza costante, come mostra la Fig. 8.

Fig. 8

(8)

3) Il Microscopio a forza atomica (AFM)

Il Microscopio a forza atomica (AFM, Fig. 9) produce immagini della superficie di un solido con una risoluzione laterale

Δr dell’ordine di 1 nm. La punta (fig. a destra) fa parte di una leva (cantilever), solitamente di silicio, vincolata all’altro estremo. La punta viene attratta dagli atomi del campione prevalentemente tramite forze Van der Waals (dipolo indotto-dipolo indotto) a lungo raggio, e viene respinta dalle forze repulsive a corto raggio tra atomi (Fig.

10). L’AFM ha una risoluzione spaziale

Δr di un ordine di grandezza più bassa dell’’AFM, ma ha il vantaggio che può mappare qualunque materiale, compresi gli isolanti e i sistemi biologici, mentre l’STM funziona solo sui conduttori. Qui i piezo muovono nelle tre direzioni il campione, mentre la punta, che generalmente è fatta di Si, è fissa e attaccata a una leva (cantilever) lunga alcuni micron, che ha una costante elastica variabile tra 0, 1 e 100 N/m, e una frequenza di risonanza meccanica ω0 tra 20 e 200 kHz. Le flessioni del cantilever sono rivelate dalla riflessione su di esso di un laser, che termina su un fotodiodo a quattro quadranti. Questo invia i segnali elettrici provenienti dai quadranti a un amplificatore, poi al PC che - registrando gli spostamenti laterali e verticali della punta, mentre i piezo trascinano sotto di essa il campione prima lungo x e poi lungo y - crea la mappa della superficie.

Fig. 9

(9)

Fig. 10

3.1) Modi di acquisizione del profilo del campione

Sono possibili come nell’STM diversi modi di acquisizione.

Nel contact mode la punta tocca la superficie seguendone il profilo e lavora nella zona bassa del potenziale repulsivo (Fig. 10), sfruttandone la grande pendenza. La forza è

F ≈ 10−7÷10−9 N.

Fig. 11 Fig. 12 Fig. 13

(10)

Lo spostamento della punta lungo z può essere registrato direttamente dai fotodiodi per mappare l’altezza del campione, (A in Fig. 11, metodo a forza costante) oppure inviato a un circuito di feedback (B, metodo ad altezza costante).

Questo modo di operare porta però a un rapido consumo della punta e può provocare danni o trascinamenti del campione (Fig. 12).

Per evitare problemi nei campioni poco resistenti, si usa il non-contact mode (Fig. 13) in cui il cantilever viene fatto oscillare ad una frequenza vicina a ω0 e la punta lavora nella zona attrattiva della Fig. 10, ad una altezza z tra 1 e 10 nm; la forza si riduce a pochi pN e dipende da z. Sviluppandola come segue,

si vede come la differenza F − F0 possa essere sfruttata come “segnale di errore” per misurare Δz. Ciò può essere fatto monitorando ad es. la frequenza di oscillazione, che si sposta da ω0 in funzione del gradiente della forza:

oppure l’ampiezza dell’oscillazione:

dove Q è il fattore di merito. Quindi le variazioni di ampiezza registrate dai fotodiodi possono essere utilizzate come segnale di errore per annullare il gradiente di F riportando la forza a F0. Questo segnale di feedback consente di misurare Δz in funzione di x,y, ottenendo la mappa del campione.

In alternativa alle prime due modalità si può usare il tapping mode, in cui la punta oscilla verticalmente a frequenza costante come nel non-contact, ma l’oscillazione è molto più ampia: 200-300 nm (Fig. 14). Quando la punta tocca il campione, si trova nella zona alta del potenziale repulsivo in Fig. 10; il tapping mode si utilizza quando il campione, oltre ad essere poco resistente alle sollecitazioni meccaniche, ha caratteristiche tali da non permettere la ricostruzione della superficie ad opera di deboli forze attrattive quali sono quelle presenti nel

“non-contact mode”. E’ particolarmente adatto ai materiali teneri, come quelli biologici.

z F Q k

A Q A

− ∂ Δ =

Δ ∝

2 1

0 0

ω ω

⎟ ⎠

⎜ ⎞

− ∂ ʹ ≈

ʹ =

z F m k

k 2

1 1

0

0

ω

ω

z k z z

k F z z

z F k z z

F F

F ⎟ Δ = − ʹ Δ

⎜ ⎞

− ∂

=

∂ Δ + ∂ Δ

=

∂ Δ + ∂

0

(11)

Fig. 14

Anche qui, Δz viene mappata registrando il segnale necessario a mantenere la forza a un valore costante.

Le Figure mostrano alcune immagini ottenute con l’AFM.

In Fig. 14 si vede la mappa di sottili e singole catene di polimeri (in alto) che in basso si aggregano dopo che è stato variato il pH della soluzione e, in entrambe le figure, il polimero è stato asciugato. La scala colorata di sinistra misura lo spessore in nm; la scala all’interno della Figura dà un’idea della risoluzione spaziale. La Fig. 15 mostra la mappa 3D di una cellula HeLa cancerosa, ottenuta con AFM nel modo a contatto (fonte: gruppo IRS del Dip. di Fisica). Si distingue il nucleo, al centro, con la sua parete, e il citoplasma al suo esterno.

Fig. 14

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Fig. 15

3.2) Altre applicazioni dell’AFM

Poiché come abbiamo visto l’AFM è in grado di misurare ogni tipo di forza punta-campione, può essere sfruttato per ottenere molte altre informazioni sulla natura della sua superficie su scala nanometrica, al di là di una semplice topografia.

• Applicando una d. d. p. ad una punta conduttrice si evidenziano variazioni della densità

di carica superficiale (EFM) (Fig. 16).

Fig. 16

• Tramite una punta termometrica (ad es. consistente in una termocoppia) si può ottenere una mappatura microscopica della temperatura del campione o della sua conducibilità termica (SThM).

• Con una punta ricoperta da un film di materiale ferromagnetico si individuano le caratteristiche magnetiche della superficie (MFM) (Fig. 17).

(13)

• Trattando con sostanze chimiche o biologiche la punta, si possono riconoscere particolari siti di attivazione.

Fig. 17

4) La microscopia in campo vicino

l’AFM e l’STM forniscono immagini su scala atomica ma non spettri, e quindi danno informazioni solo sulla struttura del campione e non sulla sua dinamica microscopica o composizione chimica. Per questo è necessario usare la radiazione e. m., ma come è noto la massima risoluzione laterale ottenibile, a causa della diffrazione, è dell’ordine della sua lunghezza d’onda λ (criterio di Rayleigh). Questa regola vale però soltanto nella convenzionale ottica di campo lontano, cioè quella in cui la distanza d tra la sorgente di radiazione S e l’oggetto O è molto maggiore di λ. Invece nella microscopia in campo vicino, cioè con d ≤ λ, la risoluzione laterale non è determinata da λ ma dalla dimensione di S, che per esempio può essere ridotta a poche centinaia di nm lavorando la punta di una fibra ottica (vedi Fig. 18).

Fig. 18

La punta esplora il campione in no-contact mode come in un AFM e, nelle modalità d) ed e) in Fig. 19, si può ad esempio misurare la risposta Raman con un laser a frequenza fissa o, variando la λ di emissione della sorgente, la riflettività del campione R(λ) su scala nanometrica. Questa tecnica si chiama SNOM (Ccanning Near-field Optical Microscopy).

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Fig. 19

Tuttavia il segnale è molto debole perché, come mostra la Fig. 20 ottenuta simulando luce polarizzata lungo x di λ = 667 nm, la massima intensità del campo si ottiene all’interno della fibra e non sull’apertura. Inoltre l’intensità uscente è proporzionale a d-4, e questo limita la risoluzione ottenibile a circa 100 nm.

Fig. 20

Per ovviare a questi limiti, si è pensato di trasformare la punta della fibra in una antenna metallica, capace a) di concentrare il campo elettrico sulla punta, b) di sfruttare le eccitazioni (plasmoni di superficie) del gas di Fermi. Queste creano a loro volta campi che oscillano a frequenze ottiche e sono estremamente intensi e localizzati. In pratica la punta diventa la sorgente effettiva del campo.

Sono nate così le tecniche SNOM aperture-less (senza apertura) in cui la punta metallizzata di un AFM viene illuminata da un laser, e ne concentra la radiazione su una zona del campione di diametro circa pari al diametro della punta. La luce diffusa dal campione viene poi raccolta, fatta battere con una parte di quella entrante per ottenere lo sfasamento (rispettivamente, raggi blu e rossi in Fig. 21) e analizzata. Si ottiene così un elevato rapporto segnale/rumore e una risoluzione laterale di una decina di nm, ma questo tipo di SNOM non consente di effettuare misure di diffusione anelastica (ad esempio del tipo Raman) e quindi presenta dei limiti.

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Fig. 21

5) La spettroscopia infrarossa su scala nanometrica (AFM-IR)

Anche qui si illumina con un laser una punta AFM, e si raggiungono risoluzioni laterali di alcune decine di nm (circa λ /100), ma non ci sono le limitazioni dello SNOM aperture-less.

Anziché lo scattering, si accoppia l’assorbimento infrarosso alla sensibilità meccanica della punta di un AFM. Il fascio di un laser per il medio infrarosso a cascata quantica (QCL), genera intensi impulsi di radiazione IR di frequenza variabile ω, con una frequenza di ripetizione f e viene focalizzato sulla punta dell’AFM, appoggiata sulla microzona di campione da esplorare.

Se ω è in grado di eccitare una frequenza vibrazionale delle molecole del campione, il campione assorbe, si scalda, si dilata di Δz ≅1 pm e la punta si solleva. Poiché f viene scelta pari alla frequenza meccanica di risonanza del cantilever (40-300 kHz) Δzviene amplificato del fattore di merito Q della risonanza, cioè almeno di un fattore 500. Il laser ottico e il detector a 4 quadranti dell’AFM (Fig. 22) possono quindi registrare l’assorbimento.

(16)

Fig. 22

Fig. 23

(17)

Con uno scan del campione lungo x e y si ottiene infine la mappa della specie molecolare che assorbe a ω (vedi figura). Cambiando ω, si mappano le altre specie molecolari. Questo metodo è attualmente l’unico capace di fornire mappe chimiche di materiali disomogenei sulla scala di 20-30 nm. Nella Fig. 23 si vede la mappa infrarossa della cellula cancerosa di Fig. 15, con la ω del laser centrata sulla riga di assorbimento Amide I delle proteine. Questa è quindi la mappa delle proteine della cellula; quasi assenti nel nucleo (in blu), dove invece risiedono gli acidi nucleici, e abbondanti nel citoplasma e nella membrana (verde e rosso). Nel pannello in alto, il profilo “altimetrico” della cellula.

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