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La villotta friulana. Musica popolare tra identità e contraddizione

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Academic year: 2021

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Antonio L. Palmisano Comitato scientifico

Alberto Antoniotto, Vito Antonio Aresta, Ariane Catherine Baghaï, Marco Bassi, Paolo Bellini, Brigitta Benzing, Emiliano Bevilacqua, Gianluca Bocchi, Davide Borrelli, Patrick Boumard, Andreas Brockmann, Jan Mauritius Broekman, Mauro Ceruti, Margherita Chang Ting Fa, Domenico Coccopalmerio, Antonino Colajanni, Fabio de Nardis, Vincenzo Esposito, Luisa Faldini, Guglielmo Forges Davanzati, Jorge Freitas Branco, Vitantonio Gioia, Roberta Iannone, Michel Kail, Raoul Kirchmayr, Luigi Lombardi Satriani, Mariano Longo, Oscar Nicolaus, Jean-Pierre Olivier de Sardan, Maria Paola Pagnini, Cristina Papa, Leonardo Piasere, Dan Podjed, Ron Reminick, Gianluigi Rossi, Norbert Rouland, Antonio Russo, Maurizio Scaini, Siseraw Dinku, Bernhard Streck, Franco Trevisani, Giuseppe Vercelli

Comitato di redazione

Antonio Ciniero, Stefan Festini Cucco, Anna Lazzarini, Katia Lotteria, Raffaella Sabra Palmisano, Simona Pisanelli, Marta Vignola

Graphic designer Italo Belamonte Web master Gianluca Voglino Direzione e redazione

Via della Geppa 4 34132 Trieste

antpalmisano@libero.it

Gli articoli pubblicati nella rivista sono sottoposti a una procedura di valutazione anonima. Gli articoli da sottoporre alla rivista vanno spediti alla sede della redazione e saranno consegnati in lettura ai referees dei relativi settori scientifico disciplinari. Anno VIII, n. 2 – Dicembre 2018

15 dicembre 2018 – Trieste

ISSN: 2240-0192

Autorizzazione del Tribunale civile di Trieste N. 1235 del 10 marzo 2011 Editor

Aia, Associazione Antropologi in Azione – Trieste-Lecce

DADA permette a terzi di scaricare le sue opere fino a che riconoscono il giusto credito citando la fonte ma non possono cambiarle in alcun modo o utilizzarle commercialmente (CC BY-NC-ND).

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The Review

Dada. Rivista di Antropologia post-globale is a digital periodical review. The access is free on www.dadarivista.com

The review intends to focus on the issues of anthropology and contemporary philosophy in order to face the classical and modern questions in the social, political and cultural context of our post-global era in which the grands récits are hidden but all the more present and operating.

Since we are convinced that the meaning of life coincides with intensive research intended as a joyful experimentation, even in those fields in which any kind of change and actually any kind of experimentation seem to be out of the question, and, being more than ever aware that the heritage connected to the grands récits should be removed from our discourses, the review selected the term Dada to indicate a position of structural opening toward the choice of research methods and the use of language in order to avoid the dogmatic of protocols. This long way has already been undertaken by many scholars such as Paul Feyerabend for instance, and we warmly invite you to join us and proceed with resolution and irony.

In this context, the contributions can be published in one of the languages of the European Union, according to the wish of the authors, after reviewing by native-speaking colleagues. Multilingual reading seems to be spreading in the academic circles of the Continent and this partially allows avoiding translations in lingua franca and their inescapable limitations. The authors are free to adopt their own style concerning footnotes and bibliographical references as far as they remain coherent with their own criteria.

The review also has the scope to publish the contributions of young scholars in order to introduce them to the national and international debate on the themes in question.

The Editor

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Editoriale

Questo è il numero di Dicembre 2018 di Dada. Rivista di Antropologia post-globale. Si tratta dell’edizione semestrale, contenente articoli su differenti temi.

Ivo Quaranta offre una rassegna critica dei paradigmi attraverso cui l’antropologia ha inteso indagare i rapporti fra corpo e ordine sociale, progressivamente venutisi a concentrare – con importanti conseguenze – sull’analisi delle fratture prodotte dai processi socio-economici sull’esperienza. Giuliana Parotto discute di beni immateriali e musica popolare all’esempio della villotta del Friuli, in rapporto alla costruzione delle identità e collocandola nel contesto socio-politico di artisti e pensatori, quale Pier Paolo Pasolini. Laura Budriesi rianalizza uno scritto postumo di Michel Leiris, addentrandosi nel mondo dei culti zar dell’Ethiopia e discutendo possessione e teatro della possessione. Andrea Pascali sviluppa un’analisi critica della sociologia antropologica di Pierre Clastres nel quadro dello strutturalismo e del post-strutturalismo, tematizzando una “apologia dell’anarchismo tribale” delineata da Clastres. Sulla base delle ricerche sul campo in Honiara, Rodolfo Maggio elabora un’articolata critica alla contrapposizione spaziale “urbano/rurale” insistentemente presente nelle etnografie delle Isole Salomone. Riferendo delle proprie ricerche sul campo nell’Amazzonia brasiliana, Manuela Tassan mostra come il dono stabilisca una specifica relazionalità tra mondo umano e non umano, rivestendo così un ruolo fondamentale nella definizione della territorialità di una comunità di discendenti di schiavi: il dono della foresta rappresenta un reciproco ed egualitario riconoscimento sociale che istituisce il senso stesso di appartenenza alla comunità.

In questa occasione comunico ai Colleghi interessati che il primo numero Speciale del 2018, di imminente pubblicazione, ha per titolo Debito e dono.

Il secondo numero Speciale del 2018 avrà per titolo Antropologia politica. Il termine ultimo per la consegna dei contributi è fissato al 30 settembre 2018.

Gli autori sono invitati a segnalare alla Redazione il loro interesse nel partecipare alla realizzazione di queste nuove avventure di studio e di ricerca.

Il Direttore

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DADA

Rivista di Antropologia post-globale

Fondata e diretta da Antonio L. Palmisano

Numero 2 – Dicembre 2018

a cura di Antonio L. Palmisano

Indice

ESSAYS

Le traiettorie teoriche del corpo fra ordine e disordine sociale

Ivo Quaranta p. 07

La villotta friulana. Musica popolare tra identità e contraddizione

Giuliana Parotto p. 23

Adanäč la posseduta, “ultima” performer del teatro della possessione di Michel Leiris. Con una postilla sullo spettatore

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ARTICLES

Mistica della Struttura e Lavoro denegato La sociologia selvaggia di Pierre Clastres

Andrea Pascali p. 73

Kwate’a from Town: Gifts of Food as Home-Making Practices in Honiara, Solomon Islands

Rodolfo Maggio p. 97

Dono, debito e territorialità. Per un’ecologia delle relazioni in un “territorio tradizionale” del Brasile

Manuela Tassan p. 125

RECENSIONI

Palmisano, Antonio Luigi Antropologia post-globale. Lecce: Pensa Editore, 2017 - pp. 239

Vito A. D’Armento p. 147

AUTHORS

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La villotta friulana

Musica popolare tra identità e contraddizione

Giuliana Parotto

The Friulian “villotta”: popular music between identity and contradiction Abstract

The article deals with the popular music from the Friuli region (called villotta) interpreted as an immaterial good that has to be preserved and valued. Firstly, I focus on this particular kind of popular music, bringing to light its characteristics (style, contents, metrics). In a second step, I show how this kind of music was used in order to create political identity under fascism. The contrast between authentic music/spiritual value and the lack of identity in an industrialized society is the ideological background of the fascist interpretation. Furthermore, I consider the villotta in the light of more elaborated sociological categories, which look at concrete groups producing and consuming music and consider the technical means of communication (live music, recorded music, youtube etc.) positively. Finally, I analyze the villotta in the literary and filmic production of Pier Paolo Pasolini.

Keywords: villotta, popular music, immaterial goods, sociology of music, Pier Paolo Pasolini

Nel tempo presente, dove la musica che può essere ascoltata, talora anche forzatamente, ha moltiplicato i canali e le modalità attraverso cui ci può raggiungere, parlare di musica popolare potrebbe dare luogo ad equivoci. Popolare, infatti, è la musica che si consuma quotidianamente davanti alla televisione o alla radio, attraverso youtube, o accendendo lo stereo a casa propria. Un consumo che è vieppiù individuale, anche se non mancano le forme di consumo collettivo. Più rare, infatti, sono le performance musicali dal vivo, come i concerti o le serate danzanti, dove sono gruppi di persone ad interagire consumando o producendo musica. Perché la musica popolare può e deve essere considerata un bene immateriale che necessita una tutela specifica?

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società1, ha delineato il campo della sociologia della musica, che si è ingigantito fino a riempire intere biblioteche. Evidentemente, il moltiplicarsi delle modalità tecniche con cui la musica è consumata e riprodotta, nonché la varietà musicale che è offerta alle orecchie di quello che è stato definito il “consumatore” della musica, ha enormemente ampliato gli spazi di interesse della sociologia della musica. Occorre dunque, anzitutto, circoscrivere meglio il nostro tema. Preciserò, anzitutto, il particolare tipo di musica popolare che considero, ovvero la “villotta” (1) per mostrare poi come questo genere musicale sia stato utilizzato per creare identità politica (2); la villotta verrà poi considerata alla luce di categorie di sociologia della musica più elaborate (3) e, in fine, verrà analizzata la villotta nel quadro della produzione letteraria e filmica di Pier Paolo Pasolini (4).

1. La musica popolare friulana ha una tradizione molto specifica e differente dalle liriche tradizionali popolari italiane, che è quella della “villotta”. Occorre precisare come il nome “villotta” provenga dal Veneto e sia stato usato per definire una forma polifonica di vario metro, mentre nella letteratura originale il canto friulano è definito coi termini “canzonette”, “danze” o “rizzette”. Il nome “villotta” appare, per designare la specifica produzione friulana, solo nel 1800 e si riferisce a un modello di composizione musicale “tipico” delle zone del Friuli, che vanta specifiche caratteristiche contenutistiche e formali2 che è utile richiamare. Anzitutto la villotta si contraddistingue per la particolare partizione metrica, prevalentemente di versi ottonari, ma anche quinari, senari e settenari. La struttura mostra un alternarsi di diverse strofe separate da un ritornello. Il motivo musicale è ripetuto e sovente trasportato da una villotta all’altra, talvolta dando luogo alle cosiddette “villotte a catena”, una sorta di canto amebeo in versione friulana: un botta e risposta tra gruppi di cantori di sesso diverso. L’ampio spettro delle combinazioni di strofe e di metri che le villotte presentano, pur nella prevalente caratteristica metrica dei versi ottonari, corrispondono allo spettro ampio dei temi e dei testi. Senza affrontare, ora, il tema più specifico della valutazione di questa importante espressione della musica popolare friulana, mi limito alla mera descrizione dei temi prevalenti e di qualche testo tra le villotte più famose.

La tonalità affettiva è, generalmente, intimistica, spesso accompagnata da un sentimento di dolore mascherato, in molti casi, da un’allegria apparente; i temi prevalenti sono, anzitutto, l’amore e il sentimento nei confronti della persona cara in tutte le possibili manifestazioni, dai primi approcci, alla passione fino alla gelosia risentita, passando per allusioni chiaramente sessuali. Ulteriore tema è la canzonatura di persone e di ruoli, la tristezza degli addii, nel cui solco si vanno ad inserire i canti di guerra. Si tratta di versi molto brevi eppure straordinariamente espressivi che sono

1 Max Weber, Economia e società, Einaudi, Torino, 1999, vol. VI.

2 Mario Macchi, Ritmica e metrica nel canto popolare friulano, in Ce festu? Bollettino ufficiale della

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25 stati spesso ritenuti un’autentica manifestazione dell’anima popolare, il segno della “friulanità”. Tra i testi più famosi, sicuramente è da ricordare Al ciante il gjal, al criche il dì, che dice: “il gallo canta, spunta il giorno, ciao cara, mi tocca partire” o, secondo la versione meno drammatica raccolta da Pergolesi nel 1892, “voi a durmmi”, oppure Isal chest il troi de braide, che recita “È questo il sentiero che porta a fare l’amore? Siete voi quella ragazza che piace a tanti?”, E Tunin al è un biel zovin Tonino è un bel ragazzo che sa portare bene il cappello, si merita la Teresina se non altro per quello3. Ancora: Se jo ves di maridami, villotta in cui si stigmatizza scherzosamente la figura del calzolaio (se volessi sposarmi non sceglierei un calzolaio, è capace di battere le suole e batterà anche me, con i soldi che guadagna non mantiene nemmeno un pollo)4. In fine, la nota Stelutis alpinis scritta dal “Bardo del Friuli” Arturo Zardini5, le cui parole recitano: “Se vieni quassù fra le rocce/ dove loro mi hanno sotterrato/c’è uno spiazzo pieno di stelle alpine/dal mio sangue è stato bagnato/ come segno c’è una croce/ scolpita sulla roccia/ Tra quelle stelle nasce l’erba/ sotto di loro dormo tranquillo/ Prendi, prendi una stella/ essa ricorda il nostro amore/ le darai un bacio/ e poi nascondila nel seno/ quando a casa sei sola e di cuore preghi per me/ il mio spirito è presente/ io e la stella siamo con te.” In realtà le villotte sono numerosissime, come numerose sono le raccolte che hanno scandito la ricerca e il recupero di questa tradizione musicale inizialmente soltanto orale. Le prime tracce si trovano alla metà del 1700, raccolte importanti avvengono negli anni Trenta, con Canti friulani, raccolta edita nel 1930 a Udine (“La Panarie”), con Gotis di rosade di Augusto Cesare Seghizzi, edito a Udine dalla Rivista della Società Filologica Friulana nel 1931, oppure la mastodontica raccolta in tre volumi Villotte e Canti Popolari pubblicata per la stessa Rivista sempre nel 1931. Si tratta di un interesse costante che arriva fino ai nostri giorni, come mostra la collana etnomusicologica Mê agne Jacume…Canti di tradizione orale raccolti in Friuli, trascritti da Mario Macchi e usciti nel 2000.6

2. Questa ricca tradizione è stata culturalmente valorizzata come espressione di “identità” locale e variamente utilizzata per sottolineare come il canto popolare sia la più autentica espressione dell’anima musicale friulana che deve essere conservata e preservata dalla “spinta della marea appianatrice” perché espressione di valori spirituali7. Il “popolo friulano” mostrerebbe, attraverso le villotte, il suo “carattere

3 L’è ben ver. Vilotis friulanis – villotte friulane cantate dal coro Vos de Mont, 2004. 4 Analizzata da Macchi, op. cit., p. 364.

5 Odo Samengo, Il Bardo del Friuli Arturo Zardini, in “La porta orientale: rivista mensile di studi

giuliani e dalmati, A. 5, n. 5 – 6 (maggio – Giugno 1935).

6 Il volume é a cura di R. Frisano, USCI-Pizzicato, Udine, 2000.

7 Così Gianfranco d’Aronco, Bibliografia della musica popolare friulana, in “Aevum”, Maggio 1,

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forte e filosofico”8, un “etica e una filosofia di vita” che non devono essere dimenticate9. Si tratta di aspetti che farebbero della musica popolare senz’altro un “bene” da preservare, in funzione di conservare “l’identità” e dunque un senso di appartenenza alla “comunità”. Èfin troppo evidente come le categorie utilizzate vedano una radicalizzazione tra un mondo antico – tradizionale – popolare – spirituale e identitario che deve essere conservato contrapposto a mondo moderno massificato e appiattito svuotato di qualsiasi dimensione spirituale e identitaria in senso forte10. La contrapposizione è, per un verso, povera, perché non prende in considerazione il complesso rapporto tra linguaggio musicale e mezzo tecnico, che rappresenta un aspetto imprescindibile per comprendere non solo la “musica popolare” ma anche il genere specifico della villotta cogliendo il fenomeno musicale nella complessità con cui si dà nel mondo contemporaneo (dove una villotta si può ascoltare semplicemente andando su youtube); per un altro verso lascia intendere categorie che non sono prive di valenze politiche: come la contrapposizione tra una società antica, piena di valori spirituali e una società moderna massificata e depauperata.

Un esempio significativo, in questo senso, è l’articolo, pieno di retorica patriottica, apparso sulla rivista La porta orientale: rivista mensile di studi giuliani e dalmati alla firma di Odo Samengo nel 1935, in pieno fascismo. Conviene soffermarsi più estesamente, dato il carattere del tutto paradigmatico dello scritto. Per Samengo la “villotta” agonizzava: “le guerriglie politiche dei partiti dell’ante-guerra”, la guerra, l’affannosa ricostruzione e “la ventata della follia rossa dl dopoguerra” minacciavano di “soffocare per sempre questo tradizionale canto del popolo, genuina voce del Friuli”11. La narrazione encomiastica del “Bardo del Friuli”, Arturo Zardini, che riscopre e fa rifiorire la villotta “nel cuore del popolo”, si intreccia con la narrazione encomiastica del fascismo che restituisce la “linfa nuova” all’Italia distrutta. Zardini, come quell’”Uno (scritto maiuscolo) che come lui era stato emigrate e muratore” prende a scendere dai monti con il suo coro “quasi a portare la buona speranza” ovvero “il senso delle virtù avite e la coscienza della schiatta millenaria e forte”. Significativa è anche la patria del “bardo”, quella Pontebba che un tempo era anche la Pontafel austriaca e che è definitivamente “redenta”: ora i ragazzi “vestono tutti la divisa dei Balilla e tutti insieme si preparano ad essere domani forti alpini”. A suggello di questa lettura nazionalista e fascista è posto il capolavoro di Zardini, stelutis alpinis, dove si racconta “il soldato morto tra i suoi monti sulle soglie della patria invasa” testimonianza delle “mille croci che vanno dal passo Sesis al Monte Nero” che videro il valore alpino vincere sui tiratori dell’Alpenkorps e

8 Macchi, op. cit., p. 351.

9 Umberto Merletti, in L’è ben ver, op. cit., p. 4.

10 Per un’analisi esaustiva cfr., Franco Remotti, L’ossessione identitaria, Anticorpi, Laterza, Roma-

Bari, 2010.

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27 Schützen e i Kaiserjäger. Non è forse il caso di puntualizzare che i soldati friulani, triestini ed istriani facevano parte proprio dei Kaiserjäger qui citati, essendo stati sudditi dell’Impero Austro-Ungarico e chiamati alle armi nel 1914 per essere spediti in Galizia a combattere sul fronte russo12; ciò che importa sottolineare come la contrapposizione tra società moderna, piatta ed individualistica da un lato e società antica tradizionale, “pura e virtuosa” faccia parte di un armamentario culturale povero che si presta bene ad essere strumentalizzato.

3. Per comprendere il “bene” immateriale rappresentato dalla villotta tradizionale senza cadere nella retorica della contrapposizione tra passato e presente, tra purezza ed autenticità degli antichi costumi e corruzione consumistica della società contemporanea, occorre dunque esplorare più da vicino le forme con cui questo genere musicale può essere inquadrato alla luce di categorie sociologiche più consapevoli ed elaborate. Sarà poi possibile prendere in considerazione, oltre a quelli tradizionali, anche modi diversi di riappropriarsi del patrimonio musicale friulano come quello rappresentato da Pierpaolo Pasolini.

Fa parte della tradizione romantica da Herder a Taine considerare la bellezza frutto delle condizioni determinate dalla razza, dal milieu e dal momento, dunque come qualcosa di strettamente connesso alla organizzazione sociale. Evidentemente, non è questa la sede per affrontare il problema di come la sociologia ha articolato il rapporto tra musica e società nelle diverse possibili letture, che investono tanto la funzione sociale della musica quanto il significato della dimensione estetica considerata come autonoma e indipendente13. Mi limito, pertanto, ad alcune osservazioni utili a chiarire il nostro tema.

Anzitutto occorre dire che la musica mette in gioco un ventaglio di azioni “aperte” che sono in connessione con azioni nascoste che diventano fattori essenziali della relazione sociale14. Il problema specifico è quello dei processi sociali che l’opera d’arte mette in moto. Ciò che occorre tener presente sono, in questo contesto, gli stadi di sviluppo che la relazione tra società e musica presenta: da una fase primitiva, in cui la musica si intreccia con lo svolgimento di prassi socioculturali come la danza, la comunicazione verbale che avviene tramite il canto, l’uso di strumenti musicali in un contesto sociale altamente integrato, a forme più differenziate, dove emergono generi musicali che accompagnano i processi lavorativi o le pratiche religiose, forme rituali legate ai momenti di trasformazione che scandiscono la vita individuale e sociale, come la nascita, il matrimonio, i riti funebri. Il grado di complessità raggiunto attraverso la diversificazione introdotta dal

12 Cfr., Di Michele, Andrea Tra due divise. La Grande Guerra degli Italiani d’Austria, Laterza, Roma

– Bari, 2018.

13 Per una breve sintesi Cfr., Wolfgang Lipp, Gesellschaft und Musik. Zur Einfuhrung, in Ibid.,

Gesellschaft und Musik. Wege zur Musiksoziologie, Dunker & Humblot, 1992.

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moltiplicarsi delle modalità tecniche di produzione e riproduzione della musica rappresenta un ulteriore elemento di differenziazione: la creazione della musica si separa dal momento del consumo, inscrivendosi nelle dinamiche della società capitalistica e creando una specifica tipologia di ascolto15.

La villotta friulana ha origini molto antiche e, pertanto, si può verosimilmente presumere che attraversi orizzontalmente tutte le forme di articolazione tra organizzazione sociale e espressione musicale che abbiamo brevemente illustrato. Le ipotesi formulate attorno alla genesi di questo particolare genere di musica sono molte, da quelle che riconducono la villotta all’imitazione di sequenze ecclesiastiche della monodia liturgica patriarchina16, a quelle ne scorgono l’origine nelle tradizioni celtiche, in una tipologia di canto rinvenuta nelle isole britanniche nel secolo IX e X. Perfino il nesso tra la villotta e le prassi lavorative è ravvisato in certe configurazioni ritmiche, come ad esempio il battere del martello del calzolaio espresso dalla sequenza ritmica dei versi trocaici della villotta Se io ves di maridami17. In questo lavoro di ricostruzione delle origini si sviluppa l’interesse specifico della etnomusicologia in una ricerca per altro estremamente difficile perché alle origini la villotta è tramandata soltanto oralmente. Nelle società in cui la cultura si trasmette oralmente, il contributo individuale della creazione artistica si trasforma, nella prassi sociale della ripetizione in cui sono variati e modificati sia il testo che la melodia, in una creazione collettiva. È facile, per questo, vedere nel momento aurorale in cui la villotta si forma, un’espressione di appartenenza creata attraverso lo sviluppo di un’intensità emotiva vissuta collettivamente. Senza fare riferimento alla tesi, pur plausibile, che la musica si presenti, ontogeneticamente, come la prima esperienza umana, giacché la vicinanza acustica con il cuore della madre è la situazione originaria di ciascun uomo e da questa scaturisce la base della sicurezza, la musica rievoca senz’altro un legame simbiotico e di intensa partecipazione emotiva18. Durkheim individuava proprio nella energia mentale che la società riesce a scatenare, la principale forma di coercizione di cui essa dispone: l’efficacia del legame sociale dipende dalle proprietà psichiche che la società controlla19.

15 Adorno ha stigmatizzato la modalità di ascolto definita dalla “musica passatempo” cfr. Theodor W.

Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino 1971, p. 19.

16 Cfr., Giulio Cattin, La tradizione liturgica aquileese e le polifonie primitive di Cividale, in a cura di

Cesare Corsi e Pierluigi Petrobelli, Miscellanea Musicologia. La Polifonia primitiva in Friuli e in

Europa, Atti del Congresso Internazionale Cividale del Friuli, 22 – 24 Agosto 1980, p. 117 – 130.

17 Così commenta Mario Macchi a questo proposito: “Da notare la bellissima onomatopea del batter

del martello nei piedi trocaici, sulla stessa nota, con un crescendo sino al fischio, ottenuto da uomini (mo ha sentito anche delle donne!) con l’aiuto di due dita sulla lingua.” Op. cit., p. 364.

18 È la tesi di Frank Rotter, Musik als Kommunikationsmedium. Soziologische Medientheorien und

Musiksoziologie, Berlin, 1985.

19 Émile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Parigi 1912, trad. it. Edizioni Comunità,

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29 Ora, pure nella differenziazione che caratterizza le modalità in cui oggi la musica è prodotta e consumata, si possono individuare analoghi meccanismi, relativi a una pluralità di azioni che sono rese possibili in connessione con le azioni “nascoste” suscitate dall’”esposizione” all’evento musicale, sia in termini di attiva partecipazione che di semplice ascolto. Si tratta di una relazione tra interno (energia psichica) ed esterno (contesto sociale che riesce a mobilitarla). Indubbiamente le dinamiche che la musica mette in moto non investono più la società nel suo complesso ma i gruppi, includendo anche l’elemento tecnologico. Ciò non pregiudica affatto, contrariamente a quanti demonizzano il ruolo della tecnologia, il coinvolgimento emotivo cui la creazione artistica mira: creare negli altri un’emozione identica a quella provata dall’autore20. È questo il centro dell’esperienza musicale in cui le emozioni evocate dai suoni sono determinate dal fattore sociale dell’esperienza della musica. Qui l’azione di un’entità (gruppo, individuo, associazione), causa un’azione o un cambiamento in un’altra21. Vengono, infatti, messi in opera meccanismi interpersonali che rendono possibili la vita personale e di gruppo. Su tale base è possibile analizzare il perché certi gruppi producono certa musica, il motivo per cui nasce l’esigenza di creare dei gruppi musicali, il livello sociale che si mescola alle associazioni finalizzate alla produzione della musica22.

Il genere della villotta si presenta qui nel ventaglio di un’esperienza musicale differenziata ma non per questo meno importante. Si contano numerosi cori organizzati con repertori da concerto in cui la prassi esecutiva si produce in occasioni finalizzate esclusivamente alla fruizione della musica tradizionale, staccata da alcun contesto rituale, non solo in Friuli, ma anche in Trentino, dove alcune villotte friulane fanno parte del repertorio standard di cori a partire da quello della Sat per finire con i cori amatoriali molto diffusi a livello locale. Il ventaglio delle azioni generate da tali gruppi sul pubblico è differenziato: dal senso di appartenenza e di identità suscitato dalla partecipazione effettiva e collettiva agli eventi, all’ascolto individuale, come quello dell’uomo che riceve l’esperienza musicale fuori dal contesto della sua produzione in assoluta solitudine.

Ancora, la tradizione della villotta è mantenuta viva attraverso iniziative come il Festival della canzone friulana, che, dal 2014 premia la migliore canzone friulana in lingua dialettale. In quest’ambito, l’antica tradizione della villotta rivive e si rinnova, avvalendosi del talento e della creatività di singoli compositori e parolieri in un contesto nuovo in cui la tecnologia è ampiamente utilizzata per la divulgazione, la trasmissione e la riproduzione degli eventi musicali. L’enorme successo dell’iniziativa, che nell’edizione del 2017 ha visto partecipare 200 concorrenti,

20 Cfr. Alphons Silbermann, op, cit., p. 69. Sulla stessa linea cfr. Maurizio Ferraris, La fidanzata

automatica, Bompiani, Milano, 2007.

21 Al phon Silberman, op. cit., p. 133.

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mostra come la villotta possa essere considerata un bene capace di creare senso collettivo seppure in modo più frammentato.

Da ultimo occorre ricordare come le villotte siano ancora una parte importante del patrimonio musicale locale, giacché in circostanze conviviali vengono a tutt’oggi eseguite spontaneamente in gruppo, come si può constatare anche semplicemente guardando filmati amatoriali caricati su youtube. Analizzata in questo ventaglio di manifestazioni di gruppo, la villotta rappresenta ancora un forte elemento di creazione identitaria, pur nella pluralità delle modalità e dei gruppi con cui si realizza l’esperienza musicale e nella frammentazione che caratterizza la società contemporanea23.

4. Un posto speciale merita l’elaborazione colta della villotta rappresentata da Pier Paolo Pasolini. Qui trova espressione quella che Litt definisce l’apertura della musica, che non è mai interamente riducibile alla sua funzione sociale24. La rielaborazione e interpretazione della musica tradizionale friulana e della villotta non mettono in opera processi di identificazione e di appartenenza ma rappresentano un momento di libertà e di forza creativa che induce, attraverso l’esperienza musicale, a riflettere sul ruolo della musica tradizionale in rapporto alla società. La complessità dei linguaggi musicali e poetici con cui l’autore rielabora il patrimonio tradizionale friulano nel rapporto complesso e frastagliato con la colta lingua italiana, è un’azione finalizzata a stimolare un livello di consapevolezza più profondo che comporta, automaticamente, la necessità di abbandonare qualsiasi posizione meramente consumistica e facilmente identitaria. L’approccio critico rispetto alla musica tradizionale è la premessa e, per certi versi anche il risultato, dell’esperienza musicale promossa. Ciò dà luogo, usando le categorie introdotte da Adorno, a una musica mediata attraverso l’individuo, che individua in questa da un lato un nesso significante, dall’altro la sua libertà dai meccanismi e dalla funzione sociale della musica stessa25.

Pasolini non è un compositore. Tuttavia la musica, e in particolare la villotta friulana, è presente in modo significativo nell’opera poetica e letteraria dello scrittore ed anche nell’opera cinematografica. Occorre premettere come l’analogia tra musica e poesia venga ravvisata da Pasolini in più contesti: negli Studi sullo stile di Bach troviamo un riferimento esplicito26 e in molti passi la metafora musicale è applicata

23 Cfr., Convegno interregionale sul tema del canto popolare nelle Venezie: coralità ed esperienze

comunitarie. Notiziario Bibliografico n. 43, settembre 2003 periodico quadrimestrale d’informazione

bibliografica a cura della Giunta regionale del Veneto, soprattutto Franco Colussi, Associazionismo

corale in Friuli- Venezia Giulia: esperienze ed esiti culturali, p. 30 ss.

24 Wolfgang Lipp, op. cit., p. 11. 25 Cfr., Theodor W. Adorno, op. cit.,

26 “I rapporti tra musica e poesia non sono di una equivoca musicalità, e nemmeno rapporti tra note e

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31 più in generale alla lingua. Perfino la sua intera produzione poetica è stata ricondotta alla musica27. Ciò vale ancora di più per la poesia dialettale friulana, tradizionalmente legata alla musica28. In entrambe le forme poetiche e musicali possiamo cogliere l’azione dell’artista, intesa a trasmettere l’emozione della musica popolare attraverso il verso poetico e, allo stesso tempo, a provocare un pensiero critico sui contesti sociali e sul significato che prende la musica. Pasolini, fin dai primordi, ha dedicato una speciale attenzione alla villotta friulana. Quando nel 1945 fondò l’Academiuta de lenga furlana, si dedicò particolarmente a questo genere musicale, proponendo componimenti propri e organizzando esecuzioni29. È evidente che separare la villotta dal dialetto è un’impresa impossibile. La lingua friulana è il verso poetico, dunque ritmico e musicale; una lingua che per Pasolini rappresenta il “ritorno” al mondo materno della terra, il mondo autentico proprio di una classe sociale non contaminata (ancora) dagli ideali borghesi30. Nella produzione poetica dialettale la musica compare sempre come elemento evocatore di atmosfere e suoni della vita contadina. Qualche esempio: nella raccolta Poesie a Casarsa (1941-43) Pasolini, nella lirica Li Letanis dal biel fì, evoca il canto della cicala: “La siala a clama l’unvièr / quant ch’a cianta la siala / dut tal mont a’clar e fer – La cicala chiama l’inverno, / quando canta la cicala / tutto il mondo è chiaro e fermo.” Troviamo riferimenti ai canti religiosi – il titolo della raccolta di poesie L’usignolo della chiesa cattolica è già di per se significativo in questo senso – come nella poesia Il Giovinetto, in cui si legge “Le Domeniche sono piene di feste e canti” oppure in Sera dove scrive: “O Agnus Dei… cantano forte le donne con la corona in mano”. Molti sono i riferimenti al canto popolare, come emerge nella raccolta Il canto popolare31 dove troviamo questi versi: “III Ma in quest’ora del vespro o del mattino… Il vizio umano che il vizioso dialetto esprime in canto”.

In modo specifico, il canto popolare friulano emerge nel romanzo Il sogno di una cosa, scritto tra il 1948 e il 1949 e pubblicato solo nel 1962. Qui Pasolini descrive il mondo contadino in modo semplice, usando la musica per ricostruirne efficacemente l’atmosfera: il suono delle campane, i versi degli animali, l’acqua che scorre, i rumori degli attrezzi. L’ambiente e la vita sono raccontati attraverso le vicende di un gruppo di ragazzi, Nini, Eligio, Basilio e Germano che, soffrendo della povertà e delle ristrettezze del modo di vivere del paese, decidono di emigrare in Jugoslavia dove si trovano “i comunisti” e dunque “si può mangiare”. Un aspetto caratteristico del gruppo dei ragazzi è la musica, che entra nel romanzo nella forma

27 “La vocazione poetica di Pasolini nasce come “pensiero musicale” e matura attraverso una costante

riflessione sui rapporti tra musica e poesia” Ibid., p. 65.

28 Cfr., Bindo Chiurlo, Bibliografia ragionata della poesia popolare friulana, Arnaldo Forni Editore,

Udine 1920.

29 Francesca Cadel, op. cit., p. 46. 30 Cfr., Ibid., p. 29.

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del ballo, attività praticata da tutti, nell’esecuzione di brani e, in fine, di canti. Interessante sapere di quali canti si tratta. Nella prima parte del romanzo, infatti, troviamo dei canti popolari italiani, come Io tengo la pistola caricata con le palline d’oro, una canzone introdotta nell’ambiente di Casarsa dai soldati romagnoli. Alla fine della festa i ragazzi intonano Bandiera rossa, canzone-simbolo della lotta comunista. Si tratta di composizioni in lingua italiana; canzoni che non “toccano” profondamente l’animo dei ragazzi, pur essendo espressione di allegria e di spensieratezza. È il sogno di una società comunista, la bandiera rossa che trionferà, infatti, a indurre i ragazzi ad abbandonare il paese. L’uso della lingua italiana, qui come in altri contesti, è senz’altro da interpretare come un indice dell’allontanamento dall’autentica tradizione popolare. È nota la critica che Pasolini ha mosso alla lingua italiana: scolastica e televisiva (per Pasolini non c’era una grande differenza) sarebbe la principale responsabile ed interprete dell’omologazione culturale e della decadenza antropologica degli italiani32. La lingua italiana è anche la lingua del padre di Pasolini, un ufficiale fascista e nazionalista con cui egli ha sempre avuto un rapporto conflittuale33.

La canzone popolare friulana, invece, emerge dalla nostalgia. Quando i ragazzi arrivano in terra jugoslava si accorgono che le condizioni in cui sono costretti a lavorare non sono affatto diverse da quelle del paese che hanno lasciato; in più si accorgono che hanno spezzato il legame sociale e l’appartenenza alla loro comunità originaria. Come tutti gli emigranti si consolano cantando le canzoni tradizionali. “Cantiamo canzoni friulane, mondo cane!” afferma uno di loro. Tra queste troviamo le più note villotte, come Al ciant el gial, o quella che, nel contesto del racconto, tocca le note più profonde nell’animo dei ragazzi: stelutis alpinis, cantata con “un nodo alla gola”. Il brusco passaggio alle villotte allegre, fatto dal gruppo di ragazzi per non sembrare emigranti isolati e per giunta tristi, ha il senso di un’impiallacciatura superficiale, di una fuga, ma anche della leggerezza con cui i giovani riescono a guardare al futuro. Le canzoni sono per Pasolini indizio di autentico sentire e di vitalità.

A questa altezza si incontra la tematizzazione più esplicita del rapporto tra musica e società, declinata in una riflessione sul significato del canto e il rapporto della canzone popolare e della musica con la società. La principale caratteristica del ragazzo del popolo è, infatti, la spensieratezza che si esprime nel canto, scrive Pasolini: “ragazzo del popolo che canti, qui a Rebibbia sulla misera riva, dell’Aniene la nuova canzonetta, canti, è vero. Cantando, l’antica, la festiva leggerezza dei

32 “Il grande corpo degli insegnanti è affiancato alla TV per imporre quel famoso italiano, che tra

l’altro non è nemmeno più quel bel fiorentino letterario che poteva essere un’ideale in qualche modo; è l’italiano orrendo della televisione” Pier Paolo Pasolini, Volgar’eloquio, Editori Riuniti, Roma, 1987, p. 39.

33 Sulla complessa relazione di Pasolini con il padre e il rapporto giocato dalla lingua in questa

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33 semplici…”. È rimasta nell’immaginario collettivo la descrizione, negli Scritti Corsari, del garzone di un fornaio che, pur sfruttato dal padrone, continua a fischiettare e lanciare motti. Il canto è, oltre ogni dubbio, il simbolo, forse il principale, della libertà popolare che si esprime nell’allegria, un’allegria “vera” che “sprizza dagli occhi”, a fronte della tristezza della vita piccolo borghese che coltiva la serietà e la dignità come “orrendi doveri”. La perdita del canto è la cifra della perdita di un mondo alternativo e migliore rispetto a quello consumistico e borghese. Scrive Pasolini che il garzone del fornaio “faceva parte di un modello che nella sua borgata aveva un valore, un senso. Ed egli ne era fiero”34. Questo modello culturale è stato distrutto: la borghesia ha tolto il canto al “cascherino”; felice di vederlo trasformato in un ragazzo “serio” e “dignitoso” non si accorge – come non si accorge il ragazzo – che di tratta di degradazione. Chiosa l’autore: “i ragazzi del popolo sono tristi perché hanno preso coscienza della propria inferiorità sociale, visto che i loro valori e i loro modelli culturali son stati distrutti.”35

Ancora più intensa l’esperienza musicale evocata da Pasolini nei suoi film. Qui il canto e la musica non sono “raccontati”, ma effettivamente eseguiti, nella modalità dell’ascolto offerto in una sala cinematografica. Evidentemente non si tratta di un concerto: la musica assume un significato che è leggibile soltanto a fronte dei modi e delle situazioni filmiche cui viene associata. Pasolini ha spesso sostenuto che il cinema è un mezzo audiovisivo: ciò significa che la parola e il suono hanno la stessa importanza dell’immagine36. Quanto si delinea è un rapporto duplice in cui la musica costituisce la base sonora che condiziona l’interpretazione delle immagini, e, d’altra parte, le immagini sono la base su cui è possibile comprendere il senso che l’autore ha voluto dare alla musica. L’effetto è quello di aumentare enormemente l’arco semantico dell’opera cinematografica. La musica, infatti, trasforma il suono della parola, deragliando, propagando, deviando per altre strade il senso. Tra l’immagine e la musica il ventaglio dei rapporti viene ad ampliarsi enormemente: la musica è un messaggio a sé stante che interagisce con l’immagine in modo ambiguo e contraddittorio, smontandola, ricostruendola, facendo ad essa da contrappunto, dando la chiave per interpretarne il senso. Un’analisi dettagliata di questo tema trascenderebbe i limiti del presente lavoro37. Mi limito soltanto a una breve osservazione sull’uso della villotta stelutis alpinis in uno dei più discussi e controversi film pasoliniani: Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Come è noto il film, che rievoca il titolo dell’opera di de Sade, racconta di quattro gerarchi fascisti della Repubblica di Salò, che, per soddisfare le loro pulsioni perverse e criminali, rapiscono un gruppo di giovani, ragazze e ragazzi, per portarli

34 Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, 1975 p. 76. 35 Ibid., p. 77

36 Cfr., Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday, Guanda, Parma, 1992, p. 174.

37 Rimando al volume esaustivo e dettagliato di Giuseppe Magaletta, La musica nell’opera letteraria e

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dentro una villa ove li sottopongono alle più crudeli e depravate pratiche sessuali frutto delle loro fantasie sadiche. I temi di fondo, che trovano espressione nell’atmosfera onirica e allucinata della villa di Salò, sono quello della morte e della violenza, da intendersi non nell’ottica di una ricostruzione di un passato fascista, ma come esito ultimo del potere anonimo e omicida del capitalismo. La società borghese, che ha dissolto il ridere allegro del garzone del fornaio, mostra tutto il suo potere distruttivo dissolvendo anche il principio della vita, così come Pasolini l’aveva raffigurata nella trilogia della Vita38 dove aveva celebrato la potente creatività del sesso, poetico, vitale e straripante. Il nesso tra il principio della vita e una società arcaica ancora non contaminata dai valori borghesi è di assoluta evidenza; la stessa rotazione che, nel pensiero di Pasolini, prende l’interpretazione del fascismo39 ci aiuta ad intendere che l’oggetto di Salò è il nuovo fascismo, quello omologante della società consumista. Il sesso rappresentato nel film è l’allegoria della mercificazione dei corpi attuata dal potere, che ingloba ogni aspetto della vita. La tolleranza e la liberazione sono finte; in realtà, sono le nuove frontiere della reificazione capitalistica, la sessualità è un’invadente e totalizzante disciplinamento del corpo che uccide l’erotismo. Come afferma lo stesso Pasolini, assistiamo alla sinistra coincidenza tra consumismo e fascismo40. La musica è, quindi, il contrappunto semantico che fornisce la chiave di lettura che ci permette di interpretare le immagini attraverso effetti paradossali e contraddittori.

Per comprendere il senso di stelutis alpinis è necessario fare un breve riferimento all’intreccio tra la trama del film e la musica. La storia è scandita dal racconto di quattro prostitute, tre delle quali descrivono ai gerarchi le loro performances sessuali, suscitando discussioni e stimolando le fantasie degli stessi, mentre la quarta suona il pianoforte. Le narrazioni compongono il quadro che ordina la messa in opera delle pratiche sadiche, rievocando la struttura razionale con cui sono organizzate le perversioni descritte da de Sade. La prima parte, antinferno, è senza musica: qui i giovani sono rapiti e portati nella villa. L’assenza di accompagnamento musicale sottolinea esattamente il ruolo importante della musica al fine di interpretare l’escalation delle pratiche sadiche fino al culmine dell’omicidio. La musica non è mai un semplice accompagnamento o commento sonoro alla scena, ma è la chiave ermeneutica per interpretare gli altri “gironi” quello delle manie, quello della merda e, in fine, il girone del sangue. Occorre sottolineare come la musica che accompagna le scene del film sia, quasi interamente, prodotta sulla scena stessa. In altre parole, la colonna sonora è prodotta con esecuzioni musicali dovute agli stessi personaggi del film: la prostituta-pianista suona il piano o la fisarmonica; i

38 Con trilogia della Vita si intendono i tre film prodotti da Pasolini nel corso degli anni Settanta:

Decamerone, I racconti di Canterbury e le Mille e una notte.

39 Cfr la nota polemica sui nuovi fascisti.

40 Cfr., Pier Paolo Pasolini, Povera Italia. Interviste e interventi 1949 - 1975, a cura di Angela Molteni,

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35 gerarchi cantano, anche le vittime cantano; la musica è trasmessa da una radio presente nella stanza.

I pezzi musicali suonati dalla pianista o trasmessi dalla radio sono delle canzonette scritte tra gli anni Trenta e Quaranta, come Sono tanto triste scritta nel 39, Dormi bambina, Fiori d’arancio, Il maestro improvvisa e Tu amore. Si tratta di canzonette che cantano in modo elaborato, retorico e sdolcinato l’amore. I testi sono stucchevoli e le passioni che pretendono di descrivere si risolvono in un intimismo sentimentale artificioso. Il contrasto con la semplicità delle villotte amorose friulane non potrebbe essere più grande. L’effetto paradossale creato tra la nauseabonda artificialità della canzone e la razionalità perversa con cui il sesso si trasforma in strumento di controllo e oppressione, rivela come queste non siano che le due facce della stessa medaglia. È attraverso il rapporto tra mercificazione ed esaltazione pseudo-sentimentale e retorica dell’amore di coppia che si rivela, in modo enigmatico, la natura ambigua e violenta della vita e della sessualità borghesi. La reificazione del corpo è, infatti, la verità del vacuo sentimentalismo con cui è celebrato il nucleo della famiglia, perno e sostegno della morale borghese, portata ad espressione parossistica nelle insulsaggini provinciali dei gerarchi fascisti.

Nell’escalation violenta che si attua nel secondo girone, la musica che viene eseguita è quella di Chopin. È un riferimento evidente alla tradizione colta, “borghese” nelle sue origini: la musica da salotto composta in un periodo, il 1830, in cui la borghesia ha imposto in Francia la sua egemonia È nota l’avversità pasoliniana per gli strumenti “borghesi”, come l’arpa e il pianoforte; Chopin è l’espressione pianistica della borghesia e dei suoi salotti eleganti, della vacuità e dell’esteriorità presenti in tutte le occasioni mondane41. È nell’ambiente sonoro così creato che i quattro fascisti decidono di servire dei piatti colmi di feci. Nuovamente troviamo un contrasto forte tra la dolcezza della musica e la sua verità svelata nel pasto perverso.

Nel girone del sangue è riprodotta altra musica; anzitutto la Pastorale di Bach BMW 590 in fa maggiore, eseguita alla fisarmonica da una delle prostitute, per accompagnare la farsa del matrimonio tra i gerarchi vestiti da donne e i giovani ragazzi. Il carattere onirico è qui portato all’altezza di una rappresentazione sacra. La parodia del matrimonio si intreccia con la parodia della musica di Bach alla fisarmonica: l’annientamento di qualsiasi ordine simbolico e la riduzione della vita a pura irrealtà, attraverso la deformazione e l’alterazione del sacro. Nella profanazione del sacramento del matrimonio e della musica di Bach eseguita alla fisarmonica da una prostituta trova luogo il rovesciamento del sacro nel suo opposto. A questo punto Pasolini fa iniziare il massacro dei ragazzi: la verità violenta ed omicida può scatenarsi dopo che l’ordine simbolico è stato distrutto. Quando iniziano le sevizie sui giovani, il commento sonoro è l’inno a Roma di Giacomo Puccini suonato dalla

41 Cfr. Giuseppe Magaletta, La musica nell’opera letteraria e cinematografica di Pier Paolo Pasolini,

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pianista. Il brano, scritto per la principessa Iolanda di Savoia ed eseguito al cospetto del Re nel 1920, da allora è stato utilizzato nelle cerimonie ufficiali dei fascisti, è, perciò un riferimento esplicito alla sfera del potere. Qui non è più la falsa vita borghese ad essere stigmatizzata, ma l’anima politica della borghesia e del falso amor di patria, retorico e presuntuoso: “la pace del mondo è oggi latina. Il tricolore canta sul cantiere e sull’officina.”42, recita il brano. L’assassinio e l’impiccagione sono la verità di questa estrema farsa perché la violenza immotivata viene liberata laddove il simbolo è distrutto43. Il potere borghese è, in questo senso, anarchico (come uno dei gerarchi afferma): non stabilendo alcun ordine o gerarchia, scatena una violenza che necessariamente è epidemica e diffusa. I gerarchi osservano la scena delle impiccagioni da lontano, con il binocolo, quindi nella forma fittizia della riproduzione voyeuristica e tele – visiva. È la violenza gratuita, l’espressione estrema del potere borghese. Scrive Pasolini: “L’inferno sta salendo da voi. È vero che viene con maschere e bandiere diverse. È vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che il suo bisogno la sua voglia di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere è forte e generale”44.

È al culmine della violenza, il punto di maggiore tensione del film, che Pasolini usa stelutis alpinis. E non si tratta di un caso. È lo stesso Pasolini a mettere Salò in relazione con le poesie in friulano come esempi di perfezione formale45; sappiamo che stelutis alpinis rievoca l’immagine potente del fratello Guido, ucciso a Porzûs. È in questa figura che enigmaticamente si intrecciano eros e thanatos, come recita la Ballata del Fratello, contenuta nella raccolta poetica La meglio gioventù: “nella tua mano è il segno/ d’amore e della morte”. Il nesso amore – morte ci dà la chiave di lettura per comprendere il senso che ottiene la lingua friulana intensificata nella forma musicale che la compendia e corona. Occorre precisare come stelutis venga prodotta all’interno del film, non nella forma, parodistica, dell’esecuzione pianistica e nemmeno come musica trasmessa alla radio. Non è l’immagine filmica a fornirci, dunque, la chiave interpretativa della musica, come nel caso della parodia di Bach, quanto piuttosto è l’immagine che riceve senso dalla musica. Stelutis accompagna la scena delle torture avvolgendola e conferendole significato: la lingua originaria, già terra, àncora e rifugio, segna la via verso l’unica forma di libertà che rimane dopo la desertificazione e il prosciugamento del simbolo. Laddove la libertà sessuale ha perduto qualunque carica rivoluzionaria ed espressiva trasformandosi in un sistema razionale di oppressione in cui il sesso è grimaldello usato per colonizzare i corpi e piegarli, stelutis alpinis indica il martirio come unica forma di libertà. La rinuncia alla vita, evocata nella figura delle vittime, è ciò che ancora rimane come

42 Il testo è riportato in Magaletta, op, cit., p. 400.

43 Cfr., René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 1992. 44 Pier Paolo Pasolini, Povera Italia, op. cit., p. 383.

45 Cfr., Pier Paolo Pasolini, Ultima conversazione a cura di Gideon Bachmann e Donata Gallo in Con

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37 atto disponibile e assoluto di protesta e di libertà. Allora ecco che stelutis si trasforma: non è il canto patriottico voluto dal fascismo e nemmeno l’oggetto di un consumo identitario; stelutis è la stella, il fiore del sacrificio che sostituisce il fiore stupendo e carnale delle Mille e una Notte. La poesia/musica friulana di Pasolini quale momento aurorale ed originario si intreccia, alla fine, con il momento kenotico-cristico della discesa, sia nel grembo della terra-madre che nell’inferno della violenza.

Qualche osservazione conclusiva. Evidentemente la diffusione della villotta nelle sue manifestazioni popolari e televisive non può essere paragonata alla complessità con cui si presenta nell’opera di uno dei maître à penser più importanti e significativi che la cultura italiana abbia prodotto. Usando le categorie di Wolfgang Lipp46, si tratterebbe del caso classico in cui la musica, intesa come linguaggio musicale poetico oltre che come musica vera e propria, fa saltare i modi e le strutture della società, creando lo spazio per una riflessione critica. In altri termini, l’azione “aperta” dall’autore pone qui in opera un’azione nascosta che adombra una relazione sociale, quella dell’intellettuale che “apre” ad un rapporto conoscitivo della musica antitetico rispetto al consumo passivo e non cosciente. L’emozione suscitata dal contrasto tra canto popolare friulano con le assonanze identitarie che questo evoca e quella scaturita dalle immagini filmiche violente ed estranianti si impone con la forza di una provocazione e di un enigma.

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