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Cultura e metodo scientifico

Concetti vulcanologici in Italia all'inizio del XVII secolo

Dott.ssa Claudia Principe

Istituto di Geoscienze e Georisorse CNR – Pisa Associazione La Nuova Limonaia – Pisa

c-.principe@igg.cnr.it

Giovedì 20 novembre 2014

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Claudia Principe 20 novembre 2014 Corso di Cultura e Metodo Scientifico - Polo Fibonacci – UNI PISA

La filosofia naturale medioevale è tutta basata sulle idee di Platone e dei neoplatonici (Plotino)

trasmesse per il tramite di Sant'Agostino (354-430 AD).

Nella visione Agostiniana gli

"universali" di Platone vengono raccordati ad una visione

fideistica del reale, per cui il mondo e le forme date al mondo materiale sono il riflesso delle idee eterne tratte dalla mente di Dio. Ne consegue che in questo periodo la natura non viene

studiata per ricavarne delle verità scientifiche ma dei simboli

efficaci delle realtà morali di cui il Creato è l'emanazione.

Platone e Sant’Agostino

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Attraverso i testi della cultura greca e latina, reintrodotti in Occidente tramite le traduzioni delle versioni arabe e degli originali greci dal mondo arabo, l'uomo medioevale recupera le cognizioni scientifiche dell'età classica. Quelli che hanno trattato argomenti attinenti le

scienze fisiche sono:

•  Plinio il Vecchio, per la Storia Naturale,

•  Severino Boezio, per la matemeatica e la logica,

•  Isidoro di Siviglia, per l'astronomia e la medicina,

Alla fine di questo processo di recupero si può dire che quanto a cognizioni scientifiche

sensu strictu l'uomo medioevale non ne sapeva di più di un qualsiasi cittadino colto della Roma imperiale.

Il recupero delle conoscenze del mondo antico

Due furono i modi in cui a partire dal XII secolo i classici greci rientrarono nel mondo occidentale: la traduzione dall'arabo, dall'ebraico e dalle altre lingue orientali, che prevalse nella penisola iberica e in Sicilia, e la

traduzione diretta dal greco, realizzata

soprattutto in Italia.

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Claudia Principe 20 novembre 2014 Corso di Cultura e Metodo Scientifico - Polo Fibonacci – UNI PISA

Fra i testi della cultura greca e latina, reintrodotti in Occidente tramite le traduzioni delle versioni arabe, vengono recuperati anche i testi di Aristotele, che già avevano fornito le basi della filosofia naturale per Greci ed Arabi. La differenza rispetto alla visione Agostiniana è che il mondo naturale concepito da Aristotele è

basato sulla logica e non sulla fede. La riscoperta di Aristotele significa quindi nel mondo tardo-medioevale l'inizio dello studio della natura in se stessa, e la possibilità di applicare questo studio alla comprensione dell'essenza delle cose di Dio, tramite la logica.

Agostino vs Aristotele

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Quando verso la fine del XVI secolo il recupero delle cognizioni scientifiche greche e latine si può considerate completato, l'uomo rinascimentale inizia a guardare il creato con occhio nuovo. Conoscenza per lui significa controllo delle forze naturali e la conseguente possibilità di un loro utilizzo al sevizio dell'uomo. In questo momento di transizione un importante ruolo è svolto dallo sviluppo delle conoscienze tecnologiche, che d'ora in poi sarà mutuamente dipendente dal progresso scientifico.

L’uomo rinascimentale

Leonardo da Vinci (Vinci, Pistoia 1452 – Amboise, Francia 1519)

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L'inizio del XVII secolo vede il fiorire di nuove scienze, nuove idee ed il proliferare di

personalità di spicco, alcune di passaggio fra il vecchio ed il nuovo ed altre decisamente

proiettate verso una scienza che fosse comprensione della natura.

La quale deve essere sottoposta non solo ad una vera ed attenta descrizione, ma anche:

La nuova scienza

1.  ragionata (Bacone ed il metodo induttivo),

2.  sperimentata (Galileo ed il metodo sperimentale),

3.  fino a raggiungerne la comprensione razionale (Cartesio ed il metodo razionale).

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Fra le varie scienze che iniziano nel XVI secolo un rapido sviluppo, la metallurgia è quella che forse più attiene la

vulcanologia e le connesse problematiche dell'origine e del trasferimento dei

magmi dal profondo fino alla superficie terrestre. I testi base di questa nuova scienza, sono essenzialmente quattro, quelli di:

1.  Biringuccio, 2.  Agricola, 3.  Ercker 4.  Barba

Attaverso la sperimentazione in questo campo, dettata anche e soprattutto da motivi pratici, come l'approvigionamento di cannoni per l'esercito, si stringe

sempre di più quel nesso tra tecnica e scienza che prelude alla sperimentazione galileana.

La metallurgia

Vannoccio Biringuccio, senese (1480–ca. 1539),fu autore dell'opera De la Pirotechnia, pubblicata nel 1540, il primo trattato sul mondo della metallurgia.

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La vulcanologia fra il XVI ed il XVII secolo

In questo quadro, lo sviluppo della

vulcanologia come scienza , nel XVI e fino ai primi del XVII secolo, è svantaggiato, nel

momento della generale rinascita delle scienze dal almeno tre fattori:

1) il forte "puzzo di zolfo" legato all'immagine dei vulcani (almeno nella fantasia popolare ancora individuati come le porte dell'Inferno), che sconsiglia di addentrarsi in questioni troppo attinenti agli assiomi della fede, che possono ancora costare la morte sul rogo;

2) l'imponenza dei fenomeni vulcanici e delle forze implicatevi fa sì che le forze connesse con questi fenomeni siano ancora considerate

troppo al di sopra delle capacità di gestione dell'uomo;

3) la mancanza di grandi eruzioni, il cui

prototipo rimane quella del 79 AD, troppo

lontana per permetterne una ridiscussione

critica della fenomenologia.

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Il  contesto  storico-­‐scien-fico  

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In questo quadro il 16 dicembre del 1631 il Vesuvio erutta….

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The maximum expected explosive event

Vesuvius

Naples Phlegrean Fields

a  1631-­‐type  erup-on  is  

the  expected  event  in  

case  of  long  to  medium  

term  reac-va-on  of  

Vesuvius  

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700.000 people live around Vesuvius

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Vedi Napoli e poi muori

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Claudia Principe 20 novembre 2014 Corso di Cultura e Metodo Scientifico - Polo Fibonacci – UNI PISA 1631 Vesuvius eruption, water-colour

print. The original drawing of Vesuvius is contained in the contemporary treatise by Gianbernardino Giuliani:

Trattato del Monte Vesuvio, e de’ suoi Incendi (Longo, E., Naples, 1632)

Da niente ad una eruzione Pliniana

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Colour engraving taken from a painting of the merchant draughtsman Georg Hoefnagel, who stayed in Naples in 1578 together with the geographer Abraham Ortelius: Vesuvius is depicted as being inactive, or at most emitting a slight and uncertain plume of smoke (if the loops and squiggles beneath the caption to the painting are interpreted as alluding to the presence of smoke). This view is published in the work of Georg Braun Civitates Orbis Terrarum 1572-1618 (Theatrum Orbis Terrarum Ltd., Amsterdam, 1965).

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A - Plinian and small-scale Plinian eruptions.

B - Subplinian and violent Strombolian

eruptions. The dark rectangle indicates eruption with mixed (effusive and explosive) phases. The asterisk * indicates an eruption that has been dated by means of the archaeomagnetic method.

C - more or less continuous activity with

eruptions spanning from Strombolian to violent Strombolian.

From Principe et al. (2004)

Synopsis of the eruptions of Vesuvius between 79 AD and 1631

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Le eruzioni medioevali del Vesuvio sono tutte di non eccessiva rilevanza o

prevalentemente effusive e dotate, dati i tempi, di un record strorico scarso e frammentario, eccezion fatta forse per quella del 472 AD, nella quale

l'imponenza dei fenomeni dovette almeno

essere paragonabile e forse superiore a

quella del 1631.

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Molte di queste eruzioni

1.  Sono datate fra la seconda metà de IX e la prima metà del X secolo, ma non sono menzionate dalle cronache “note” (Granatello- Scogli della Scala = 875-935) 2.  sono eruzioni eccentriche, con le

bocche molto vicine all’abitato (Calastro, Bosco del Monaco) 3.  Sono eruzioni miste (787, 1006-7,

1139)

4.  sono eruzioni del tutto analoghe a quelle del periodo post-1631

Le eruzioni non scritte

from Principe et al., Bull Volcanol, (2004)

F. La Vega, 1794

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Number of historical chronicles for Vesuvian eruptions during the period 79 – 1944

from Cerbai & Principe 1996

BIBV – Bibliography of Historic Activity on Italian Volcanoes

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L' ultima eruzione del Vesuvio prima del 1631 avviene nel 1137. In epoca rinascimentale e successiva si registrano in Italia solamente una dubbia esplosione freatica nel 1500 al Vesuvio, l'eruzione dell'Etna del 1536 e quella di Monte Nuovo, nei Campi Flegrei nel 1538. Tutte queste eruzioni non mancheranno di essere ricordate ed il ricordo delle loro fenomenologie ripercorso, nelle numerosissime opere date alle stampe dopo

l'eruzione del 1631. Anche se le loro fenomenologie cosÏ diverse da quelle di questa eruzione saranno di ben poco aiuto nella comprensione "del nuovo e meraviglioso" evento.

L'eruzione di riferimento nelle

numerosissime descrizioni dell'eruzione del 1631 (solo di opere a stampa se ne conta più di duecento) è sempre quella del 79, sia per l'entità della catastrofe (diversi fra i pi˘

floridi centri della costa furono

completamente annientati dall'eruzione, a simiglianza di Ercolano, Pompei e Stabia nel 79), sia per il tipo di fenomenologia (presenza del pino vulcanico, oscuramento, caduta di pomici e ceneri, emissione di nubi ardenti, colate di fango ...), sia, per la

mancanza di altre grandi eruzioni in epoca storica, e per le caratteristiche, tutto

sommato modeste, quanto ad impatto sul territorio, delle eruzioni del Vesuvio

precedenti più direttamente il 1631.

L’eruzione di riferimento

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Campi Flegrei

Monte Nuovo 1538

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Immediatamente dopo l'eruzione del 1631, le due lettere di Plinio il

Giovane scritte a Seneca a seguito dell'eruzione del 79 AD vengono ritradotte e ristampate più volte, spesso direttamente a fronte con il testo della cronaca dell'eruzione del 1631. Lo scopo è quello di spiegare la nuova eruzione in paragone alla grande pliniana, che èl'unica

eruzione "esplosiva" del Vesuvio di cui i contemporanei possiedono, nelle lettere di Plinio, una

descrizione, anche se parziale, degli eventi e della loro successione

cronologica. Alla luce e talvolta forzando e misinterpretando i fatti vulcanologici, si usano le descrizioni di Plinio per spiegare anche alcuni fenomeni peculiari di questa nuova eruzione, e che nel 79 non si erano affatto verificati.

L’eruzione PLINIANA del 79 AD

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http://vulcan.fis.uniroma3.it/vesuvio/eruzione_79.html

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At 6.30 a.m. of December 16th a fracture opens on the SW sector of Vesuvius cone.

From the basis of such a fracture the volcanic pine starts to grown.

PHENOMENOLOGY

Total length of plinian phase: 8h

Light-fallout emission: 5h

Light-fallout column height: 13km

Dark-fallout emission: 3h

Dark-fallout column height : 19 km

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Giovan Battista Pasero, 1632

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Between 10 and 11 a.m.

of December 17th the Vesuvius cone collapses with the

contemporaneous

emission of a number of nuée ardentes, reaching the sea at different places.

Starting from December 17th at 6pm, a

phreatomagmatic ash- fall deposit is emplaced.

It is accompained by several lahars

PHENOMENOLOGY

Explosion quakes during the night between December 16th and 17th, accompained by ritmic explosions. A new sustained

column appears on 17th morning.

Consequently, a vulcanian fall

deposit is formed.

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Il fallout pliniano del 1631 è stato suddiviso da Cerbai (1994), sulla base delle caratteristiche fisiche del deposito, in 6 sottolivelli: b, c, d, ei, es, f.

a b c+d

f es ei

San Leonardo

Alla sezione “tipo” di Scudieri (Cerbai, 1994), divenuta difficilmente accessibile, è stata affiancata in questa tesi la sezione di San Leonardo (a meno di mezzo km di distanza da Scudieri). A San Leonardo sono stati

campionati tutti i vari sottolivelli componenti il deposito e sottoposti ad analisi

Scudieri

f es

ei

d c

a b

Ceneri

freatomagmatiche

Paleosuolo

60

50

40

30

20

10

0 cm 70

Ceneri freatomagmatiche Lahars

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from Rosi et al., 1993

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Vulcanian fallout

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Pyroclastic flows

& surges

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1751

Lava medievale

II

III L

III II

1751

e

DF T

La sezione tipo (Cerbai, 1994) delle nubi ardenti del 1631 è esposta nella cava di Pozzelle.

In questa cava sono state distinte 4 unità di flusso (interpretate come lobi di una stessa unità eruttiva), caratterizzate da:

II I: presenza di pomici (φ = 20 cm)

ben vescicolate

II: scarsa quantità di materiale juvenile con un livello arricchito in litici nella parte centrale

III: evidente differenza di tonalità nel colore rispetto alla sottostante unità IV: scarsissima quantità di materiale juvenile, più denso e di colore scuro Cava Pozzelle

1751

IV

I II III

3 cm 300 cm 300 cm 300 cm 200 cm 1000 cm

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Post 1631-1944.

1631

tefra medioevali 472 A.D.

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Phreatomagmatic ashes and lahars

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From Rosi et al., 1993

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L'interpretazione vulcanologica dei fenomeni descritti e documentati in questa eruzione è ancora nella visione Aristotelica del mondo, basata sui quattro elementi (acqua, aria, terra, fuoco) costituenti il mondo materiale, e dalle cui combinazioni tutti i fenomeni del mondo traggono origine.

Anche se per capire gli eventi vulcanici ed interpretarne le cause ci si rifà ancora ai concetti di Platone e di Aristotele, una attenta e vera documentazione dei fenomeni è nelle preoccupazioni di tutti i cronisti dell'eruzione del 1631 del Vesuvio. Qua` e la` compaiono anche dei tentativi di

sperimentazione sui materiali vulcanici, fondamentalmente

ispirati ai nuovi trattati di "Pyrologia".

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A frenare lo spirito di iniziativa degli scienziati nell'interpretazione e nelle indagini sui fenomeni vuilcanici permaneva ancora nel 1631 l'atteggiamento intensigente della Chiesa, che riconosceva sì la liceita' ad operare con qualsiasi metodo non andasse contro la morale cristiana, per dare una spiegazione al Creato ed ai fenomeni che in esso si verificano, ma a patto che conclusioni delle indagini non si discostassero dall'interpretazione da essa data sulla scorta delle Sacre Scritture. Le stesse teorie Platoniche ed Aristoteliche, per venire accettate avevano dovuto in qualche modo subire un processo di adattamento, riscontrabile per esempio in Cartesio (1596-1650), che immaginando una terra composta di tre strati comncentrici si affretta a dichiarare

"va da se che il mondo Ë stato creatio da Dio in un solo istante", per rientrare nell'ortodossia. Questa interpretazione, presuntuosamente confusa con la Verita' rivelata, non era suscettibile di essere messa in discussione, e tutte le conclusioni, logiche o sperimentali, che da questa "Verita'" si discostassero, divenivano

automaticamente delle eresie (con la triste conseguenza del rogo). Fra le varie

motivazioni per cui Giordano Bruno (1548-1600) fu bruciato sul rogo c’è infatti anche quella che, avendo notato che la maggior parte dei vulcani, si trova in prossimità del mare [27, secondo il catalogo dei vulcani del mondo pubblicato da Bernhard Varenius (1622-1650)], sostenne che l'attività vulcanica doveva essere dovuta all'interazione fra acqua e fuoco: in questa asserzione fu visto un tentativo di confutazione del Diluvio Universale.

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L’atteggiamento della Chiesa nei confronti della sperimentazione scientifica

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•  I quattro elementi aristotelici

•  Le sfere celesti

•  Il pneuma

•  Le caverne sotterranee

•  I terremoti “normali” ed I terremoti eruttivi

•  L’accensione delle materie bituminose e sulfuree

•  La consunzione della materia nei vulcani

•  Il ruolo delle acque sotterranee

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Quindi ad esempio il fuoco và in verticale verso la sfera del fuoco e le acque scorrono verso l'oceano da cui tutte le acque traggono origine, anche quelle piovane, che derivano

dall'evaporazione ad opera del fuoco di acque terrestri.

Secondo la teoria Platonica della gravita' infatti, ancora valida nelle prime decadi del XVII secolo (come molti dei concetti Platonici ed Aristotelici delle scienze fisiche), Un altro esempio ne è la caduta e l'ascesa dei corpi che e` spiegabile con la tendenza che una parte di un elemento staccata dal

resto

ha di ricongiungersi con la parte principale. Cosi' Platone spiegava nel Timeo come una pietra lanciata in aria tende a ricadere sulla sfera terrestre, centro dell'universo materiale, mentre il fuoco guizza verso l'alto per raggiungere la sua sfera, posta all'estremo limite del mondo.

I quattro elementi aristotelici

Ognuno dei quatro elementi aristotelici tende a raggiungere la sfera celeste di sua appartenenza (ce ne sono sette, in forma di sette sfere concentriche che racchiudono la terra: aria, etere,

Olimpo, spazio igneo o sfera del fuoco, firmamento con gli astri, cielo degli Angeli e cielo della Trinità).

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Relazioni fra i quattro elementi aristotelici, secondo G.W.

Leibnitz (Dissertazio de arte

combinatoria, 1666)

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La teoria Aristotelica delle caverne sotterranee è

ancora di larga

divulgazione all'inizio del XVII secolo e sarà

accettata ancora per lungo tempo e con assoluto

acriticismo.

Le caverne sotterranee sono di fatto la sede di tutto quanto di importante avviene sotto la superficie terrestre.

Le caverne sotterranee

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Il pneuma è "l'esalazione secca" causata dal riscaldamento della terra ad opera del suo calore interno (verificato dall'aumento della temperatura con la profondità nelle gallerie e nei pozzi scavati) e del calore solare. Se ha libero sfogo il pneuma si disperde nell'aria, altrimenti racchiuso nelle caverne sotterranee dà luogo ai terremoti. Sono l'alta

temperatura e la mancanza di umidita` che producono per evaporazione le grandi

quantita` di "esalazione secca", agitantesi nelle caverne sotterranee, per cui i terremoti sono ancora oggi legati nella fantasia popolare ad un clima amomalmente secco e sereno.

Questo spiega come mai Napoli non risenti` piu` di tanto dei numerosi (ed in verita` per niente terribili) terremoti verificatisi in occasione di questa eruzione: perchè il suo

sottosuolo è da sempre stato pieno di cunicoli grotte e gallerie, che funzionano come vie di fuga del pneuma, impedendogli di raggiungere pressioni pericolose e di dar origine a terremoti.

Il Pneuma

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Terremoti normali e terremoti eruttivi

Nemmeno la differenza fra terremoto e tremore vulcanico sfugge agli attenti cronisti

dell'epoca che ne

individuano la causa in un flusso d'aria

modulato e continuo in uscita dalla voragine craterica (con una certa attinenza alla reale

dinamica della colonna pliniana).

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affresco nella Sala dei Giganti nel Palazzo Tè di Mantova, realizzato da Giulio Romano e Rinaldo Mantovano nel 1528-1533

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Questo e` in sintesi lo schema mentale che del Vesuvio avevano i contemporanei:

Il monte riscaldato dal Sole, con la sua cavita` sotterranea funge da "campana di lambicco" (Falcone, 1632), cioe` risucchia le "grassezze terree" formatesi per l'accumulo sotto pressione d'acqua sul fondo del mare delle "acque

piovane, le cloache, li cadaveri humani, e d'animali buttati, ..." (Falcone, 1632). Da queste sostanze si generano le materie sulfuree e bituminose (i rifiuti della terra: Giovanni Keplero (1571-1630) sostiene infatti che "come il corpo umano produce escrementi, cosÏ la terra genera ambra, bitume e zolfo che alimentano i fuochi sotterranei"), che si accumulano sotto i vulcani,

concepiti come monti che per l'essere vicini alla riva del mare e per l'essere costituiti di materiali adatti, permettono questo risucchio di materiali "grassi", cioe` oleosi e scettibili di essere trasformati in bitumi. E` evidente l'influenza che nella costruzione di questo schema hanno operato l'osservazione delle venute a giorno di gas naturale, e la constatazione (per altro esplicita in molte fonti) che tutti i vulcani attivi si trovano in vicinanza del mare.

Bitumi e Zolfo

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Secondo Aristotele l'aria all'interno delle caverne sotterranee è scomposta in

particelle che si infiammano sotto

l'effetto dei colpi e degli attriti del vento quando questi insiste per entrare nei passaggi ristretti. Al posto dell'aria

possono essere le materie bituminose e sulfuree (le piriti), veri e propri

escrementi della terra, accumulati in

alcune delle caverne sotterranee presenti in abbondanza nell'interno terrestre, a prendere fuoco e causare così gli incendi sotterranei, le cui vie di risalita verso la superficie terrestre, veri e propri tiraggi di camini, sono i vulcani.

Come si accende un vulcano

Volaire, 1779

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Quando si "accende un'incendio", il forte riscadamento provoca l'evaporazione di tutte le acque presenti nelle caverne sotterranee e nei pori delle rocce del monte ignivomo per cui, dagli stessi canali sotterranei attraverso cui sono affluite sotto al vulcano le materie sulfuree e bituminose, vengono richiamate le acque marine del Golfo di Napoli, con tanta rapidita` che il mare ha, potremmo dire, un "tempo di ritardo" nel colmare il vuoto da queste acque lasciato e si ritira dalla linea di riva. Poiche` l'incendio continua, questo vuol dire che questo primo afflusso di acque viene consumato ed in parte fuoriesce

assieme alle materie sulfuree e bituminose acceso (a formare i torrenti igniti cineris) e si rende necessario un'altro afflusso di acqua marina.

Proprio la loro origine marina, spiega il fluire verso il mare delle acque contenute nelle nubi ardenti che devastano la costa la mattina di mercoledi` 17. La forza che spinge al mare le acque fuoriuscite dal vulcano, viene individuata, infatti secondo la teoria delle sfere celesti, nella tendenza dell'elemento acqua a ricongiungersi con la sua sorgente. Era difatti impossibile per i contemporanei concepire, senza introdurre nel flusso delle nuèes ardentes (palesemente composta da una porzione di fuoco e non solamente di materia liquefatta come una lava) dell'acqua, la loro traiettoria rasente al suolo tanto più che in questo caso, tale flusso era direzionato proprio verso il mare, sorgente di tutte le acque terrestri.

Il ruolo delle acque sotterranee

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Contrariamente al concetto attuale di un vulcano come accumulo in superficie di materiali provenienti dal profondo, fino al XVII secolo si ritenne che quelli che noi chiamiamo i prodoti dell'attivita` vulcanica fossero residui della combustione della materia (sulfurea e bituminosa) accesasi nelle caverne sotterranee. Tramite la combustione, durante un'eruzione veniva sottratta materia al preesistente monte ignivomo, con il diffondere all'intorno sia delle famose materie solfuree e bituminose accese e brucianti, sia dei frammenti delle rocce

costituenti il monte vulcanico stesso e coinvolte negli sconquassi causati dall'eruzione. Il risultato di questa dispersione di materiale sono i crateri o "caldare", vere e proprie pentole scoperchiate in cui avviene la fusione.

La consunzione della materia nei

vulcani

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La gestione dell’emergenza ed il dopo eruzione

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La  memoria  storica  

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Dopo l'eruzione

praticamente tutte le menti scientifiche dell'epoca si sentono chiamate ad

esprimere un parere ed a dare

un'interpretazione delle fenomenologie espresse dal Vesuvio in questo suo

cataclismatico

risveglio e le teorie vulcanologiche

vengono lentamente modificate ed

adattate alla nuova realt‡ espressa dal

vulcano. Atanasio Kircher (1638)

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Il gesuita Atanasio Kircher (1602-1680) per esempio nel suo famoso trattato Mundus Subterraneous, del 1665, pur continuando a rifarsi ad idee sostanzialmente

Aristoteliche, ha il coraggio e l'inventiva di immaginarsi che all'interno del globo

terrestre esistano numerosi focolai (pyrophilacia), che comunicano strettamente con la

superficie terrestre attraverso altrettante bocche di areazione che sarebbero i vulcani.

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Le cose, e non solo in campo vulcanologico, sono destinate comunque a cambiare

sostanzialmente solo quando, sul finire del secolo XVII, entrer‡ in scena la chimica di Lavoisier .

In questa teoria dei focolai comunicanti si vede l'influenza della seconda pi˘ importante (almeno da un punto di vista storiografico) eruzione del secolo, quella dell'Etna del 1669 descritta da Alfonso Borrelli che raggiunse Catania e per la quale fu tentata,

tramite lo scavo di

trincee da parte di

galeotti, la prima

diversione di flusso

lavico

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Bulifon 1689 Hamilton 1767 62

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Anche per l'attività eruttiva vesuviana questa eruzione rappresenta uno spartiacque. Dopo il 1631 infatti inizia al Vesuvio un periodo di attività mista, lavica e debolmente esplosiva. Decine di eruzioni si succedono a distanza di meno di 7 anni l'una dall'altra nei due secoli e mezzo che

intercorrono fra il 1631 e l'ultima eruzione avvenuta nel 1944.

Questo tipo di attività relativamente tranquilla, farà del

Vesuvio una delle principali attrazioni turistiche nell'epoca dei

"viaggiatori", e un punto di passaggio obbligato per tutti coloro che dimostrano interessi in campo vulcanologico. Nei secoli successivi il Vesuvio sarà osservato e studiato dalle menti scientifiche più illuminate e diventerà "il" vulcano per eccellenza. Lo sviluppo della vulcanologia andrà così avanti per almeno due secoli di pari passo con la storia eruttiva del Vesuvio.

Una serie assolutamente eccezionale di osservazioni, sarà condotta in modo continuativo per due secoli e mezzo su questo vulcano, e date alla stampa sotto forma di note, contributi su riviste, lettere private e trattati. Questo

patrimonio di dati, ancor oggi di notevole valore ai fini della ricostruzione delle fenomenologie vesuviane nel suo più

recente periodo di attività, è paradossalmente all'origine di una serie di fraintendimenti ed errori sulla tipologia dell'eruzione

del 1631.

W.

Hamilton

1767

(63)

Trascorso qualche tempo dall'eruzione infatti, gli osservatori del vulcano si assuefanno ad un Vesuvio che emette frequenti colate laviche, di dimensioni più o meno importanti e che solo nelle principali eruzioni è in grado di emettere limitati quantitativi di lapilli e ceneri. In tutta l'attività vesuviana successiva al 1631 non si verificherà più l'emissione di nubi ardenti od altri depositi di flusso piroclastico, salvo limitati episodi di nuèes ardentes nel 1822, 1872 e 1906 e qualche lahar a seguito delle eruzioni a maggiore componente esplosiva. Si perde così la memoria di questo tipo di prodotto dell'attività vulcanica al Vesuvio e le descrizioni delle cronache

contemporanee all'eruzione del 1631 vengono forzate e misinterpretate come descrizioni di colate laviche, unica fenomenologia di flusso nota e pertanto

comprensibile ai presuntuosi studiosi della seconda metà dell' 800 (H. Le Hon, 1861). Nasce così la leggenda delle lave emesse durante l'eruzione del Vesuvio del 1631 (Rolandi et al. 1993), a

dimostrazione di quanto aleatoria sia la trasmissione delle reali conoscenze scientifiche di un'epoca.

Wright of Derbies, 1774-76

(64)

64

1800: un secolo di presunzione

Claudia Principe 20 novembre 2014 Corso di Cultura e Metodo Scientifico - Polo Fibonacci – UNI PISA

H. Le Hon 1886

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