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L

A DEMOCRAZIA IN

I

TALIA

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La democrazia rappresentativa

Tipciamente, la scienza della politica, o politologia, distingue fra forma di Stato e forma di governo; ma ci sono molte incertezze e disparità di vedute fra gli stessi specialisti della materia.

In prima approssimazione, la forma di Stato indica il tipo di rapporto che sussite fra popolo e sovranità, fra governati e governanti. Da questo punto di vista la nostra Costituzione stabilisce che il nostro Stato è liberal-democratico.

La forma di governo precisa l’organizzazione che sussiste, entro una forma di Stato, fra gli organi supremi. La forma di governo prevista dalla Costituzione della Repubblica italiana è rappresentativa, parlamentare e organizzata in partiti. Questa forma prevede che il popolo, salvo alcuni casi particolari, non eserciti da sé poteri deliberativi. Esso elegge i propri rappresentanti (i deputati e i senatori) e a questi è attribuito il compito di deliberare per il popolo. Il parlamento è il luogo ove si riuniscono i rappresentanti del popolo per deliberare.

La posisbilità di scelta tra diverse proposte politiche …

La democrazia rappresentativa non è soltanto un regime rappresentativo, giacché non comporta solo che vi sia qualcuno che decide per altri, ma anche che vi sia un legame effettivo, una coincidenza concreta tra gli orientamenti dei rappresentati e quelli dei rappresentanti: solo così i primi non saranno espropriati della propria sovranità dai secondi. A questo fine esistono i partiti politici, ai quali spetta avanzare agli elettori delle proposte elettorali e delle candidature di persone da eleggere al parlamento. La scelta degli elettori avviene così tra le diverse indicazioni, di programmi e di persone, offerte dai partiti.

Un po' come nel mondo dell'economia, si apre un «mercato politico» in cui ciascun partito (e all'interno del partito, ciascun candidato) fa la sua offerta (con tanto di pubblicità e propaganda, come si vede prima delle elezioni) e l'elettore (come il consumatore) sceglie tra le diverse offerte, secondo le sue propensioni politiche.

… e il ruolo dei partiti

Se non vi fossero i partiti, non vi sarebbero offerte politiche, gli elettori non sarebbero in grado di operare una scelta effettiva e il loro diritto di voto sarebbe quindi privo di un contenuto reale: al massimo essi potrebbero scegliere delle persone singole, ma non una linea politica. I partiti sono quindi essenziali, come dimostrano tutti i sistemi democratici rappresentativi del mondo, nei quali necessariamente esistono i partiti.

La rappresentanza partitica …

Naturalmente, la presenza dei partiti ha anche questa conseguenza: gli eletti in parlamento sono uomini di partito, poiché solo in quanto tali essi sono stati candidati alle elezioni. Perciò il parlamento è un parlamento di partiti (così, dopo le elezioni i mezzi di comunicaizone pubblicano delle raffigurazioni del parlamento in cui l'arco parlamentare è suddiviso secondo il numero di seggi ottenuto da ciascun partito).

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… e la democrazia «mediata»

Il parlamento, perciò, rappresenta i partiti e, in quanto questi corrispondono agli orientamenti degli elettori, rappresenta indirettamente anche il popolo. Tra gli elettori e il parlamento stanno dunque i partiti e perciò si può anche dire che la democrazia rappresentativa è mediata (a differenza della democrazia diretta che è immediata, in quanto fa a meno dei partiti).

Ambiguità del ruolo dei partiti

La democrazia rappresentativa esige i partiti, ma questi possono costituire sia un collegamento che un diaframma tra il popolo e il parlamento. Tanto più gli elettori potranno riconoscersi nei partiti politici, tanto più il parlamento sarà democratico e rappresentativo. Ma se vi è un distacco – come si dice – tra società e politica e i partiti rappresentano solo i loro propri interessi, essi saranno un ostacolo alla democrazia, alla sovranità popolare. La forma di governo parlamentare si trasforma così in una oligarchia di partiti, separati dal popolo (l'aumento delle astensioni alle elezioni è un segno di questo distacco).

Come siano i partiti, quali i loro rapporti con la società e la loro capacità di interpretare i bisogni popolari: questi sono punti nevralgici da cui dipende il funzionamento del nostro tipo di democrazia.

In tempi non molto lontani, il nostro sistema rappresentativo giunse a punto morto, drammaticamente rappresentato dal crollo di un'intera classe politica incappata nelle inchieste giudiziarie denominate

«tangentopoli». Ciò dimostra quanto il sistema rappresentativo sia esposto al rischio di degenerare in un regime di occupazione a opera dei partiti e quanto questi ultimi, nel male ma anche nel bene, possono influire sulla democrazia.

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La democrazia diretta e i suoi rapporti con la democrazia rappresentativa

La democrazia prevista dalla costituzione è fondamentalmente ma non esclusivamente rappresentativa. Essa contiene alcuni strumenti con i quali è garantita la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica del Paese, considerata (art. 3 Cost.), quale diritto inviolabile:

1. la petizione (Art. 50 Cost.)

2. il disegno di legge di iniziativa popolare (Art. 71 Cost.), 3. il referendum abrogativo (Art. 75 Cost.).

Questi strumenti consentono ai cittadini l’iniziativa politica, senza che però essa determini l’attività legislativa.

Fra questi strumenti quello che è ha svolto un ruolo maggiore è stato il referendum abrogativo.

Referendum e plebiscito

Occorre distinguere referendum da plebiscito. Mentre il primo è una forma coerente di esercizio della sovranità popolare, il secondo consiste nell'investitura popolare di una persona o di una forza politica, alle quali sono attribuiti i pieni poteri. Col referendum, insomma, il popolo decide da sé le questioni che lo riguardano; col plebiscito, il popolo si affida interamente a qualcuno che deciderà per lui.

Il plebiscito costituisce un richiamo costante da due secoli a questa parte, tutte le volte in cui le difficoltà della vita democratica invitano a

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questo regime della rinuncia e dell'impotenza democratica. con il quale il popolo sceglie qualcuno, tutore o dittatore che sia, che scelga al suo posto. Così è stato in Francia con Napoleone I e Napoleone III, nel secolo scorso.

Esistono gradi maggiori e minori in cui questa tendenza plebiscitaria può manifstarsi. Una forma più mite di plebiscitarismo è implicita nella richiesta di un'elezione diretta di un capo dello Stato, specie se fuori dei partiti e dotato di ampi poteri di governo.

Il valore abrogativo del referendum

E' indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.

Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

La legge determina le modalità di attuazione del referendum (art.

75, Cost.).

Il referendum previsto dalla costituzione è solo abrogativo, rivolto cioè ad abrogare una legge approvata dal parlamento. Cinquecentomila elettori (o cinque consigli regionali) possono chiamare il popolo a pronunciarsi direttamente sull’opera del legislatore e quindi, in un certo modo, a controllare i suoi rappresentanti.

Per legge si deve intendere una legge in senso formale, approvata dal Parlamento secondo il procedimento ordinario, e per "atto avente valore di legge" un decreto legge (approvato dal governo in casi eccezionali di necessità e di urgenza e convertito entro 60 giorni dal parlamento) o un decreto legislativo (adottato dal governo su delega parlamentare).

Non esiste referendum indipendente da una legge preesistente. Non esiste il referendum approvativo (con il quale il popolo sarebbe in grado di far entrare in vigore una legge a prescindere dai propri rappresentanti), né il referendum consultivo (col quale il popolo sarebbe chiamato a esprimere esigenze e orientamenti).

Però, dall’anno 2000 nello statuto degli enti locali devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati.

Legge di attuazione dei referendum: L.352/70

Le norme più generali necessitano di leggi applicative. Così è stato per l’istituto del referendum abrogativo, disciplinato innanzi tutto dalla legge 353 del 1970, e poi da vari pronunciamenti della Corte Costituzionale.

Le norme introdotte dalla legge 352 hanno reso palese la volontà del legislatore di circoscrivere il referendum abrogativo, impedendo che si rendesse autonomo rispetto alla normale attività legislativa. Alcune di

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queste norme paiono a prima vista ingiustificatamente restrittive, imponendo p.es. che le richieste di referendum non possano essere avanzate fra ottobre e dicembre (forse per non intralciare la discussione della legge finanziaria) o che i referendum possano essere celebrati solo fra il 15 aprile e il 15 giugno. La più importante delle norme attuative è la seguente:

Se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso (art. 39 della L.352).

La Corte Costituzionale, però, ha stabilito che solo a certe condizioni la modifica parlamentare di una legge basti a invalidare un referendum volto ad abrogarla: occorre che la legge nuova sia effettivamente nuova;

se si tratta di una riedizione della legge vecchia, con modifiche non essenziali, il referendum si svolge ugualmente sulla seconda legge.

Quasi sempre avviene che le forze parlamentari temano il referendum, come controllo sul proprio operato che può sconvolgere gli equilibri politici esistenti. Inoltre, il voto popolare può scardinare gli accordi tra i partiti, creando difficoltà alla vita delle maggioranze parlamentari. Per questo, le forze politiche spesso sono indotte a cercare di evitare il referendum approvando una legge nuova, al posto di quella per la quale il referendum era stato richiesto.

Il referendum come stimolo del partamento

Quindi la democrazia diretta, come prevista nella costituzione, è considerata accessoria rispetto alla democrazia rappresentativa: il referendum si affianca, ma non può sostituire in ogni caso il parlamento.

Così, il referendum assume una funzione di stimolo dell’attività parlamentare. Anch'essa dimostra il carattere ausiliario del referendum, carattere che è divenuto prevalente (ad esempio, sotto lo stimolo del referendum si approvarono la riforma manicomiale e quella dei tribunali militari).

I limiti al referendum

La prevalenza della democrazia rappresentativa si vede anche nel fatto che non su tutte le leggi è possibile richiedere il referendum (art. 75 cost.). Sono escluse (a) le leggi in materia di clemenza penale (amnistia e indulto), per evitare ondate emozionali repressive e oscurantiste; (b) in materia tributaria, per impedire ai contribuenti di sottrarsi al loro obbligo di concorrere alle spese pubbliche; (c) in materia di bilancio statale, per evitare il caos nei conti dello Stato; (d) in materia di trattati internazionali, per evitare che lo Stato assuma responsabilità verso altri Stati con i quali abbia stipulato accordi, che poi non rispetta.

La Corte costituzionale, alla quale spetta controllare che le richieste di referendum non vertano sulle materie anzidette, ha aggiunto altri limiti, considerandoli impliciti nel sistema costituzionale. Il più importante consiste nel divieto del referendum quando il «quesito» (cioè la domanda su cui gli elettori devono pronunciarsi) non sia chiaro e, soprattutto, univoco. Se infatti il quesito è confuso, gli elettori

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sarebbero «disorientati»; se il quesito riguarda più oggetti (come quando si richiese con una sola domanda di abrogare ben 98 articoli del codice penale), l'elettore – disponendo solo di un voto positivo o negativo – si troverebbe coartato tutte le volte in cui desiderasse votare per l'abrogazione solo di una parte delle norme sottoposte al referendum.

Anche rispetto ai limiti anzidetti, si vede il carattere non pieno della democrazia diretta rispetto a quella rappresentativa: i rappresentanti del popolo possono fare di più di quanto non possa fare direttamente il popolo stesso. Questo significa che secondo la costituzione non si può dire ciò che spesso acriticamente si ripete: che la democrazia rappresentativa è una forma minore di democrazia e che i rappresentanti del popolo traggono i loro poteri da quelli del popolo stesso. La democrazia rappresentativa è invece prevista come la forma maggiore di democrazia. Rispetto ad essa, il referendum svolge una funzione che, per quanto importante, è però solo complementare.

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La democrazia parlamentare

Il rapporto di «fiducia» tra parlamento e governo

Con «democrazia parlamentare» si indica non l'esistenza di un parlamento (che deriva già dal carattere rappresentativo della nostra democrazia) ma un particolare collegamento politico tra il parlamento e il governo: il parlamento, organo vasto che rappresenta tutto quanto il popolo e al quale spetta deliberare, e il governo, organo ristretto che rispecchia solo la maggioranza del parlamento e al quale spetta agire concretamente, dirigendo gli affari dello Stato. Tale collegamento consiste nel rapporto di fiducia: il governo deve avere la fiducia del parlamento, cioè l'appoggio politico della maggioranza parlamentare. Il governo rappresenta così ciò che è politicamente prevalente: è la personificazione della politica prevalente. Mancando la fiducia, il governo è tenuto a dimettersi. Le dimissioni determinano ciò che si denomina crisi di governo.

Il ruolo dei partiti

Poiché il parlamento è composto dagli uomini dei partiti, i rapporti tra questi ultimi condizionano la composizione, le crisi, i mutamenti del governo, cioè la guida e l'indirizzo politico del paese. Sistema parlamentare vuole dunque dire sistema di partiti, nel quale il luogo di elaborazione dei grandi indirizzi politici è il parlamento, mentre il governo è appunto l'organo esecutivo di tali indirizzi ed è responsabile di fronte al parlamento.

Il governo non è nominato dal parlamento, bensì dal presidente della Repubblica. Ma ciò non significa che il governo non corrisponda alla maggioranza del parlamento. Infatti il presidente della Repubblica può nominare solo i governi che siano in grado di ottenere la fiducia delle camere: il suo potere di nomina è finalizzato alla fiducia.

Il «monismo» parlamentare

Perciò il potere presidenziale di nomina del governo non contraddice il carattere politicamente dominante del parlamento e quindi la natura monista del sistema parlamentare: esistono vari organi, ma tra questi ve n'è uno solo – il parlamento, appunto – cui spetta il primato politico.

Perciò, gli altri organi, se sono politici, come il governo, devono

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dipendere dalla sua fiducia; se non ne dipendono – come il presidente della Repubblica, i giudici, ecc. – vuol dire che non sono politici.

Il sistema dei partiti

Naturalmente, anche a questo proposito, alla parola parlamento si deve realisticamente sostituire l'espressione sistema dei partiti: il monismo parlamentare si traduce così in monismo partitico. Se il sistema dei partiti funziona bene, cioè esprime solide maggioranze e forti opposizioni, decisioni coerenti e condivise, corretti rapporti tra maggioranza e opposizioni, ecc., funzionerà bene altresì il sistema parlamentare, ma varrà anche il contrario. Il sistema parlamentare, insomma, realizza una sorta di identificazione con il sistema dei partiti, avvantaggiandosi dei buoni frutti che quest'ultimo è in grado di offrire, nei periodi in cui il sistema dei partiti è forte e ben funzionante, ma scontando direttamente tutti i difetti di quest'ultimo, quando entra in crisi. Le istituzioni costituzionali, insomma, non correggono i difetti dei partiti e dei loro reciproci rapporti.

Il sistema presidenziale

L'Assemblea costituente discusse una proposta (del Partito d'azione) rivolta a introdurre in Italia un'altra forma di governo, quella presidenziale, modellata sull'esempio degli Stati Uniti d'America. In quel paese esiste un «dualismo» politico tra il parlamento (il Congresso) e il presidente della Repubblica che è anche capo del governo. Entrambi questi organi sono eletti ed hanno quindi identica «legittimazione democratica». Essendo organi sullo stesso piano, derivando entrambi da un voto, non esiste alcuna subordinazione politica di uno all'altro. C'è invece una separazione che esclude il rapporto di fiducia: perciò vediamo frequentemente presidenti del Partito repubblicano e maggioranze democratiche al Congresso.

I pregi del presidenzialismo …

I vantaggi del sistema presidenziale stanno (a) nella stabilità del governo, la cui durata non dipende dai mutevoli rapporti tra i partiti in parlamento, ma è fissata in quattro anni dalla costituzione; (b) nella possibilità di chiare scelte da parte degli elettori' nel momento in cui votano per il presidente e per la politica che questi propone; (c) nella semplificazione del sistema dei partiti in due grandi schieramenti (bipartitismo). I partiti operano infatti per sostenere i due candidati presidenziali e l'elezione popolare del presidente comporta la polarizzazione su due sole candidature, che possono essere forti proprio perché solo due. L'eventualità di più di due candidati è stata finora solo una eccezione che non ha scalfito la solidità del sistema.

… e le difficoltà del suo trapianto fuori dagli Usa

Ma accanto a questi pregi, il trapianto in Italia del presidenzialismo avrebbe comportato dei difetti che, all'epoca dell’Assemblea costituente, vennero considerati preponderanti. In primo luogo, la concentrazione dei poteri di governo presso una sola persona e per di più

«irresponsabile» (o meglio, responsabile solo ogni quattro anni di fronte al corpo elettorale) faceva temere per la libertà e la democrazia.

Specialmente dopo l'esperienza fascista e lo strapotere del capo del

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governo che si era allora realizzato, questo timore era molto diffuso. In secondo luogo, l'elezione diretta del presidente della Repubblica avrebbe comportato la divisione degli elettori in due grandi schieramenti, di destra e di sinistra. In un regime ancora fragile e in presenza di partiti fortemente conflittuali, ciò faceva temere per la democrazia: ogni elezione si sarebbe trasformata in una crociata, con l'obbiettivo di distruggere l'avversario. In terzo luogo (e qui appare un interesse per così dire egoistico dei partiti), il sistema presidenziale avrebbe sconvolto il panorama dei partiti quale era andato delineandosi in Italia alla caduta del fascismo, imponendone una semplificazione in due parti, destra e sinistra. I partiti non erano disposti a subirla, poiché avrebbe avuto conseguenze sulla stessa sopravvivenza di alcuni di essi e sull'identità politica di altri (la DC, per esempio, avrebbe assunto la posizione di partito conservatore di destra, cosa che la sua componente

«sociale» non avrebbe certo gradito).

Oggi, essendo mutate alcun delle condizioni della nostra democrazia (per esempio, essendo diminuìte le distanze tra i partiti, essendo forse meno presente il rischio di involuzioni autoritarie, avendo mostrato tutti i suoi difetti il sistema dei partiti ecc.), l'ipotesi presidenziale è stata nuovamente affacciata nel dibattito politico sulla riforma istituzionale.

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I partiti politici

Si è detto in diverse occasioni dell'importanza rivestita dai partiti politici sia nella democrazia rappresentativa che nella forma di governo parlamentare.

I partiti come associazioni

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art. 49 Cost.).

I partiti sono dunque innanzitutto delle associazioni di cittadini, non organi dello Stato (come nei regimi a partito unico, quali il fascismo o le democrazie popolari dell’Est). Essi raccolgono e organizzano coloro che professano le stesse idee politiche e intendono unirsi per farle valere.

… aventi compiti pubblici

Ma queste associazioni «private», a differenza di tutte le altre, sono indispensabili al funzionamento della democrazia ed assumono perciò un certo rilievo pubblico. Hanno dunque un doppio volto: sono organizzazioni sociali che agiscono nelle istituzioni, sono «corpi intermedi» tra la società e lo Stato. Le loro funzioni tipiche sono: (a) l'orientamento degli elettori attorno alle loro proposte politiche (senza di che il corpo elettorale non potrebbe incanalare le proprie opzioni); (b) la selezione dei candidati alle elezioni; (c) l'organizzazione degli eletti, attraverso la disciplina di partito; (d) il collegamento tra gli elettori e gli eletti tra una elezione e l'altra, affinché il vincolo di rappresentanza sia effettivo.

Il finanziamento pubblico dei partiti …

Date queste loro importanti funzioni, si comprende come nella gran parte dei paesi democratici, e anche in Italia, ci si sia indotti in passato a finanziarli con denaro pubblico, con l’intenzione che ciò a avrebbe

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dovuto renderne più agevole l'opera ed evitare per quanto possibile che essi dipendessero dal finanziamento di centri di potere economico esterno (gruppi imprenditoriali, gruppi di pressione, ecc.), cosa che ne avrebbe pregiudicata l'autonomia e falsata la stessa vita democratica.

Bisogna tenere conto anche del fatto che i partiti hanno visto negli ultimi decenni ridursi sempre una forma di finanziamento in passato molto significativa, costituita dal tesseramento degli iscritti.

Nel 1974 fu approvata una legge per il finanziamento dei partiti. Una quota era uguale per tutti, un'altra era proporzionale ai voti ottenuti.

Per contro i partiti finanziati erano obbligati a rendere pubblici i loro bilanci, e ad accettare finanziamenti privati solo sotto certe condizioni.

Fu una legge assai impopolare, perché intervenuta in un momento in cui già i partiti incominciavano a essere oggetto di pesanti critiche, a causa della loro corruzione. Fu sottoposta a referendum abrogativo nel 1978 e l'abrogazione fu respinta con solo il 56,3% dei voti. Il principio su cui tale legge si basava – l'essenzialità dei partiti per la democrazia e quindi il loro sostegno pubblico – è tuttavia incontestabile, mentre discutibile è il modo con cui lo si è realizzato. In particolare, si è dimostrato che il finanziamento pubblico era un finanziamento aggiuntivo e non sostitutivo dei fondi occulti che in vario modo illecito (gli scandali pubblici ne fanno fede) continuavano a pervenire nelle casse dei partiti. Per questo, negli anni seguenti si discusse della necessità di riformulare in modo più rigoroso tale legge e vari progetti sono stati presentati, ma nessuno è giunto in porto.

Un nuovo referendum, del 18 aprile 1993, negli anni dello scandalo di

“tangentopoli”, abrogò a larghissima maggioranza il sistema allora in vigore di finanziamento pubblico dei partiti. Ma i finanziamenti pubblici continuarono a pervenire ai partiti sotto forma di “rimborsi elettorali”

per le spese sostenute nelle elezioni nazionali, europee e regionali.

Il finanziamento pubblico dei partiti, anche sotto forma di rimborsi elettorali, è stato abolito nel 2013. Un partito, il cui statuto soddisfi certi requisiti di democraticità e trasparenza, può oggi accedere ai seguenti strumenti di finanziamento:

1. facilitazioni fiscali (detrazioni) per privati (non enti pubblici o governativi) che compiano erogazioni liberali tracciabili a favore dei partiti politici;

2. il 2 per mille della propria imposta sul reddito (IRPEF) che ogni contribuente può liberamente destinare a un dato partito politico riconosciuto;

3. raccolte di fondi.

In molti partiti politici, le persone elette a cariche pubbliche si impegnano a versare una parte stabilita della loro indennità di carica al partito stesso.

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