• Non ci sono risultati.

1.1 Il pancreas normale 1. Introduzione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1.1 Il pancreas normale 1. Introduzione"

Copied!
73
0
0

Testo completo

(1)

- 1 -

1. Introduzione

1.1 Il pancreas normale

Il pancreas è un organo retroperitoneale, giallo-biancastro, di consistenza parenchimatosa ed aspetto lobulato, del peso di circa 100 g nel maschio e 85 g nella femmina. E’ avvolto dal tessuto connettivo retroperitoneale che forma una capsula mal definita. Le dimensioni sono comprese tra 15 e 25 cm di lunghezza, tra 1,4 e 4 cm di spessore e tra 3 e 9 cm di altezza (Heitz et al; 1984). Il pancreas è anatomicamente suddiviso in quattro parti: testa, collo, corpo e coda. Il dotto pancreatico principale è il dotto di Wirsung, che si apre nel duodeno a livello della papilla di Vater. Esso drena la maggior parte della ghiandola ed inizia in corrispondenza della coda dalla confluenza di numerosi piccoli dotti (dotti secondari). Nella regione della testa il dotto di Wirsung spesso riceve un dotto accessorio, detto di Santorini, che drena la parte dorsale della testa nel 99% della popolazione (Birnstingl; 1959).

Il pancreas è una ghiandola mista, esocrina ed endocrina: la componente esocrina rappresenta fino all’84% del volume del parenchima, i vasi ed i dotti il 4% e le cellule endocrine solo il 2%. Il resto è costituito da matrice extracellulare (Gorelick et al; 1981). Il lobulo è l’unità morfologica del pancreas esocrino. Esso è composto da acini, separati da sottili setti di tessuto connettivo in cui decorrono vasi linfatici e sanguigni, nervi e dotti interlobulari (Figura 1) (Bockman et al; 1993; Heitz et al; 1984).

Il pancreas esocrino umano adulto è costituito da quattro tipi di cellule:

(2)

- 2 - - cellule acinari, organizzate in acini, che producono gli enzimi

digestivi

- cellule centroacinari-duttulari, che secernono un fluido ricco di bicarbonato

- cellule muco-secernenti, che formano i dotti interlobulari e principali - cellule connettivali che formano il tessuto interstiziale.

- cellule connettivali, che formano il tessuto interstiziale.

Figura 1- Spaccato anatomico del pancreas umano (A). Struttura e tipi cellulari

del parenchima pancreatico (B)

1.2 Tumori del pancreas:

l’adenocarcinoma

duttale (PDAC)

Il carcinoma del pancreas è una malattia letale, che da tempo costituisce una sfida per medici e scienziati in tutto il mondo. Nonostante la bassa incidenza, esso rappresenta infatti una delle

(3)

- 3 - principali cause di morte per cancro nei paesi industrializzati. Al momento della diagnosi il 75-85% dei pazienti si presentano con tumori in stadio avanzato e non suscettibili di resezione chirurgica con intento curativo (Gudjonsson; 1987). Strategie terapeutiche conservative, quali chemioterapia e/o radioterapia non si sono mostrate in grado di migliorare la prognosi del carcinoma del pancreas non operabile (Cullinan et al; 1985).

Il miglioramento della tecnica chirurgica, nei centri ad alto volume ha consentito di ridurre la mortalità intraoperatoria sotto al 5% e conseguentemente di incrementare il numero delle resezioni con intento curativo. Tuttavia, il tasso di recidiva locale rimane elevatissimo e, anche se in sottogruppi di pazienti è stata riportata una sopravvivenza attuariale a cinque anni superiore al 20% i veri lungo-sopravviventi sono rari (<2%) (Greenlee et al; 2000; Gudjonsson; 1987).

Le ragioni di una tale aggressività non sono completamente note, ma sembrano dover essere ricercate nel particolare assetto biologico che caratterizza il cancro del pancreas. Nelle ultime due decadi i progressi scientifici e tecnologici nel campo della biologia molecolare hanno consentito di delucidare molti dei meccanismi genetici ed epigenetici alla base di questa malattia, con la speranza che possano condurre allo sviluppo di migliori modalità diagnostiche e soprattutto terapeutiche. La scarsità di fattori di rischio noti, l’assenza di sintomi nelle fasi precoci della malattia rendono infatti assai improbabile l’attuazione di strategie di prevenzione primaria o secondaria.

1.3 Epidemiologia

Il cancro del pancreas ha un'incidenza massima di 8-12 nuovi casi ogni 105 abitanti/anno nei paesi industrializzati, quali gli Stati Uniti, il Giappone e l'Europa, dove i tassi sono più elevati nel nord rispetto

(4)

- 4 - alle regioni mediterranee. I paesi africani ed asiatici sono caratterizzati da una bassa incidenza (1-2 casi/105 abitanti/anno) (Warshaw et al; 1992). In Italia esistono delle variazioni regionali: sono infatti stati riportati da 2 fino a 12 nuovi casi/105 abitanti/anno, con una media di 8,4 nuovi casi/105 abitanti per anno (Registro Nazionale Tumori, anno 2005). Studi epidemiologici hanno evidenziato una costante crescita del tasso di incidenza globale e del tasso di incidenza standardizzato per età fino agli anni '80, seguita poi da una fase di plateau . Il tasso di mortalità coincide con quello di incidenza (Greenlee et al; 2000; Lowenfels et al; 1998). Il sesso maschile è più frequentemente colpito di quello femminile, con un rapporto che varia da 1,4:1 in Brasile a 2,9:1 in Francia. Tuttavia negli ultimi decenni vi è stato un incremento nel numero di pazienti di sesso femminile affette da carcinoma del pancreas, probabilmente perché si è maggiormente diffusa l'abitudine al fumo di sigaretta nelle donne (Lowenfels et al; 1998).

Il fumo di sigaretta è infatti un chiaro e ben stabilito fattore di rischio (da 2 a 6 volte maggiore) per il cancro del pancreas, come dimostrato da alcuni studi epidemiologici. Non sono invece chiari il ruolo del fumo di sigaro, pipa o gli effetti della masticazione del tabacco. Il consumo di alcol, caffè o tè non ha mostrato alcuna evidente associazione con lo sviluppo di cancro del pancreas.

Stati morbosi quali pancreatite cronica, fibrosi cistica e diabete mostrano di essere associati allo sviluppo di cancro del pancreas. In particolare per quanto riguarda la pancreatite cronica, i risultati di uno studio multicentrico condotto da Lowenfels hanno evidenziato un incremento di incidenza di carcinoma del pancreas di 14,4-16,5 volte rispetto alla popolazione generale (Lowenfels et al; 1993), con un rischio che aumenta col passare degli anni dall’esordio della malattia. I soggetti affetti da pancreatite cronica ereditaria, caratterizzata da un esordio giovanile, possono raggiungere un rischio cumulativo del 75% di sviluppare cancro del pancreas nel

(5)

- 5 - caso in cui abbiano ereditato la malattia dal ramo maschile della famiglia (Lowenfels et al; 1997).

Infine, sebbene la maggior parte dei casi di cancro del pancreas siano sporadici, la malattia si verifica anche nel contesto di sindromi ereditarie, quali la sindrome del nevo displastico, la sindrome di Lynch tipo II (cancro del colon ereditario non associato a poliposi), la sindrome del cancro mammella-ovaio, l’atassia-teleangiectasia, la sindrome di Peutz-Jeghers e la già menzionata pancreatite ereditaria (Lowenfels et al; 1997).

Inoltre, è stata riportata la possibilità di una trasmissione autosomica dominante del carcinoma del pancreas in assenza di una sindrome ereditaria nota. Per quest'ultima forma è stata recentemente individuata, mediante analisi di linkage, un'associazione significativa al locus 4q32-34 (Eberle et al; 2002), mentre non è ancora stato individuato il gene responsabile. Complessivamente si calcola che fino al 10% dei casi di carcinoma del pancreas siano trasmessi con un pattern di ereditarietà autosomico dominante (Eberle et al; 2002).

1.4 Classificazione dei tumori pancreatici

esocrini

La più recente classificazione delle neoplasie pancreatiche esocrine è quella proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2000 (Kloppel et al; 2000) (Tabella1).

Questa classificazione raggruppa le neoplasie anche in base al comportamento clinico, cercando quindi di fornire informazioni non solo di tipo istogenetico, ma anche di tipo prognostico. Accanto alle neoplasie benigne e maligne compare dunque una nuova categoria, quella dei tumori ad incerto potenziale di malignità (borderline), che comprende neoplasie già note ed altre di più recente definizione, quali i tumori papillari-mucinosi intraduttali ed i tumori solidi-pseudopapillari (Adsay et al., 2000; Klimstra et al., 2000; Kloppel et al., 2001; Loftus et al., 1996).

(6)

- 6 - Tabella 1- Classificazione dei tumori del pancreas (WHO, 2000)

Tumori epiteliali

Benigni

Cistoadenoma sieroso Cistoadenoma mucinoso

Adenoma intraduttale mucinoso-papillare Teratoma maturo

Borderline (ad incerto potenziale di malignità) Neoplasia cistica mucinosa con displasia moderata

Neoplasia intraduttale mucinosa-papillare con displasia moderata Neoplasia solida-pseudopapillare

Maligni

Adenocarcinoma duttale

Carcinoma mucinoso non cistico

Carcinoma con cellule ad anello con castone Carcinoma adenosquamoso

Carcinoma indifferenziato (anaplastico)

Carcinoma indifferenziato con cellule giganti simil-osteoclastiche

Carcinoma misto duttale-endocrino Cistoadenocarcinoma sieroso

Cistoadenocarcinoma mucinoso non invasivo invasivo

Carcinoma intraduttale mucinoso-papillare non invasivo

invasivo (carcinoma mucinoso-papillare) Carcinoma acinare

cistoadenocarcinoma acinare carcinoma acinare-endocrino misto Pancreatoblastoma

Carcinoma solido-pseudopapillare

(7)

- 7 -

1.5 L’anatomia patologica del PDAC

L’adenocarcinoma duttale è una neoplasia epiteliale maligna composta da strutture ghiandolari muco-secernenti che mostrano evidenza di differenziazione duttale. Questo tumore è anche stato definito adenocarcinoma o carcinoma a cellule duttali, carcinoma del pancreas esocrino o più semplicemente, cancro del pancreas. Esso è, insieme alle sue varianti più comuni (carcinoma mucinoso non cistico, carcinoma con cellule ad anello con castone, carcinoma adenosquamoso e carcinoma indifferenziato), l’istotipo più frequente di tumore pancreatico. Esso rappresenta infatti l’85-90% di tutti i tumori pancreatici.

Caratteristiche macroscopiche

Secondo casistiche autoptiche, il 60-70% dei carcinomi del pancreas si localizza nella testa della ghiandola, il 5-10% nel corpo, il 10-15% nella coda ed il 10-15% in una combinazione di siti. Le casistiche chirurgiche riportano la testa del pancreas come sede più frequente (80-90% dei casi); il 50% dei casi si localizzano nella metà superiore della testa, vicino alla porzione intrapancreatica del coledoco, i rimanenti nella regione retrostante l’ampolla di Vater o, più raramente, nel processo uncinato.

Le dimensioni del carcinoma della testa sono comprese tra 1,5 e 10 cm, con una media compresa tra 3,5 e 4,5 cm. I tumori del corpo-coda sono generalmente più grossi (in media 5-7 cm), data l’insorgenza tardiva di manifestazioni cliniche che li caratterizza.

Macroscopicamente, l’adenocarcinoma duttale si presenta come una massa dura, a margini mal definiti, con una superficie di taglio di

(8)

- 8 - colorito giallo-biancastro che si perde in maniera impercettibile nel parenchima circostante (Figura 2).

Emorragia e necrosi sono rare, mentre possono essere presenti aree microcistiche. Con l’eccezione delle neoplasie che originano nel processo uncinato, i carcinomi della testa del pancreas sono in stretto rapporto con il coledoco e con il dotto pancreatico principale. L’invasione della parete di questi dotti e la crescita peridottale determina stenosi e talvolta ostruzione completa, con dilatazione del segmento a monte del tratto occluso. L'ostruzione del coledoco conduce allo sviluppo di ittero, che rappresenta uno dei segni clinici più frequenti di carcinoma della testa del pancreas; l'ostruzione del dotto di Wirsung determina pancreatite cronica ostruttiva. L’interessamento del duodeno comporta invasione della parete fino all’ulcerazione, nei casi più avanzati. L’estensione extrapancreatica retroperitoneale è spesso già presente al momento della diagnosi, con interessamento dei vasi e dei plessi nervosi mesenterici. Nei casi più avanzati si ha estensione al peritoneo, allo stomaco, alla colecisti e alla lamina retroportale. Questa di fatto non è una vera e

Figura 2- Immagine di un adenocarcinoma duttale

(9)

- 9 - propria struttura anatomica presente nel corpo umano, ma piuttosto si tratta di un margine chirurgico che separa la ghiandola dal retroperitoneo. La valutazione istopatologica di questo frammento tissutale è importante nel fornire al chirurgo la bontà della resezione pancreatica effettuata, in quanto la presenza di tumore nella lamina retroportale è indice della presenza di un residuo di neoplasia nel paziente che viene indicato con l’acronimo di R1. Nel caso in cui la lamina retroportale risulti negativa, si parla di resezione pancreatica R0, dove non vi è residuo tumorale nel retroperitoneo del paziente (Figura 3).

I tumori del corpo-coda possono infiltrare il dotto pancreatico principale. La diffusione extrapancreatica coinvolge dapprima il retroperitoneo e può successivamente estendersi a milza, stomaco, surrene sinistro e peritoneo, con sviluppo di carcinosi (Solcia et al; 1997).

Figura 3 - Intervento di Cefaloduodenopancreasectomia. La parte

marcata con l’inchiostro di china rappresenta la lamina retro portale (frecce verdi)

(10)

- 10 - Caratteristiche microscopiche

Da un punto di vista microscopico, la maggior parte degli adenocarcinomi duttali sono neoplasie moderatamente o ben differenziate.

I tumori ben differenziati (Figura 4) sono costituiti da ampie strutture simil-ghiandolari e da ghiandole di media grandezza, disposte in maniera irregolare nel contesto di uno stroma desmoplastico. Quest’ultimo è un elemento tipico dell’adenocarcinoma duttale ed è responsabile della consistenza dura che caratterizza questa neoplasia. Le ghiandole neoplastiche si situano vicino a strutture normali (acini, dotti, insule); esse possono presentare un pattern di crescita cribriforme, micropapillare o chiaramente muco-secernente. L’attività mitotica è generalmente bassa.

Figura 4 – Carcinoma ben differenziato (G1) (Ematossilina-Eosina 20X)

I carcinomi moderatamente differenziati (Figura 5) sono composti da ghiandole di media grandezza e da strutture tubulari di forma e dimensioni irregolari e variabili. Di solito essi sostituiscono completamente il parenchima acinare. Le atipie citologiche sono

(11)

- 11 - marcate, con nuclei di dimensioni variabili, cromatina e nucleoli irregolari, e le mitosi frequenti. La produzione di muco è ridotta.

Figura 5 – Carcinoma moderatamente differenziato (G2)

(Ematossilina-Eosina 20X)

I carcinomi scarsamente differenziati (Figura 6) sono costituiti da ghiandole piccole ed irregolari, nonché da nidi e cordoni solidi di cellule neoplastiche. La reazione stromale è di solito poco spiccata, mentre possono essere presenti focolai di necrosi ed emorragia. Le cellule neoplastiche sono marcatamente atipiche e non producono mucina, anche se vi possono essere singole cellule contenenti vacuoli citoplasmatici. L’attività mitotica è elevata (Solcia et al; 1997).

(12)

- 12 - Figura 6 – Carcinoma scarsamente differenziato (G3) (Ematossilina-Eosina 20X)

Il grading microscopico degli adenocarcinomi duttali si basa sulla valutazione combinata di caratteristiche istologiche, citologiche e sull’attività mitotica (tabella 2).

Tabella 2- Grado di differenziazione del carcinoma duttale del pancreas (WHO,

2000) Grading Differenziazione ghiandolare Produzione di muco Mitosi (10 HPF) Atipie nucleari 1 Ghiandole ben

differenziate intensa <5 Lievi

2 Ghiandole e strutture tubulari moderatamente differenziate irregolare 6-10 Moderate 3 Ghiandole poco differenziate e strutture pleomorfe abortiva >10 Marcate

(13)

- 13 - Se è presente eterogeneità nel grado di differenziazione, si assegna il punteggio di grading più alto. Con questo sistema è stata individuata una correlazione tra grado di differenziazione e sopravvivenza (Kloppel et al; 1985).

Diffusione tumorale e stadiazione

Al momento della diagnosi la maggior parte delle neoplasie pancreatiche hanno superato i confini dell’organo (Funel et al; 2008). La diffusione linfatica dei carcinomi della testa del pancreas interessa più frequentemente i linfonodi pancreatico-duodenali posteriori, seguiti dai linfonodi superiori della testa, inferiori della testa, superiori del corpo, pancreatico-duodenali anteriori ed inferiori del corpo (Solcia et al; 1997). Queste stazioni linfonodali vengono di solito asportate durante una duodenocefalopancreasectomia. Stazioni linfonodali più distanti sono quelle del legamento epato-duodenale, del tripode celiaco, della radice dell’arteria mesenterica superiore ed i linfonodi paraortici all’altezza dei vasi renali. Queste stazioni vengono asportate nel corso di una linfoadenectomia allargata (Yeo et al; 1999).

I carcinomi del corpo-coda metastatizzano prima di tutto ai linfonodi superiori ed inferiori del corpo pancreatico ed ai linfonodi dell’ilo splenico. E’ anche possibile la diffusione alla pleura ed al polmone attraverso canali linfatici.

Le metastasi ematiche interessano in ordine di frequenza fegato, polmone, surreni, reni, ossa, encefalo e cute (Heitz et al., 1984; Solcia et al; 1997).

I sistemi di stadiazione più utilizzati per l'adenocarcinoma duttale del pancreas includono la classificazione TNM (TNM; 2002) (Tabella 3) e la classificazione della Japanese Pancreas Society (JPS; 1996).

(14)

- 14 - Tabella 3- Classificazione istologica dei tumori pancreatici

Tumore primitivo (T)

Tx Il tumore primitivo non può essere definito T0 Nessun evidenza di tumore primitivo Tis Carcinoma in situ

T1 Tumore limitato al pancreas, 2 cm nella dimensione massima T2 Tumore limitato al pancreas, >2 cm nella dimensione massima T3 Tumore che si estende oltre il pancreas, ma senza coinvolgere l’asse

celiaco o l’arteria mesenterica superiore

T4 Tumore che si estende direttamente all’asse celiaco o all’arteria mesenterica superiore

Linfonodi regionali (N)

Nx L’interessamento dei linfonodi regioni regionali non può essere stabilito

N0 Assenza di metastasi nei linfonodi regionali N1 Metastasi nei linfonodi regionali

Metastasi a distanza (M)

Mx La presenza di metastasi a distanza non può essere definita M0 Assenza di metastasi a distanza

M1 Presenza di metastasi a distanza

Stadiazione Stadio 0 Tis N0 M0 Stadio IA T1 N0 M0 Stadio IB T2 N0 M0 StadioIIA T3 N0 M0 Stadio IIB T1, T2, T3, N1 M0

Stadio III T4 Qualunque N M0

(15)

- 15 -

1.5.1 La Progressione tumorale

Cambiamento della morfologia dei dotti – Lesioni di basso e medio grado

I dotti vanno incontro a modificazioni morfologiche di vario grado come l’ipertrofia mucinosa (Pan IN IA), dove la cellula da cubica si trasforma in colonnare. Nella PanIN IB si assiste ad una estroflessione papillare dell’epitelio colonnare tipico. Nella PanIN II si aggiungono atipie nucleari e

pluristratificazione cellulare.

Tabella 4-Classificazione delle lesioni intraduttali pancreatiche

Acronimo Tipo di Lesione Grado PanIN IA Ipertrofia Mucinosa Basso PanIN IB Iperplasia Papillare Basso PanIN II Displasia Moderata Moder ato

PanIN III Displasia

Grave Alto

Nella PanIN III l’epitelio duttale è caratterizzato da un rigonfiamento ed un innalzamento dell’epitelio, dalla comparsa di papille e di gravi anomalie nucleari, come la perdita della polarità cellulare e la comparsa di mitosi. Generalmente la lesione è circondata da uno o due stati di tessuto sclerotico. La distinzione tra displasia duttale grave e carcinoma in situ è veramente difficile, se non impossibile,

(16)

- 16 -

Progressione tumorale

Progressione tumorale

NORMAL

PanIN-1A PanIN-1B PanIN-2 PanIN-3 K-ras (90%)

Her-2/neu ( 70%) p16 (90-95%) p53 (50-75%%)

DPC4 (50-60%)

TUMOR

segnare un margine di distinzione tra i due cambiamenti morfologici. La displasia duttale grave viene chiamate comunemente PanIN III (Pancreatic Intraductal Neoplasia) nella terminologia proposta per descrivere le alterazioni intraepiteliali pancreatiche. Le lesioni di tipo PanIN III sono frequentemente associate con l’adenocarcinoma duttale invasivo (Kloppel et al; 1980).

L’evidenza che tutte queste lesioni possano evolvere verso la forma invasiva di cancro è supportata da studi morfologici, clinici e da analisi genetiche. Le analisi mutazionali fatte sulle lesioni pre-invasive hanno verificato la presenza delle stesse alterazioni genetiche tipiche del carcinoma infiltrante. Sono state documentate punto-mutazioni attivanti dell’oncogene K-ras e perdita degli oncosoppressori quali p16, TP53 e DPC4 per varie alterazioni genetiche (Tada et al; 1996; Moskaluk et al; 1997; Wilentz et al; 2000) (Figura 7). Le lesioni duttali e il carcinoma infiltrante provenienti dallo stesso pancreas hanno dimostrato avere identiche mutazioni genetiche (Moskaluk et al; 1997; Luttges et al; 1999).

(17)

- 17 -

1.6 Modelli tumorali

Capire i meccanismi biologici che stanno alla base dell’iniziazione del tumore e della progressione è il primo passo per una svolta nello sviluppo di nuove ed efficienti terapie.

Negli ultimi anni gli studi della biologia dei tumori hanno subito un progressivo sviluppo. Molti aspetti sono stati chiariti ma molti altri restano ancora da studiare, tra questi il ruolo che esercita il microambiente nella progressione tumorale e nella formazione di metastasi. Le ultime conoscenze riguardo i meccanismi di cancerogenesi hanno evidenziato che solo attraverso nuovi modelli tumorali si potranno sviluppare nuove terapie efficienti (Ricci et al; 2013).

I modelli preclinici potrebbero migliorare gli studi di biologia molecolare e di farmacogenomica per incrementare la target-therapy del PDAC. Le metodologie attualmente utilizzate si distinguono per una scarsa accuratezza nel riflettere l’architettura del tumore, nelle interazioni cellula-cellula e cellula-cellula-matrice extracellula-cellulare (ECM) e inoltre non rispecchiano la complessità del microambiente in vivo. Nei sistemi in vivo lo sviluppo neoplastico differisce significativamente rispetto alle cellule coltivate in 2D, soprattutto per quanto riguarda morfologia, cinetica di crescita, espressione genica e grado di differenziazione. Grazie a queste evidenti migliorie la necessità di nuovi modelli cellulari tridimensionali (3D) capaci di comprendere i processi biologici che stanno alla base del processo di trasformazione neoplastico è diventata sempre più impellente.

I sistemi tradizionali in vitro 2D offrono il vantaggio di essere altamente riproducibili e questo fa sì che il loro isolamento e coltura sia molto semplice, considerando anche la loro risposta a farmaci e radiazioni. Per questi motivi le colture cellulari 2D sono diventate il metodo più diffuso e accessibile per una valutazione iniziale di farmacoterapia tumorale. Tuttavia questo modello ha tra i suoi punti deboli la scarsa prevedibilità e la mancanza di affidabilità. Quest’ultima sembra essere dovuta soprattutto alle fonti cellulari, alla dimensione dei modelli e alla complessità del

(18)

- 18 - microambiente. Da non sottovalutare anche che l’espansione e i passaggi in vitro producono una selezione fenotipica e una alterazione col tempo. Questo fa sì che le cellule tumorali primarie siano preferibili ai lunghi passaggi e alle linee cellulari immortalizzate.

Oltre al modello 2D quello più diffuso è il modello animale in cui le cellule tumorali umane sono iniettate per formare masse tumorali e metastasi. Questo metodo ha gli svantaggi di essere molto più laborioso e di richiedere una approvazione etica.

In questo scenario le colture cellulari tridimensionali (3D) costituiscono un approccio alternativo al 2D e sono il punto di legame tra le tradizionali colture cellulari e i modelli in vivo. Questi modelli sono stati studiati ampiamente e comparati con le colture 2D monostrato, sembra che mimino meglio gli effetti che l’ambiente 3D in vivo ha sul fenotipo tumorale umano (Fong et al; 2013).

I primi modelli 3D che sono stati sviluppati sono conosciuti come sferoidi. Questi sistemi da una parte hanno migliorato la conoscenza sul ruolo delle colture 3D su cellule tumorali ma dall’altra parte mimano parzialmente il microambiente tumorale. Questo rende inevitabile la necessità di modelli tumorali 3D innovativi ben definiti e riproducibili.

Recentemente l’ingegneria tissutale si è focalizzata sui modelli tumorali mostrando la possibilità di generare dei complessi modelli 3D in vitro Figura 8, (Ricci et al; 2013). Per questo è sempre più riconosciuta come un valido strumento per studiare la biologia tumorale attraverso l’utilizzo di colture cellulari tridimensionali (3D). I modelli di tessuti ingegnerizzati possono offrire dei risultati fondamentali per gli studi tumorali permettendo una disposizione spontanea delle cellule in 3D e ricreando un modello tumorale in vivo ben definito e riproducibile.

(19)

- 19 - Figura 8- Figura schematica di (A) un tumore e (B) di modelli tumorali, con le loro

principali caratteristiche.

1.7 Tumori ingegnerizzati: modello di cancro del

pancreas

L’adenocarcinoma duttale del pancreas (PDAC) a causa della sua prognosi nefasta rappresenta l’obiettivo di continui studi. Lo sviluppo di un modello in vitro 3D che simula lo specifico microambiente del PDAC rimane uno scopo importante da raggiungere al fine di sviluppare delle efficienti terapie (Ricci et al, 2013).

Negli ultimi anni i progressi nel campo dell’ingegneria tissutale e dei biomateriali hanno spinto i ricercatori ad utilizzare delle matrici di polimeri come substrato per la crescita tumorale 3D. Rispetto ai sistemi descritti finora i modelli di tessuti ingegnerizzati hanno l’indiscutibile vantaggio di riassumere gli aspetti del microambiente tumorale in vivo per studiare la dinamica dello sviluppo tumorale, la sua progressione e le relative terapie. Nella creazione di questi modelli vengono utilizzate cellule selezionate derivate da colture primarie o da tessuti e inoltre per ogni tipo di tumore è

(20)

- 20 - opportuno identificare un’architettura appropriata dello scaffold in grado di riprodurre gli aspetti meccanici del tessuto nativo.

Un numero di polimeri e tecniche di fabbricazione sono stati utilizzati per produrre scaffold porosi 3D per l’ingegneria tissutale (Loh et al, 2013). I metodi convenzionali di produzione includono lisciviazione dei sali, forming gas, fase di separazione o liolifizzazione per produrre delle matrici spugnose, o tecniche di fusione o elettrospinning per produrre maglie di fibre. Entrambi gli scaffold di spugna e di fibre sono in grado di supportare la crescita cellulare e la differenziazione (Loh et al,2013; Mallik et al,2013). Comunque è stato dimostrato che le caratteristiche porose dello scaffold possono influenzare la proliferazione, l’organizzazione nello spazio, la differenziazione e produzione della matrice extracellulare, a seconda del tipo cellulare. Inoltre la funzione delle cellule è direttamente influenzata dall’interazione con l’ambiente circostante. Quindi è importante selezionare determinati scaffold a seconda del tipo cellulare. Nel nostro caso abbiamo selezionato un tipo di scaffold prodotto attraverso tecniche convenzionali che consentono un elevato rapporto tra superficie e volume, dal momento che questo parametro sembra favorire la colonizzazione delle cellule di tipo epiteliale. Lo scaffold utilizzato è il PVA/G, scaffold spugnoso, prodotto attraverso emulsione e liolifizzazione (Figura 9).

(21)

- 21 - Figura 9- Figura di modelli tumorali 3D.

(22)

- 22 -

2. Materiali e Metodi

2.1 Materiali

2.1.1 Tessuti Pancreatici

Dal punto di vista chirurgico gli interventi resettivi sul pancreas si possono divedere in tre tipologie: Pancreasectomia Totale (PT), quando viene tolto l’intera ghiandola in un unico intervento; Duodeno-Cefalo-Pancreasectomia (DCP), che prevede l’enucleazione della testa del pancreas all’altezza del collo e del tratto di duodeno annesso; Pancreasectomia sinistra (PS), quando vengono resecati il corpo e la coda del pancreas. Nei casi in cui viene rimossa chirurgicamente anche la milza (nel 99% dei casi) l’intervento viene detto Spleno-pancreasectomia sinistra. Di ogni paziente venivano inviati, insieme al pezzo anatomico, campioni di sangue intero (4 per paziente) prelevati durante l’intervento.

Esame macroscopico a fresco

Questo tipo di procedura viene effettuata sotto cappa, in un laboratorio dedicato, utilizzando materiali sterili monouso e ferri specializzati per ogni singolo caso. Per prima cosa viene eseguita un’analisi macroscopica del pezzo operatorio dove vengono riportate le parti anatomiche pervenute con le relative misure, vengono localizzati ed esplorati coledoco e il dotto del Wirsung fino alla convergenza comune nella papilla di Vater. Tali operazioni sono utili per stabilire se l’origine della neoplasia è dal parenchima pancreatico o dalle vie biliari. Nel caso di un tumore mucinoso papillare intraduttale (IPMN) è indispensabile stabilire la continuità della neoplasia con il dotto di Wirsung.

(23)

- 23 - Infine viene eseguito un prelievo sulla neoplasia per l’analisi istologica intraoperatoria.

Esame microscopico intraoperatorio

Il prelievo viene congelato e tagliato al criostato. Per l’esame estemporaneo vengono eseguite sezioni dello spessore di 5 m e colorate, seguendo il protocollo, con ematossilina ed eosina; inoltre, vengono esaminate anche le trance di resezione coledocica e pancreatica, per osservare l’estensione del tumore.

2.1.2 Congelamento dei tessuti

Eseguito l’esame intraoperatorio, si procede al prelievo del tessuto patologico, qualora sia possibile, e al congelamento in azoto liquido, i campioni così vengono conservati a -80°C e contrassegnati con un codice identificativo del DataBase. Per ogni caso vengono eseguiti prelievi per il tumore (T) destinato alla biobanca (PPxxxx T) e, in alcuni casi, è stato possibile campionare tessuto peritumorale (N). Il sangue pervenuto viene stoccato a -80°C.

Nel caso in cui la diagnosi fosse di carcinoma duttale del pancreas, parte del prelievo viene utilizzato per allestire una coltura cellulare primaria (PPxxx).

In questo studio abbiamo utilizzato la coltura primaria di PDAC derivata dal paziente numero 244.

2.1.3 Materiale paraffinato

L’allestimento di un preparato biologico per l’osservazione al microscopio ottico necessita di una serie di procedimenti che rendano il campione prelevato talmente sottile da essere

(24)

- 24 - attraversato dalla luce del microscopio. Il preparato deve essere fissato in formalina tamponata al 10% e colorato per mettere in evidenza le strutture cellulari.

I procedimenti messi in atto per la preparazione del campione possono essere riassunti in:

 prelievo  fissazione  processazione  inclusione in paraffina  taglio  colorazione  montaggio

Prelievo e Fissazione

In fase di campionamento e riduzione del tessuto in esame, il patologo esegue più prelievi del caso in esame e a ciascuno viene assegnato un codice identificativo, dopo che il campione è stato precedentemente fissato in formalina tamponata al 10%. La fissazione ha la funzione di immobilizzare, preservare e di proteggere dagli stress fisici e chimici i campioni.

Processazione

La processazione include le procedure che portano il campione biologico dal prelievo all’inclusione, e comprendono la disidratazione e l’inclusione in paraffina.

Esistono vari tipi di fissativi, scelti in base alla natura del campione. Infatti, un fissativo deve stabilizzare l’architettura cellulare costituita principalmente di proteine.

(25)

- 25 - I fissativi convenzionali si combinano con numerosi gruppi funzionali delle molecole proteiche, per la formazione di legami intramolecolari, che portano alla costruzione di complessi macromolecolari.

Il composto più utilizzato come fissativo in istologia è la formaldeide. La formaldeide è il fissativo più usato, ha un elevato grado di penetrazione e non provoca un eccessivo indurimento dei tessuti. Inoltre, non dissolve i lipidi ed è possibile mantenere per varie ore i preparati immersi. Allo stato naturale è un gas, ma in istologia viene usata in soluzione acquosa, denominata formalina, normalmente usata a concentrazioni tra 4-10 %. È molto tossica per le mucose nasali e per gi occhi, quindi necessita di precauzioni particolari per il suo impiego.

Alla processazione segue il processo di disidratazione, che permette di eliminare l’acqua dal campione e procedere con l’inclusione, essendo quest’ultima effettuata con sostanze idrofobiche.

La disidratazione è effettuata tramite alcoli a concentrazioni crescenti (etanolo 70%, etanolo 80%, etanolo 90%, etanolo 95%, etanolo 100%)

Inclusione

La sostanza utilizzata per la preparazione dei blocchetti di materiale incluso è la paraffina. La paraffina è una miscela di idrocarburi saturi ad elevato peso molecolare, insolubili sia in acqua che in etanolo. La paraffina è allo stato solido a temperatura ambiente, ma diventa liquida se portata a temperature vicine al suo punto di fusione (65°C). La paraffina prima dell’uso deve essere sciolta a temperatura e filtrata per eliminare eventuali impurità.

Il campione, presente nelle biocassette, viene poi portato all’inclusore dove l’operatore lo pone in contenitori sagomati in cui

(26)

- 26 - viene fatta colare paraffina liquida, e il tutto viene fatto solidificare su un piano freddo.

Il campione, una volta infiltrato dalla paraffina, non si deteriora.

Sezionamento

Il sezionamento del tessuto viene effettuato utilizzando apparecchiature speciali, i microtomi. Il tipo più diffuso è il microtomo a rotazione.

Questo strumento può essere considerato costituito da tre elementi fondamentali: un gruppo porta-preparato, un dispositivo porta-lama, e un corpo che li supporta entrambi. Il principio di funzionamento si basa su un braccio oscillante su cui si monta il blocchetto di paraffina contenente il tessuto. Il blocchetto, ad ogni oscillazione, scivola contro la lama di acciaio. In questo modo è possibile ottenere sezioni progressive del preparato.

Il movimento basculante del braccio del microtomo è azionato da una manovella ed è il regolare movimento di questa che causa anche il progressivo avvicinamento del blocchetto alla lama.

La particolarità del microtomo è quella di formare dei “nastri” di sezioni. Ottenuto un numero di sezioni soddisfacente, sarà necessario prelevare l’intero nastro e appoggiarlo in una vaschetta contenente acqua distillata riscaldata (40-45°C) che distenderà il nastro. Quindi si raccolgono le sezioni sul vetrino portaoggetto semplicemente immergendolo nell’acqua al di sotto le sezioni, e facendolo riemergere in posizione obliqua.

Il vetrino sarà posto ad asciugare su una piastra riscaldata e poi in un termostato a 30-40°C.

(27)

- 27 -

2.2 Metodi

2.2.1 Microdissettore laser

La microdissezione laser è una tecnica innovativa sviluppata negli ultimi decenni e che porta varie agevolazioni nel campo dello studio sull’adenocarcinoma duttale del pancreas. Questa metodica sfrutta un raggio laser comandato da un operatore per prelevare una specifica zona di un tessuto da un vetrino, per effettuarci innanzitutto estrazione del Dna e quindi analisi di tipo molecolare.

I vetrini utilizzati per utilizzo dello strumento in questione, sono costituiti da una membrana atossica, il PET, su cui viene posizionata la sezione del tessuto e da cui viene prelevata la zona da studiare. L’operatore entra il contatto con il campione solo al momento del fissaggio del tessuto sugli appositi vetrini e al momento del caricamento del vetrino.

Infatti, lo strumento utilizza la gravità per la raccolta del materiale nell’apposito contenitore posto al di sotto del vetrino; nelle ultime versioni del microdissettore, il vetrino viene montato alla rovescia. Un’ulteriore novità dello strumento è la direzione con cui il laser colpisce il vetrino, per sfruttare la gravità e diminuire le procedure manuali effettuate dall’operatore per la racconta del materiale, il laser punta il vetrino dal basso verso l’alto.

I vantaggi di questa applicazione sono le seguenti:

1) il raggio laser è collineare al percorso ottico degli oculari del microscopio, quindi l’operatore può seguire fisicamente la microdissezione;

2) la raccolta del materiale per gravità risulta molto più agevole rispetto agli altri sistemi delle generazioni precedenti.

(28)

- 28 - Nello studio del carcinoma pancreatico questa metodica ha un’importanza rilevante perché consente di selezionare una popolazione “pura” di cellule tumorali enucleate dal tessuto peritumorale.

Inoltre è utile il microdissettore laser per valutare la casistica dei tumori: questo perché gli ultimi modelli dello strumento propongono anche la possibilità di “grattare”, sempre grazie al laser, una porzione di tessuto da vetrini di vetro di casi vecchi nel tempo e paraffinati. Questo vuol dire maggiori studi sull’adenocarcinoma pancreatico.

Su pezzi paraffinati sono stati effettuati studi di biologia molecolare, fino ad ora i risultati sono pochi anche perché la quantità di Dna estratta da questi tessuti è minore rispetto ai tessuti freschi.

Gli usi del microdissettore non si rivolgono solo alla biologia molecolare ma anche alla coltura di cloni di cellule. Sono stati ideati, a questo scopo, particolari vetrini, sempre composti da Pet, in grado di permette la crescita di particolari cloni.

In colture di cellule primarie, vale a dire provenenti da tumori pancreatici, si può notare la crescita di diverse cellule, quali cellule tumorali, cellule normali o anche fibroblasti; utilizzando la microdissezione è possibile isolare un clone ad esempio di cellula tumorale e osservarne la crescita o effettuare test farmacologici o comunque utilizzare la biologia molecolare per studiare il DNA ed eventuali mutazioni presenti solo sulla cellula tumorale.

2.2.2 Colture cellulari

Per allestire una coltura cellulare primaria di adenocarcinoma duttale del pancreas vengono prelevati tumori primitivi solo da resezioni pancreatiche totali o parziali.

(29)

- 29 - Il frammento di tessuto tumorale per la messa in coltura, dopo il prelievo, viene portato sotto cappa a flusso laminare dopo essere stato messo in acqua fisiologica fredda (4°C).

Per tutte le operazioni riguardanti la preparazione delle colture primarie, il mantenimento delle cellule e l’allestimento delle sub-colture si è sempre usato lo stesso mezzo sintetico così costituito: RPMI 1640 arricchito con L-glutammina 1%, antibiotici 1% (Ampicillina, Streptomicina) e siero fetale bovino 10%.

In ogni caso il terreno di coltura deve avere determinati valori di pH e osmolarità;

deve essere non tossico; deve contenere tutti i composti necessari al metabolismo cellulare, quali ioni, per mantenere il bilancio osmotico, zuccheri, come fonte di energia, amminoacidi, per la formazione di proteine, vitamine.

Il terreno di coltura può contenere anche Rosso Fenolo, quale indicatore di pH.

Il primo giorno il tumore viene sottoposto a frammentazione meccanica e digestione enzimatica (collagenasi tipo XI concentrazione 1 mg/ml in mezzo di coltura completo - Overnight a 37°C o per un periodo di tempo compreso tra le 18 e le 20 ore). Il secondo giorno viene recuperata la fase cellulare centrifugando il contenuto delle fiasche per 5 minuti a 1200 rpm, il sovranatante viene scartato ed il pellet cellulare viene piastrato su due fiasche per colture primarie. Il terzo giorno, infine si elimina il surnatante e si verifica l’adesione delle cellule sulla superficie della piastra. Nel caso in cui nel sovranatante vi sia ancora una cospicua componente cellulare si possono eseguire delle sub-colture. Se la procedura è stata eseguita correttamente e non ci sono stati inquinamenti da batteri o miceti, nei casi migliori si osserva una coltura cellulare mista composta da fibroblasti, derivanti dal tessuto desmoplastico circostante e da una frazione di cellule epiteliali tumorali. Per eliminare i fibroblasti viene impiegata una soluzione di tripsina ed EDTA (2 ml per le fiasche da 25 cm2) che è in grado di distaccare i fibroblasti precocemente rispetto alle cellule tumorali. Questa

(30)

- 30 - operazione viene eseguita sotto cappa sterile, ha la durata di circa 1 minuto e la sua azione viene annullata con una pari quantità di mezzo completo utilizzato per le coltivare le cellule. La procedura viene ripetuta almeno ogni 10 giorni o quando la crescita dei fibroblasti è tale da bloccare l’espansione dei clusters epiteliali. Per eliminare totalmente i fibroblasti dalla coltura primaria può trascorrere un periodo di tempo compreso tra i 2 e i 4 mesi. Dopo tale periodo le cellule epiteliali e i fibroblasti vengono mantenuti separati e coltivati parallelamente per un breve periodo di tempo (2-3 settimane), dopodiché i fibroblasti e il loro mezzo di coltura vengono congelati per essere conservati a lungo termine. Dopo questa fase le cellule epiteliali possono essere “passate” o come si dice usando un termine anglosassone “splittate”, cioè, trasferite in un’altra fiasca per coltura primaria. Le cellule vengono staccate dal supporto sul quale sono attaccate formando un monostrato cellulare utilizzando la stessa soluzione a base di tripsina ed EDTA usata per i fibroblasti, ma per un periodo di tempo più lungo, circa 8 minuti.

Dopo aver controllato il distacco del monostrato al microscopio rovesciato, l’azione enzimatica viene bloccata con il mezzo completo (rapporto quantitativo soluzione enzimatica/mezzo completo = 1:1). Le cellule che in questo momento si trovano in sospensione vengono centrifugate (1200 rpm per 5 minuti), recuperate e risospese nel mezzo di coltura. Questa fase serve per eliminare la tripsina e per avere le cellule disciolte nel mezzo che possono essere contate utilizzando una camera di Burker (Figura 14) e seminate nuovamente con un fattore di diluizione a piacere.

(31)

- 31 - Figura 14- Cellule osservate con microscopio rovesciato in camera di Burker.

Nei primi 10-15 passaggi le cellule vengono diluite al massimo tre volte. Con il procedere del tempo di vita e l’aumentare dei passaggi, il fattore di diluizione cresce sempre di più. Dopo il 70° passaggio le colture cellulari vengono passate con un fattore di diluizione pari a 100.

Per conservare le cellule epiteliali ed i fibroblasti è possibile congelarli in mezzo di coltura completo contenente il 10% di Dimetilsulfossido (DMSO) in rapporto volume/volume e il 30% di Siero Fetale Bovino (FCS) sempre in rapporto volume/volume. Questo tipo di terreno deve essere sempre preparato fresco e non esposto alla luce diretta. Le cellule da conservare vengono sospese in 1 ml di questo terreno per congelamento e stoccate in ultrafreezer a -80°C per alcuni giorni per essere poi trasferite definitivamente in azoto liquido alla temperatura di –196°C. In questo modo le cellule possono essere conservate anche per periodi di tempo molto lunghi, anche se è sempre consigliabile “risvegliare” ogni tanto le cellule congelate.

(32)

- 32 -

Condizioni di coltura

I parametri che vanno tenuti sotto controllo sono:

 Temperatura: il controllo della temperatura (che deve essere mantenuta costante a 37°C) viene assicurato da un termostato che agisce su una resistenza; un sistema di ventole per la circolazione forzata dell’aria garantisce che la temperatura sia uniforme in tutti i punti della camera.

 Concentrazione di CO2: il livello di anidride carbonica può variare dallo 0,03% al 40%; per esperimenti in normossia, l’aria atmosferica è miscelata con il 5% di CO2.

 pH: deve essere di 7,4; dipende dal riequilibrio tra lo ione bicarbonato contenuto nel terreno di coltura e la CO2.

 Umidità: l’ambiente deve essere saturo; allo scopo nell’incubatore è presente un vassoio di umidificazione contenente acqua.

2.2.3 Chamber slide

Le chamber slide sono dei vetrini su cui è possibile coltivare le cellule. Questi vetrini sono costituiti da una serie di camere che separano il vetrino in zone e creano un ambiente su cui è possibile far crescere le cellule, e successivamente effettuare un immunoistochimica attraverso la rimozione delle camere e l’utilizzo di questi come veri e propri vetrini. Esistono vari tipi di chambre slide da 2, 4 o 8 camere. Nel nostro caso abbiamo utilizzato le chambre slide da 4 camere.

Quando le cellule hanno raggiunto la confluenza è possibile staccarle mediante incubazione con tripsina e seminate all’interno dei pozzetti delle chambre slide e coltivate con il terreno di coltura. Dopo 2 giorni, se le cellule si sono attaccate, si possono fissare ed eseguire un

immunoistochimica. Il protocollo che è stato eseguito per la fissazione è il seguente:

(33)

- 33 -

 3 lavaggi in PBS

 Lavaggio con formalina per 15 minuti

 3 lavaggi con PBS

 Lavaggio con etanolo al 70% per 10 minuti

2.2.4

Produzione di scaffold PVA/G

Gli scaffold utilizzati hanno una composizione 70/30 (70% PVA e 30% gelatina) e sono stati ottenuti attraverso emulsione e liofilizzazione. In poco tempo una soluzione di PVA e gelatina è stata ottenuta a 50° mescolando e aggiungendo successivamente il laurilsolfato di sodio per ottenere una schiuma densa che è stata congelata in azoto liquido e poi è stata liofilizzata. Le schiume secche sono state stabilizzate attraverso dei legami crociati con vapori di gluteraldeide per 72 ore,irrorati sotto cappa per 3 giorni, tagliati in cilindri (5 mm di diametro, 3mm di spessore) e successivamente trattati con 2 M di una soluzione di glicina per un’ora per bloccare i siti di legame della gluteraldeide che non hanno reagito. La spugna che si viene a formare sarà altamente permeabile, biocompatibile, materialmente bistabile e adatta per le applicazioni di tessuti ingegnerizzati.

2.2.5 Semina PP244 su PVA

La semina delle cellule sugli scaffold è stata preceduta dalla sterilizzazione dei polimeri.

Gli scaffold (n=12) utilizzati, PVA/G, sono stati tagliati in forma cilindrica ( mm di diametro) e sono stati trattati per tutta la notte con etanolo. Successivamente è stato eseguito un lavaggio con glicina sterile al 2% per un’ora, un lavaggio con fisiologica e tre lavaggi con una soluzione di PBS Diflucan e Pen/Step (50ml-500µl-500µl) per 15 minuti. Gli scaffold sono

(34)

- 34 - stati strizzati in modo tale da eliminare i liquidi che hanno assorbito dai precedenti lavaggi e inseriti nei pozzetti di una piastra da 24. All’interno di ogni pozzetto vengono seminate lo stesso numero di cellule per cui è importante determinare la concentrazione cellulare attraverso Trypan blue in camera di Burker. Con una semplice equazione si può conoscere il numero totale di cellule:

n° di cells x mL = media cells camera x 20000 (volume camera Burker) x d (fattore di diluizione).

In ogni scaffold si semina 1x cellule in un volume di 15 µl di mezzo di coltura. A questo punto i campioni (PVA/cellule) sono inseriti nell’incubatore per circa 1 ora, tempo necessario per l’adesione cellulare. Passato questo tempo ad ogni pozzetto si aggiunge 2ml di mezzo di coltura e si incubano nuovamente. I campioni, in triplicato, sono stati coltivati in 4 tempi:

- = 2 giorni - = 5 giorni - = 8 giorni - =15 giorni

rinnovando il terreno ogni 2 giorni ed effettuando un saggio per valutare la vitalità cellulare.

2.2.6 Alamar Blu

L’Alamar blu è un saggio metabolico che permette di quantificare la proliferazione cellulare grazie all’incorporazione di un indicatore di ossido-riduzione (Resazurina) che cambia colore in risposta alla ossido-riduzione chimica del terreno di coltura derivante dalla crescita cellulare. L’indicatore

(35)

- 35 - redox è stato selezionato accuratamente ed è in grado di esibire sia fluorescenza che variazione colorimetrica relativa alla riduzione del metabolismo cellulare, ha una tossicità minima per le cellule vitali ed evidenzia un chiaro cambiamento che è di facile interpretazione. La riduzione relativa alla crescita cellulare fa si che l’indicatore di ossido-riduzione viri dalla forma ossidata (blu) a quella ridotta (rossa).

Grazie alla sua tossicità trascurabile, il test può essere eseguito più volte sullo stesso campione. I campioni con i rispettivi controlli sono incubati per 3 ore con il mezzo di coltura contenete l’alamar blu e il terreno RPMI (20µl AB=1ml terreno). Al termine del periodo di incubazione il mezzo contenente il colorante è stato analizzato con uno spettrofotometro il quale misura l’assorbanza a due lunghezze d’onda, una a 570 nm e l’altra a 600 nm. Alle cellule viene rimosso il restante colorante e aggiunto il nuovo mezzo di coltura e incubate nuovamente.

Infine la percentuale di riduzione è stata calcolata utilizzando i coefficienti di estinzione molare del colorante e equazioni di assorbanza che vengono forniti dal produttore.

Il test di vitalità cellulare è stato eseguito 24 ore dopo la semina (2° giorno) e ripetuto il 5°, 8°, 10° e 15° giorno.

2.2.7 Analisi Istologica

I costrutti cellule/PVA sono stati fissati in formalina al 4% per tutta la notte ed è stato effettuato un lavaggio in PBS. In seguito i campioni sono stati disidratati in una serie di soluzioni alcoliche crescenti e chiarificati in xilene a 58°C per 2 ore. A questo punto i campioni possono essere processati attraverso i protocolli di routine dei campioni di patologia chirurgica, inclusi in paraffina liquida a 60°C e lasciati raffreddare a temperatura ambiente. I blocchetti di paraffina contenenti i campioni sono stati tagliati al microtomo ottenendo così delle fette che possono essere montate su vetrino ed

(36)

- 36 - essiccate a 37°C e sono stati poi reidratati attraverso un passaggio graduale in soluzioni alcoliche decrescenti. Infine i vetrini, con i costrutti celluel/PVA, sono stati colorati con ematossilina ed eosina per l’analisi morfologica.

2.2.6 Colorazioni istochimiche

Vengono definiti coloranti in ambito istologico, citologico e ultrastrutturale quelle sostanze chimiche che si legano a componenti cellulari aumentandone il contrasto.

I coloranti sono sciolti in acqua o in soluzioni acquose, la loro applicazione alle sezioni comporta che il tessuto sia fondamentalmente idrofilo, e si lasci penetrare dal colorante. La sezioni in paraffina sono invece idrofobiche e, per poterle colorare, è necessario l’allontanamento della paraffina (sparaffinatura).

Perciò è necessario trattare i vetrini con xilolo, etanolo a concentrazioni decrescenti e acqua distillata.

La colorazione viene effettuata per immersione del vetrino nella soluzione colorante.

Alcuni coloranti vengono utilizzati direttamente su cellule vive per studiare direttamente al microscopio la localizzazione di determinate strutture cellulari o identificarne particolari funzioni. Questi sono detti coloranti vitali. Sono incorporati direttamente dalle cellule e si vanno a localizzare nelle strutture verso cui sono preposti. Ad esempio: il Trypan Bleu (usato soprattutto per identificare i macrofagi e per studiare la fagocitosi); il Verde Janus (per localizzare i mitocondri); il Blu di Metilene (per localizzare le fibre nervose).

Coloranti vitali a parte, tutte le sostanze utilizzate per la colorazione istologica possono essere raggruppate in tre categorie:

(37)

- 37 -  Coloranti basici (ematossilina, blu di metilene, blu di

toluidina)

 Coloranti acidi (eosina, trypan blu, blu pirrolo)

Ciascuno di questi coloranti ha delle affinità per tipi di cellule e strutture citoplasmatiche particolari, e quindi la scelta del colorante viene fatta sulla base di esperienze passate.

Questa classificazione non si basa sulla loro capacità a funzionare come acidi o basi in soluzione, bensì si riferisce alla caratteristica anionica o cationica dei loro gruppi reattivi. Se questo è costituito da un gruppo amminico (NH2), il colorante è basico. Questo, in soluzione si protonerà (NH3+) agendo come un catione, e quindi legherà cariche negative (es: acidi nucleici). Al contrario, se è costituito da un gruppo carbossilico (COOH), il colorante sarà definito acido. Questo, in soluzione perderà un protone caricandosi negativamente (COO-), agendo come un anione, legando cariche positive (es: proteine e citoplasma).

Dal punto di vista pratico, colorando una cellula si noterà che i coloranti basici tendono a colorare principalmente i nuclei (la cromatina) mentre i coloranti acidi si legano a citoplasma ed a buona parte delle strutture connettive.

Colorazione ematossilina-eosina

E’ una delle tecniche di colorazione più utilizzate in campo istologico: generica, semplice e veloce. Consente di esaminare il tessuto per osservare la morfologia, ed è applicabile praticamente con tutti i metodi fissativi. È una colorazione doppia, che prevede l’uso sequenziale di due soluzioni coloranti, l’ematossilina (colorante basico, colora i nuclei in violetto) e l’eosina (colorante acido, colora il citoplasma in rosa):

 Ematossilina (2-10 minuti)  Acqua distillata (pre-lavaggio)

(38)

- 38 -  Acqua corrente (post-lavaggio)

 Eosina (30 secondi-1 minuto)  Acqua distillata (lavaggio finale)

2.2.9 Tecniche immunoistochimiche

La maggior parte delle molecole biologiche sono degli antigeni, cioè possiedono gruppi chimici con proprietà immunogeniche, in pratica hanno la capacità di indurre l’attivazione del sistema immunitario in un organismo ospite che venga a contatto con esse. Conseguenza di questa attivazione è la formazione, da parte dell’ospite, di anticorpi (immunoglobuline) specifici diretta verso un o più parti dell’antigene (i determinanti antigenici), ciascuno dei quali sarà riconosciuto da un singolo anticorpo.

Le tecniche immunoistochimiche sfruttano la capacità degli anticorpi di legarsi all’antigene. L’anticorpo, viene coniugato con l’enzima perossidasi, e fatto incubare con la sezione, dove si legherà all’antigene cercato. Il trattamento del preparato con un substrato di questo enzima (diamminobenzidina) viene trasformato dalla perossidasi in un prodotto colorato nel punto esatto dove si è legato l’anticorpo, rivelando così la localizzazione dell’antigene.

Vi sono due metodi immunistochimici: diretto e indiretto.

Nel metodo diretto, l’anticorpo è coniugato direttamente con la perossidasi.

Nel metodo indiretto, l’anticorpo primario non è coniugato con la perossidasi. Si usa anche un anticorpo secondario (che si lega al primo) coniugato con la perossidasi.

Nei costrutti cellule di PDAC/scaffold si è andata a valutare l’espressione di alcune proteine, tra queste ricordiamo EGFR, PAN-CK, TGF-β, MMP-9, actina e desmina. Il protocollo che è stato applicato è il seguente:

(39)

- 39 -

 le sezioni di tessuto fissate in formalina e incluse in paraffina devono essere per prima cosa sparaffinate attraverso l’immersione del vetrino per due volte in xilolo per 15 minuti, alcol assoluto per 15 minuti, alcol al 95% per 10 minuti e acqua distillata per 10 minuti.

Viene eseguito un antigen retrival, ovvero un trattamento al fine di smascherare i siti antigenici attraverso un lavaggio con tampone citrato 10 mM a pH 6 a 96°C. Il trattamento di recupero dell’antigene viene effettuato immergendo i vetrini nel tampone citrato e messi in forno a microonde ripetendo il tutto per 3 volte. Durante questo trattamento i vetrini devono essere completamente immersi nel tampone, per cui nel secondo o terzo passaggio bisogna aggiungere il volume che è evaporato. Al termine bisogna lasciare raffreddare i vetrini.

 Si procede con il blocco della perossidasi endogena aggiungendo il perossido di idrogeno per 15 minuti.

 Segue l’aggiunta dell’anticorpo, che è stato diluito 1:100, e l’incubazione per circa 1 ora.

 Trascorso il tempo si aggiunge un sistema di rilevazione basato su anticorpi legati ad un enzima che provoca la formazione di un prodotto cromogenico visibile localizzato nei siti di legame antigene-anticorpo.

 Il campione viene successivamente sottoposto a colorazione con ematossilina-eosina.

2.2.5 Elisa sandwich

ELISA è l'acronimo di Enzyme-Linked Immunoabsorbent Assay, ed è un saggio il cui scopo è quello di accertare la presenza di un antigene (ELISA diretto o a "sandwich") o di un anticorpo specifico contro un antigene (ELISA indiretto). E' un metodo molto comune e relativamente affidabile in quanto, se correttamente operato, fornisce una garanzia di successo

(40)

- 40 - variabile dal 90% al 95%. L'enorme disponibilità di anticorpi monoclonali, inoltre, rende l'esecuzione del test ELISA molto veloce. Questa tecnica sfrutta la capacita’ delle superfici di plastica di adsorbire quantitita’ piccole ma rivelabili di proteina. Si tratta di un saggio in fase solida effettuato su piastre da microdosaggio. Ogni piastra contiene 96 pozzetti e permette di saggiare contemporaneamente un elevato numero di campioni. Il limite della tecnica è che dà informazioni solo sulla presenza/concentrazione di una molecola, ma non danno informazioni sulle sue proprietà biochimiche (es. peso molecolare, localizzazione cellulare, ecc).

Nel saggio diretto si ricerca la presenza dell'antigene in un campione biologico. Può essere, idealmente, schematizzato in tre fasi:

FASE 1. Si fissa al substrato, che può essere PVC o nitrato di cellulosa, un anticorpo monoclonale specifico per l'antigene che vogliamo ricercare. In commercio esistono dei kit già "standardizzati" per la maggior parte degli scopi biologici inerenti al saggio ELISA.

FASE 2.. A questo punto si inserisce, in forma sierica, il campione

biologico del quale vogliamo verificare la presenza o meno dell'antigene che può essere, ad esempio, un virus. Dopo un determinato arco di tempo se l'anticorpo ha trovato il suo epitopo specifico lo lega a se formando il complesso anticorpo-antigene. Il sistema viene lavato abbondantemente per evitare che tracce di antigene possono permanere all'interno.

FASE 3. Nella fase C si provvede all'inserimento di un anticorpo monoclonale marcato. Gli enzimi solitamente utilizzati per marcare un anticorpo sono la perossidasi o la fosfatasi alcalina. Anche questa linea di anticorpi deve essere selettivamente specifica contro il determinato antigene, per cui si necessita di anticorpi monoclonali. Per ultima cosa si effettua il lavaggio che ha il compito di eliminare via dal sistema gli anticorpi marcati che non si sono legati.

(41)

- 41 - Nel nostro caso si è effettuato un Elisa sandwich per determinare la concentrazione del fattore di crescita dell’epidermide umano (EGF) nei sovranatanti dei costrutti cellule/scaffold. Il kit immunoenzimatico prevede la presenza di un anticorpo monoclonale specifico per EGF sul fondo della micropiastra. Standard e campioni sono iniettati all’interno dei pozzetti così se è presente EGF questo verrà legato dall’anticorpo monoclonale. Seguono dei lavaggi per eliminare sostanze che non si sono legate e successivamente viene aggiunto un anticorpo policlonale per EGF che sarà legato da un enzima. Con l’aggiunta del substrato si sviluppa colore in base alla quantità di EGF presente nei campioni. La quantità di EGF viene determinata attraverso la costruzione di una curva che verrà confrontata con la curva degli standard.

(42)

- 42 -

3. Risultati

Attraverso la microscopia elettronica a scansione è stato possibile analizzare le caratteristiche architetturali della matrice del polimero. Lo scaffold PVA/G appare in forma spugnosa, i pori sono altamente interconnessi tra loro ( Figura A e B). in seguito alla semina delle cellule, i pori interni dello scaffold sono ben colonizzati e le cellule hanno aderito bene alla parete dei pori.

Figura 16- Micrografie al microscopio elettronico a scansione (SEM): (A) Scaffold PVA vuoto; (B) ingrandimento dell’immagine (A); (C) costrutti cellule PDAC/scaffold (PVA/G), (D) ingrandimento dell’immagine.

(43)

- 43 - Attraverso l’analisi morfologica dei costrutti di cellulle PDAC/PVA è possibile osservare la distribuzione delle cellule primarie all’interno dello scaffold nei 4 tempi considerati.

Figura 17- Colorazione Ematossilina-eosina dei costrutti cellule-scaffold dei 4 tempi e con diversi ingrandimenti

(44)

- 44 - È stata valutata l’espressione di marcatori attraverso l’immunoistochimica(IHC), tra questi: EGFR (recettore del fattore di crescita dell’epidermide), Pan-CK (citocheratina pancreatica), TGF-β (fattore di crescita trasformante beta), MMP-9 (metalloproteasi 9), actina e desmina.

Figura 18- Tabella dello score IHC dei marcatori molecolari nei 4 tempi considerati (2gg, 5gg, 8gg, 15gg).

(45)

- 45 -

Figura 19- IHC EGFR (fattore di crescita dell’epidermide) dei costrutti cellule-scaffold con cambio di mezzo (2gg= tempo ; 5gg=tempo ; 8gg= tempo ; 15gg=tempo ).

(46)

- 46 -

Figura 20- IHC Pan-CK (citocheratina pancreatica) dei costrutti cellule-scaffold con cambio di mezzo (2gg= tempo ; 5gg=tempo ; 8gg= tempo ; 15gg=tempo ).

(47)

- 47 -

Figura 21- IHC TGF-β (fattore di crescita trasformante beta) dei costrutti cellule-scaffold con cambio di mezzo (2gg= tempo ; 5gg=tempo ; 8gg= tempo ; 15gg=tempo ).

(48)

- 48 -

Figura 22- IHC MMP9 (metalloproteasi 9) dei costrutti cellule-scaffold con cambio di mezzo (2gg= tempo ; 5gg=tempo ; 8gg= tempo ; 15gg=tempo ).

(49)

- 49 -

Figura 23- IHC actina dei costrutti cellule-scaffold con cambio di mezzo (2gg= tempo ; 5gg=tempo ; 8gg= tempo ; 15gg=tempo ).

(50)

- 50 -

Figura 24- IHC desmina dei costrutti cellule-scaffold con cambio di mezzo (2gg= tempo ; 5gg=tempo ; 8gg= tempo ; 15gg=tempo ).

(51)

- 51 -

Figura 25- Ingrandimento a 40X e ingrandimento digitale 800X delle IHC per PanCK, EGFR, MMP9 e TGF-β dei costrutti cellule-scaffold con cambio mezzo al tempo (15gg).

(52)

- 52 -

(53)

- 53 -

(54)

- 54 - È stata valutata anche l’espressione di MMP9, EGFR e TGF-β nei costrutti senza cambio del mezzo al termine del periodo di coltura (15gg).

Figura 29- IHC MMP9, EGFR, TGF-β e controllo dei costrutti cellule-scaffold senza cambio del mezzo al tempo (15gg).

(55)

- 55 - Attraverso un’immunofluorescenza si è valutata l’espressione del TGF-β nelle colture cellulari primarie di PDAC (modello 2D).

(56)

- 56 - L’IHC per EGFR nei modelli murini ha confermato la positività per il marcatore non solo nel tumore primario ma anche nelle relative metastasi.

Figura 30- IHC EGFR nel modello murino,ingrandimento a 40X e ingrandimento digitale a 800X.

(57)

- 57 - I dati ottenuti dalla lettura spettrofotometrica dell’Alamar Blue hanno permesso di valutare l’attività metabolica dei costrutti cellule-scaffold durante tutto il periodo di coltura, nei due esperimenti considerati (cambio e senza cambio mezzo).

Figura 31- Grafico Alamar Blue dei costrutti cellule scaffold con cambio di mezzo e senza cambio di mezzo.

(58)

- 58 - Attraverso l’ELISA sandwich è stata determinata la concentrazione dell’EGF libero nei sovranatanti dei costrutti con cambio del mezzo di coltura nei 4 tempi considerati (2gg, 5gg, 8gg, 15gg), e nei sovranatanti senza cambio del mezzo al tempo 15 gg.

Figura 32- Determinazione della concentrazione di EGF attraverso l’ELISA sandwich dei costrutti cellule-scaffold con cambio di mezzo nei 4 tempi e senza cambio di mezzo; retta di taratura e test di Student.

Riferimenti

Documenti correlati

“Imperizia e pressappochismo regnavano a Firenze nel primo Settecento” 1 , quando all’indifferenza nei confronti delle preesistenze si aggiungeva un’abbondante dose

Tra i vari tipi di propulsori elettrici è molto promettente per le applicazioni ad alta potenza la famiglia di motori ad effetto Hall, sia nella tipologia SPT (Stationary

Le cellule staminali mesenchimali (MSCs) sono cellule clonogeniche multipotenti, che hanno la capacità di differenziare e contribuire alla rigenerazione di tessuti

indipendenti ciascuna con distribuzione normale di valore atteso 16 e varianza 256.. indipendenti ciascuna con distribuzione normale di valore atteso 4 e varianza

Per rispondere a questa domanda, infatti, sono in corso esperimenti di silenziamento di DNMT3a in queste cellule, successivamente indotte in EMT con CAFs, per valutare

Esercizio 3 La durata in ore della lampadina “gran fulminata” (prodotta dalla ditta “bulbo incandescente”) segue una legge normale di media 2000 e varianza σ 2.. Se un

[r]

Considering that H-Aβ24 would reduce Aβ42 clearance thus causing an increase in the levels of brain Aβ42, we hypothesized that deposits observed in mice injected with only H-Aβ24