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Capitolo 3. L’architettura High -Tech

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Academic year: 2021

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Capitolo 3.

L’architettura High -Tech

3.1 Caratteri

generali

Alla ricerca costruttiva di Louis Kahn, con la sua accettazione del supporto tecnologico fornito dalla ricerca scientifica e la sua analisi razionale degli spazi pensati per aree funzionali, ma anche alle utopie strutturali futuristiche di Archigram, che esprimono l’urgenza di una architettura che tenga conto dei più recenti progressi tecnologici e risponda in maniera adeguata all’avvento della civiltà multimediale, è debitore il successo incontrato, a partire dagli anni Settanta, dalla corrente cosiddetta High Tech. Il nuovo stile prese il nome dal libro omonimo scritto da Joan Kron e Suzanne Slesin nel 1978. Il libro mostrava in centinaia di foto come designer, architetti e proprietari di case si stessero appropriando di classici oggetti industriali per impiegarli nell’arredo. La prefazione al libro ad opera dell’architetto Emilio Ambasz, già sovrintendente per il design al Museum of Modern Art di New York, collocava la nuova tendenza in un contesto storico.

Ispirata, nei suoi presupposti, alla cultura postmoderna, l’architettura High Tech non costituisce un movimento organizzato o unitario, ma indica piuttosto un atteggiamento basato sull’assunto fondamentale che l’architettura è espressione delle tecniche costruttive, tanto più innovativa quanto più lo è la tecnologia su cui si fonda. In questo senso la nuova corrente, nata tra Francia e Inghilterra, si inserisce nella tradizione del razionalismo costruttivo francese, con la sua proposta di strutture in ferro prima e l’estetica del calcestruzzo dopo. A volerne cercare una radice storica precisa, si può ad esempio pensare al londinese Crystal Palace di John Paxton (1851): si trattava di un grande edificio fatto di elementi prefabbricati, prodotti in serie e assemblati in sito, secondo un’innovazione senza precedenti e profetica, se fino agli Settanta del Novecento, malgrado gli impulsi in senso contrario, i canoni architettonici più seguiti prescrivevano che gli elementi di servizio risultassero nascosti. Questo edificio esemplifica un’alternativa alla modalità costruttiva, basandosi sulla tecnologia industriale piuttosto che sulla tradizione architettonica. Fino alla prima metà del Novecento questa scelta si limita ad essere solo un’alternativa rispetto alle principali correnti architettoniche. Gli architetti del Movimento Moderno costruiscono principalmente in cemento armato non prefabbricato. Naturalmente c’è l’eccezione di Mies van der Rohe, con la sua indagine circa le potenzialità espressive del vetro (materiale già caro all’Espressionismo) e successivamente con la varietà nella scelta dei materiali costruttivi. La tecnologia edilizia non è però il suo obiettivo principale. Altri sono gli aspetti che lo possono rimandare all’High Tech: ad esempio, in concreto l’esibizione all’esterno della struttura a scheletro in metallo o la fluidità dei

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suoi spazi interni, più in generale il fatto che la sua architettura, pur partendo dalla necessità pratica, finisca per trascenderla.

Se tralasciamo le strutture puramente ingegneristiche, l’alternativa modernista si propone principalmente in progetti teorici, con particolare riferimento ai Futuristi italiani ed ai Costruttivisti russi. Le tavole della Città Nuova presentate, da Antonio Sant’Elia nel 1914, propongono complessi di edifici in cui vetro e ferro sono protagonisti e cercano di rapportare l’architettura alla realtà urbana contemporanea, perché possa esprimere le esigenze dell’uomo moderno e commisurarsi alla civiltà della macchina, utilizzando le inedite soluzioni espressive e costruttive che le novità tecniche e tecnologiche permettevano. Nei suoi progetti compaiono ponti, arterie di circolazione a vari livelli, grattacieli terrazzati, volumi senza funzioni precise ma di grande impatto visivo; e poi la preferenza per le linee oblique ed ellittiche rispetto alle ortogonali, l’abbandono dell’ornato, la valorizzazione del materiale grezzo, l’interdipendenza tra meccanica e architettura, l’attenzione agli avanzamenti tecnologici. Alcuni suoi disegni, in particolare alcune torri che ospitano servizi, rimandano all’High Tech, specialmente all’opera di Richard Rogers. E quando parla di ascensori da esibire ad avvolgere le facciate, non si può non pensare al Centre Pompidou o all’edificio dei Lloyd’s. Le sensibilità High Tech sono ulteriormente avvicinate con i Costruttivisti russi, nel loro obiettivo di ridurre l’architettura ai suoi elementi funzionali e necessari, perché potesse essere dominata solo dalla pura costruzione, e nella loro passione per la tecnica.

In questa breve sintesi alla ricerca delle radici dell’architettura High Tech arriviamo ai due nomi citati in apertura.

Il gruppo Archigram, che si forma a partire dal 1961 attorno all’omonima rivista inglese ed è capeggiato da Peter Cook, è autore di provocatorie proposte progettuali, volte a prefigurare paradossali scenari a grande scala caratterizzati da sviluppi estremi della tecnologia. Lo spinto tecnicismo ostentato da questi progetti rimanda alle ardite costruzioni ideate da Bukminster Füller a partire già dagli anni Trenta: il suo studio su complesse strutture portanti tridimensionali consente la realizzazione di cupole geodetiche di notevole diametro, come quella per il padiglione degli Stati Uniti all’Expo di Montreal del 1967. Le visionarie invenzioni prodotte dall’immaginario architettonico di Archigram e di Füller, per quanto essenzialmente utopiche, hanno direttamente influenzato la pratica architettonica fin nelle sue espressioni più concrete e popolari. Echi di tali proposte sono già rintracciabili nelle sperimentali tensostrutture per ponti e stadi olimpici degli anni Sessanta e nelle complesse realizzazioni di Kenzo Tange in occasione delle Olimpiadi di Tokio del 1968. Fra le idee più importanti dell’architettura moderna del XX secolo c’è il tentativo di mostrare all’osservatore i principi costruttivi dell’edificio, rendendone visibile il funzionamento. Per esempio, si mettono in primo piano gli elementi portanti di una costruzione in cemento armato senza rivestirli di lastre di vetro o di pietra lavorata. Inoltre si impiegano materiali diversi per le parete non portanti o per i pannelli di riempimento, in modo da distinguere le funzioni delle diverse parti della costruzione. Alla base di questi atteggiamenti c’è la volontà di realizzare un’architettura “onesta”,

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che non nasconda le sue strutture dietro il rivestimento di una facciata intercambiabile a piacere. Louis Khan ha espresso nel modo più chiaro questo principio, quando ha affermato che uno spazio architettonico è uno spazio di cui ci si rende conto come è stato fatto; ed ogni spazio è definito dal modo in cui è costruito e illuminato naturalmente. La sua architettura esprime un ritorno alle forme pure, con una riformulazione del rapporto moderno tra funzione e forma: la forma precede la funzione perché esprime l’esigenza di essere dell’architettura. La distinzione che Khan opera tra spazi “di servizio” e spazi “serviti” stabilisce una gerarchia che sottolinea la chiarezza intellettuale della sua architettura. Questo concetto è particolarmente influente sull’architettura High Tech: basta confrontare le torri di servizio nell’edificio progettato da Rogers per i Lloyd’s con le torri in mattoni disegnate da Khan nel 1961 per il Richards Medical Research Building di Philadelphia. Khan accetta il supporto tecnologico della ricerca scientifica ed usa parti prefabbricate in cemento armato le cui dimensioni sono predeterminate dal raggio di azione di una gru, come “prolungamento del braccio umano”.

3.2 Caratteri generali ed esempi

A riproporre l’attenzione sul nesso tecnologia-architettura nei primi anni Settanta è il progetto di Renzo Piano e Richard Rogers per il Centre Pompidou di Parigi, considerato il prototipo e l’emblema dell’High Tech. L’utilizzo di ardite travi reticolari in acciaio, collegate ai pilastri tramite enormi mensole di metallo agganciate all’altra estremità al terreno per mezzo di tiranti, consente la sovrapposizione di cinque piani dalla superficie di 7500 metri quadrati, ciascuno completamente libero, in grado perciò di ospitare nel tempo attività diverse, come convegni, biblioteche e mostre. Vero e proprio enorme contenitore di cultura, rispondeva alle esigenze della committenza non solo sul piano funzionale della flessibilità, ma anche su quello della rappresentatività: esibendo in facciata da un lato le tubature degli impianti dipinte nei colori primari, dall’altro il sistema dei collegamenti verticali, la grande macchina ostenta alla città il proprio volto tecnologico-monumentale, senza alcun ricorso ad elementi riferibili al mondo classico. L’introversione classica è qui sostituita dalla più totale estroversione di tutti gli impianti rispetto alla pelle della costruzione. In questo modo l’impiantistica determina l’impatto estetico dell’edificio. Vertice di un’architettura che gioca con il mettere in mostra ciò che di solito è occultato, questo edificio è diventato un museo tanto universale quanto popolare, nel senso della Pop Art. L’enorme struttura (166 metri di lunghezza, 66 di larghezza, 42 di altezza) nacque sul territorio prima occupato da un dedalo di viuzze commerciali e suscitò scandalo alla sua realizzazione per la diversità edilizia che proponeva rispetto alla tradizione del luogo: la discrezionalità quasi completa nelle sue possibilità di uso corrispondeva ad un rapporto ugualmente libero con la sostanza architettonica storica della città. Per rispecchiare l’intento di proporsi come contenitore o piuttosto motore per la cultura e per esprimere completamente lo spirito del tempo, il Centro assunse l’aspetto di una macchina enorme

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in cui ogni funzione risulta a vista: la facciata continua o curtain wall è costituita da una pellicola trasparente con un complicato intreccio di tubi d’acciaio collegati tra loro davanti alle pareti di vetro; i vari tipi di conduttura sono inseriti in tubi di colore differente, simbolicamente ispirati ai codici che nell’industria chimica segnano il passare di elementi diversi nelle varie tubazioni, e fanno pensare più al ponte di una nave che ad un museo convenzionale, ricordando al contempo le citazioni di architettura navale introdotte da Le Corbusier; la grande scala mobile a vista attraversa i sei piani snodandosi come un serpente in ascesa dentro tubi di plexigas, fino a condurre ad una terrazza da cui si gode una vista panoramica su Parigi. Condutture, pozzi e tubi lasciati a vista, scale di sicurezza in metallo che conducono in cima all’edificio: tutto contribuisce a formare un insieme allegro e variopinto, che nonostante il contrasto con l’ambiente circostante, si inserisce con straordinaria naturalezza nel centro storico parigino. La spensieratezza vivacemente colorata della costruzione si integra poi in modo esemplare con le sculture della fontana create nei primi anni Ottanta, a trasformare anche la piazza accanto al Centre Pompidou in un popolare luogo di ricreazione, a differenza di tante piazze della città trasformate in deserti. Dal punto di vista teorico la maggior fonte di ispirazione erano stati i progetti avveniristici di Archigram, ma è evidente anche il richiamo ai motivi del Costruttivismo russo e del Futurismo italiano. L’edificio venne concepito inizialmente con pareti mobili, in modo da poter accentuare anche all’interno il suo carattere dinamico; in realtà si dovette presto riconoscere che alcune opere richiedevano una installazione museale fissa, il che comportò una ristrutturazione interna (affidata a Gae Aulenti).

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Figura 3.2.2: Centre Pompidou, Parigi ( R.Piano – R. Rogers)

Figura 3.2.3: Centre Pompidou, Parigi ( R.Piano – R. Rogers)

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Terminata la loro collaborazione, Rogers e Piano hanno seguito strade diverse.

Poco dopo il completamento del Centre Pompidou, Richard Rogers, insistendo sul versante High Tech, ha realizzato con la Sede Centrale dei Lloyd’s a Londra (1979-86) una struttura di estrema complessità tecnologica che gioca con i suoi tecnicismi: le sue rotondità e i suoi splendenti elementi metallici fanno pensare più ad un’automobile che ad una società di assicurazioni. L’edificio splendente di acciaio, con i suoi giganteschi tubi di aerazione che cadono giù per dieci piani, assume una nota minacciosa, che era del tutto estranea al Centre Pompidou.

Figura 3.2.5: Sede Centrale dei Lloyd’s, Londra (R. Rogers)

Fino alla fine degli anni Novanta l’architetto britannico ha continuato a sviluppare questa estetizzazione della tecnica: ad esempio, nel quartier generale della stazione televisiva commerciale inglese Channel 4 (1995). L’architettura dell’amministrazione generale di una azienda televisiva deve corrispondere al livello tecnico di una emittente moderna. Su un ponte di acciaio e vetro si arriva all’ingresso dell’azienda completamente coperto da una vetrata concava. La tettoia di vetro del ponte si regge su una struttura di travi rosse e cavi di acciaio scintillanti, posta in modo decorativo davanti alla facciata di vetro. Ascensori in vetro salgano lungo la facciata e sono presenti gli enormi tubi di ventilazione, marchio di fabbrica di Rogers. Forme high tech e forme di rappresentanza in questo edificio si integrano in una sintesi impressionante e di notevole qualità.

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Figura 3.2.6: Channel 4 Headquarters, Londra (R. Rogers)

Renzo Piano ha sviluppato l’indirizzo definito Soft machine architecture, cioè un genere di High Tech più sensibile alle ingerenze ambientali e stilisticamente più classico, come appare nel Menil Museum di Houston, nella Fondazione Beyeler di Basilea e nel Centro Milano Fiori-Busnelle. Un altro esempio di tecnologia soft è dato dal Cento Culturale Jean-Marie Tijbaou, in Nuova Caledonia (1992-98): qui l’architetto italiano ha inteso rispettare le tradizioni locali. La forma stessa dell’edificio evoca un villaggio composto da dieci capanne coniche di legno. La scelta costruttiva, che dà luogo ad un susseguirsi spettacolare di strutture sviluppate verso le verticali, reinterpreta anche quelle architetture effimere che sono una caratteristica degli indigeni di tutte le coste del Pacifico.

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A Piano è stata anche affidata la ripianificazione urbanistica della Postdamer Platz nella Berlino ormai riunificata (1999), divenuta centro di alta sperimentazione architettonica. Alla costruzione dei singoli edifici hanno concorso architetti di grande spessore, quali lo stesso Rogers.

L’architetto più noto della tendenza High Tech è l’inglese Norman Foster. Nella sua concezione il grattacielo diventa uno stelo monolitico; esso deve mostrare il preciso calcolo ingegneristico che regola il design industriale e la costruzione di aeroplani: la funzione viene messa in primo piano attraverso coperture di cristallo curvato, cavi di acciaio con molle che sostengono pensiline, pilastri di acciaio a vista e abolizione degli infissi tradizionali, come è evidente nella sede della banca di Shangai a Hong Kong (1984), uno degli edifici più spettacolari e avveniristici del secolo. I piloni portanti di questo grattacielo, su cui si regge tutta la costruzione, non sono coperti da una curtain wall tradizionale: Foster ha fatto della monumentale costruzione portante il vero tema del suo edificio. L’estroversione dei moduli tecnici e logistici è qui portata all’estremo, diventando un elemento simbolico, dato che la ricchezza di Hong Kong è basata in gran parte sulla produzione di componenti di alta tecnologia. Un grande periscopio solare capta la luce e, con un complicato gioco di specchi regolati dal computer, illumina l’interno a giorno. La sede della banca doveva porsi come un documento monumentale della potenza economica raggiunta dalla città: sicuramente è l’edificio bancario più costoso che mai sia stato costruito.

Figure 3.2.8 - 3.2.9: Hong Kong and Shanghai Bank, Hong Kong (N. Foster)

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Il suo linguaggio architettonico tecnicamente sobrio e libero da riferimenti storici ha fatto sì che a Foster fosse affidato l’incarico, altamente significativo per un Paese da poco riunificato e per una capitale rinata, di rinnovare la sede del parlamento di Berlino, il Reichstag (1993-99). Il progetto prende forma dai materiali impiegati e dalla messa in evidenza dei principi costruttivi. Dietro la facciata storica dell’edificio del XIX secolo si nasconde una costruzione interna che tende alla trasparenza: un inserto completamente nuovo e coperto di vetri, coronato da una costruzione a cupola ugualmente vetrata. Dall’esterno l’intervento dell’architetto è visibile nei termini di una grande cupola di vetro; all’interno questa racchiude un “candeliere solare”, ovvero un cono invertito di vetro che incanala la luce naturale nella sala delle sedute. Compaiono anche delle rampe elicoidali di chiara valenza simbolica, in quanto permettono ai visitatori di giungere ad un piano superiore a quello nel quale risiedono “i potenti”. L’intero progetto High Tech di Foster trasmette una visione del mondo decisamente progressista, come richiesto anche dai committenti dell’opera.

Figure 3.2.10 - 3.2.11: Reichstag, Berlino (N. Foster)

Volendo ricercare una linea di condotta comune agli architetti High Tech, potremmo dire che, come i Modernisti degli anni 20, essi credono che esista uno “spirito dei tempi” e che l’architettura debba avere la funzione morale di esprimerlo. Questo spirito si mostra nella tecnologia avanzata (quella dell’industria, dei trasporti, delle comunicazioni, dei voli e dei viaggi spaziali) e dunque l’architettura deve usarla e contribuire al suo sviluppo. E’ stato osservato, in particolare, quanto abbiano influito sul trionfo della tecnologia nell’immaginario collettivo i primi voli spaziali fino all’allunaggio: di costruzioni High Tech come quelle che mostravano le rampe di lancio e il centro di controllo, se ne cominciarono a vedere sempre di più nella vita quotidiana. A imitazione del Brutalismo in Inghilterra, tubi non rivestiti, condutture e pozzi di ventilazione divennero segni distintivi di una nuova estetica. L’architetto High Tech ritiene si debba smettere di costruire con materiali scomodi, sporchi, imprecisi come i mattoni, la calcina, il calcestruzzo e il

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legname, a favore di componenti leggeri e precisi di metallo e vetro, prodotti in fabbrica e montati velocemente sul posto. Inoltre un edificio non dovrebbe essere considerato in maniera diversa dai prodotti industriali; non sono pretesi privilegi sociali o artistici: i progetti architettonici devono essere considerati in base agli stessi criteri degli oggetti della vita quotidiana. Un prodotto architettonico deve risultare funzionale ed efficiente, non artistico o simbolico. In realtà l’architettura High Tech non è puramente funzionale: i suoi prodotti non si limitano ad usare la tecnologia in modo appropriato, ma la rappresentano e la simboleggiano. Inoltre, costruire nel modo tradizionale può essere più economico e veloce, ma l’architetto High Tech sosterrà le proprie scelte come quelle più consone allo spirito dei tempi, così come cercherà una giustificazione funzionale per ogni sua decisione progettuale. Le Corbusier descriveva la casa come una macchina in cui vivere, ma le sue case erano primitive dal punto di vista tecnologico e non avevano l’aspetto di una macchina; gli edifici High Tech invece sembrano macchine. In questo caso la macchina più che una metafora è fonte di tecnologia e di ispirazione. Le macchine sono prodotti di massa, mobili o trasportabili, fatte di materiali come il ferro, il vetro, la plastica. Queste caratteristiche sono diventate punti di riferimento per l’architettura High Tech: gli edifici non sono generalmente prodotti di massa, ma devono sembrarlo; non sono mobili o trasportabili, ma saranno composti di parti smontabili o rimovibili. L’esibizione delle strutture e dei servizi sono due aspetti caratteristici della nuova estetica, anche se non generalizzabili: presenti nei lavori di Rogers, sono generalmente trascurati da Foster. Entrambi però sono tentati dall’espressività delle strutture, specialmente quelle in acciaio, e questo implica l’importanza del contributo dell’ingegnere strutturale alla progettazione. I vari elementi costruttivi sono spesso espressivi della loro funzione tecnica, ma inespressivi del loro uso. La flessibilità di un progetto diventa obiettivo primario: l’architetto non fornisce uno spazio chiuso, ma una zona di servizi interna o esterna. Perché questa zona possa essere utilizzata quanto più possibile, occorre dotarla in vario modo provvedendo all’aria, alla luce, al riscaldamento, alla corrente elettrica e a qualcosa che determini partizioni in base ad una griglia regolare. L’esempio più ovvio a questo proposito è il Centre Pompidou: qui c’è un forte contrasto tra la pianta semplice e rettangolare dei piani da una parte e la complessità e l’espressività tecnica dell’esterno. Il Centre è un edificio multifunzionale, ma qualunque sia la funzione, gli elementi essenziali dell’interno rimangono gli stessi. Non si può riservare uno spazio per una singola funzione, perché l’intero progetto è riservato all’idea di flessibilità. L’idea complessiva di una tipologia costruttiva basata sulla funzione o l’uso sembra irrilevante quando l’obiettivo è realizzare edifici sufficientemente flessibili da poterli adattare a quasi ogni uso. In pratica, però, l’High Tech è comunemente associato ad un campo piuttosto ristretto di costruzioni. L’esempio tipico è una fabbrica: in realtà l’influenza dell’High Tech è stata tale che ormai il suo segno, più o meno diretto, è visibile in ogni fabbrica moderna. La sua tipologia (una struttura allungata con un semplice rivestimento che racchiude uno spazio indifferenziato) in anni recenti è stata adattata ad altre funzioni. Supermarket, centri per il tempo libero e anche

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gallerie d’arte appaiono sempre più come fabbriche nella loro forma essenziale e dunque sempre più disponibili ad un trattamento High Tech. Anche gli uffici moderni, specialmente quelli dislocati nei cosiddetti parchi scientifici, tendono ad essere ospitati in capannoni High Tech. Nel settore residenziale, invece, l’influsso High Tech è più debole: esistono molti esempi di case individuali in perfetto stile High Tech, ma pochi complessi residenziali. E anche questi pochi (come quello di Foster a Milton Keynes) generalmente non hanno avuto pieno successo.

3.3 Esempi di architettura High Tech studiati per realizzare il progetto della

tesi

Richard Rogers: Corti di Giustizia, Bordeaux (Francia), 1993-96

La grande struttura scheletrica in alluminio anodizzato del nuovo edificio emerge da un basamento con un fronte continuo in vetro. All’interno di questa cornice sono racchiuse

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le sale di udienza in sette volumi di sezione conica e a pianta arrotondata, libere entro il volume di vetro. Sostenuto da pilotis, l’intero piano di entrata diventa un ampio percorso ininterrotto che scorre sotto le corti.

Richard Rogers: Centre Commercial St. Herblain, Nantes ( Francia ) 1986 - 87

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La struttura echeggia la semplicità della planimetria. Due travi a traliccio si allargano dall’asse centrale fatto di piloni con struttura ad H. Tiranti diagonali sostengono le ali a metà campata nel punto di massima flessione, eliminando la necessità di colonne intermedie. Le strutture ad H, costituite da tubi d’acciaio che sostengono l’apparecchiatura di servizio principale e i condotti dell’aria condizionata, sono gli unici elementi rigidi dell’edificio; ogni altro elemento è articolato con perni.

Richard Rogers: PA Technology Laboratory, Princeton (USA), 1982- 85

Una coppia di travi di acciaio è sorretta dalla struttura ad A mediante tiranti fissati con elementi circolari. Colonne ancorate alle estremità esterne delle travi agiscono sia in

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tensione che in sospensione. Le piattaforme che portano l’apparecchiatura meccanica sono appese fra le strutture ad A e si dispongono longitudinalmente nello spazio.

Richard Rogers: Thames Reach Housing, Londra, 1984 - 87

Renzo Piano: Nasher Sculpture Center, Dallas (USA), 1999 - 2003

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Il tetto trasparente ha come elemento base una “foglia” in ferro-cemento, integrata con una struttura in acciaio duttile, ripetuta fino a formare l’intera copertura. Al di sopra di questo elemento si trova un vetro in grado di filtrare i raggi ultravioletti. La copertura si prolunga anche all’esterno con dei portici.

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Composto da un sistema di terrazze in vetro che scendono gradualmente al mare seguendo la naturale pendenza del terreno, l’edificio ricorda le serre tipiche della riviera ligure, in un intreccio di interno ed esterno, architettura ed ambiente, tecnologia e tradizione. Non ci sono finestre in senso tradizionale, solo pareti e un tetto di vetro: dispositivi fotosensibili regolano l’afflusso di luce negli spazi interni.

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Renzo Piano: Ricostruzione dell’Atelier Brancusi , Parigi, 1997

L’edificio vuole rievocare l’artista più che replicarne lo studio, anche se aspetto, volume

e luce sono gli stessi. Separato dal resto della piazza per mezzo di un recinto, è situato ad un livello inferiore all’interno di un padiglione a tetto piano con pareti in pietra: lo studio è al centro, isolato da pareti in vetro.

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Norman Foster: Addition to Joslyn Art Museum, Omaha (USA), 1992 – 94

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L’edificio, strutturato su nove piani, di cui cinque interrati, riprende la tipologia del tempio classico che gli è di fronte, attraverso la creazione di un pronao e l’utilizzo di linee rette. In contrasto con la classicità della pianta, l'edificio è costruito con materiali moderni (vetro e acciaio, oltre che cemento) ed ha una copertura leggera che permette alla luce di riversarsi all'interno dell'edificio.

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Norman Foster: Center for Clinical Science Research, Stanford (USA), 1995 – 2000

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L’edificio, a base quadrata, è diviso in quattro parti ricoperte con volte a botte incorniciate nell’acciaio; una di queste forma un ampio atrio centrale riservato ad attività sociali che collega i tre piani. Il tetto è fornito di passaggi coperti lungo i bordi dell’edificio, mentre nella facciata si sporge a formare una tettoia a volta. Particolare attenzione è dedicata all’illuminazione naturale degli interni.

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Norman Foster: Petronas University, Seri Iskandar (Malaysia), 1989 – 92

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La nuova sede della Mac Laren è un edificio a pianta sostanzialmente semicircolare, completata da un lago che è parte integrante del sistema di raffreddamento. La facciata sul lago è una curva continua costituita da una parete in vetro riparata dalla luce per mezzo di un tetto realizzato con travi a sbalzo.

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Norman Foster: Renault Distribution Centre, Swindon (UK), 1980 – 1982

Edificio a struttura modulare, caratterizzato dall’esposizione del suo scheletro giallo, tanto significativo e popolare da poter sostituire nel mercato britannico il logo dell’azienda.

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Norman Foster: Millau Viaduct , Millau (Francia), 1993 - 2004

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3.4 Altre architetture studiate per realizzare il progetto della tesi

Figura

Figura 3.2.3:  Centre Pompidou, Parigi ( R.Piano – R. Rogers )

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