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4 SVILUPPO E DEMOCRAZIA.

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4 SVILUPPO E DEMOCRAZIA.

4.1 Lo sviluppo come processo di espansione delle libertà

4.1.1 Sviluppo sociale o crescita economica?

“Il futuro del mondo, ritengo, è intimamente connesso al futuro della libertà nel mondo. E questo per due ragioni distinte: la libertà è sia un fine di primaria importanza, sia un mezzo

determinante del progresso”.114

Sen in vari saggi riporta l’identificazione tra l’idea di sviluppo e quella di libertà, sottolineando che una simile corrispondenza necessita di una visione molto più ampia del concetto di sviluppo. Quest’ultimo non può essere valutato semplicemente in base all’incremento quantitativo di una serie di “oggetti d’uso inanimati”, quali il PIL, gli impianti industriali o ancora le applicazioni tecnologiche. Per Sen questi aspetti costituiscono sicuramente delle conquiste, ma assumono valore solo quando producono dei miglioramenti sostanziali nelle capacità degli esseri umani implicati nel processo.

L’esigenza di riconsiderare il significato dello sviluppo e i parametri che lo rilevano è sorta soprattutto in riferimento alla realtà dei paesi in via di sviluppo. La valutazione dei loro progressi non poteva avvenire utilizzando i metodi e le modalità d’analisi dell’approccio neoclassico. Anche quando era divenuto oramai chiaro che in questi paesi larghe fasce della popolazione non erano in grado di cogliere i frutti della crescita economica perché impossibilitate dalla loro posizione sociale, la proposta di spostare l’attenzione dal reddito totale del paese alla distribuzione del reddito non

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risultò adeguata. Questa prospettiva aveva intuito la necessità di disgiungere il concetto di sviluppo da quello di crescita economica, ma continuava a soffrire in realtà degli stessi limiti delle teorie classiche. Sebbene Sen concordi sui pregi e sui

vantaggi di questo mutamento di direzione, egli ritiene che “il reddito sia in se stesso

un concetto che fornisce una base non adeguata per analizzare le attribuzioni di una persona […] Il sistema ponderato che connette reddito reale e costo della vita presta sufficientemente attenzione al problema del cibo in una comunità povera e consente di rendere il reddito reale una proxy abbastanza significativa per rappresentare l’attribuzione relativa di cibo nella maggior parte dei casi. Ma il reddito si fa distante mille miglia da questa funzione quando si tratta di salute, istruzione, uguaglianza sociale, rispetto di sé, libertà da vessazioni sociali”.115

Il reddito non è un indicatore adatto a rilevare le capacità e i funzionamenti degli individui perché tende ad escludere tutti gli altri fattori che agiscono sulla loro concretizzazione. La critica di Sen ai modelli tradizionali in quest’ambito di ricerca appare ancora più radicale del solito. Infatti non si tratta solo di una critica di tipo tecnico, riguardante i procedimenti e le variabili utilizzate, ma investe la problematica sottostante l’approccio dell’economia dello sviluppo, cioè che cosa questa prospettiva considera per sviluppo. Ciò che è da mettere in discussione è se l’obiettivo debba in

effetti essere la crescita economica in sé, e solo quella. Già precedentemente116

abbiamo parlato della visione aristotelica dell’idea di economia di cui si avvale Sen, da cui scaturisce che la crescita economica è solo un mezzo per raggiungere altri fini. In una simile ottica lo studio del reddito risulta limitato, perché nulla ci dice sulla qualità della vita che le persone di un dato paese possono condurre. E a cosa si deve riferire il concetto di sviluppo se non a quello che le persone possono fare ed essere liberamente?

Sen non demolisce completamente gli indicatori economici che fino a questo momento sono stati impiegati, perché in effetti l’analisi economica dei fattori di crescita, come l’accumulazione di capitale o il tasso di industrializzazione, può

115 A, Sen, Sviluppo quale strada, in Risorse, valori e sviluppo, p. 330

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portare a dei risultati comunque importanti. Ma afferma che questi non inquadrano bene la situazione reale. Consideriamo brevemente alcuni dati, tratti dalle numerose analisi empiriche che hanno portato Sen a rivalutare il contenuto dello sviluppo. Comparando i dati relativi al grado di sviluppo in termini di PNL pro capite di nazioni come la Cina, lo Sri Lanka, il Brasile e il Messico emerge che le due nazioni asiatiche sono meno sviluppate rispetto a Brasile e Messico; ma nello stesso tempo risulta che i valori relativi alle aspettative di vita dei cittadini asiatici sono simili a quelle degli altri due stati, definibili come “più ricchi” secondo il primo parametro d’analisi utilizzato, e addirittura più alte rispetto a quelli della Corea del Sud, ricordata spesso come uno dei casi paradigmatici di crescita.

Per Sen il motivo di questi apparenti contrasti riguarda il fatto che le variazioni nella speranza di vita dei cittadini sono collegate ad una serie di occasioni sociali essenziali per lo sviluppo, quali le politiche epidemiologiche, l’assistenza sanitaria, le strutture scolastiche e via dicendo, che una concezione imperniata sul reddito non può assolutamente rilevare. In questo senso la crescita economica non può essere vista come il fine ultimo dello sviluppo, dato che non implica necessariamente un miglioramento nelle condizioni di vita di ciascun cittadino.

Per Sen, dunque, l’economia dello sviluppo, pur nelle sue varianti, non è riuscita sinora a centrare l’oggetto d’analisi che deve essere rilevato: l’uomo e le sue condizioni di vita; e di conseguenza non è riuscita a promuovere i veri obiettivi dello sviluppo che consistono nell’ampliamento delle libertà individuali necessarie per il pieno dispiegamento delle potenzialità di ognuno. D’altronde il soddisfacimento del bisogno economico non è l’unico fine a cui l’individuo tende nel corso della sua vita.

A questo punto è lecito domandarsi cosa cambia quando consideriamo la libertà lo scopo principale dello sviluppo?

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4.1.2 Lo sviluppo come processo d’espansione delle libertà

Per Sen lo sviluppo consiste in “un processo di espansione delle libertà reali

godute dagli esseri umani”.117 È importante sottolineare che l’autore parla di libertà al

plurale: non tratta, infatti, l’idea astratta di libertà, quanto la libertà come qualificazione dell’esistenza umana. Esistono, pertanto, vite umane più o meno libere in relazione ai diversi tipi di libertà.

Sen ne rintraccia e ne distingue, in particolare, cinque classi, cui corrispondono altrettante fonti di opportunità per gli individui: le libertà politiche, le infrastrutture economiche, le occasioni sociali, le garanzie di trasparenza, la sicurezza protettiva. Queste sono definite come libertà strumentali, nel senso che contribuiscono alla capacità generale di una persona di vivere in modo più libero integrandosi anche a vicenda.

Per libertà politiche Sen intende tutti quei tipi di libertà, compresi i diritti civili, che riguardano le possibilità per le persone di scegliere la forma di governo che preferiscono e i propri rappresentanti, nonché la possibilità di esaminare e discutere il loro operato, di avere una stampa non soggetta a censura, di scegliere tra più partiti, di manifestare il dissenso e di partecipare così alle decisioni del paese.

Le infrastrutture economiche rappresentano le possibilità date ai cittadini di utilizzare le risorse economiche per consumare, produrre o scambiare, e sono legate ai “titoli economici”, cioè ai diritti che un individuo ha su panieri di merci, ivi

compreso il cibo, che abbiamo già incontrato trattando della carestia.118 “I titoli

economici di una persona dipendono dalle risorse che possiede o di cui può disporre, nonché dalle condizioni di scambio, come i prezzi relativi e l’andamento dei

mercati”119, indicano in sostanza l’estensione e l’accessibilità delle risorse

economiche che un paese ha da offrire.

117 A. Sen, Lo Sviluppo è libertà, op. cit., introduzione, p .9.

118 Cfr. capitolo 3 di questa tesi, Le carestie.

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Le occasioni sociali riguardano la possibilità di usufruire di determinati servizi, in materia di scuola, sanità e simili. Queste occasioni influiscono sulla libertà sostanziale dei singoli di vivere meglio, ma non solo nel privato, queste consentono anche di poter partecipare alle attività politiche ed economiche del paese.

Le garanzie di trasparenza, intese come agenzie di giurisdizione e procedure legali volte a fermare l’arbitrio e la corruzione, disciplinano “il grado di sincerità che

è umanamente ragionevole aspettarsi”120 nei rapporti con gli altri.

Infine la sicurezza protettiva è necessaria per fornire una rete di protezione sociale che tuteli il singolo da situazioni che potrebbero risultargli fortemente negative. Quest’ambito di libertà prevede assegni di disoccupazione, l’integrazione per legge del reddito per gli indigenti, politiche pubbliche d’emergenza, ecc., tutti provvedimenti volti a salvaguardare la vita dei cittadini.

Per Sen la libertà ha un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo per due ragioni distinte: da un lato può essere utilizzata come criterio di misurazione, cioè nel giudicare se esiste o meno progresso bisogna chiedersi innanzitutto se vengono promosse le libertà di cui necessitano gli esseri umani; dall’altra, la libertà svolge un’azione costruttiva dello sviluppo: questo dipende interamente dalla libertà d’azione degli esseri umani. Questa seconda motivazione, che viene definita la “ragione dell’efficacia”, guarda direttamente alle specifiche connessioni empiriche fra libertà di diversi tipi, che spesse volte tendono a rafforzarsi l’un l’altra: “è grazie a tali interconnessioni che l’azione libera e sostenibile emerge come motore principale

dello sviluppo”121.

Alla luce di queste considerazioni all’autore appare più ragionevole sostituire ai classici indicatori economici le libertà umane, come fine ultimo da raggiungere. Per cui il prodotto interno lordo, il reddito individuale, l’industrializzazione, il progresso tecnologico o la modernizzazione della società (indici utilizzati fin’ora nello studio dello sviluppo), sono considerati tutti mezzi per espandere le libertà di cui possono

120 Ibidem.

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fruire i membri della società, perché queste ultime dipendono anche da altri fattori che l’economia tradizionale ha trascurato: gli assetti sociali ed economici, i diritti politici e civili. La libertà individuale può essere considerata sia un valore sociale centrale che un prodotto sociale, perché implica ed è implicata da scelte istituzionali, sociali ed economiche. Prendendo spunto dalla massima di Dahrendorf “non possiamo valutare il futuro della libertà sociale e politica senza prendere in adeguata

considerazione i conflitti diffusi che caratterizzano la società contemporanea”122, Sen

afferma che l’importante compito di ogni concreto accordo sociale è quello di riconoscere i conflitti di interesse e quindi cercare un’equa soluzione che generi una più giusta distribuzione delle libertà individuali.

Per Sen l’azione individuale costituisce il motore del cambiamento, ma al contempo questa è irrimediabilmente delimitata e vincolata dai percorsi sociali, politici ed economici della società, che agiscono direttamente sulle effettive possibilità dei cittadini. La complementarietà esistente tra azione individuale e assetto societario spinge l’autore a considerare la libertà individuale come impegno sociale. L’obiettivo della teoria seniana sullo sviluppo è quella di mettere in evidenza i nessi, empirici e causali, tra i diversi tipi di libertà e tra le libertà e i diversi aspetti della società. Esistono validi argomenti per concludere, ad esempio, che le libertà politiche e quelle economiche si rafforzano a vicenda; analogamente le occasioni sociali che permettono l’utilizzo di servizi come l’istruzione e l’assistenza sanitaria, sono complementari alle occasioni individuali di partecipazione alla vita politica ed economica del paese.

Questo nuovo modo di pensare lo sviluppo necessita di un tipo di analisi integrata dei vari aspetti, che tenga conto anche delle istituzioni che possono contribuire a migliorare le libertà sostanziali dell’individuo. Per indagare il processo di sviluppo bisogna utilizzare un’impostazione complessiva, che integri considerazioni economiche, sociali e politiche. Un simile approccio permette di considerare contemporaneamente i ruoli di molte istituzioni diverse: mercati e organizzazioni ad

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essi collegati, governi, autorità locali, partiti politici e altre istituzioni civiche, strutture scolastiche, luoghi di dialogo pubblico, ecc. Inoltre in questo modo sarà possibile indagare anche il ruolo dei valori sociali e dei costumi dominanti, che influiscono sulle libertà di cui gli individui dispongono e sulle loro necessità.

In tale ottica l’espansione della libertà è vista sia come il mezzo primario che come il fine ultimo dello sviluppo: Sen spiega la libertà in funzione dello sviluppo e lo sviluppo in funzione della libertà, considerandole due facce della stessa medaglia.

Naturalmente, mettere in primo piano le libertà non significa stabilire un criterio dello sviluppo univoco e preciso sulla base del quale sarebbe sempre possibile confrontare e classificare più esperienze diverse: l’obiettivo di Sen non è principalmente quello di fornire strumenti di comparazione empirica. Data l’eterogeneità delle varie componenti della libertà e data la necessità di tener conto della diversità degli esseri umani e delle loro necessità, spesso coesisteranno argomenti che vanno in direzioni opposte. In tutto il suo iter di ricerca Sen non ha mai avuto la pretesa di giungere a degli ordinamenti completi, avendo appurato

l’impossibilità di una simile soluzione123, per cui anche in questo ambito il suo

intento non è quello di classificare tutti gli scenari alternativi possibili, ma di richiamare l’attenzione su alcuni aspetti del processo di sviluppo che hanno ruoli fondamentali e che sino ora sono stati tralasciati.

Perché si parli di vero sviluppo è necessario eliminare le principali forme di illibertà come, ad esempio, la miseria, la tirannia, la disattenzione verso i servizi pubblici, l’intolleranza e la repressione statale, che limitano gli esseri umani in scelte costrette.

Sen ci fa mettere in dubbio la diffusa convinzione per cui i guadagni derivanti dal processo di crescita del PIL pro capite e complessivo farebbero ricadere prima o poi i loro effetti positivi sull’intera popolazione sotto forma di nuovi posti di lavoro e standard di vita più elevati, riduzione della povertà e della diseguaglianza. Egli reputa una simile prospettiva del tutto fuorviante rispetto alla vera natura del problema,

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poiché lo sviluppo deve riguardare ciò che gli individui possono o non possono fare. Capacità fondamentali come poter vivere a lungo, evitare le malattie curabili, essere ben nutriti, saper leggere e scrivere, comunicare con gli altri, non possono mancare in un paese che voglia dirsi sviluppato: in questo senso “lo sviluppo economico può

esser visto come un processo di ampliamento delle capacità delle persone”124.

A questi parametri si è ispirato lo Human Development Index (HDI), proposto per la prima volta nel Rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite del 1990, da Mahbub ul Haq, direttore di questo rapporto.

Il nuovo indice permette di tradurre quantitativamente alcune delle variabili essenziali indicate da Sen, consentendo per la prima volta l’utilizzo di un concetto di sviluppo ben più articolato di quelli precedenti.

4.1.3 Il Rapporto sullo sviluppo umano: lo sviluppo come aumento delle capacità

"People are the real wealth of a nation. The basic objective of development is to create an enabling environmment for people to enjoy large, healthy and creative lives. [...] Human development is a process of enlarging people’s choices"

(Dichiarazione iniziale Human Development Report - 1990)

Le idee elaborate da Sen negli anni Ottanta e i relativi studi riguardanti fenomeni sociali di portata globale hanno assunto una grande rilevanza nel lavoro di rivisitazione del concetto di sviluppo umano effettuato dall’Agenzia delle Nazioni Unite.

Proprio in questi anni, infatti, si era avvertita l’esigenza di rendere la branca dell’economia dello sviluppo una scienza autonoma rispetto ai paradigmi della teoria economica tradizionale. Gli indicatori utilizzati nelle analisi classiche non erano

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riusciti a comprendere la realtà dei Paesi in via di sviluppo e la loro inadeguatezza si traduceva in risultati discrepanti tra dati in termini di PNL e effettive condizioni di vita delle popolazioni dei Paesi oggetto di studio. Inoltre simili indici non riuscivano ad interpretare il fenomeno, diffusissimo nelle società più povere, delle “preferenze adattive”, che producono forti distorsioni nelle rilevazioni del grado di soddisfazione dei bisogni di una popolazione per lungo tempo esposta ad una condizione di privazione.

L’impossibilità di rilevare attraverso indagini economiche il grado di sviluppo delle società più povere ha messo in dubbio la supposta identificazione tra sviluppo economico e sviluppo sociale e la validità del paradigma utilizzato finora. Per comprendere appieno le tematiche dello sviluppo appare necessario considerare il fattore umano prima di quello economico e valutare quella che Sen definisce “capacità di conversione”. La capacità di conversione riguarda i modi attraverso i quali gli individui riescono a trasformare redditi e risorse in funzionamenti effettivi e, più in generale, le libertà che gli individui posseggono per attuare tali funzionamenti. Sotto questo punto di vista il concetto di sviluppo non è più associabile a quello di crescita economica. Il progresso per Sen può essere generato solo da uno sviluppo sociale, da un miglioramento nelle condizioni di vita delle persone. Alla luce di simili argomentazioni vanno riconsiderati gli obiettivi posti alla base delle politiche per lo sviluppo. Lo stesso approccio dei “basic needs” perde valore al cospetto della teoria seniana: le popolazioni povere, per Sen, non hanno bisogno di aiuti materiali ma di effettive opportunità di crescita sociale.

Il rapporto sullo sviluppo umano, ribaltando la prospettiva tradizionale per cui lo sviluppo derivava direttamente dalla crescita del reddito pro capite, sostituisce la metrica che misurava l’utilità tramite il reddito con una che misura le capacità tramite le libertà possedute effettivamente, intese come possibilità di scelta e capacità effettiva di vivere a lungo, ben nutriti e in salute, di istruirsi e condurre una vita decorosa.

Alla luce di questo nuovo paradigma, è stato sviluppato l’ Human Development Index, un indicatore sintetico utile a registrare il miglioramento delle condizioni di

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vita e ad esprimere il livello di capacità umana connesso con il benessere. Un simile indice è il risultato della combinazione di tre indicatori: la longevità, la conoscenza e le risorse.

La longevità indica la capacità di condurre una vita lunga e sana. E’ definita dalla speranza di vita alla nascita, cioè dal numero di anni che un neonato potrebbe vivere se le condizioni di mortalità, esistenti al momento della nascita, restassero invariate per tutta la sua vita. L’indice è calcolato stimando la distanza del valore di un determinato Paese da un valore minimo e massimo, rispettivamente 25 e 85 anni.

La conoscenza rileva la capacità di avere accesso all’istruzione. E’ definita dalla media ponderata di due indici Adult Literacy Rate (ALR) e Gross Enrolment Ratio (GER) che rappresentano rispettivamente:

• l’alfabetizzazione degli adulti (ALR), cioè la percentuale di popolazione, al di sopra dei quindici anni, in grado di leggere, scrivere e comprendere un breve testo sulla vita quotidiana;

• il tasso di iscrizione lorda ai diversi livelli di istruzione (GER), cioè il numero degli iscritti, a prescindere dall’età, espresso come percentuale della

popolazione compresa nella fascia d’età relativa ai livelli di scolarità elementare, media e superiore.

Le due variabili ALR e GER presentano una variazione naturale compresa tra lo 0% e il 100% e vengono pesate per il computo della variabile conoscenza rispettivamente 2/3 e 1/3 del totale.

Le risorse esprimono la capacità di soddisfare i bisogni materiali. L’indicatore, espresso in forma logaritmica, si ottiene attraverso la trasformazione della distanza del PIL reale pro capite rispetto ad un minimo e ad un massimo – aggiustato - compreso tra i valori soglia di 100 e 40.000 US $ 1990.

L’idea fondamentale dello sviluppo come aumento delle capacità è quella di accertare lo sviluppo umano sulla base di qualcosa di universale, ma che si declina in maniera diversa per ogni singolo individuo. In questo modo universalità e

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particolarità non si presentano più come caratteristiche antitetiche di uno stesso processo, ma si coniugano verso un unico risultato.

A partire dal 1990 l’UNDP (United Nations Developement Programme) ha pubblicato annualmente dei rapporti riguardanti lo sviluppo umano. I primi rapporti si sono occupati delle relazioni tra sviluppo umano e crescita economica, i successivi hanno prestato attenzione a diversi temi, che variano dal finanziamento ai singoli Stati alle più ampie prospettive di sviluppo internazionale. Ad esempio nel 1995 il rapporto si è concentrato sui problemi della discriminazione sessuale; nel 1996 sono stati ripresi temi della crescita economica; nel 1997 si è nuovamente posto l’accento sul problema della povertà.

4.2 La democrazia.

Tra gli eventi che hanno caratterizzato il XX secolo: la caduta degli imperi inglese e francese, le due guerre mondiali, l’ascesa e crollo dei regimi fascista, nazista e comunista, nonché la trasformazione di quest’ultimo nel caso cinese, il dominio economico occidentale e il ruolo della nuova potenza orientale, il Giappone, per Sen il più importante è l’ascesa della democrazia.

La sua graduale affermazione come efficiente sistema di governo è stata incoraggiata e favorita da numerosi eventi: la Magna Carta, le rivoluzioni americana e francese, il diritto di cittadinanza e di voto. Ogni evento ha contribuito ad arricchire i suoi principi fondanti e a rendere “universale” il bisogno di una simile forma governativa. Infatti, mentre i ribelli che imposero al sovrano la Magna Carta avevano una missione esclusivamente locale, già le imprese dei rivoluzionari francesi e americani hanno avuto un’eco a livello globale, nonostante le loro insurrezioni fossero ancora mirate verso il raggiungimento di fini nazionali.

Per Sen la democrazia rappresenta la forma governativa più adatta a promuovere lo sviluppo economico e sociale del paese e per questo motivo costituisce un

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traguardo cui gli stati del mondo devono pervenire. “Se fino al secolo scorso ci si chiedeva se un Paese fosse o meno pronto per la democrazia, oggi si crede che lo

debba diventare tramite l’esercizio della democrazia”.125

4.2.1 La democrazia: un lusso che un paese povero non può permettersi?

“Affacciato alla baia de Bengala, al confine fra il Bangladesh del sud e il Bengala occidentale, che appartiene all’India, c’è il Sundarban, che vuol dire <<bella foresta>>. È l’habitat naturale della famosa tigre reale de Bengala, un anomale splendido, aggraziato, veloce, poderoso, e anche piuttosto feroce. Oggi ne restano relativamente pochi esemplari, ma quelli sopravvissuti sono protetti da un divieto di caccia. Il Sundarban, però, è famoso anche per il miele prodotto dai suoi numerosi alveari naturali; e gli abitanti, che sono disperatamente poveri, si avventurano nella foresta per raccoglierlo. Nei mercati di città si vende ad un ottimo prezzo, fino all’equivalente in rupie di mezzo dollaro al vasetto. Solo ce chi lo raccoglie deve sfuggire alle tigri: negli anni <<buoni>> vengono uccisi circa cinquanta raccoglitori d, ma il numero può essere molto più alto di quando le cose vanno male. E mentre le tigri sono protette, niente protegge gli infelici esseri umani che cercano di guadagnarsi da vivere andando a lavorare in quei boschi, così grandi e belli, ma anche così

pericolosi”.126

Sen utilizza questo aneddoto per sottolineare la forza del concetto di bisogno economico, che può spingere gli uomini ad agire per disperazione. Proprio la rilevata importanza del concetto di bisogno nel guidare le decisioni degli individui, ha spinto molti studiosi dello sviluppo a domandarsi se fosse davvero necessario preoccuparsi delle libertà politiche quando ciò di cui necessita la popolazione è il soddisfacimento dei bisogni economici.

125 A. Sen, La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un’invenzione dell’Occidente.

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Per l’autore la capacità di concettualizzare i bisogni economici dipende in modo cruciale dal dibattito e dalla discussione pubblica, che possono essere garantiti solo tenendo fermi i diritti civili e le libertà politiche di base. Anzi “l’intensità del bisogno

economico rende non meno, ma più urgenti le libertà politiche”127. Poiché, come

abbiamo visto nel corso di tutta la discussione, l’obiettivo principale di cui si devono interessare l’economia quanto la politica è il potenziamento delle capacità degli esseri umani, e lo sviluppo costituisce l’ampliamento delle libertà di cui tutti possono godere, per Sen la democrazia costituisce il mezzo migliore attraverso il quale queste finalità si posso raggiungere.

Innanzitutto è necessario evitare l’identificazione tra democrazia e governo di maggioranza, perché la prima ha esigenze complesse che non si riducono semplicemente allo svolgimento delle elezioni. Le funzioni della democrazia sono molteplici: essa deve garantire la protezione dei diritti e delle libertà, il rispetto della legalità, assicurare le libere discussioni e un’informazione del popolo e dell’elettorato libera, infine offrire pari opportunità a tutte le parti del sistema.

Nel sostenere che la creazione e il rafforzamento di un sistema democratico sono componenti essenziali dello sviluppo, Sen ha argomentato che il significato della democrazia sta in tre ben distinte virtù: importanza intrinseca, utilità strumentale, ruolo costitutivo.Nessuna valutazione della forma di governo democratica può essere completa se non si considerano tutti e tre gli aspetti.

L’importanza intrinseca della democrazia la ritroviamo proprio nelle garanzie che questa mira a fornire a tutti i cittadini, permettendo una partecipazione politica e sociale attiva. Per cui la libertà politica, di cui si fa porta voce, è da considerarsi come parte integrante della libertà umana in generale. I diritti politici e civili che questa forma garantisce sono necessari per il pieno inserimento dell’individuo nella società.

L’utilità strumentale ridiede nella pratica di dar voce alle esigenze del popolo, mentre il ruolo costruttivo nella risposta ai bisogni, compresa la capacità di correlare il bisogno economico al contesto sociale. Per Sen “una corretta comprensione di

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quello che sono i bisogni economici - del loro contenuto, della loro forza – richiede la

discussione e lo scambio”128, in tal modo si possono generare scelte informate e

mediate. Questi processi di discussione pubblica sono fondamentali per la formazione di valori e priorità all’interno della società. Accade spesso che la portata e l’efficacia del dialogo aperto vengano sottovalutate quando si affrontano problemi politici o sociali.

A tal proposito Sen porta un valido esempio in cui la discussione pubblica ha prodotto validi risultati: la politica indiana relativa al problema della riduzione degli alti tassi di fertilità, fenomeno per altro ricorrente in molti paesi in via di sviluppo. Numerosi dati fanno pensare che il calo di questo tasso negli stati più alfabetizzati dell’India sia stato fortemente influenzato dalle discussioni pubbliche promosse allo scopo di evidenziare gli effetti negativi che un’alta fertilità può comportare soprattutto sulla vita delle giovani donne nonché sull’intera comunità. La discussione pubblica può comportare dei cambiamenti dall’interno del sistema societario, perché offrendo la possibilità di acquisire nuove informazioni il sistema delle credenze può essere modificato e migliorato.

Sen offre sicuramente un quadro positivo degli effetti della democrazia, tuttavia, ricorda l’autore, “quando si propongono questi argomenti sui vantaggi del sistema

democratico, c’è il pericolo di esagerarne l’efficacia”129. I diritti e le libertà

democratiche sono dei vantaggi di tipo permissivo, i risultati dipendono cioè dal modo in cui vengono impiegati. Se da un lato la democrazia è riuscita ad ottenere tanti successi, dall’altro non mancano situazioni in cui ancora non è riuscita ad intervenire. È il caso della diseguaglianza di genere che ancora sussiste in India o di quella di razza negli Stati Uniti. Infatti è più semplice riuscire ad intervenire in situazioni d’emergenza come quelle causate da una carestia, che non sulla mentalità di un paese. Tutto dipende, in ultima analisi, dal grado di democrazia che un paese ha raggiunto, perché “la democrazia non è una medicina che curi una malattia

128 A. Sen, L’importanza della democrazia,in Lo sviluppo è libertà. p.156

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automaticamente, come il chinino per la malaria”, ma un insieme di opportunità che vanno sfruttate nel modo migliore. “Ma, naturalmente, questo è un carattere generale di tutte le libertà: molto dipende da come vengono esercitate nella pratica”.

La necessità di questa puntualizzazione circa il ruolo che la democrazia può svolgere sulle vite dei cittadini deriva dalla considerazione delle argomentazioni contro la democrazia che spesso vengono proposte dai teorici dello sviluppo. Sen affronta tre tipi di obiezioni che muovono in direzioni diverse: le prime sono riconducibili alla nota tesi di Lee; le seconde antepongono l’importanza del bisogno economico rispetto ai diritti civili e alle libertà; le terze riguardano l’errata convinzione che la democrazia sia una pratica esclusivamente occidentale estranea a tutte le altre culture.

La “tesi di Lee” (così definita perché attribuita all’ex primo ministro di Singapore, Lee Kuan Yew), secondo la quale sarebbero necessari regimi politici più duri, capaci di negare i diritti politici e civili di base, per promuovere lo sviluppo economico in modo più efficace, non è stata mai corroborata sul piano empirico. In realtà si basa su informazioni molto selettive e limitate, non su un controllo statistico generale dei dati a largo raggio oggi disponibili. Non esiste nessun nesso causale tra regimi autoritari e crescita economica (se anche volessimo ridurre il concetto di sviluppo a quest’ultima). Anzi, per smentire questa correlazione, possiamo considerare il caso asiatico. Il successo delle economie dell’Asia orientale è stato promosso da tutta una serie di scelte politiche utili, che comprendono l’apertura alla concorrenza, l’utilizzo dei mercati internazionali, l’alto livello di scolarizzazione e alfabetizzazione, riforme agrarie ben riuscite e una politica di incentivi pubblici a investimenti, esportazione e industrializzazione. Nessuna di queste azioni è incompatibile con regimi democratici, anzi il valore della democrazia si sviluppa nella possibilità che si può dare ai cittadini di richiamare energicamente l’attenzione delle autorità sui propri bisogni affinché venga attuata un’azione pubblica adeguata. La risposta del governo dipende dalla pressione a cui è sottoposto. Già precedentemente è stato preso in esame il ruolo della democrazia nel fenomeno delle carestie, quello cioè di intervenire sulle cause e sugli effetti. Eravamo già giunti alla

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considerazione per cui l’importanza del ruolo protettivo della democrazia non può essere percepito quando tutto funziona abbastanza bene: è nel momento del bisogno che se ne percepisce dolorosamente la mancanza.

Il secondo complesso di argomentazioni è sostenuto da chi ritiene che la maggioranza della popolazione dei paesi poveri anteporrebbe, senza esitazione, qualora fosse di fronte ad una scelta, lo sviluppo economico alla democrazia. In questa affermazione esisterebbe una contraddizione evidente: non è falsificabile empiricamente, dato che non è possibile verificare le preferenze dove la democrazia non esiste. La vera contraddizione risiede nell’invocare la regola della maggioranza per affermare la mancanza di valore proprio di questo principio.

Infine un terzo tipo di posizioni avverse alla democrazia si basa sulla convinzione che diritti umani, libertà civili e libertà politiche rappresentino una priorità tipicamente occidentale, estranea ai cosiddetti valori asiatici. Vediamo in che modo Sen ha cercato di smentire questa falsa interpretazione.

4.2.2 Perché la democrazia non è un’invenzione dell’Occidente

In un suo celebre intervento sul periodico The New Republic Sen ha esaminato le inattese difficoltà militari e politiche del secondo dopoguerra iracheno che avevano sollevato un’ondata di scetticismo sulla possibilità di introdurre nel paese, in tempi brevi, un sistema di governo democratico. La conclusione cui è giunto è che questa sfiducia dipende in modo fondamentale dalle evidenti ambiguità negli obiettivi dell’occupazione americana e dai modi attraverso i quali il processo di democratizzazione dovrebbe attuarsi. Tuttavia, al di là del contesto specifico da cui ha preso piede la discussione, Sen sostiene che sarebbe un errore credere che l’idea di

“esportare”130 la democrazia in Paesi che ne sono privi sia un fallimento: si

commetterebbe un “peccato di imperialismo culturale” nell’affermare che la

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democrazia sia un concetto ed una pratica esclusivamente occidentale. Con queste parole Sen denuncia una sorta di “appropriazione indebita” dell’idea di democrazia da

parte dell’occidente industrializzato131 e propone un sostegno globale alla lotta per

l’instaurazione di governi democratici in tutto il mondo.

Nei dibattiti politici sulla necessità o meno di instaurare questa forma di governo nei paesi in via di sviluppo sono state avanzate due obiezioni generali, la prima si fonda su dubbi di carattere storico e culturale circa l’opportunità di proporre la democrazia a popoli che non la conoscono; la seconda si interroga se sia giusta un’imposizione forzata di valori e costumi occidentali a società con un cultura diversa.

È un fatto riconosciuto che la democrazia sia una forma di governo tipica dei paesi occidentali nel modo contemporaneo ma l’idea che Sen vuole smentire è che le sue radici si possano ritrovare esclusivamente nel pensiero occidentale.

Innanzitutto occorre specificare che cosa si intende per democrazia. Per Sen questa non può essere considerata semplicemente in termini di votazioni pubbliche. Anche Rawls aveva abbinato le pratiche democratiche all’esercizio della ragione pubblica, sottolineando così il ruolo della partecipazione e quello dell’influenza popolare nelle decisioni. In una simile definizione le elezioni assumono valore solo nel caso in cui siano accompagnate da efficaci dibattiti pubblici, ovvero si associa il concetto alla libertà di parola e di espressione, liberate dal sentimento della “paura”.

Altrimenti, sostiene Sen, si potrebbe dire che anche Stalin e Saddam Hussein abbiano instaurato la democrazia nei rispettivi paesi, visto che sono saliti al potere tramite elezioni. La differenza fondamentale sta proprio nell’iter di queste ultime, caratterizzato da pressioni al momento del voto e dal monopolio dell’informazione prima e dopo l’ascesa al potere. Di fatto l’instaurazione di questi governasi è basata sulla concreta violazione dei principi fondamentali della democrazia, impedendo la creazione di partiti di opposizione con l’impiego di una forte censura sui fallimenti e sulle disonestà del regime.

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Dunque, dal ragionamento proposto dall’autore, possiamo concludere che il vero tratto caratterizzante la democrazia sia la libertà di espressione e di azione che questa favorisce132.

Interpretando la democrazia in questo modo, Sen afferma che le sue radici vanno ben oltre i limitati riferimenti alle istituzioni considerate come specificamente democratiche. Il sostegno alla causa del pluralismo, della diversità e delle libertà fondamentali è presente anche nella storia di molte culture, non solo di quelle europee. Lo stesso Tocqueville aveva definito la grande rivoluzione democratica come il fatto più antico, continuo e duraturo della storia, e sebbene poi abbia concentrato le sue analisi esclusivamente sul caso francese, per Sen la portata del suo pensiero non aveva limiti geografici. I principi democratici devono essere considerati nella loro valenza globale, in modo da screditare l’idea che la democrazia sia un valore esclusivamente occidentale e da non ridurre i processi di democratizzazione dei paesi in via di sviluppo a fenomeni di occidentalizzazione.

A questo punto occorre interrogarsi sui motivi che hanno spinto l’occidente alla “appropriazione” del fenomeno. Per Sen probabilmente la spiegazione va ricercata nella storia ellenica, vista la derivazione etimologica del termine: demos (popolo) – kratia (autorità). Si suppone che la pratica delle elezioni venne sperimentata per la prima volta nell’antica Grecia, nel 506 a.c..

Ma una simile giustificazione non è avallabile per due motivi. Innanzitutto, come abbiamo già detto, la democrazia si basa più sul principio della discussione pubblica che semplicemente sulla pratica elettorale. Inoltre, Sen si interroga sul valore della distinzione delle culture mondiali avvenuta in passato in base ad un semplice criterio geografico. Una tale spartizione, che fa della cultura ellenica una cultura occidentale, può apparire, a detta dell’autore, in un certo senso razzista: per Sen nulla prova che l’esperienza greca abbia avuto un impatto nei paesi a ovest, e non in Iran o in India,

132Nel formulare tale definizione Sen prende in considerazione diversi autori che si sono espressi sull’essenza del concetto democratico, ad esempio J. Buchanan parlando della democrazia l’aveva definita come il governo che attraverso la discussione implica che i valori individuali possono cambiare e cambiano nel corso del processo decisionale; anche Huntington aveva affermato che la condicio sine qua non della democrazia fossero le elezioni libere, corrette e aperte a tutti.

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dati i numerosi contatti intellettuali che la civiltà greca ha avuto con le civiltà orientali. Il fatto è che spesso in questi paesi gli elementi democratici della tradizione ellenica vennero applicati in larga misura nei governi locali. E queste situazioni sono sempre passate in secondo piano rispetto ai processi, anche locali, dell’occidente, come ad esempio l’esperienza italiana dei comuni, che vengono chiamati in causa per rafforzare la tesi dell’occidentalità della democrazia.

“Dunque per l’autore l’eredità greca e quella romana sono importanti, ma non a tal punto – com’è stato – da trascurare il resto degli esempi presenti nel mondo antico.”

Già nell’impegno ad espandere la partecipazione a tutti dei concili buddisti, che erano degli incontri generali miranti a risolvere controversie religiose, sociali e civiche, Sen ritrova un esempio di come le radici del pensiero democratico si possono ritrovare anche nel pensiero orientale.

Nella Costituzione dei 17 articoli del principe buddhista giapponese Shotoku, del 604 d.c., si possono ritrovare tutta una serie di principi in linea con i contenuti della Magna Carta stilata sei secoli dopo. Questa costituzione prevedeva che le decisioni importanti non dovessero esser prese da una sola persona, e proponeva una massima di grande interesse che lo stesso autore tiene a proporci: “non dobbiamo provare rancore quando qualcuno non è d’accordo con noi. Perché tutti gli uomini hanno cuore, ed ogni cuore ha le sue inclinazioni. Ciò che per noi è sbagliato per altri è giusto. E ciò che per noi è giusto per altri è sbagliato”.

Sen in vari saggi riporta numerosi altri esempi a dimostrazione della sua tesi, tuttavia nel parlare delle antiche tradizioni orientali Sen cerca anche di ridimensionare l’eccezionalismo occidentale in materia di tolleranza, affermando che ci sono stati grandi esempi di tolleranza e intolleranza in entrambi i lati di questa presunta radicale divisione del mondo. Pertanto non c’è nessuna necessità di sostituire il primato occidentale con un altrettanta generalizzazione di segno opposto.

Sen giunge alla conclusione che il primato occidentale sia, in realtà, il risultato di una grave disattenzione per la storia intellettuale non occidentale. L’ “indebita appropriazione” del concetto si è sviluppata su erronee fondamenta, che hanno

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prodotto un’identificazione della democrazia con le pratiche democratiche più tipiche, non considerando la sua vera essenza: la discussione pubblica.

4.3 Sviluppo e globalizzazione

“Quello di cui non abbiamo bisogno è la compiacenza globale verso il mondo di opulenza e assoluta povertà in cui viviamo.

Possiamo - e dobbiamo - fare di meglio.”(“Globalizzazione e libertà”,p.28).

Le molteplici tematiche approfondite dall’autore nel corso di tutto il suo itinerario di ricerca si possono inserire nel più ampio contesto dei processi di globalizzazione. La povertà, la diseguaglianza, la necessità di ampliare la sfera dei diritti e delle libertà umane, la possibilità di evitare catastrofi ambientali, sono tutti problemi che riguardano l’umanità intera e non solo particolari realtà locali. Per questo motivo le soluzioni avanzate dal filosofo indiano necessitano di una applicazione a livello mondiale affinché producano i risultati sperati, in virtù della fitta rete di interrelazioni che si è andata costituendo nel corso del tempo tra le diverse realtà del globo. Nelle sue argomentazioni la globalizzazione non rappresenta un fenomeno negativo, questa viene vista come un sistema di opportunità.

Per Sen la globalizzazione non è un fatto nuovo e non può essere ridotta ad occidentalizzazione. Partendo da questo presupposto, Sen rivisita la questione attraverso la sua impostazione etico-umanistica, proponendone nuove chiavi di lettura.

Da migliaia di anni questo processo ha contribuito al progresso dell’umanità attraverso i viaggi, il commercio, le migrazioni, la diffusione delle culture, la disseminazione del sapere e della conoscenza reciproca. Il “movimento delle influenze” ha preso direzioni di volta in volta diverse, ma un’approfondita analisi storica può dimostrare come la globalizzazione non costituisca un correlato del

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predominio occidentale. Proprio intorno all’anno Mille la divulgazione di scoperte in ambito scientifico seguiva un flusso opposto a quello attuale. Scoperte come quelle relative alla polvere da sparo, all’orologio, alla bussola sono avvenute in Cina, o per fare un altro esempio, il sistema decimale che ancora utilizziamo è stato creato in India nel sesto secolo. Se l’Europa avesse opposto resistenza al processo di globalizzazione oggi sarebbe molto più povera. Per lo stesso motivo, secondo Sen, l’Oriente oggi non deve rifiutare i contributi provenienti dal processo in senso opposto, per non perdere l’occasione di crescita a esso connesso.

Per l’autore l’errore di fondo che ha comportato una visione distorta della globalizzazione e dei suoi effetti risiede nell’aver considerato il processo in questione come un fenomeno di imperialismo occidentale, il cui risultato finale sarebbe stata un’occidentalizzazione di tutte le culture. Ma la globalizzazione non è una componente dell’imperialismo, bensì una possibilità di crescita e sviluppo per tutti.

I poveri del mondo non possono essere privati dei grandi vantaggi della tecnologia e dei benefici che derivano dal vivere in società aperte. Ciò non porterebbe ad un miglioramento neanche della loro situazione economica. In realtà questa possibilità di scelta neanche sussiste, non possiamo fermare la globalizzazione. Il problema principale riguarda, dunque, i vantaggi che possiamo ricavarne, e soprattutto la possibilità di garantire agli interessi dei più “deboli” un’adeguata attenzione. Per fare ciò, afferma Sen, è necessaria una riforma delle istituzioni sociali e globali.

Per Sen uno dei fenomeni più evidenti della globalizzazione è l’enorme scambio di merci, denaro e capitali che si muovono con molta più facilità e rapidità che in passato. Nelle analisi seniane il funzionamento il concetto di efficienza del libero mercato è concepito in termini di libertà individuali (intese nel senso di capabilities), tenendo conto di ciò che l’individuo può realmente scegliere di fare e può realmente conseguire, dato un certo assetto socio-economico. In questo senso assume rilevanza la distinzione tra “libertà di agire” e “libertà di conseguire” proposta dall’autore. La libertà di mercato lascia liberi gli individui di effettuare transazioni, ma non

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effettuare molte transazioni e la garanzia di autonomia e di immunità non le è di particolare aiuto […] La giustificazione del meccanismo di mercato basata sulla libertà negativa è fortemente compromessa sia dall’importanza degli aspetti della libertà di agire diversi

dall’autonomia delle transazioni, sia dalla rilevanza delle libertà di conseguire”.133

Per quanto a prima vista la posizione di Sen in merito al libero mercato possa apparire ambigua, per comprenderla appieno bisogna partire dal presupposto che Sen è un economista di stampo liberale. Tuttavia la suo pensiero risulta mediato da una forte tensione etica rispetto ai valori individuali. Sen riconosce le distorsioni negative che il meccanismo di libero mercato non riesce ad evitare, ma nell’analizzarne i limiti non trascura i contributi che questo produce. Nei confronti delle istituzioni egli non si schiera assolutamente dalla parte dei liberisti tradizionali che anelano a neutralizzare l’azione dello Stato, uno stato che deve limitarsi a mantenere l’ordine sociale e politico necessario allo sviluppo economico. Sembra strano, ma in questo Sen afferma di rifarsi, in un certo senso, a posizioni non molte lontane da quelle del grande economista Adam Smith ne La ricchezza delle nazioni. Smith è visto come il liberista per eccellenza, ma per Sen la sua posizione nei confronti dello stato non è di rifiuto in termini assoluti. Egli si era dichiarato contrario a interventi statali che sostituissero il mercato, ma non ad interventi che lo integrassero, compensativi delle mancanze dell’economia. E per Sen lo stato deve assumere il ruolo di promotore delle libertà e catalizzatore dei processi di sviluppo, soprattutto nei paesi più poveri deve agevolare l’iniziativa individuale, senza però opporsi a quelle che sono le regole del libero mercato.

L’approccio di Sen manifesta l’esigenza di trovare un equilibrio tra ruolo dello Stato e di altre istituzioni politiche e sociali con il funzionamento del mercato, perché i poteri di quest’ultimo vanno necessariamente integrati da condizioni sociali di base che garantiscano l’equità e la giustizia. Soprattutto nella formulazione dei programmi di sviluppo per i paesi più poveri va tenuto presente che in passato i paesi che oggi

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possono definirsi ricchi inizialmente hanno avuto un’importante azione pubblica come supporto, che si è occupata della risoluzione di problemi fondamentali come quello scolastico o quello sanitario attraverso opere di riforma del sistema sociale, proprio perché avevano compreso il ruolo dello sviluppo umano nel processo di crescita economica dell’intero paese. Al pari lo sviluppo economico non produce effetti diretti su problemi sociali e globali come la disuguaglianza e la povertà. Quest’ ultima infatti non dipende solo da livelli bassi di reddito, ma da tutte una seri di illibertà, come l’analfabetismo, l’esclusione sociale, la negazione delle libertà ecc., che immobilizzano i poveri nella loro situazione.

Sen pone grande fiducia per la risoluzione di questi mali globali nell’azione delle organizzazioni non governative, anche se non sempre dispongono del potere necessario per poter agire. Non manca di criticare apertamente l’operato di storiche istituzioni preposte a questo compito di “sanamento” globale: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Nate nel 1944, non si sono rese conto che “il mondo di Bretton Woods non esiste più”: la mancanza di risultati delle politiche di queste istituzioni per Sen mostra palesemente la necessità di un forte cambiamento al loro interno.

“ La risposta che occorre dare ai dubbi globali è la costruzione globale. Non esiste una via di uscita, né buone ragioni per cercarla, dal generale processo di globalizzazione, di cui le stesse proteste antiglobalizzazione sono parte. Benché vi siano sufficienti motivi per sostenere la globalizzazione, nel senso migliore del termine, è necessario al contempo affrontare i temi etici e pratici - di cruciale importanza - che ne derivano. Non è facile, infatti, dissipare i dubbi senza aver seriamente discusso le preoccupazioni che le

motivano.”134

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