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CAPITOLO 2 IL CICLO DI PRODUZIONE 2.1 Premessa

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CAPITOLO 2

IL CICLO DI PRODUZIONE

2.1 Premessa

Nel settore lapideo è possibile individuare un ciclo di produzione attraverso il quale si svolgono le molteplici attività che partono dall’individuazione della risorsa primaria per giungere fino al suo impiego come prodotto finale. Il ciclo può essere schematizzato:

ESCAVAZIONE

TRASFORMAZIONE

COMMERCIO

Le singole aziende che coprono tutto il ciclo per intero sono rare e generalmente sono più facilmente rintracciabili nei paesi dove l’attività non ha raggiunto uno stadio di sviluppo avanzato; di solito le aziende coprono una parte del ciclo, se non una singola fase, o addirittura solo una parte di essa. Nel comune di Carrara sono presenti molte aziende di piccole dimensioni che coprono singole fasi, ma nel complesso riescono a coprire tutto il ciclo di produzione.

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Descrizione delle varie fasi:

2.2 Escavazione

Nel linguaggio comune, con il termine cava si identifica uno scavo a cielo aperto che ha come scopo l’estrazione di rocce e minerali.

Prima di aprire una cava è necessario effettuare una serie di ricerche per valutare la convenienza alla sua apertura. La prima fase si realizza con alcune esplorazioni preliminari, che consistono in carotaggi, fori di assaggio, aperture di gallerie sperimentali.

Nei casi di maggior fiducia sui possibili risultati della ricerca, è possibile giungere ad una escavazione sperimentale per ottenere qualche blocco. Successivamente si passerà ad una valutazione di tipo economico, che prevede la valutazione commerciale del blocco grezzo, della cubatura disponibile, della adeguatezza degli accessi alla cava, delle macchine e attrezzature necessarie, della distanza da segherie e laboratori. Bisogna infine tener conto delle caratteristiche della roccia, servendosi di attenti studi minerari; in particolare bisogna tener conto delle fratture naturali del monte, dell’andamento delle stratificazioni, delle caratteristiche estetiche che può assumere la roccia in base al verso dei tagli.

Tutto questo è finalizzato alla ricerca della garanzia che il valore del materiale escavato coincida con quello di recupero, che i blocchi siano interamente sani, ed infine che ne siano messe in risalto le caratteristiche qualitative11.

Quando un giacimento risulta idoneo allo sfruttamento e si giunge alla decisione di aprire una cava, si rende necessaria una corretta pianificazione e programmazione delle attività; lo strumento tecnico operativo che contiene tutti gli elementi di programmazione per tutte le attività di una cava, sia in caso di

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Santoprete Giancarlo, “L’industria lapidea-tecnologia, produzione ed ambiente”, Torino, G. Giappichelli editore, 1992, pag. 30-44

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primo allestimento per una cava nuova che di aggiornamento per una cava già in esercizio, è il piano di coltivazione.

In Italia la redazione del piano di coltivazione è un obbligo di legge; inoltre deve esser periodicamente aggiornato in funzione delle modifiche apportate alla cava e delle previsioni per l’attività futura, e rappresenta lo strumento di riferimento per la direzione dei lavori.

La sua elaborazione è piuttosto complessa, poiché esso deve affrontare in maniera esauriente i molteplici aspetti con cui l’attività si trova ad interagire (ambientali, idrologici, urbanistici, ecc.).

Nella redazione è necessario avvalersi di una base topografica tradizionale dettagliata, in scala 1:1000 o 1:500, tramite la quale si possono redigere gli elaborati richiesti; quando è possibile, è meglio utilizzare la cartografia digitale, che permette simulazioni tridimensionali, e la possibilità di vedere una cava e la sua evoluzione in un modo non altrimenti ottenibile (utile nelle zone a rapido mutamento morfologico, per le quali la cartografia tradizionale è spesso inadeguata, rendendo di conseguenza inadeguate le elaborazioni grafiche basate su essa).

Il primo passo nella redazione consiste nel dimensionamento della cava, in funzione della produzione richiesta e del periodo di coltivazione da programmare, cioè bisogna stimare quanto ammonta la produzione ottenibile in modo da riferire ad essa tutti i calcoli che riguardano i volumi da asportare, la tecnologia scelta per escavare, la mano d’opera, i materiali di consumo, gli utensili, ecc.

Dopo una introduzione alle caratteristiche generali (ubicazione, riferimenti catastali, inquadramento socio-economico) e geografico-geologiche del sito (morfologia, ambiente, vegetazione, idrogeologia), deve essere operata una dettagliata illustrazione degli aspetti minerari del deposito; questi, insieme alla situazione logistica, indicheranno, nel caso di cave di nuova apertura, la miglior ubicazione della futura zona di escavazione; sulle basi topografiche si riporteranno le strade principali di accesso con indicazione delle pendenze da superare, e le strade di arroccamento con relativo sviluppo.

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Nel caso di cave già in esercizio si parte da una situazione conoscitiva più dettagliata, anche se, comunque, non cambia lo scopo principale del piano, dove devono essere indicate le zone soggette ad escavazione e la configurazione cui si intende pervenire con precise indicazioni volumetriche, planimetriche ed altimetriche per ogni anno di attività.

Oltre agli accessi, verrà riportata l’ubicazione delle infrastrutture fisse (officina, servizi, ricovero macchinari, opere civili, ecc.) e di quelle semi-fisse, come il sistema di distribuzione dell’acqua, di adduzione dell’energia elettrica, l’eventuale gru derrick, ecc.

La programmazione viene generalmente estesa ad un periodo di tre-cinque anni; ovviamente se il periodo è lungo, minore sarà l’attendibilità delle previsioni, a causa delle variazioni nelle condizioni di lavoro che in una cava si presentano in modo sistematico. Per questo periodo deve essere fornita la cubatura totale che si intende estrarre, dovranno essere specificate e circoscritte le varietà commerciali, con indicazione del volume disponibile per ciascuna di esse, ed il tipo ed il volume di copertura sterile eventualmente presente.

È necessario stimare la percentuale di resa al monte, cioè il rapporto tra il materiale commerciabile e quello totale abbattuto, ed il volume ottenibile dei blocchi.

Il piano illustrerà poi la metodologia di coltivazione e i macchinari utilizzati in essa; la metodologia evidenzierà, attraverso piante e sezioni opportune, il modo di asportare i volumi nel tempo, specificando come e dove impostare le bancate; devono essere indicati il numero, le dimensioni e gli orientamenti dei fronti in lavorazione ed i tempi per le varie operazioni.

La stima tra il materiale squadrato e il volume abbattuto permetterà di quantificare lo scarto e, quindi, di pianificare l’area per la discarica.

Infine il piano di coltivazione dovrà prevedere le modalità di ripristino ambientale e di bonifica delle aree di volta in volta non più interessate dall’escavazione o utilizzate per le discariche del materiale improduttivo.12

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Metodi e tecniche di coltivazione:

L’attività delle cave rientra tra quelle che utilizzano risorse naturali, per cui l’insieme delle operazioni che permettono di prelevare materiale del giacimento in condizioni di economicità e sicurezza per le maestranze e l’ambiente, vengono definite coltivazione13.

Nei bacini marmiferi di Carrara esistono varie tecniche di coltivazione, che si adattano alle caratteristiche morfologiche e geologiche delle cave. Il metodo seguito in una cava può variare nel tempo in funzione della convenienza, o per sopperire alla mancanza di spazio14.

I vari tipi di coltivazione che si possono osservare nel comune di Carrara sono i seguenti:

1. A cielo aperto: rappresenta la tipologia di cava più frequente. Esse appaiono aperte sui fianchi dei monti, assumono spesso forma ad anfiteatro, con l’estrazione operata su uno o più gradini, che arretrano col procedere del lavoro di scavo, con i fronti di coltivazione posti a quota superiore rispetto al piazzale di cava (spiazzo sul quale vengono rovesciati i blocchi appena estratti e dove vengono riquadrati prima di essere avviati al luogo di lavorazione15). Questo metodo viene utilizzato quando il giacimento utile è in superficie oppure è ricoperto da una sottile copertura facilmente asportabile.

2. In sotterraneo: consiste nel condurre l’escavazione all’interno della massa rocciosa, senza alcun contatto con l’ambiente esterno. Le ragioni di tale scelta possono essere molteplici, ad esempio, per seguire la direzionalità del corpo produttivo, per evitare la realizzazione di costose strade di arroccamento, per la presenza all’esterno di zone a grossa fatturazione, oppure per rendersi indipendenti dal clima, specialmente nelle zone piovose. La

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Santoprete Giancarlo, “L’industria lapidea-tecnologia, produzione ed ambiente”, Torino, G. Giappichelli editore, 1992, pag. 37

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Bradley Frederick, “Guida alle Cave di Carrara”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1991, pag. 50

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lavorazione inizia scavando una prima galleria di accesso a partire da un piazzale grande per accogliere i macchinari necessari per l’operazione. Con tale metodo si dovrà studiare il metodo di avanzamento del cantiere estrattivo. Il metodo più frequente è quello a grandi camere con pilastri abbandonati. Dopo aver aperto la galleria di accesso, i lavori di scavo proseguono con lo scopo di ottenere un’ampia camera che servirà per il movimento delle macchine operatrici, lasciando sul posto dei sostegni rettangolari (pilastri) a sostegno del tetto. Risulta essere fondamentale il lavoro del perito minerario e del geologo, che è insostituibile per redigere un piano di coltivazione che preveda una opportuna configurazione nello sviluppo delle camere16. Prima di cominciare lo sviluppo di un sotterraneo occorre fare delle valutazioni di convenienza, ossia bisogna considerare il materiale che ricopre la roccia. Sarà necessario tenere conto dei costi necessari per asportare tale materiale di ricoprimento, in rapporto alla quantità e alla qualità del materiale da estrarre. I cantieri sotterranei presentano problemi di luce e di ricambio dell’aria che vengono risolti con particolari impianti di illuminazione e di aereazione17.

3. In sottotecchia: consiste nella realizzazione di uno scavo ampio e profondo per l’estrazione di bancate di marmo, che va oltre il piano verticale del fronte di cava. Il metodo permette di avere una superficie di abbattimento superiore a quella disponibile a cielo aperto, pur senza avere i problemi di ventilazione ed illuminazione della coltivazione in sotterraneo. Per attuare questo metodo è necessario che i materiali oggetto di scavo e quelli del tetto presentino sufficienti garanzie di stabilità per garantire la sicurezza dei lavoratori. Prima di programmare l’apertura di un sottotecchia è necessario effettuare una ricognizione dell’area soprastante

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Pandolfi Domenico e Orlando, “La cava”, Carrara, 1989, pag. 347

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4. Metodo a pozzo: si adotta quando non è possibile estendere lateralmente l’escavazione, per cui si procede in verticale dall’alto verso il basso.

Ciclo di produzione:

Consiste nelle operazioni di taglio al monte di grosse bancate, ribaltamento delle stesse sul piazzale di cava e successiva riquadratura delle stesse a dimensioni commerciali.

Fino alla prima metà del secolo scorso l’abbattimento di ingenti volumi di marmo avveniva tramite l’impiego di esplosivo. Questo sistema fu accantonato perché produceva rendimenti bassi ed enormi danni ai giacimenti.

La prima fase del ciclo di produzione è il taglio al monte, che consiste nell’isolare una grossa porzione di roccia a forma di parallelepipedo (bancata) dal giacimento, di dimensioni proporzionali ai blocchi che si vogliono ottenere ed in funzione delle caratteristiche del materiale. Il macchinario maggiormente utilizzato in questa fase è la tagliatrice a filo diamantato. Questo macchinario, evoluzione del filo elicoidale, introdotto sulle Apuane alla fine degli anni 70, consiste in un carrello semovente su cui è installato un motore elettrico connesso lateralmente ad una puleggia (ruota girevole attorno ad un asse, utilizzata per trasmettere un moto rotatorio tramite cinghie, funi e catene). Il carrello è montato su un binario, ed è collegato tramite un cavo ad una centralina di comando separata dalla struttura. Il taglio, avviene grazie al movimento che il motore imprime alla puleggia, la quale a sua volta imprime movimento al filo, che lo compie attraverso l’abrasione diretta dei diamanti inseriti nelle perline18.

Queste ultime sono degli anelli diamantati di 6-7 mm, che uniti tra di loro, con l’inserimento di una molla tra uno e l’altro, formano il filo. Durante l’esecuzione del taglio, la macchina retrocede scorrendo sui binari, ed è inoltre necessario impiegare acqua in funzione di raffreddamento e per permettere l’evacuazione dei residui di marmo. La tagliatrice può eseguire sia tagli verticali che

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Bradley Frederick, “Guida alle cave di Carrara”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1991, pag. 39-41

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orizzontali. Prima di eseguire il taglio è necessario effettuare dei fori di grosso diametro, intersecanti tra di loro, con delle perforanti a rotazione, che servono a preparare l’alloggio del circuito di filo diamantato che poi verrà chiuso ad anello intorno alla puleggia. Il filo diamantato viene valutato sulla base di due parametri, la produttività, espressa in metri quadri prodotti per ora, e la durata o vita utile, espressa dal numero di metri quadri tagliati per metro lineare di filo19. Un’altra macchina utilizzata per il taglio al monte è la tagliatrice a catena che consiste in un blocco motore che ha la possibilità di spostarsi su un binario, a cui è collegato un braccio di oltre tre metri, su cui scorre un nastro fornito di utensili diamantati20. Il taglio avviene facendo penetrare e traslare il braccio nella roccia secondo un piano prescelto; la catena scorrendo permette agli utensili di abradere la roccia. La macchina può eseguire tagli in tutte le direzioni; durante l’operazione è necessaria la presenza di acqua per il raffreddamento, e per allontanare i detriti prodotti. Tale macchina, il cui impiego ottimale si ha quando la roccia è poco fratturata, consente elevati livelli di produzione. È indispensabile nelle aperture dei sotterranei21.

Terminato il distacco della bancata dal monte, si passa alla fase successiva, cioè il suo ribaltamento sul piazzale di cava. Prima di procedere al ribaltamento sarà necessario preparare sul piazzale il cosiddetto letto, costituito da un cumulo di detriti e fanghiglia, il cui compito è quello di ammortizzare la caduta della bancata per limitarne le rotture22.

Successivamente si passa al ribaltamento vero e proprio, per il quale possono essere impiegate diverse attrezzature, una di queste è il martinetto oleodinamico. Il martinetto è composto da un cilindro d’acciaio al cui interno scorre un pistone che viene azionato da una centralina oleodinamica, azionata a sua volta da un compressore.

Un’ altra attrezzatura utilizzata per il ribaltamento è il cuscino idraulico. Il cuscino è formato da due lamierini affiancati, di all’incirca un metro per un

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Primavori Pietro, “Pianeta pietra”, Verona, Giorgio Zusi editore, 1999, pag. 164 20 Pandolfi Domenico e Orlando, “La cava”, Carrara, 1989, pag. 387

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Primaveri Pietro, “Pianeta pietra”, Verona; Giorgio Zusi editrice, 1999, pag. 169-172 22

Bradley Frederick, “Guida alle Cave di Carrara”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1991, pag. 45

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metro, saldati a pressione sui bordi, ha uno spessore di dimensione pari a 5 mm, e un peso di circa 8 kg. Il suo utilizzo consiste nell’essere posizionato all’interno del taglio prodotto con il filo diamantato o la tagliatrice a catena, quindi viene gonfiato introducendo al suo interno acqua. Il cuscino viene utilizzato per una sola volta, a causa o dello scoppio o della eccessiva deformazione a seguito della pressione a cui è sottoposto23.

L’ultima fase dell’escavazione, la riquadratura, consiste nel ritagliare la bancata in blocchi di dimensioni commerciali. Il dimensionamento dei blocchi è un’operazione di grande importanza in quanto definisce il valore del marmo escavato. Infatti se i blocchi sono mal dimensionati rischiano di essere difficili da vendere o di essere di valore inferiore; nei blocchi di forma irregolare, le parti eccedenti alla forma del parallelepipedo non sono utilizzabili, pertanto in sede di compravendita dovrà essere riconosciuto all’acquirente un abbuono relativamente ad esse24.

Ultimata la riquadratura i blocchi vengono trasportati alle segherie su camion. I camion vengono caricati per mezzo di pale meccaniche o di gru.

Tipi di marmo:

Nei bacini di Carrara vengono estratte sette varietà principali di marmo, le quali poi a loro volta si suddividono in varie altre qualità, che si differenziano per piccole variazioni cromatiche. Le principali varietà sono: il Bianco, lo Statuario, il Venato, l’Arabescato, il Calacata, il Bardiglio ed il Cipollino Zerbino.

Il Bianco è caratterizzato dal fondo bianco-perlaceo su cui sono presenti piccole macchie o venature. Lo Statuario è il materiale più pregiato, molto utilizzato nella scultura per la sua colorazione bianco avorio e la sua particolare tessitura cristallina che ben si adatta al lavoro dello scalpello.

Il Venato ha la caratteristica di presentare delle venature di colore grigio. Anche l’Arabescato presenta venature grigie, che però in questo caso vanno a formare una trama, una specie di arabesco.

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Pandolfi Domenico e Orlando, “La cava”, Carrara, 1989, pag. 391

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Il Calacata presenta invece venature giallo-crema su un fondo bianco o color avorio.

Il Bardiglio ha come caratteristica il colore grigio. Il Cipollino prende il nome dalle particolari striature di colore grigio verdastro che ricordano la struttura interna di una cipolla. I tipi più pregiati di questo marmo provengono da altre zone delle Apuane25

2.3

Trasformazione

È l’insieme di operazioni da eseguire sui prodotti di cava per ottenere semilavorati e lavorati da destinare all’impiego definitivo. Tali operazioni sono principalmente di due tipi:

Trattamenti sul volume, che consistono nella segagione di blocchi regolari ed informi e nella loro riduzione ad elementi di dimensioni minori

 Trattamenti sulla superficie, che consistono nella lavorazione delle superfici lapidee allo scopo di conferire loro un particolare aspetto estetico26.

Nel comune di Carrara, e anche nel resto dell’area apuana, l’esperienza nel settore degli operatori ha reso possibile la lavorazione, oltre a quella dei materiali locali, anche di materiali d’importazione, primo tra tutti il granito27.

25 Bradley Frederick, “Guida alle Cave di Carrara”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1991, pag. 47 e pag. 54-59

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Primavori Piero, “Pianeta pietra”, Verona, Giorgio Zusi editore, 1999, pag. 225

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Struttura di un impianto:

A partire dagli anni successivi al secondo conflitto mondiale, la lavorazione del lapideo si è trasformata da artigianato tipico ad industria. Il settore tuttavia, digerisce male la standardizzazione, per cui presenta particolari esigenze, come l’organizzazione in unità produttive di non grandi dimensioni e, la massima flessibilità di impianti e macchinari28.

Gli impianti possono essere suddivisi, sulla base delle dimensioni e del tipo di produzione svolta:

 Grandi laboratori, ossia quei complessi dove viene effettuato l’intero ciclo di trasformazione dal blocco al prodotto finito, comprendendo la segagione, il trattamento delle superfici, il ritaglio a misura, le lavorazioni speciali

 Laboratori medio-piccoli, nei quali, o vengono svolte solo alcune fasi della lavorazione, oppure viene svolta solo una parte di lavori di grosse dimensioni

 Laboratori artistici, dove si producono oggetti decorativi ed architettonici come sculture, intarsi, ecc.

La localizzazione di tali impianti viene condizionata da vari elementi che sono:  Costi di trasporto, sia delle materie prime e sussidiarie necessarie per la

produzione che quello dei prodotti finiti ai clienti; nel costo di trasporto bisogna considerare anche quello derivante da eventuali rotture e danni subiti dai prodotti durante il trasporto

 Vicinanza di scali ferroviari e marittimi o di importanti arterie stradali che consentono di realizzare rapidamente ed economicamente il trasporto dei prodotti sui mercati di collocamento

 Disponibilità ed il costo delle aree necessarie per i vari capannoni industriali, per le aree di deposito dei detriti e di spurgo dei residui di

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lavorazione, nonché la possibilità di espandersi per successivi ampliamenti29.

Generalmente l’impianto viene suddiviso in varie aree, che sono:

1. Area di stoccaggio delle materie prime, cioè dei blocchi. L’area solitamente è all’aperto, in quanto lo stoccaggio dei blocchi all’aperto non crea alcun problema.

2. Aree di stoccaggio dei semilavorati, cioè lastre, masselli, spessori, ecc.. è la zona dove i semilavorati ottenuti dalla segagione vengono temporaneamente depositati, in attesa di essere trasferiti ad un’altra lavorazione o di essere venduti. La zona può essere aperta o coperta. Le lastre e gli spessori sono normalmente appoggiati uno sull’altro su appositi cavalletti, mentre i masselli e gli altri semilavorati vengono messi uno sull’altro.

3. Area di deposito dei prodotti finiti. In quest’area vengono depositati i manufatti confezionati ed imballati. Preferibilmente è chiusa o comunque coperta in modo da proteggere al meglio i prodotti dalle intemperie.

4. Area degli impianti ausiliari (area compressa, energia elettrica, impianto depurazione acque, ecc.).

5. Area di raccolta materie di risulta. I materiali di scarto vengono raccolti in un’area apposita da cui possono essere movimentati e trasportati in un altro luogo.

6. Area di installazione macchinari di trasformazione e movimentazione. È interamente coperta e chiusa, in cui si trovano le macchine per la produzione dei semilavorati e dei prodotti finiti.

7. Area destinata alla viabilità. Corrisponde ai piazzali e alle vie di accesso e movimento, sia per i piccoli trasferimenti interni che per lo stazionamento dei camion per il caricamento e lo scaricamento dei materiali.

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Milone Mario, “L’economia delle imprese marmifere”, Bari, Dott. Francesco Cacucci editore, 1973, pag. 175-176

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8. Area comprendente gli uffici. È buona norma che quest’area sia distante ed isolata dai reparti di lavorazione per ridurre l’effetto dei rumori e delle polveri30.

La distribuzione dei reparti, delle macchine e dei depositi deve essere basata su criteri di razionalità tecnica ed economica. La soluzione al problema della dislocazione interna è influenzata dalla impostazione produttiva dello stabilimento, cioè dal tipo di lavorati o semilavorati che si vuole ottenere, dalle caratteristiche del materiale oggetto della lavorazione e dalle particolarità della stessa lavorazione.

Perciò prima di predisporre la dislocazione è consigliabile studiare il ciclo di lavorazione, prendendo in considerazione i dati relativi ai volumi dei materiali da lavorare, ai percorsi ottimali per il raggiungimento dei vari reparti, i tempi di produzione e di sosta delle materie prime, dei semilavorati e via di seguito.

Una disposizione interna realizzata solo sulla base di conoscenze sommarie può generare costi e sprechi rilevanti ed abituali, che vengono ignorati per mancanza di indagini relative ai percorsi dei mezzi di trasporto, ai trasferimenti dei materiali, alla razionale dislocazione di uomini e macchine; al contrario una volta acquisite le necessarie conoscenze, la soluzione del problema darà come risultato una razionale distribuzione dei reparti di lavorazione in maniera tale da ridurre al minimo i trasporti interni, per i quali dovranno essere scelti i mezzi meccanici più adeguati, in modo da ridurre al minimo i tempi e il personale necessari per il servizio; inoltre una razionale disposizione delle macchine ridurrà al minimo i tempi morti per il passaggio tra le varie unità dei materiali da lavorare, i quali dovranno pervenire alle varie unità con tempestività ed ordine, in maniera che il ciclo si svolga secondo i tempi programmati, senza soste improduttive, ritardi, ecc.. Tale studio risulta più agevole per un laboratorio nuovo da realizzare che non per un laboratorio esistente nel quale si vuole migliorare il rendimento economico.

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Cicli di produzione:

I principali cicli produttivi che vengono realizzati negli stabilimenti di trasformazione sono:

Produzione di lastre di grandi dimensioni: l’obiettivo di questo ciclo è quello di trasformare il blocco in semilavorati di grandi dimensioni, le lastre grezze (caratteristica della lastra è quella di avere una dimensione, lo spessore, generalmente di 2 o 3 centimetri).

Dalle lastre si possono ottenere prodotti finiti di dimensioni inferiori. Il ciclo comincia con la riquadratura dei blocchi e prosegue con la segagione. Terminata la segagione le lastre possono essere trasferite ad un altro reparto oppure stoccate per la vendita.

Produzione di manufatti standard: questo ciclo permette di ottenere un prodotto finito, le marmette, con misure standardizzate, che prescindono dal luogo dove saranno installate, e vengono confezionate già pronte per la posa in opera.

Lavorazioni speciali: sono quelle necessarie per ottenere prodotti a destinazione ed utilizzo speciale, con particolari finalità architettoniche, artistiche, arredative e monumentali. Per ottenere tali prodotti si utilizzano attrezzature particolari o allestimenti specifici delle stesse. Questi prodotti hanno la caratteristica di essere ad alto valore aggiunto, in conseguenza della funzione che andranno a svolgere. Nei vari cicli di produzione son impiegati vari macchinari, che a seconda dei loro compiti possono essere suddivisi:

a) Macchine per la riquadratura e segagione dei blocchi. La riquadratura ha lo scopo di rendere i blocchi di forma quanto più possibile regolare, attraverso l’eliminazione di sporgenze e rientranze, per poi ottimizzare le operazioni di taglio successive. Gli impianti successivi sono il monolama oppure il monofilo. Il monolama è una struttura metallica che fa da guida ad una lama dotata di concrezioni diamantate nella parte inferiore, che con un movimento di andirivieni incide il blocco procedendo verso il basso. Il monofilo è un impianto costituito da una struttura aperta sulla quale viene posizionato il blocco che viene tagliato da un filo diamantato teso tra due pulegge. Entrambe le macchine richiedono l’irrorazione di acqua durante

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le operazioni di taglio. Il macchinario più diffuso per la segagione in lastre è il telaio multilama. Il telaio è costituito da una grossa armatura al cui interno scorre un insieme di lame, che con un movimento di andirivieni e una velocità di discesa programmata penetrano nel blocco. L’abrasione viene realizzata, nel granito dall’azione combinata delle lame d’acciaio e di una torbida abrasiva, composta di acqua, calce e graniglia di ghisa, mentre nel marmo le lame presentano dei segmenti diamantati che abradono direttamente la roccia. Nel ciclo di produzione di manufatti standardizzati, la macchina utilizzata per la segagione è la taglia blocchi che permette di tagliare con profitto blocchi difettosi, irregolari e sottomisura. Il taglio avviene grazie all’azione di dischi diamantati verticali in unione ad un disco orizzontale di diametro inferiore.

b) Macchine per tagli e rifilature: queste macchine sono utilizzate per tagliare le lastre secondo le misure richieste. Il taglio avviene con l’uso di dischi diamantati. Esistono vari tipi di macchina per eseguire tale operazione. Una di queste è la fresa a ponte, che è costituita da una trave in acciaio che scorre su appositi binari e sulla quale è collocato il gruppo motore ed il relativo sostegno con il disco diamantato. I movimenti del ponte e del gruppo motore consentono di effettuare tagli nelle diverse direzioni. L’elevata flessibilità di questa macchina permette di effettuare sia produzioni in serie che lavori artistici31. Un’altra è la fresa a bandiera, costituita da una colonna e da un banco per la collocazione dei pezzi; può compiere movimenti sia in verticale che in trasversale, consentendo vari tipi di lavorazioni, compresi i tagli fuori-squadra, anche se non è adatta ai lavori in serie. Esistono infine delle frese multi disco; in esse è la lastra che si muove su di un nastro in gomma, incontrando i dischi posizionati su una trave in acciaio. Queste macchine permettono di realizzare più tagli a squadra contemporaneamente.

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Magnani Andrea e Quadrelli Sauro, “SEI seconda parte-pavimenti, rivestimenti,interni”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1993, pag. 51-52

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c) Macchine per trattamenti superficiali: per trattamenti superficiali si intendono le lavorazioni a cui viene sottoposta la pietra per conferire un determinato aspetto. La finitura superficiale è fondamentale per sfruttare le possibilità espressive del prodotto lapideo, valorizzando o minimizzando gli attributi estetici naturali della roccia. Tra le lavorazioni a rasamento, che sono quelle che si ottengono rasando un materiale con utensili abrasivi, le più diffuse sono la calibratura, che ha lo scopo di contenere la planarità e lo spessore del manufatto, la levigatura, che ha come scopo quello di rendere la superficie liscia, e la lucidatura, che permette di ottenere una superficie riflettente, grazie anche all’uso di specifiche sostanze lucidanti. Quest’ultimo trattamento permette di valorizzare al massimo le tonalità cromatiche, facendo emergere i contrasti dovuti alle venature. Entrambi vengono ottenuti con la stessa macchina, la lucidatrice. Questa può essere manuale, costituita da un braccio articolato con il quale, grazie all’azionamento manuale, viene coperta tutta la superficie del manufatto posto sotto ad essa, a ponte, costituita da una trave in acciaio che scorre trasversalmente su binari, sul quale si trova un motore con una testa lucidante, a nastro, dove rispetto alle precedenti, la lastra da lucidare non sta ferma, ma scorre su un nastro sotto alle teste lucidante, dotate di movimenti specifici. Altro tipo di lavorazioni diffuse sono quelle ad urto, cioè quelle ottenute con l’uso di utensili a percussione. Tra queste le più diffuse sono la bocciardatura, che conferisce alla superficie un particolare aspetto scolpito, scabro ed in rilievo, adatto ai manufatti collocati in esterno, come scale, pavimenti; l’effetto si ottiene con l’utilizzo della bocciarda, un martello a fitte punte piramidali, che nelle macchine moderne viene montato su di un ponte, che conferisce la superficie delle lastre sottostanti. Un’altra lavorazione diffusa è la sabbiatura, che rende la superficie ruvida ma non tagliente, molto spesso morbida e priva di grosse asperità; questa lavorazione è utilizzata per il trattamento di superfici a vista, ma anche per l’esecuzione di incisioni, scritte e disegni e si ottiene per mezzo della proiezione di una

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miscela abrasiva composta da acqua e sabbia. Esiste infine un tipo di lavorazione superficiale applicabile solo ai graniti, quella per trattamento termico. La procedura prende il nome di fiammatura; la lavorazione rende la superficie rugosa, rendendola più resistente all’erosione superficiale. La macchina utilizzata, utilizza come utensile un cannello che produce una fiamma ad alta temperatura che investe la superficie da trattare, producendo uno shock termico. Il combustibile usato è il propano.

d) Macchine per lavorazioni speciali: esistono macchine per la finitura e la produzione di pezzi con destinazione specifica. Tra le più diffuse, il tornio, utilizzato per la realizzazione di superfici cilindriche, tipo colonne e vasi; la contornatrice, impiegata per le operazioni sequenziali di taglio, levigatura e lucidatura; il lucida coste, macchina costituita da mandrini portanti utensili abrasivi che calibrano, levigano e lucidano le coste, smussando gli spigoli e con disco diamantato realizzano i gocciolatoi; la tagliatrice a getto d’acqua viene utilizzata per esecuzione di intarsi e il taglio di mosaici su lastre di marmo o granito, il taglio avviene con un getto d’acqua ad alta pressione mescolato con sostanze abrasive, il taglio è gestito da un software capace di riprodurre i disegni più complessi32; la bisellatrice, macchina finale del ciclo di produzione di manufatti standard, che da sola raggruppa le sezioni di calibratura laterale, smussatura degli spigoli, asciugatura e pulitura33.

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Magnani Andrea e Quadrelli Sauro, “SEI seconda parte-pavimenti, rivestimenti, interni”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1993, pag. 52-61

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2.4

Commercio:

Il settore lapideo è stato caratterizzato per secoli dall’utilizzo prevalente dei materiali nei luoghi di estrazione. Le dimensioni dei luoghi potevano variare a seconda dei confini fisici e politici; di conseguenza i paesi con un’attività estrattiva più avanzata, disponevano anche di un mercato interno maggiormente sviluppato. Questo fatto determinava anche uno sviluppo delle attività di trasformazione, con conseguente aumento della domanda. Per coprire insufficienze quantitative e qualitative, si è cominciato ad utilizzare materiali prodotti altrove. In questo modo è nato intorno al 1830, il moderno commercio internazionale dei materiali lapidei. Intorno agli anni 30 del secolo scorso si è assistito ad una evoluzione negli schemi del commercio. Infatti quest’ultimo sino ad allora era legato a due schemi base: uno che prevede l’esportazione del grezzo verso l’importatore che trasforma e consuma, l’altro l’esportazione del prodotto finito verso l’importatore consumatore. A questi due schemi se ne aggiunsero altri due, uno che consiste nell’esportazione del grezzo verso l’importatore, che trasforma e riesporta il prodotto finito verso il paese consumatore finale, l’altro nell’esportazione del grezzo verso l’importatore, che esegue una trasformazione e riesporta a sua volta, verso un paese che importa, finisce la trasformazione ed è consumatore del prodotto finito34.

Cenni sulla tecnica di vendita dei lapidei:

La gamma dei prodotti lapidei presenti sul mercato è composta da prodotti che si differenziano tra di loro per elementi intriseci (colore), ma anche per un diverso tipo di lavorazione (blocchi, lastre grezze o levigate, lavorati). Non è facile stabilire una gerarchia qualitativa dei prodotti lapidei, perché si tratta di merci che presentano aspetti e dimensioni così svariate tra loro, da rendere necessari numerosi criteri per attribuire una certa qualità ad un blocco o a una lastra; tuttavia i blocchi di marmo sono divisibili in quattro classi qualitative:

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1) La prima comprende i blocchi o lastre che si ritengono vendibili e spendibili ovunque, senza che sia necessaria la verifica dell’acquirente. L’abbuono (che nella pratica delle negoziazioni è dovuto in parte agli usi vigenti nelle misurazioni ed in parte a difetti o malformazioni naturali o di lavorazioni, sul cui accertamento raramente si trova un accordo tra le parti) previsto per la differenza tra la misurazione a tutto marmo35e quella commerciale36in tale categoria è il minimo d’uso. La resa di segatura della classe è stimata intorno all’85-90%, cioè le lastre di prima qualità che si dovrebbero ottenere dalla segatura dei 40 mq, dovrebbero essere pari a 34-36 mq.

2) Comprende i blocchi e le lastre per i quali il venditore desidera la visita per la scelta e l’accettazione della merce da parte dell’acquirente, ma che comunque spedisce, dietro autorizzazione del cliente, anche senza visita, convinto del fatto che il materiale troverà l’applicazione di quest’ultimo. L’abbuono varia tra l’11 e il 18.5 % a seconda della forma più o meno regolare del blocco. La resa di segatura del blocco è intorno al 75-80 % di lastre di prima e seconda qualità.

3) I blocchi e le lastre di terza qualità vengono venduti solo con espressa accettazione del materiale da parte dell’acquirente. L’abbuono della categoria varia tra il 25 e il 31%, la resa di segatura è stimata intorno la 50% di lastre di seconda e terza qualità, con qualcuna di prima; il rimanente viene utilizzato per lavori di piccole dimensioni, oppure viene ceduto a piccoli artigiani che li utilizzano per lavorati nei quali è richiesta abilità personale e che sono venduti in ambito locale.

4) Di quarta qualità infine sono quei blocchi o lastre che vengono ceduti a peso assimilati a sottoprodotti dell’escavazione, che si utilizzano solo per lavorati in serie di modeste dimensioni.

Nella zona apuana, secondo gli usi, gli eventuali difetti visibili all’esterno del blocco o della lastra, devono essere indicati dal venditore al compratore, poiché

35

La misurazione avviene considerando il massimo ingombro, con la sola modifica dell’equivalente di compensazione per le mancanze di materiale necessario a costituire il minimo parallelepipedo circoscritto.

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Questo tipo di misurazione è inferiore a quello precedente perché tiene conto degli abbuoni d’uso, delle malformazioni e dei difetti intrinseci

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nel caso in cui l’abbuono per essi concesso si riveli, dopo la segatura o la lavorazione, del tutto insufficiente, il venditore rimane responsabile per i danni subiti dall’acquirente; il trattamento di questi varia a seconda che siano riscontrati all’interno della zona apuana o fuori da essa: nel caso in cui siano riscontrati all’interno della zona, il venditore dovrà risarcire al compratore il valore del marmo non utilizzabile sulla base del prezzo di fattura, nonché l’importo corrispondente all’eventuale passaggio del blocco ad una categoria inferiore; se il difetto viene riscontrato al di fuori della regione apuana, il compratore deve rifondere solo il valore del marmo non utilizzato al prezzo di fattura. Il venditore è responsabile anche nel caso in cui vengano riscontrati difetti interni, dei quali non vi era alcuna traccia all’esterno; secondi gli usi, in questo caso è previsto solo il rimborso del valore del marmo non utilizzabile sulla base del prezzo di fattura. Il venditore non è responsabile per i difetti riscontrati nella vendita dei marmi colorati, che sono difettosi per natura.

Il prezzo viene fissato in relazione alla qualità del materiale e alle dimensioni del blocco o della lastra.

La negoziazione dei lavorati comincia con la trasmissione al laboratorio dell’ordine da parte del cliente, che può avere per oggetto materiali di produzione standardizzabile (pavimenti, scale, rivestimenti) oppure materiali la cui lavorazione dovrà essere eseguita secondo le disposizioni dell’acquirente: in questo caso di solito il cliente lascia al laboratorio la scelta del genere e della qualità dei materiali, limitandosi ad indicare il colore e le tonalità desiderate. A volte il laboratorio nel trasmettere il preventivo del costo al cliente, invia anche dei campioni dei materiali prescelti, sottolineando le caratteristiche principali ed i difetti.

La consegna viene fissata in relazione alle lavorazioni necessarie, agli ordini acquisiti in precedenza e al luogo di consegna. Nelle forniture composte da vari pezzi (scale, rivestimenti, pavimenti), le consegne vengono frazionate, così che i pezzi consegnati vengano subito messi in opera, evitando soste del materiale nel cantiere.

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Secondo consuetudine della zona apuana, la consegna della merce si intende su piazza anche se è stata venduta sul vagone, franco bordo o su altro mezzo di trasporto.

I blocchi vengono spediti senza imballaggio, le lastre e i lavorati in casse di legno di pioppo bianco, il quale contiene pochissimo tannino, e quindi non presenta il pericolo di macchiare il marmo di giallognolo in caso di contatto con l’acqua. Maggiori difficoltà si riscontrano nell’imballaggio di lavorati artistici e di statue, per i quali è necessario un lavoro accurato per preservarli da danni e inconvenienti vari37.

Il commercio interno ed esterno del comprensorio Apuano:

Intorno alla metà del secolo scorso il comprensorio Apuano (che comprende il comune di Carrara, quello di Massa e le zone della Versilia e della Garfagnana nella provincia di Lucca) rappresentava il 70% della produzione lapidea italiana; all’inizio degli anni 90 questa percentuale era scesa al 18%. Dal 1951 fino all’inizio degli anni 90, il marmo escavato nella zona (i ¾ del quale proviene dalle cave carraresi) era aumentato in maniera costante, a dimostrazione che il marmo apuano è sempre stato un punto fermo del mercato nazionale e mondiale con un gran numero di estimatori. All’inizio degli anni 90, il distretto apuano perse la sua leadership a livello nazionale, a favore soprattutto del comprensorio veronese, nonostante la maggiore disponibilità di risorse naturali. Da un primo confronto tra i due distretti emerge che il primo ha una produzione maggiore del secondo di blocchi e lastre, sia di marmo che di granito, mentre il secondo lo supera per la produzione di prodotti finiti. A metà anni 90 solo il 25% dei materiali apuani veniva trasformato nelle aziende locali. Le ragioni di questo sorpasso vanno ricercate nella maggiore organizzazione, anche a livello commerciale, delle aziende veronesi, nella maggiore disponibilità di spazio,

37

Milone Mauro, “L’economia delle imprese marmifere”, Bari, Dott. Francesco Cacucci Editore, 1973, pag. 83-99

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nell’utilizzo di macchinari più moderni che consentono una produttività maggiore, in un sistema creditizio più favorevole, ed infine nel fatto che a Verona le associazioni di categoria e le istituzioni lavorano in sintonia tra di loro per lo sviluppo delle aziende del distretto nel suo complesso.

Secondo una stima dell’Istat i prodotti venduti venivano collocati per il 50% sul mercato nazionale e per l’altro 50 sui mercati esteri. I principali mercati esteri erano: gli Stati Uniti, la Germania, Hong Kong e l’Arabia Saudita. Rispetto agli anni 80 si registrò la flessione del Giappone, causata dallo sviluppo dell’industria lapidea nazionale che raggiunse un grado di sviluppo tale da soddisfare in tutto o in parte la domanda interna. Da segnalare la posizione marginale nei mercati europei, Germania esclusa. Le esportazioni di granulati e di polveri ammontano al 70% delle esportazioni nazionali, ciò a significare che a fianco all’attività di escavazione si è sviluppata una attività di recupero degli scarti di lavorazione. Le importazioni pari a circa 1/5 del totale dei lapidei importati in Italia, provenivano dall’India, Brasile, Sud Africa e Norvegia, tutti paesi esportatori di granito38.

Nella seconda metà degli anni 90 va registrato il crollo delle borse dell’estremo oriente, cosa che segna il distretto apuano in maniera profonda, essendo il primo esportatore nazionale verso quei paesi, soprattutto nel settore dell’esportazione dei graniti lavorati. Nello stesso periodo si registrò una crescita dei distretti del nord Italia, specialmente Brescia e Verona, che operavano con i mercati europei; il distretto veronese nel 1999 diventò la prima provincia italiana per l’importazione di blocchi grezzi di granito.

Il settore nel suo complesso era andato incontro ad un ridimensionamento, molto più forte nel settore della trasformazione che non nell’escavazione e nel commercio, perché la trasformazione è il settore più copiabile dall’esterno, e registrò una diminuzione degli addetti e di conseguenza una diminuzione della dimensione media delle ditte.

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Pinna Sergio, “Il comprensorio apuano del marmo”, Roma, Società Geografica Italiana, 1999, pag. 91-105 e pag. 108-119

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L’escavazione, potendo contare sulla disponibilità di materia prima, e il commercio risentirono meno della crisi. Quest’ultimo vide aumentare il numero degli addetti, soprattutto ai buoni risultati del commercio di blocchi di granito. Sul piano internazionale si riscontrò l’ingresso sul mercato di un nuovo produttore, la Cina, che nel corso di pochi anni divenne la prima potenza mondiale del settore. In quel periodo divenne il primo fornitore del Giappone, soprattutto di prodotti finiti in granito, arrivando a raggiungere anche il mercato degli Stati Uniti e quelli europei39.

Il nuovo secolo iniziò sotto i migliori auspici; infatti l’anno 2000 fu caratterizzato da una ripresa del mercato, sia per quanto riguarda i marmi che i graniti lavorati. I principali mercati erano quello statunitense e quelli dell’Unione Europea, mentre tornarono a recitare un ruolo importante il Medio Oriente, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, e l’estremo oriente, Corea del Sud e Giappone.

L’occupazione registrò una leggera crescita nella fase estrattiva, ed una diminuzione nella fase di trasformazione40.

Il 2001 fu un anno che aprì una crisi che si sarebbe protratta per alcuni anni: fu caratterizzato dagli attentati dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York ed al Pentagono di Washington. A questo bisogna aggiungere il clima di instabilità tra Israele e Palestina. Queste situazioni furono devastanti per il settore, che è subordinato all’edilizia, la quale ha bisogno di sicurezza nella pianificazione degli investimenti41.

Da una indagine più dettagliata, si scopre che la crisi fu sentita maggiormente nel campo dei lavorati, sia in marmo che in granito, e nella vendita di graniti grezzi; al contrario il marmo grezzo rimase sui livelli precedenti42.

La situazione portò ad una riorganizzazione all’interno del settore, con una gestione aziendale più orientata al breve periodo, diminuzione degli investimenti, diminuzione dell’occupazione, non tramite il ricorso a licenziamenti, ma con un

39

AA.VV., “Censimento 2000- industria lapidea e collaterale del comprensori apuo. Versiliese”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Spa, 2001, pag. 18-95

40 AA.VV., “Rapporto economia Massa-Carrara 2001”, Carrara, Istituto di studi e ricerche, 2001, paf. 61-67

41

AA.VV., “Rapporto economia Massa-Carrara 2002”, Carrara, Isituto di studi e ricerche, 2002, pag. 87 42 AA.VV., “Rapporto economia Massa-Carrara 2003”, Carrara Istituto di studi e ricerche, 2003, pag. 29

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34

turn over ai minimi storici. La provincia di Massa-Carrara risentì in misura minore, rispetto alle altre province italiane, della crisi, a causa della maggiore propensione alla produzione di grezzi rispetto alla lavorazione43, ed anche per via del minor legame con i mercati europei. Al di fuori del nostro continente da rilevare il calo del lavoro con gli Stati Uniti, la crescente costante della Cina nell’importazione di grezzi, i buoni risultati dell’Africa settentrionale, gli andamenti altalenanti del Medio Orientale.

Durante gli anni 2006 e 2007 si assistette ad una ripresa del settore, causata da una crescita sia della domanda nazionale che di quella estera. La ripresa ebbe anche l’effetto di aumentare il grado di utilizzo degli impianti e di favorire la ripresa degli investimenti; tale aumento fu legato soprattutto da una ripresa dei lavorati44.

Dal punto di vista della distribuzione delle vendite la Cina diventò il primo importatore di grezzi, con una percentuale in costante crescita, seguita da Tunisia ed India.

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla crisi del settore immobiliare statunitense, che ha portato ad una diminuzione dell’esportazione dei prodotti lavorati. Di conseguenza si assistette ad un minor grado di utilizzo degli impianti. Di contro vanno riscontrati gli ottimi risultati delle vendite di materiali grezzi. A conferma di tutto ciò c’è stato il sorpasso della provincia di Massa Carrara su quella di Verona45.

La Cina si conferma al primo posto nei materiali grezzi, seguita dai paesi del Nord Africa e dall’India, nei lavorati gli Stati Uniti mantengono la leadership, seguiti dai paesi arabi, Gran Bretagna e Russia.

Il settore a livello locale è sempre stato soggetto ad andamenti ciclici, ma vista la concorrenza i paesi emergenti come Cina, India e Turchia, bisogna porre sotto osservazione la filiera produttiva, perché il tradizionale collegamento tra

43

AA.VV., “Rapporto economia Massa-Carrara 2002”, Carrara Istituto di studi e ricerche, 2002, pag. 91-92

44 AA.VV., “Rapporto economia Massa-Carrara 2007”, Carrara, Istituto di studi e ricerche, 2007, pag. 127-130

45

AA.VV. “Rapporto economia Massa-Carrara 2009”, Carrara, Istituto di studi e ricerche, 2009, pag. 77 e pag. 185

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estrazione, lavorazione e successiva commercializzazione sembra sempre più distante, con il settore di mezzo che sempre più spesso viene saltato a favore della vendita dei materiali grezzi46.

Studi di settore e incidenza sul PIL italiano del settore lapideo:

Nel 2012 nelle cave di Carrara sono state estratte 870.917 tonnellate di blocchi, con una diminuzione del 9,5% rispetto al 2011. Dal 1974 al 1989 iniziò la crescita del marmo estratto dovuta all’introduzione progressiva della tecnologia del diamante nella fase di estrazione e al miglioramento delle strade di arroccamento che permisero l’utilizzo in cava dei grandi mezzi meccanici. L’estrazione tocca il suo massimo storico nel 1995, ma da quell’anno in poi diminuisce o comunque rimane costante intorno alle 900mila tonnellate.

Dal 2005 ad oggi le scaglie bianche sono diminuite di quasi 1,1 milioni di tonnellate, mentre al contrario le scaglie scure restano costanti; per quanto riguarda le scaglie bianche, come dimostrano i dati export e gli imbarchi al porto di Marina di Carrara, siamo di fronte ad una difficoltà di mercato dove le multinazionali presenti nell’area, preferiscono rifornirsi per il pigmento bianco in altri mercati (Turchia).

Nonostante la crisi del settore dell’edilizia, a cui gran parte delle scaglie scure è destinato, il quantitativo di questo materiale estratto dai bacini marmiferi di Carrara è in costante aumento. Si sospetta una “elusione” della tassa marmi, perché le scaglie scure pagano una tariffa assai inferiore alle scaglie bianche, si aggiunge il sospetto che una parte di scaglie bianche siano fatte transitare, alle pese del Comune di Carrara, come scaglie scure.

Il P.R.A.E.R., strumento previsto dalla Legge Regionale 78/98, che rappresenta l’atto di programmazione settoriale con cui la Regione determina gli indirizzi e gli obiettivi di riferimento per l’attività di pianificazione in materia di cave, stabilisce che “l’utilizzazione della risorsa lapidea nelle cave di materiali

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ornamentali deve essere tesa alla massima valorizzazione degli stessi individuando, in funzione delle caratteristiche litologiche e geologico-strutturali, dei giacimenti e dello stato di fatturazione locale delle bancate, i quantitativi minimi, non inferiori al 20% della produzione complessiva di progetto, con esclusione del materiale destinato alla risistemazione ambientale da destinarsi solo alla trasformazione in blocchi, lastre ed affini, incrementabili in sede di autorizzazione comunale ove approfondimenti progettuali lo consentano”. Questo rapporto dal 2001 fino al 2008 è rimasto ali di sotto del 20%, mentre negli ultimi anni tende al 25%47.

L’istituto di ricerche, attraverso il suo sistema di rilevazione telefonica ha svolto un indagine periodica per migliorare gli andamenti del settore dell’estrazione lapidea, intervistando ogni trimestre le più importanti imprese del comparto: i dati che emergono denunciano un andamento della produzione e del fatturato negativi, che sono abbastanza allineati con quelli sulla “tassa marmi” del Comune di Carrara. Anche gli ordini denunciano un calo, seppur più limitato imputabile prevalentemente alla fiacca domanda interna.

Che tuttavia il settore, nonostante le variazioni negative, non accusi crisi lo dimostra il fatto che l’occupazione resta pressoché costante rispetto all’anno precedente e il grado di utilizzo degli impianti raggiunga livelli alti, a conferma che i cali di fatturato e produzione sono associabili a condizioni metereologiche avverse, più che ad un calo di attività.

Di fronte alla pesante crisi di tutti i comparti manifatturieri italiani si può affermare che, almeno nel 2012 il marmo resiste; infatti secondo i dati forniti dall’Istat, in Italia è stato esportato marmo in blocchi e lastre per un totale di 1 milione e 380 mila tonnellate, in crescita rispetto al 201148.

Nel 2013, a livello macroeconomico, il settore marmo e pietre si conferma stabile e neutrale, anche se si evidenziano differenze sia a livello geografico, sia a livello di settore: per quanto riguardo le esportazioni, nel periodo gennaio-settembre 2013 le esportazioni sono cresciute in valore (+7,2%) e in quantità (+3,2%) e la

47

AA.VV.”Rapporto economia Massa-Carrara 2013”, Carrara, Istituto di studi e ricerche 2013, pag. 95-96 48

AA.VV. “Rapporto economia Massa-Carrara”, 2013, Carrara, Istituto di studi e ricerche 2013, pag 99-100

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voce più importante è ancora quella del marmo lavorato. L’export del lapideo italiano (composto da marmi bianchi e colorati, graniti, travertini ed altre pietre sia grezzi che lavorati), fa registrare nei primi nove mesi del 2013 un trend positivo.

L’Italia ha esportato verso i paesi della Comunità Europea il 40% del valore complessivo ma con un saldo negativo rispetto al 2012 quando rappresentava quasi il 43% dei valori: le aziende italiane si orientano dunque sempre più verso paesi extra europei come mercati finali49.

La crescita nazionale del settore riguarda però, soprattutto l’estrazione dei blocchi, mentre la lavorazione è in continuo ridimensionamento a causa della concorrenza internazionale.

Incidenza del settore lapideo apuo – versiliese sul PIL:

Secondo l’indagine congiunturale svolta nel 2013, le aziende toscane ottengono performance di fatturato e occupazione migliori del resto d’Italia.

Ogni anno a dicembre viene inviato un questionario congiunturale a tutte le aziende facenti parte del settore lapideo e tecnico – lapideo a livello nazionale. L’obiettivo è quello di valutare l’andamento del distretto apuo – versiliese rispetto al resto d’Italia. Gli indicatori riguardano una serie di macro aree tra cui quella di valutazione della performance occupazionale, economica e innovativa. Il rapporto finale esce a fine febbraio, e descrive l’andamento che ha avuto il settore lapideo nell’anno appena concluso.

Dall’analisi congiunturale realizzata da IMM Carrara emergono segnali di ripresa del mercato interno; nel 2013, le aziende del settore lapideo che operano nel comprensorio lapideo apuo – versiliese hanno registrato una performance di fatturato e occupazione migliore di quelle collocate nel resto d’Italia. È un risultato che deriva principalmente alla presenza di maestranze di assoluta eccellenza, selezionate e qualificate attraverso una tradizione che lega industria, arte e materiali di altissimo pregio che hanno fatto della Toscana la regione con il più alto valore dell’export di lavorati anche nei primi nove mesi del 2013.

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È il risultato dell’analisi svolta su un campione di 202 aziende di cui 65 in Toscana (60 nel comprensorio apuo – versiliese) e 137 nel resto d’Italia.

L’elevato grado di internazionalizzazione delle imprese Apuane fa registrare un’incidenza media dell’export sul fatturato del 56,6%, percentuale destinata a crescere perché la crisi e il calo della domanda interna hanno innescato un processo di apertura ai mercati internazionali che si consolidano anno dopo anno. Anche a livello nazionale l’incidenza dell’export sul fatturato, che era mediamente pari al 32% nel 2012, nel 2013 risulta intorno al 38%.

Dai risultati dell’indagine IMM, infatti, emerge la crescita, rispetto al 2012, della percentuale di aziende che dichiara un fatturato sul mercato italiano in lieve aumento.

Nel comprensorio apuano la percentuale di aziende che ha dichiarato di avere conseguito un utile nel 2013 supera di 33 punti percentuali quella delle aziende che dichiara una perdita.

Per quanto riguarda occupazione e mercato del lavoro, gli addetti del settore lapideo italiano per il 2013 sono stati stimati nel numero di 67.366 unità.

L’88% delle aziende sono microimprese con meno di 10 dipendenti e la dimensione media del settore è stimata intorno a 6,26 addetti.

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