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La gestione dell'abitare e il “privilegio” di essere algerini

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Academic year: 2021

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Capitolo Quattro

La gestione dell'abitare e il “privilegio” di essere algerini

“Mon père était un musulman, mais moi je suis parisien.” “Voulait-il dire que l'Islam est un lieu, ou que Paris est une religion?”

Bernard Lewis, Musulmans en Europe (1992)

4.1 Logement social1: cenni storici

Le origini dell'edilizia sociale in Francia risalgono alla seconda metà del XIX° secolo, quando l'industrializzazione spinse a migrare dalla aree rurali verso i centri urbani, in particolare verso la capitale. Numerose persone si trovarono sprovviste di mezzi e di un'abitazione, andando a ingrossare le fila dell'habitat insalubre. La congestione abitativa in sé non portò la questione all'attenzione nazionale, mentre le ricorrenti epidemie di colera scatenarono reazioni di sdegno, preoccupazione e iniziative in materia2.

Sotto la Seconda Repubblica, la questione del mal-logement e il generale movimento europeo d'inquietudine di fronte alle condizioni abitative delle classi lavoratrici, portano, nel 1850, all'emanazione di una legge “relative aux logements insalubres”. Già prima c'erano state iniziative in materia (legge del 1807, ordinanza del 18 Dicembre 1848), ma la legge del 1850 unifica impressioni, inchieste e scritti precedenti3.

Con l'Impero Napoleonico si costruiscono, per mano padronale, le prime cités ouvrières (la cité Napoleon, a Parigi; le cités di Mulhouse e Creusot) e i primi alloggi sociali da parte delle correnti filantropiche e igieniste (Fourier, Godin, Menier)4.

Nella capitale, una popolazione povera si era intanto stabilita nell'area delle vecchie 1 Per logement social s'intende l'alloggio sociale, spesso denominato all'inglese social housing, come definito anche a livello normativo italiano: l'art. 1 del decreto del 22 Aprile 2008 definisce alloggio sociale “l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato”. 2 Lyons A.H. (2004), Invisible Immigrants: Algerian Families and the French Welfare State, 1947-1974, Dissertation,

University of California, Irvine; p. 141-142.

3 Cfr. Fijalkow Y., “Le mots français du mauvais logement (XIX-XX siècle)”, in Depaule J.C. (sous la direction de) (2006), Les mots de la stigmatisation urbaine, UNESCO, Éditions de la Maison de sciences de l'homme, Paris; p. 76-77.

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fortificazioni5, ricordata come “la zona”, che, persa la funzione militare, offre il suo spazio

alla costruzione delle baracche, da parte di coloro che saranno chiamati zoniers o zonards.

Le habitations à bon marché

L'alloggio popolare prende forma autonoma nel 1894, con la legge Siegfried, che incoraggia la costruzione di “abitazioni a buon mercato” (HBM), con affitti sociali ed esoneri fiscali, stabilendo le modalità degli aiuti di Stato, dipartimentali e municipali, alla loro costruzione. Una serie di iniziative legislative si susseguono al fine di dare seguito a questo primo impulso.

La legge Strauss del 1906 permette ai comuni di intervenire in materia, ovvero riconosce la legittimità di un'azione pubblica per favorire l'alloggio sociale; azione che si svilupperà grazie alla creazione di uffici pubblici per le HBM a livello locale, autorizzati dalla legge Bonnevay del 1912. La legge Ribot del 1908 crea invece le società di Credito immobiliare per favorire l'accesso alla “piccola proprietà”.

Una legge di programmazione arriva nel 1928, la legge Loucheur, che marca il primo impegno finanziario dello Stato nella produzione di alloggi sociali. Si prevedono 260.000 alloggi in cinque anni, attraverso l'inserimento delle risorse necessarie nella legge finanziaria annuale e l'obbligatoria collaborazione della Caisse de dépôts et consignations, autorizzata a impiegare un quinto del proprio fondo di riserva per finanziare, attraverso prestiti, le nuove società di HBM6. L'alloggio è divenuto una questione politica centrale, sopratutto a livello

locale:

Il se situe à l'intersection des différents champs de l'intervention publique sociale, urbaine, foncière et financière. Le logement revêt une fonction économique, c'est un bien de consommation, un bien d'usage, mais également un bien patrimonial, fierté des municipalités lorsqu'elles ont contribué à leur édification. Le logement est attaché à une forte dimension symbolique; c'est un élément de l'identité locale, un bien culturel et social des territoires, élevé dans un environnement institutionnel, dans un espace géopolitique qui caractérise un mode d'habiter et un mode de vie spécifique.7

Le nuove abitazioni beneficeranno dei moderni comfort (acqua calda, gas, riscaldamento), ma la struttura e le cupe facciate ricorderanno le caserme militari, un solo 5 Nel 1840, Thiers - ministro e presidente del Consiglio - ottiene dal re Luigi Filippo la possibilità di lanciare i lavori di fortificazione senza l’accordo finanziario dell’Assemblea. Così prende vita la prima cintura fortificata di Parigi, per un perimetro di 38 km e con una zona non aedificandi di 250 metri.

6 Pourtout B., “La première loi de programmation de logements sociaux. La loi Loucheur et les offices publics d'HBM dans l'agglomération parisienne (1928-1939)”, in Bellanger E., Girault J. (sous la direction de) (2008), Villes de banlieues. Personnel communal, élus locaux et politiques urbaines en banlieue parisienne au XXe siècle , Créaphis, Paris; p. 110-111.

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ingresso sorvegliato permetterà di entrarvi.

Ispirati dalla corrente igienista e paternalista della borghesia del Secondo Impero, le HBM riuniscono una tendenza del cattolicesimo sociale e una tendenza conservatrice e moralizzante, che vede nell’alloggio delle classi povere un mezzo di dissuasione dalle lotte8.

Sull’ondata dei “timori politici e sanitari” si inizia a costruire l’esile frontiera che dividerà le classi laboriose (più che lavoratrici, come recita la traduzione italiana) dalle classi pericolose9.

Le HBM saranno costruite, a Parigi, perlopiù nella “zona”, fino a quel momento area non-ædificandi, che avrebbe invece dovuto essere sostituita con una cintura verde. Attualmente essa corrisponde alla traccia dei boulevards périphériques e resterà, nell’immaginario collettivo, territorio extra muros, dove si cercano di attutire i rumori (dovuti al traffico) e nascondere la miseria.

Tra le due guerre, il modello degli alloggi sociali è costituito dalla “città-giardino”, un nuovo modello di urbanità ispirato alle teorie di Ebenezer Howard10. Elementi

fondamentali sono la dimensione dell'insediamento e una densità abitativa relativamente bassa (32.000 abitanti); la proprietà municipale del terreno, al fine di evitare speculazioni; la presenza di una cintura agricola attorno e strutture pubbliche al centro della città; il controllo sulle attività economiche e una struttura a rete tra tutte le città-giardino11.

L'ufficio HBM del dipartimento della Senna, diretto da Henri Sellier, lancia, tra il 1921 e il 1939, un programma per la costruzione di quindici città-giardino. L'impatto di tali iniziative resta comunque poco rilevante e, per quello che concerne gli immobili collettivi, non si distingueranno molto dai grands ensembles del dopoguerra12.

Il Ministero della Ricostruzione e dell'Urbanizzazione e le habitation à loyer moderée

La Seconda Guerra Mondiale distrugge oltre il 20% dell'edilizia francese - incluse circa 250.000 unità abitative - e un altro milione di strutture sono distrutte parzialmente13. La

ricostruzione è una delle principali preoccupazioni della Quarta Repubblica e la responsabilità ricade principalmente sul Ministero della Ricostruzione e dell'Urbanizzazione 8 Zucconi G. (2001), La città dell’Ottocento, Laterza, Roma-Bari; in particolare pp. 69-133, per un’analisi

dell’evoluzione dei luoghi dell’abitare e del lavoro, confrontando Londra, Parigi e altre grandi capitali. 9 Chevalier L. (1976), Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella rivoluzione industriale, Laterza, Roma-Bari. 10 Howard E. (1972), La città giardino del futuro, Calderini, Bologna (trad. it. di Tomorrow: a Peaceful Path to Real

Reform del 1898, ristampato nel 1902 col titolo Garden Cities of Tomorrow).

11 Ibidem. Interessante e con esempi concreti di città giardino, Schiavi A. (1985), Le case a buon mercato e le città giardino, Franco Angeli, Milano. Per una mappatura delle città giardino in Francia, principalmente nel dipartimento della Senna, si veda Wikipédia alla voce “Cité-jardin”.

12 Boyer J.C. (2000), Les banlieues en France. Territoires et société, Armand Colin, Paris; p. 29. 13 Lyons A.H. (2004), p. 147.

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(MRU). Con i primi due ministri, Raoul Dautry e François Billoux, si da la priorità alle infrastrutture nazionali, all'industria e agli edifici pubblici14.

Nel 1948 diviene ministro Eugène Claudius-Petit, allievo di Le Corbusier, seguace del movimento Bauhaus e combattente della Resistenza, che, contrariamente ai suoi predecessori, attribuisce grande importanza alle politiche abitative. Egli non crede nella sola ri-costruzione, quanto piuttosto nella costruzione di una nuova Francia, in spirito modernista. Dei quattordici milioni di nuovi alloggi che egli proponeva, solo 45.000 furono costruiti tra il 1947 e il 1952, ma la sua visione influenzò l'approccio agli alloggi sociali per decadi15.

E' inoltre con Claudius-Petit che le HBM divengono la attuali HLM, habitations à loyer moderé [case popolari], continuando a essere unità abitative a basso costo, ma con ulteriori incentivi finanziari statali volti all'incremento della loro costruzione, per rispondere alla crescente crisi dell'alloggio. In tale contesto si inseriscono, o addirittura prendono vita, diverse società, che approfittano delle contingenze per dare man forte allo Stato nella costruzione, ovviamente non senza trarne benefici16.

Nel 1953 al MRU arriva Pierre Courant, che redigerà l'omonimo piano, la prima politica in materia di alloggi sociali completa e a lungo termine. Standard nazionali di abitabilità in termini di quantità e qualità spaziali vengono fissati; si offrono nuovi incentivi alle compagnie HLM, quali bonus, prestiti a bassi tassi d'interesse e sussidi monetari. La maggior parte dei fondi per queste operazioni proviene dalla tassa dell'1% imposta ai datori di lavoro con 10 o più dipendenti, tassa detratta dai salari dei lavoratori e della quale una parte resta ai datori per sostenerne i costi alloggiativi (decreto-legge del 9 Agosto 1953).

Circa 500.000 unità furono costruite tra il 1953 e il 1962, di cui oltre 80.000 solo nel 1959, anno del picco massimo17. I destinatari di tali abitazioni erano perlopiù le fasce

superiori della classe operaia e la classe media; le categorie sociali più indifese restano 14 Ibidem.

15 Ibidem e segg.

16 La società Bouygues, fondata da Francis Bouygues nel 1952, si lancia nel 1955 nella costruzione delle HLM. Negli anni '60 sviluppa un settore di lavori pubblici approfittando sempre dei grandi progetti statali (autostrade, palazzo dei congressi di Porte Maillot, Aeroporto 2 a Roissy). Negli anni '70 costruisce piattaforme petrolifere off-shore, prende il controllo della SAUR, uno dei principali gruppi di distribuzione dell’acqua, e di TF1, il primo canale francese, del quale la privatizzazione è decisa dal governo. Attualmente Bouygues è anche il terzo operatore di telefonia mobile in Francia. Questi sono solo alcuni cenni, che possono già fornire un’idea di quanto sia “volontaristica” la costruzione degli alloggi sociali. Dati tratti dalla voce “Bouygues” su Wikipédia. Mike Davis, parlando di Los Angeles, ci fornisce un altro nome che ha partecipato a questo “banchetto”: “Il massimo effetto allucinatorio è raggiunto dalle comunità costituite da cancelli, costruite da Kaufman & Broad, gli impresari che divennero famosi negli anni '70 per aver esportato le incoerenze urbanistiche hollywoodiane nei sobborghi di Parigi”. Davis M. (1993), La città di Quarzo, Manifestolibri, Roma, p. 9.

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invece confinate in alloggi vecchi, spesso insalubri, o in abitazioni di fortuna. La Francia aveva affrontato strutturalmente la questione abitativa, ma l'esplosione del baby boom e dell’immigrazione ne rivelano la complessità.

L'emergenza abitativa, generalizzata a tutta Europa, fa sì che le fasce più deboli restino escluse, nonostante i provvedimenti governativi. In tale contesto si inseriscono gli emigrati algerini, che, seppure in teoria soggetti allo stesso trattamento degli altri cittadini, di fatto vivono una condizione “diminuita” già in partenza. L'esclusione è triplice, gli algerini sono fasce deboli in termini di reddito e migranti coloniali. A ciò si aggiunge l' “esclusione declinata nelle sue modalità spaziali”, che non lascerà loro via d'uscita.

L'immediato bisogno di restare in Francia per lavorare, nonostante l'assenza di un alloggio, dà vita a forme di habitat auto costruito, noto col nome di bidonville, o comunque a forme di habitat insalubre. Solo in un secondo momento il governo francese si preoccuperà di affrontare questa dinamica spaziale che aveva preso piede nel paese, concernendo perlopiù immigrati, ma non solo.

Secondo Gastaut,

la marginalité des bidonvilles était la conséquence d'un contexte économique social et culturel propre à la France de l'après Seconde Guerre Mondiale. Plus qu'un territoire, le bidonville était partie prenante d'une culture de l'exclusion déclinée alors sur un mode spatial.18

Non è infatti con lo sradicamento delle bidonvilles che l'inclusione avrà luogo, non è con le HLM che il sistema discriminante avrà fine. Cambiano i fattori, ma l'intrinseca esclusione resta, come risposta ad ogni marginalizzazione - economica, sociale o culturale - che la società francese metterà in atto.

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4.2 L'invisibile emergenza delle bidonvilles

Il quotidiano France Soir del 29 Ottobre 1957 propone una mappa delle bidonvilles nella regione parigina19. E' uno dei primi atti di riconoscimento

pubblico della situazione abitativa disperata che aveva preso piede nel paese. Una serie di reportages emergeranno tra il 1964 e 1965 - La Croix, Le Monde, Le Figaro, L'Humanité -, ma solo nel 1966 un'inchiesta ufficiale nazionale, effettuata tra Giugno e Settembre, tenta di valutare l'importanza del fenomeno a livello nazionale20.

I risultati permettono di tracciare un quadro della “Francia dei taudis” a metà anni '60. Tre regioni accoglievano allora il 90% degli abitanti delle 225 bidonvilles reperite: Parigi e la sua banlieue (62%), dove le 119 bidonvilles censite raggruppavano circa 4.100 famiglie e 47.000 persone; la Provenza (19%) e il Nord (8%). In particolare, nove comuni ospitavano, da soli, due terzi della popolazione delle bidonvilles: Champigny-sur-Marne (15.000), Nanterre (10.000), Saint-Denis (5.000), La Courneuve (2.500), Gennevilliers (2.500), Massy (1.000) per la regione parigina, così come Marsiglia (8.000), Lille (4.000) e Toulon (2.000)21.

L'inchiesta attesta che in totale le bidonvilles raccolgono circa 75.000 persone, perlopiù, ma non esclusivamente, di nazionalità straniera: 42% magrebini, 21% portoghesi, 6% spagnoli e 20% francesi, dei quali la maggior parte abitavano a Noisy-le-grand (80% francesi). Le bidonvilles che raggruppavano una sola nazionalità non esistevano, ciascuna ne raccoglieva diverse, anche se quasi sempre esisteva una dominanza etnica22.

I tentativi di censimento delle bidonvilles e dei loro abitanti resteranno comunque imperfetti, in ragione dell'assenza di mezzi di controllo e delle fluttuazioni incessanti del numero degli abitanti. Ciò che interessa però, oltre la rilevanza quantitativa, è la 19 Vedi immagine a fianco, scattata alla Cité National de l'Histoire de l'Immigration, Parigi, Gennaio 2009.

20 Gastaut Y. (2004), “Les bidonvilles, lieux d'exclusion et de marginalité en France durant les trente glorieuses”, Cahiers de la Méditerranée, vol. 69 (http://cdlm.revues.org/document829.html).

21 Ibidem.

22 Vedi ad esempio Champigny-sur-Marne, definita la “plaque tournante de l'immigration portugaise” in Pegna S. (2000), p. 107 e Volovitch-Tavares M.C., Portugais à Champigny-le temps de baraques, Autrement, HS n°86; oppure Nanterre, “terra algerina” in Sayad A. con la collaborazione di Dupuy É. (1995), Un Nanterre algérien, terre de bidonvilles, Autrement, Paris.

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comprensione di tale modalità di occupazione dello spazio, la ridefinizione dei luoghi, le condizioni di vita, l'approccio della società francese al fenomeno.

Bidon/ville: ville en bidon, bidon de ville

Il termine Bidonville è in origine il nome proprio di un quartiere di Casablanca, durante il protettorato francese. Per la sua potenza evocatrice - letteralmente traduce una ville (città) fatta di bidon (bidone, latta) - il termine viene generalizzato, arrivando a indicare un'ampia categoria stigmatizzante di modalità abitative della città contemporanea: dall'alloggio spontaneo, insalubre e miserabile, a quello clandestino, illecito, marginale o informale23.

Una sola parola permetterà di indicare contesti geografici e modi di costruzioni differenti a seconda delle espressioni locali. Quando la separazione intrinseca alla città coloniale, tra “habitat europeo” e “habitat indigeno” (casba, medina), non regge più, è negli interstizi che dividevano le due forme di stabilimento che si creano le bidonvilles:

On dit alors “vivre en bidonville”, et non plus “vivre à Bidonville”: l'expression ratifierait dès lors une modalité “indigène” de vivre en ville et de vivre la ville en contexte colonial.24

In Francia, la loro presenza sarà riconosciuta solo negli anni '50, nonostante le bidonvilles fossero di fatto già presenti dalla metà degli anni '40, in conseguenza soprattutto delle distruzioni della Seconda Guerra Mondiale, se non anche ben prima, considerando gli “assemblages géométriques de bicoques disparates, baraquements informes et de pistes boueues” presenti nella “zona” della regione parigina dal 191925.

Si aveva un certa precauzione nell'impiego del termine, a causa della stigmatizzazione che la parola si porta dietro. Inizialmente si utilizzerà la formula di “alloggio provvisorio”, rinviante all'idea del transitorio e del luogo di passaggio, per aggiungervi poi gli aggettivi “spontaneo” e “autocostruito”26.

Indubbiamente nelle bidonvilles delle città europee c'è una proiezione inconscia dello spazio di origine, ma questo perché non si hanno mezzi per inventarsi un altro spazio e non si hanno altri spazi da poter progettare27. Il collegamento sempre più stretto tra i

Francesi musulmani d'Algeria e le bidonvilles realizza invece appieno l'associazione di un tipo

23 Cattedra R., “Bidonville: paradigme et réalité refoulée de la ville du XXe siècle”, in Depaule J.C. (sous la direction de) (2006), p. 123.

24 Ivi, p. 132. 25 Ivi, p. 137. 26 Ivi, p. 135-136.

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di habitat, di uno spazio urbano, a un tipo di popolazione definito per la sua origine28. Ma

più che l'esito di tale proiezione, le bidonvilles appaiono il prodotto della civilizzazione industriale, del capitalismo e del colonialismo29.

Non c'è alcun intento precostituito nella costruzione delle baracche, fino a che non diviene indispensabile ricorrere a questa soluzione vecchia come il mondo, a causa del sovraffollamento degli spazi disponibili. “Le bidonville ne se crée pas, un jour, à une date précise; il ne s'inaugure pas. Il est une création continue”, scrive Sayad.30

Le modalità di occupazione dello spazio, così come l'attività lavorativa, dei nuovi venuti sono determinate in gran parte dal potente fattore di attrazione delle reti migratorie, intese come “complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione, attraverso i vincoli di parentela, amicizia e comunanza di origini”31. Ogni nuova migrazione segue le orme dei percorsi migratori

precedenti: precisamente, si va ad abitare laddove si è chiamati, laddove si ha già un appoggio, delle conoscenze.

Il mercato delle baracche

In Francia, l'enorme e continuo afflusso di lavoratori algerini, ma soprattutto di donne e bambini negli anni della Guerra d'Algeria, si andrà a concentrare nelle zone già popolate da algerini e l'insufficienza del mercato dell'alloggio si rivelerà immediatamente in tutta la sua portata32. Persona dopo persona, ogni tetto si riempie fino all'orlo: si utilizzano letti a

castello a molti posti, camere in pessimo stato, locali insalubri e sottosuoli; certi letti sono occupati la notte da una persona e il giorno da un'altra (che lavora la notte)33.

L'alloggio per migranti diviene, per le sua elevata domanda, un mercato da sfruttare ed è fondamentale il ruolo giocato, sotto la maschera della solidarietà e della generosità, dai proprietari di alberghi e dei cosiddetti cafés arabes34, che si è finito per designare sotto il

28 Cfr. De Barros F., “Des Français musulman d'Algérie aux immigrés. L'importation de classification coloniales dans les politiques du logement en France (1959-1970)”, Actes de la recherche en Sciences Sociales, n° 159, 4/2005.

29 Cfr. Cattedra R., cit., p. 138. 30 Sayad A. (1995), p. 25.

31 Massey D.S. citato in Ambrosini M. (2005), Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, p. 80.

32 Spesso il trasferimento in bidonville segue la venuta della famiglia del lavoratore, che fino a quel momento abitava insieme ad altri uomini nelle condizioni che vedremo. L'inchiesta di Monique Hervo e Marie-Ange Charras (Bidonvilles, l'enlisement, Maspero, Paris, 1971) apporta numerose conferme di questo processo. Citato in Sayad A. (1995), p. 39.

33 Ivi, p. 27.

34 I cafés arabes hanno le funzioni sia di bar, che di ristorante e dormitorio. Già nel 1934 i marocchini erano proprietari della metà dei 18 caffè della città; nel 1945, 8 erano marocchini e 6 algerini, per passare poi ai 21 caffè algerini e 6 marocchini all'inizio del 1954. Che ne siano stati all'origine o condividano solamente

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nome di marchands de sommeil (mercanti del sonno). Agendo come autorità, essi sono a capo dell'edificazione delle prime baracche, come veri imprenditori che “prolungano” i propri possedimenti con annessi di fortuna.

Sayad parla di contribules (dal latino “contribulis”), ovvero di appartenenti alla stessa tribù, in quanto, perlopiù, l'alloggio si trovava presso persone originarie dello stesso villaggio o dello stesso douar35, che gestivano le suddette attività:

Je n'avais plus de place dans le huit chambres de l'hôtel, je ne pouvais plus ajouter une seule personne. Or il ne se passait un jour sans qu'on vienne frapper à la porte demander un lit, un matelas, une place n'importe où, n'importe comment, sous un plafond [...] Là-bas (en Algérie), ils se disent: on a X..., c'est un parent, c'est quelqu'un du village, du pays, il me logera. Mais quand ils arrivent, ici, c'est bouché, c'est complet. Comment faire? Ils sont bien contents de trouver une baraque. Ils n'ont pas le choix. Et ils l'acceptent, heureux!36

Su terreni vacanti vengono costruite le prime baracche, rendendosi acquirenti della proprietà che qualcuno poco prima si era arrogato o facendosi accordare dal proprietario l'autorizzazione a porvi una baracca. Le bidonvilles sono una creazione degli immigrati per gli immigrati, ricorda Sayad, forme di “solidarietà costretta” in uno spazio illecito, dove “ciascuno si avvale della presenza dell'altro per trovare una ragione e una consolazione alla propria presenza”37.

Prima in prossimità di alberghi e caffè, poi in ogni spazio vuoto o interstizio tra costruzioni urbane, le baracche si susseguono. Questo “mercato immobiliare” cresce a dismisura: le baracche si affittano, vendono, acquistano, scambiano. A seconda dei materiali di costruzione, si passa da un costo di 60.000 a 250.000 franchi, il salario annuale di un operaio38.

Gli interessi attorno a tale organizzazione dello spazio si rivelano molteplici: i marchands de sommeil estendono la “quantità di sonno” vendibile; i padroni delle fabbriche, dove la maggior parte degli immigrati lavorano, vi trovano un modo per far stabilire i propri operai; la polizia dispone in tal modo di una mediazione utile per controllare una popolazione senza residenza; e, infine, gli interessati finiscono per preferire una baracca a una distesa di materassi, con decine di persone, nel sottosuolo di un caffè. Ma le condizioni di vita nelle bidonvilles restano ovviamente fuori da ogni umanità.

lo stesso spazio di relegazione, questi caffè si trovano tutti nei quartieri conosciuti per le bidonvilles. Ivi, p. 28.

35 Ivi, p. 24.

36 Così si esprime uno dei primi sfruttatori dei caffè-hotel, un vero imprenditore delle baracche. Ivi, p. 23. 37 Ivi, p. 32.

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Acqua, mota, topi, sporcizia, fuoco, vergogna

Sayad individua alcune parole chiave per descrivere gli aspetti più crudi e che più perseguitano la vita degli abitanti delle bidonvilles. Dense di significato, ci sembrano molto efficaci per tratteggiare questa esperienza abitativa costretta, ai margini delle città.

Bidonville a Meons. Foto di Lèon Leponce.

http://www.pointsdactu.org/IMG/jpg/Couv_Memoires_d_exils-4.jpg

Acqua. E' la prima angoscia, l'ossessione, di ogni abitante delle bidonvilles. L'acqua è estremamente dannosa e irrefrenabile (pioggia), ma è anche un bene prezioso recuperabile con molta fatica (acqua potabile, come per qualunque altro uso). La prima arriva infatti in abbondanza e non risparmia spazio alcuno, attraversa le pareti e penetra dal terreno, costringendo a spostare il materasso più volte durante la notte, e infine resta lì, dappertutto39. La seconda è invece un compito pesante e umiliante. Si è costretti ad andare

ad approvvigionarsi d'acqua ai confini delle bidonvilles, sotto gli sguardi sprezzanti dei passanti, e trasportare poi i bidoni a spalla, fino a che non si sono costruite delle carrette o la macchina ne ha evitato il faticoso trasporto40.

Mota. La boue è, in qualche modo, il segno evidente di una condizione sociale, quella del “deplacé”, del fuori luogo, come lo è la mota che si trasporta sulle scarpe sull'autobus, nei 39 Ivi, p. 44.

40 Un vecchio abitante di una bidonville afferma che l'acquisto di una macchina era una spesa enorme ma spesso era volta davvero a risolvere la questione dell'acqua e anche quella della vergogna nel mostrarsi in tale stato di necessità. Ivi, p. 62

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negozi, fino al lavoro o a scuola. E' la prova di un'urbanità povera, incompleta.

Topi. Sono descritti come un'emanazione della bidonville, con un linguaggio quasi militare: sono una legione, invadono, attaccano, distruggono. Sono ancora più invincibili delle inondazioni, della penuria d'acqua, della mota, dell'umidità. Nell'immaginario collettivo vivere in bidonvilles è “vivere come topi” e mai analogia potrebbe essere più feroce41.

Sporcizia. L'assenza di water, di condotti di evacuazione, così come di un organizzazione municipale della spazzatura, fa sì che tutte le immondizie restino necessariamente in prossimità e, alla lunga, dappertutto, così da farvi identificare gli abitanti stessi.

C'était la merde dans la merde, et il n'y avait que ça, tu allais là-bas, tu tombais toujours sur de la merde, tu marches dessus, ça pue de la merde; là-bas, tu la respires, tu la touches, elle te colle à la peau..., elle ne te quitte pas, tu la transportes avec toi,et, à la fin, tu deviens de la merde, tu as conscience que tu n'est plus que ça...et rien d'autre. Tu peux te parfumer comme tu veux, tu sens de la merde parce que la merde, c'est toi.42

Fuoco. Pericolo permanente, minaccia costante, è l'espressione della precarietà esistenziale. “Non si è mai sicuri di ritrovare la propria baracca dopo un giorno di assenza”43. L'illuminazione, così come il riscaldamento, sono ottenuti con mezzi di fortuna

e dunque estremamente pericolosi. Incendi e intossicazioni sono frequenti, la minima scintilla rischia di far prendere fuoco a tutte la baracche vicine, sempre troppo vicine e troppo fragili. Non ci sono telefoni e i camion dei pompieri hanno difficoltà ad arrivare44.

Vergogna. La honte si presenta ad ogni occasione nella quale si entra in contatto con l'esterno: la visita medica a domicilio, la semplice indicazione del proprio indirizzo, l'approvvigionamento quotidiano dell'acqua o sui trasporti pubblici. In ogni situazione o si è sempre troppo vicini alla bidonville o essa resta comunque “incollata alla pelle”, malgrado ogni precauzione che si possa prendere45. Il solo sguardo veicola la reazione collettiva al

mondo delle bidonvilles nella sua totalità e la vergogna fa desiderare di nascondere “metà del proprio corpo”, di “être avalé par le sol”, “entrer sous terre”, “se pousser dans le trou”, fa “baisser la tête”46.

41 Ivi, p. 85.

42 Parole dei più giovani, dei figli, che spesso neanche hanno vissuto nelle bidonvilles, ma si autorizzano a parlarne con un vocabolario realistico, crudo, di denuncia. Ivi, p. 94.

43 Ivi, p. 99.

44 L'incendio diviene, in certi casi, un modo di espulsione. A Nanterre tra il 1954 e il 1956, tre grossi incendi distruggono centinaia di baracche. Ivi, p. 100.

45 Ivi, p. 43. 46 Ivi, p. 49.

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Esclusione e controllo

Nelle bidonvilles l'esclusione si manifesta ai suoi abitanti in ogni momento della giornata, sempre in agguato per ricordar loro l'enorme distanza sociale dalla condizione di cittadini/abitanti, intesi in senso ampio come depositari di diritti.

Non riconoscere le baracche come luogo di abitazione, dunque non valide per l'ottenimento di documenti o per l'esercizio di alcuni diritti, è stato un efficace mezzo di esclusione, o, per meglio dire, di annullamento totale. Dal momento in cui divenne obbligatorio un certificato di residenza anche per gli algerini47, le famiglie rimaste nelle bidonvilles, sprovviste di tale documento, hanno passato anni senza rivedere il proprio paese, per il rischio di non poter poi più rientrare in Francia. L'indirizzo diviene così un privilegio da sfruttare, un mezzo col quale guadagnare soldi, concedendolo a chi se trovava privato48.

Per le stesse ragioni di invisibilità del luogo di vita, numerose complicazioni coinvolgevano anche i servizi postali, così come il prelevamento della spazzatura. Questo stesso essere al di fuori della legalità poneva gli abitanti delle bidonvilles in un atteggiamento di sfiducia e incertezza verso ogni “ingresso” governativo nel loro spazio, sia che questo fosse volto alla sorveglianza, sia che mirasse a un censimento in vista di un futuro alloggio49.

Per facilitare la sorveglianza e per avere una gestione minima delle bidonvilles, la polizia effettua una mappatura dei luoghi: una numerazione delle baracche attraverso grandi numeri dipinti sulle porte. Un'equipe di poliziotti - chiamata, secondo le zone, Brigade Z, brigata di demolitori o di casseurs - era incaricata del controllo delle bidonvilles. Era composta da poliziotti in punizione, dotati di uniformi blu, enormi stivali e mazze50.

I membri della brigata entravano senza preavviso all'interno delle abitazioni, si servivano caffè, rovistavano tra le cose, le lanciavano in aria o gettavano nella mota, spesso si divertivano anche a impaurire le famiglie con il lancio di petardi. I soprusi erano frequenti, con la costante minaccia di demolizioni o confische di materiali indispensabili per il mantenimento delle baracche51.

Nessuna regolamentazione delle bidonvilles seguiva a questi interventi dello Stato, la relazione tra funzionari e marginalità era molto ambigua: da un lato, faceva sperare in un 47 Cfr. infra cap. II.

48 Gastaut Y. (2004).

49 Consiglieri sociali della Prefettura di Polizia di Parigi, dipendenti dal Service d'assistance technique aux Français musulman d'Algérie (STA-FMA), creato nel 1964, effettuavano inchieste nelle bidonvilles, sempre scortati dalla polizia in uniforme. Ibidem.

50 Ibidem. 51 Ibidem.

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intervento di sistemazione in migliori condizioni; dall'altro, si percepiva l'unicità del fine repressivo.

Con la Guerra d'Algeria e la conseguente guerra interna sul suolo francese al Fronte di Liberazione Nazionale algerino, la repressione raddoppia nelle bidonvilles, sede di propagazione del movimento per eccellenza e dunque luogo nemico52.

4.3 La decolonizzazione e l'illusione di spazi provvisori

Il periodo della decolonizzazione fu il più controverso: la Francia ha la necessità di scoraggiare il nazionalismo portato avanti dalla federazione francese del FLN e lo fa avvalendosi di una retorica inclusiva e di un'esorbitante surplus di servizi sociali ad hoc per algerini, proprio mentre una sanguinosa guerra è perpetrata sul suolo coloniale.

Nel 1959, quando in Algeria si parla di “pacificazione”, in Francia comincia a porsi la questione delle famiglie e il contesto rende l'approccio a questo tipo di migrazione molto ambiguo. Nell'intento di far sentire gli algerini “cittadini francesi come tutti gli altri”, la rete del welfare coltiva l'ospitalità, individuando nella donna un fattore cruciale53. Quest'ultima è

ritenuta infatti giocare un ruolo “stabilizzatore” ed essere uno stimolo verso l'integrazione, al contrario dell'uomo, ritenuto da sempre soggetto a stimoli negativi, quali l'alcool, l'instabilità psicologica, l'aggressività, il desiderio di rivolta e la suscettibilità alla sovversione54.

Oltre alla presunta depoliticizzazione dell'uomo, l'unità familiare è ritenuta assicurare la conservazione dell'ordine sociale, evitando matrimoni tra uomini algerini e donne francesi55. In tal senso, i Cahiers Nord-africains56 giocano un ruolo centrale. Questi 52 Si deve tener conto anche della lotta interna al movimento nazionalista algerino tra Mna (Mouvement nationaliste algérienne) e Fln, che in Francia ha luogo principalmente nelle bidonvilles. A questo si aggiunge la repressione francese, con innumerevoli uccisioni e torture. Ibidem.

53 Lyons A.H. (2004), Invisible Immigrants: Algerian Families and the French Welfare State, 1947-1974, Dissertation, University of California, Irvine;

54 Ivi, p. 119. 55 Ibidem.

56 Nel 1950 nascono gli Études sociales nord-africaines (Esna), ad opera di Jacques Ghys, prete bianco, che già nel 1947 aveva fondato un'associazione di aiuto ai Nord-africani residenti in Francia, l'Amana (Assistance morale et aide aux Nord-Africains), essenzialmente destinata all'alfabetizzazione dei lavoratori algerini. Parallelamente al lavoro sociale, Ghys ritiene utile mettere a conoscenza la Francia delle realtà dell'Islam, del mondo arabo e del Magreb in particolare, così come delle condizioni dei lavoratori presenti in Francia e da lì provenienti. Da un lato, il settimanale Documents nord-africains riprende gli articoli informativi della stampa francese e internazionale; d'altro lato, i Cahiers nord-africains, periodici irregolari, diffondono studi e dossier inediti su questioni specifiche: da "La femme musulmane" (n° 27, dicembre 1952) fino a "Présence nord-africaine en Belgique" (n° 48, settembre-ottobre 1955) passando per "Logement familial des Nord-Africains en France" (n° 54, settembre-ottobre 1956) o "Au-delà des conflits de civilisation" (n° 72, avril-mai 1959). I temi affrontati fanno necessariamente pensare ai dibattiti attuali sull'integrazione, ma i toni

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avanzavano l'idea che le migrazioni di uomini soli producessero una “immigration flottante de masses d'individus isolés, déracinés, mal adaptés non seulement à la vie professionnelle mais même la vie tout court”57. Mentre il migrante è considerato pura manodopera

provvisoria, la permanenza delle famiglie è auspicata nel lungo termine. I servizi sociali per gli uomini lavoratori non andavano oltre la soglia del luogo di lavoro58, mentre sulla

famiglie si concentrano numerose iniziative volte all'integrazione, intesa come adattamento/formazione alla way of life francese59.

Un organismo specifico sarà preposto ad affrontare la questione abitativa sia delle famiglie, che dei celibi, mentre un altro ne gestirà i finanziamenti.

Servizi sociali ad hoc per algerini: la Sonacotral e il Fas

Nel 1956, sotto l'egida del Ministero dell'Interno, nasce la Société nationale de construction pour les travailleurs originaires d'Algérie, conosciuta come Sonacotral. E' una società a economia mista, che unisce dunque tutele ministeriali e capitali privati60. Ha per obiettivi “le

financement, la construction, l'aménagement de locaux d'habitation destinés aux Français musulmans d'Algérie venus travailler en métropole et à leurs familles”61. Questo inizio

coloniale della politica di (ri)alloggio degli immigrati lascerà profonde tracce.

Claudius-Petit è nominato presidente del Consiglio d'amministrazione e Jean Vaujour direttore generale. Bernardot, nella sua opera di studio e analisi della Sonacotra, ripercorre le carriere ministeriali e personali dei due uomini che imprimeranno maggior impulso alle politiche dell'organismo immobiliare, l'uno con “carisma cattolico e sociale”, l'altro verso la “sicurezza urbana e la pacificazione coloniale”62.

La Quinta Repubblica di De Gaulle da vita anche a un altro ente legato a doppio filo ai migranti algerini e al contesto della necessaria “soluzione accettabile” del conflitto: il Fonds

adottati riflettono l'aria del tempo: inevitabile paternalismo, spirito caritatevole cristiano ed eurocentrismo, ancora largamente condiviso. Informazioni e considerazioni tratte dal sito della rivista, divenuta dal 1965 Hommes & Migrations: http://www.hommes-et-migrations.fr/editeur/historique_revue.html

57 ESNA, “Le logement des Nord-africains”, Cahiers nord-africains, n°35-36, dic.1953-gen.1954, p. 29; citato in

Lyons A.H., “Des bidonvilles aux HLM : Le logement des familles algériennes en France avant l'indépendance de l'Algérie”, in Hommes & Migrations, n°1264, Nov.-Dic. 2006, p. 38.

58 Lyons A.H. (2004), cit., in particolare “Services for male workers”, p. 106 e segg. 59 Ivi, “Services for women an families”, p. 116 e segg.

60 I principali azionisti della Sonacotral erano lo Stato francese, maggioritario al 52%, il governo generale dell'Algeria, la Caisse de dépôt et consignations, il Crédit foncier de France, la Federazione nazionale dell'edilizia e la società immobiliare della Régie Nationale des Usines Renault. Vandromme X. (1996), Vieillir immigré et célibataire en foyer. Le cas de la résidence sociale du Bourget en Seine Saint-Denis (1990-1992), L'Harmattan, Paris; p. 24.

61 Articolo 116 della legge n°56-780 del 4 Agosto 1956; citata in Bernardot M. (2008a), p. 41. 62 Ivi, pp. 44-50.

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d'Action sociale pour les travailleurs algériens en métropole et leurs familles (FAS). Istituito con l'ordinanza n°58-1381 del 29 Ottobre 1958, è un ente pubblico a carattere amministrativo, sotto tutela della delegazione all'azione sociale in favore dei FMA presenti nella metropoli. Il suo ruolo consiste nella “promotion d'une action sociale familiale en faveur des salariés travaillant en France métropolitaine dans les professions visées par le régime algérien des allocations familiales et dont les enfants résident en Algérie”63.

Fino a questo momento le famiglie algerine residenti sul suolo francese percepivano un sussidio pari alle famiglie francesi, mentre a coloro rimasti in Algeria spettava un terzo dell'ammontare, giustificato del minor costo della vita nella colonia. Il FAS nasce come risposta alle accuse di ingiustizia di tale prassi, improntato perciò alla redistribuzione del milione di franchi che le famiglie in Algeria non avevano mai ricevuto. In realtà, temendo che le somme di denaro sarebbero immediatamente finite nei fondi del FLN e contando sul potere propagandistico dei lavori pubblici, il governo decide di creare nuovi programmi d'inserimento ed espandere i servizi sociali già attivi64.

Il FAS diviene il braccio francese del Piano di Costantina - vasto programma applicato in Algeria per la modernizzazione in campo industriale, infrastrutturale, educativo e abitativo -, quintessenza del progetto imperial-repubblicano francese65. Esso parlava il

linguaggio dell'universalismo mentre contemporaneamente considerava gli algerini un caso speciale, necessitante di attenzioni particolari. Questa organizzazione tentacolare distribuiva sovvenzioni a 150 associazioni private, aiutava molteplici progetti di collettività locali e impiegava oltre 200 “consiglieri sociali”66.

L'ente, pur essendo un prodotto del sistema coloniale, in particolare della Guerra d'Algeria, continua ad esistere anche dopo il 1962. Divenuto nel 2001 Fonds de soutien pour l’integration et la lutte contre les discriminations (Fasild), con la presentazione, nel 2006, del progetto di legge di Jean-Louis Borloo sull'eguaglianza delle possibilità67, l’Agence nationale pour la cohesion sociale et l’egalité des chances (Acse) sostituirà il Fasild in tutte le azioni non legate all'accoglienza delle popolazioni immigrate, che invece sono a carico dell'Agence nationale de l'accueil des étrangers et des migrations.

La legge Borloo, insieme alle proposte di Dominique de Villepin inerenti il coprifuoco 63 Bernardot M. (2008a), nota 143, p. 69.

64 Lyons, A.H. (2009), “Social welfare, French Muslims and decolonization in France: the case of the Fonds d'action sociale”, Patterns of Prejudice, vol.43, n°1.

65 Ibidem. 66 Ivi, p. 71.

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nelle banlieues68, sono le risposte all'esplosione del malessere nelle periferie francesi del

Novembre 2005. Amelia Lyons suggerisce alcune osservazioni al riguardo:

There is a great deal of irony in the fact that a new equal opportunity law once again renamed and repositioned the Fasild as part of the solution proposed in November 2005. In the final years of the Algerian war, housing and educational programmes meant to teach Algerians the benefits of adopting French ‘universal’ culture represented the FAS’s solution to the segregation, marginalization and discrimination Algerians faced. Today, France hopes to use government-subsidized housing, monuments to the failure of the earlier integration project, as the launch pad of the same integration model to bring French Muslims (now with many national origins) as well as other minority groups into the national body.69

L'habitat per famiglie/1: città di transito e d'urgenza

Fin da subito, la Sonacotral, così come ogni altro organismo di gestione o costruzione di alloggi, opera una netta distinzione tra famiglie e lavoratori celibi. Affronteremo ora il primo campo d'azione, lasciando al prossimo capitolo la trattazione e l'analisi delle peculiari strutture create per i lavoratori celibi.

Il primo passo che la Sonacotral deve affrontare è l'acquisto di terreni dove poter costruire. Il riassorbimento delle bidonvilles diviene fin da subito missione pilota, in quanto, oltre ad essere un motivo della sua creazione, è proprio il primo mezzo di acquisizione di terreni. In questo senso, l'attività della Sonacotral anticipa le diverse leggi sul riassorbimento (legge Debré del 1964 e legge Vivien del 1970).

Per alcune bidonvilles l'intervento della Sonacotral è immediatamente sollecitato dai poteri pubblici, principalmente dalla Prefettura della Senna; nel resto dei casi, le difficoltà restano - la cattiva luce che gravava su questi progetti, che apparivano come lo stabilimento concreto degli algerini sul territorio, faceva salire i prezzi dei terreni - e sono perlopiù le municipalità comuniste con gravi problemi di alloggi insalubri che accettano le costruzioni della Sonacotral70.

Si iniziano così a demolire le baracche; numerose fotografie dell'epoca ritraggono le enormi ruspe che in un batter d'occhio estirpano il vissuto di anni, di fronte agli sguardi attoniti, e allo stesso tempo pieni di speranza, di chi aveva fatto di quel mucchio di lamiere la propria casa.

68 Il governo dichiarerà l’état d’urgence utilizzando la legge n° 385 del 3 aprile 1955, che permette ai prefetti d’imporre il coprifuoco, autorizza le perquisizioni su decisione dell’autorità amministrativa - e non giudiziaria - e mette in atto un controllo sulla stampa.

69 Lyons, A.H. (2009), p. 89. 70 Ivi, p. 66 e segg.

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Data l'impossibilità di una immediata e definitiva soluzione abitativa per chi abitava nelle bidonvilles - a cui si aggiunge la diffidenza di concedere un alloggio a chi fino al giorno prima viveva in baracca, a chi non era ritenuto “pronto per l'integrazione”71 - si ricorre a soluzioni

provvisorie, di emergenza.

Sugli spazi “sgomberati” si calano delle case mobili, degli immeubles de transit à but éducatif, noti come cités de transit, città di transito. Pensate come passaggio di pochi mesi prima del rialloggio nelle HLM, per alcuni durarono anni, per altri addirittura oltre un decennio72.

Bidonville di Nanterre, parzialmente demolita, 1960. In alto, le strutture bianche sono le unità abitative della cité de transit in costruzione. Foto tratta da Lyons A.H. (2004), Invisible Immigrants: Algerian Families and the French Welfare State, 1947-1974, Dissertation, University of California, Irvine, p. 207.

Lo “scopo educativo” consisteva nell'insegnare agli algerini come si vive nella società francese, giudicando con voti il degré d'evolution (livello evolutivo) delle famiglie: si indagava sul nucleo familiare, dal lavoro e salario del capofamiglia, all'anno di arrivo in Francia; si giudicava lo stato di mantenimento dell'alloggio e il grado di adattamento della donna.

Le famiglie “adattate” potevano passare direttamente dalla bidonville, o da altri tipi di habitat insalubre, alle HLM, mentre il resto doveva transitare in abitazioni provvisorie e frequentare corsi, in base a sesso ed età, per una reale rieducazione sociale alla vita metropolitana73. In seguito gli operatori sociali ne avrebbero attestato o meno il progresso. 71 Lyons A.H., p. 211.

72 Ivi, p. 215.

73 Ivi, in particolare si veda il capitolo 2. Tricart J.P. - in “Genèse d’un dispositif d’assistance: les cités de transit”, in Revue française de sociologie, XVIII, 1977 - nota come le città di transito ricordino i centres de redressemnet familiale sognati dagli igienisti degli anni '30.

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Vero e proprio habitat costrittivo, dove è messa in dubbio la socialità delle persone da rieducare, le città di transito sono una formule bâtarde, che non fa altro che prolungare un habitat assolutamente inaccettabile e perpetuare la segregazione, così come la privazione e l'isolamento dalla società74. Diverse associazioni nasceranno per assicurare la gestione e

l'animazione delle città di transito: Cetrafa (Centre de transit familial), Logement et Promotion Sociale, Aide à Toute Détresse75...

Altro tipo di habitat provvisorio sono le cités d'urgence, nate grazie alla campagna dell'abbé Pierre e il suo grido di allarme di fronte al gelido inverno del 1954, che la stampa chiama “l'insurrection de la bonté”76. Nonostante la durata di entrambe le forme di habitat precario

si prolunghi77, mentre le cités d'urgence sono pensate come soluzione immediata alla

mancanza dell'alloggio, le cités de transit si inseriscono in un progetto più ampio e ambizioso di rinnovamento urbano, mirante a riassorbire l'habitat insalubre.

Accanto a un patrimonio di alloggi sociali “ordinari” - HLM, poi grands ensembles -, se ne crea dunque uno parallelo, quello “assistenziale” delle città d'urgenza e di transito.

La Sonacotral, insieme alla Prefettura della Senna, costruì settanta unità abitative di transito a metà del 1959 per attenuare la sovrappopolazione delle bidonvilles di Nanterre. A metà del 1961, Parigi e il suo circondario avevano quasi trecento unità di transito e ancora centocinquanta erano previste entro la fine dell'anno. Marsiglia e Lione avevano almeno, rispettivamente, centocinquanta e duecento unità abitative di transito78.

La costruzione delle cités de transit ha raggiunto l'apice nel 1972, per poi decrescere regolarmente dopo questa data.79

74 Sayad A. (1995), p. 110.

75 Per approfondimenti si veda Tricart J.P. (1977), p. 610 e segg.

76 Tricart J.P. (1997), p. 604. L'abate Pierre (1912-2007) era un prete cattolico francese, fondatore del Movimento Emmaus, che si è mobilitato con costanza per il diritto ad abitare dei senzatetto. E' memorabile il suo appello su Radio Luxembourg il 1 Febbraio 1954, leggibile su Wikisource, alla voce “Appel de l'Abbé Pierre”.

77 La prima città d'urgenza, costruita a Plessis-Trévise nel 1954, durerà fino al 1973. Ibidem. 78 Ivi, p. 214.

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Una Nanterre algerina Tra tutte le bidonvilles, quella di Nanterre - periferia nord-ovest di Parigi, dipartimento Hauts-de-Seine - era la più nota per presenza algerina ed è stata la più descritta e studiata. Sayad80 ne ricostruisce la nascita e la vita, anche attraverso testimonianze, consegnandoci preziose tracce di storia cancellate dal totale rinnovamento urbano, memorie di vita mai ascoltate, concretezza dei fatti più spesso omessa che indagata.

Con nessuna pretesa di esaustività né esemplarità, il caso di Nanterre dimostra le linee tracciate fin'ora, ma allo stesso tempo ha delle particolarità.

Nel 1887, il dipartimento della Senna fa costruire nel nord di Nanterre una grande casa di reclusione, estesa su 17 ettari. Essa era destinata ad accogliere due categorie di reclusi: donne e giovani ragazze per scontare “correzioni paterne”; condannati a pene correttive (mendicanti e vagabondi) e degenti. Progressivamente, l'istituto perderà la sua funzione repressiva per divenire un centro di accoglienza di indigenti, per i quali si aggiungeranno anche una casa di riposo e un ospedale. Il centro sarà amministrato fino al 1989 dalla Prefettura di Polizia e costituisce un caso unico in Francia. Nel 1989 acquisirà lo statuto di stabilimento pubblico autonomo della Ville de

Paris a carattere sanitario e sociale, denominato “Centre d’accueil et de soins hospitaliers”81.

Il confronto con la marginalità sociale - a ogni epoca definita, stigmatizzata ed esclusa dalla società - è, sin dal passato più remoto a quello prossimo, sempre molto elevato a Nanterre.

Il comune, che aveva vissuto e ospitato la particolare esperienza della reclusione, poi trasformata in accoglienza, vivrà anni di forte pressione abitativa e sociale correlata alle migrazioni, in particolare algerine.

La manodopera marocchina e algerina era già utilizzata a Nanterre negli anni '20 e nel 1930 un'inchiesta della rivista cattolica En terre d'Islam rivela l'esistenza di meublés (alberghi, appartamenti ammobiliati) che alloggiavano in pessime condizioni igieniche lavoratori nord-africani.82

Il censimento del Marzo 1946 attesta la presenza di 225 algerini, 96 marocchini e 10 tunisini. All'inizio del 1953, Sayad afferma che si conta un effettivo di 2.100 lavoratori nord-africani nelle fabbriche e nelle imprese di Nanterre; la metà di questi vi risiede. Alla fine dello stesso anno, si contano tra i 4.500 e i 5.000 nord-africani, in maggioranza algerini, concentrati nel quartiere di Petit-Nanterre.83 Sarà proprio in questo quartiere che sorgerà una delle bidonvilles più importanti. Un'inchiesta effettuata dalla polizia giudiziaria nel 1955 attesta la presenza di 8.295 nord-africani, dei quali 7.900 algerini ed appena 345 marocchini, alloggiati nelle seguenti condizioni: 4.300 già nelle baracche, 2.148 in alberghi ammobiliati, 802 in residenze, 442 in appartamenti e più di 600 80 Sayad A. (1995).

81 Informazioni tratte dal sito del comune di Nanterre,

http://www.nanterre.fr/Services/Nanterre+hier+et+aujourd+hui/ 82 Sayad A. (1995), p. 21.

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nelle cantine e presso affittacamere clandestini84.

Le zone vuote a Nanterre sono molte e, solo negli anni a venire, saranno interessate da vaste operazioni di ristrutturazione urbana85. Sarà su quegli stessi luoghi, ad oggi ospitanti l'Università o alti edifici a specchi, che verranno costruite le baracche. E sarà a Nanterre che avrà luogo uno dei più rilevanti esempi di progetto abitativo per algerini messo in atto dallo Stato francese, noto come

Canibouts. L'alloggio - ovvero la liquidazione delle bidonvilles -, l'integrazione, il monitoraggio - al fine

di stroncare il nazionalismo - e l'autosufficienza del quartiere erano gli obiettivi.

Tipicamente in stile grand ensemble, massiccio e moderno, il complesso sarebbe stato composto da 800 unità abitative, di cui 570 appartamenti per famiglie e 230 per lavoratori celibi86

Il sito scelto era quello di Petit-Nanterre, dove sorgeva una grande bidonville, isolata da centri commerciali e circondata da una zona industriale, una base militare, il municipio di Nanterre e i binari della linea Parigi St.Germain. I lavori iniziano nel 1959 e alla distruzione delle baracche segue l'alloggio transitorio nelle case-mobili.

Seppur finanziato quasi totalmente dal FAS, Canibouts era destinato solo in parte a famiglie algerine87. Ciò era giustificato dalla volontà di non creare ghetti. Per compensare gli algerini delle perdite, essi si sarebbero potuti spostare all'inizio delle graduatorie per le HLM non sponsorizzate dal FAS.88 Nel 1958 le autorità avevano deciso che “in nessun caso la percentuale delle famiglie musulmane può superare il 10% del totale delle famiglie” abitanti in un determinato progetto abitativo, percentuale salita in alcuni casi al 15 o 20%89.

Mentre i lavoratori algerini costituivano la maggioranza a Canibouts, migranti di altri paesi avevano preso posto in unità abitative originariamente pensate per le famiglie algerine. A metà del 1965, la costruzione di Canibouts era ultimata, eccetto due complessi per famiglie. Solo 91 unità alloggiavano famiglie algerine e altre trenta si prevedevano, costituendo in totale il 13% delle unità90. Concretamente, famiglie e lavoratori di varie provenienze (tra cui molti pieds noirs e harkis91) occuparono la maggior parte degli appartamenti in un complesso che era stato il gioiello della politica abitativa nei confronti degli algerini nel periodo della decolonizzazione.

84 Ivi, p. 22.

85 Ristrutturazioni che, per ironia della sorte, renderanno Nanterre un vero e proprio satellite della capitale, epicentro d'affari e servizi. La creazione del distretto della Défense - che sorge in parte anche sul comune di Nanterre - inizia nel 1958 con la creazione dell'Établissement public pour l'aménagement de La Défense e comporta la costruzione di torri ed edifici di architettura moderna, con un'elevata intensificazione della rete dei trasporti. Tra il 1964 e il 1965 sorge l'Università di Parigi X sui luoghi del vecchio campo aeronautico militare de La Folie, poi bidonville .

86 Lyons A.H. , (2004), Invisible Immigrants: Algerian Families and the French Welfare State, 1947-1974, Dissertation, University of California, Irvine; p. 219.

87 Ivi, p. 223. 88 Ivi, p. 225.

89 Ibidem. Traduzione mia. 90 Ivi, p. 350.

91 “According to Marc Bernardot’s study of the SONACOTRA, it was more likely that pieds noirs and harkis received housed in Canibouts and other similar housing structures immediately following Algerian independence than Algerians who had been in the bidonvilles during the war”; Ivi, p. 320.

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L'aritmetica delle baracche

La constatazione del fallimento del processo di mobilità residenziale assistita è necessaria, poiché quasi nessun ricollocamento in un nuovo alloggio ha avuto luogo, quantomeno nel breve periodo prospettato92. Gli “alloggi propedeutici” delle cité de transit

presentano molteplici problemi nella concezione tecnica, invecchiano e si deteriorano velocemente. Allo stesso tempo, la costruzione delle HLM raggiunge il suo picco massimo negli anni 1955-1965, ma il nuovo tipo di habitat era riservato prioritariamente ai francesi (classe operaia, classe media) e nel 1970 ancora 45.000 persone abitavano nelle bidonvilles in Francia, di cui il 75% erano stranieri93. Gli algerini costituivano solo l'1% dei residenti nei

complessi HLM costruiti in generale per la popolazione94.

La posta in gioco dello sradicamento delle bidonvilles e dell'habitat insalubre si lega a doppio filo alle nuove costruzioni, ma in senso più sottile di quello che parrebbe a prima vista. L' “aritmetica delle bidonvilles”, come la chiamava Claudius-Pétit, consisteva nella comparazione tra la curva di evoluzione degli abitanti delle bidonvilles e quella del numero di persone rialloggiate in HLM95. Questa era la scommessa. L'ipocrisia del processo sta nel

fatto che non c'è un rapporto proporzionale tra la distruzione delle baracche e l'ingresso in nuove case degli ex abitanti delle bidonvilles. Il riassorbimento mirava a “risanare” i siti per installarvi nuove infrastrutture e alloggiarvi nuove popolazioni.

Con l'indipendenza dell'Algeria si assiste ad un'inevitabile cambiamento del clima politico. Gli algerini perdono tutto il loro significato politico: non sussiste più la necessità di integrarli per combattere il nazionalismo, né grava più sulla Francia la “missione civilizzatrice” verso il popolo dominato. Il pregiudizio negativo sugli algerini si rafforza dopo il 1962. Allarmi sulla propensione criminale e il contagio di malattie degli algerini compaiono su giornali e rapporti governativi96. Argomentazioni indubbiamente non nuove

tornano a far ombra sulla ex popolazione coloniale. La crescente paura porta con sé l'ossessione e l'imperativo di quantificare gli algerini. Si arriva a dichiarare l'allarme delle 92 Cfr. Bernardot M. (2008a), p. 96.

93 Le Monde, 21 Gennaio 1971. Nella regione parigina un centinaio di bidonvilles firono soppresse tra il 1965 e il 1969; nel 1970, a Seine Saint-Denis, 6.000 persone vivevano in bidonville di cui 1.200 famiglie; a Yvelines 4.200 persone vivevani in bidonville (950 famiglie); nella Val de Marne, 3.000 persone vivevano in bidonville (650 familles); nell’Essonne, 2.500 persone vivevano in bidonville (400 famiglie); nei dipartimenti della Senna e Marna, 1.200 persone vivevano in bidonville (250 familles). Gastaut Y. (2004), “Les bidonvilles, lieux d'exclusion et de marginalité en France durant les trente gloriouses”, Cahiers de la Méditerranée, vol. 69.

94 Lyons A.H. (2004), p. 350.

95 Gastaut Y. (2004), “Les bidonvilles, lieux d'exclusion et de marginalité en France durant les trente gloriouses”, Cahiers de la Méditerranée, vol. 69.

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nascite ed escludere le famiglie algerine dai benefici prenatali e di maternità97

Il desiderio di rompere la dipendenza dalla manodopera algerina, dimenticare il passato coloniale, e avvalersi di “manodopera bianca” ispira le trasformazioni della rete del welfare98. Le organizzazioni e le agenzie governative cambiano nomi, priorità e dunque

soggetti di riferimento99. Create ad hoc per algerini, si rivolgono adesso a tutti gli immigrati.

La Sonacotral nel 1963 modifica il proprio nome togliendovi l'aggettivo finale “algériens” e restando Sonacotra. I soggetti destinatari dei suoi servizi si ampliano, andando a comprendere lavoratori francesi e stranieri in generale, le loro famiglie, ed, eventualmente, studenti. Già prima del 1962, la società, per superare le difficoltà di acquisizione dei terreni e per finanziare le proprie attività immobiliari, aveva creato delle filiali HLM, in modo tale da vincere le reticenze delle municipalità verso il rialloggio degli algerini e ricevere nuovi finanziamenti. Il primo passo era stato l'acquisto della società HLM nella regione parigina Logements populaires et hygiéniques, trasformata nel Gennaio 1960 in Logement de géstion immobilière pour la régione parisienne (Logirep)100.

La creazione delle filiali Logi ammette l'estensione degli interventi dai soli lavoratori magrebini celibi, alle famiglie in generale e francesi in particolare. Una dimensione già più generalista iniziava a caratterizzare l'organismo nato per rispondere a un problema specifico.

La stessa estensione di competenze vale per il FAS, che nel 1964 perde la sua connotazione finale “pour les travailleurs algeriens en metropole et leurs familles”, occupandosi di tutti i lavoratori stranieri.

All'Assemblea nazionale, nel 1964, viene evocata per la prima volta la nozione di grand ensemble come palliativo all'habitat precario, in occasione di una sessione di lavoro destinata a preparare una futura legge su “l’expropriation de terrain dans les bidonvilles”101.

Il discorso di André Fanton riflette lo spirito generale:

L’existence aux portes de très nombreuses villes de ce que l’on appelle dans le langage courant “bidonville” est particulièrement scandaleuse au XXème siècle Les conditions dans lesquelles vivaient des êtres humains sur ces terrains depuis très longtemps abandonnés ont pu paraître peu choquantes à l’origine parce qu’ils y logeaient dans des baraquements provisoires. Mais ces conditions se sont rapidement aggravées, d’autres familles s’y étant installées dans des abris de fortune, consolidés tant bien que mal. Et c’est cet ensemble qui a formé les 97 Lyons, A.H. (2004), p. 323.

98 Ivi, p. 337.

99 Si veda Lyons, A.H. (2004), in particolare “The End of Separate Services for Algerians”, pp. 335-343. 100 Vi saranno anche la Logirel (Lione) e la Logirem (Marsiglia); Bernardot M. (2008a), p. 75.

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bidonvilles qui peuvent être considérés comme la honte de nos cités.102

Questi lavori portarono alla legge Debré del 14 Dicembre 1964, della quale il primo obiettivo era lo sradicamento delle bidonvilles. Si prevede un piano nazionale di riassorbimento delle bidonvilles in cinque anni, che ha incluso nel 1966 il voto della legge Nungesser (segretario di stato all'alloggio), un colloquio sulle migrazioni algerine e la creazione di una Commissione interministeriale permanente per la soppressione dell'habitat precario103.

Il piano è stato ripreso e definito dalla legge Vivien del 10 Luglio 1970, in seguito all'obbligato reinserimento nell'agenda politica della questione delle bidonvilles. Tre bambini muoiono in un incendio nella bidonville di Nanterre nel 1966, cinque lavoratori africani muoiono in un incendio ad Aubervilliers nel Gennaio 1970104, dimostrando che la legge

Debré non ha dato i risultati sperati.

La legge Vivien estende la questione delle bidonvilles a quella dell'habitat insalubre in generale, integrando la problematica dell'alloggio per immigrati a quella dei mal-logés, dei “dimenticati della grande mutazione urbana”105. La distruzione delle bidonvilles avrà fine nel

1973.

L'habitat per famiglie/2: grands ensembles, cités, banlieues

Una volta uscite da esperienze abitative ai margini, quali le città di transito o le bidonvilles, le famiglie algerine approdano agli alloggi sociali, ormai degradati, nelle periferie delle città. Le costruzioni edificate tra gli anni '50 e '70, inizialmente abitate da un altro tipo di clientela, vengono poi da questa abbandonate, con un “salto qualitativo”, perlopiù a favore del periurbano106.

La necessità di ripensare una struttura urbana nel secondo dopoguerra aveva preso le mosse proprio dall'emergenza abitativa e dunque attorno a questa tutto era ruotato. Non erano infatti le strutture di servizi al cittadino, né l’aspetto monumentale, che avevano costituito l’ossatura della nuova urbanità: le funzioni della città erano slittate al secondo posto, lasciando spazio all’alloggio come principio organizzatore. E’ esso stesso che 102 Ibidem.

103 Ibidem.

104 Cfr. “La mort de cinq travailleurs africains à Aubervilliers”, Le Monde, 5 Gennaio 1970.

105 Blanc-Chaléard M.C., “Les immigrés et le logement en France depuis le XIXe siècle” in Hommes & Migrations, n°1264, Nov.-Dic. 2006; p. 27.

106 Cfr. Donzelot J., “La ville à trois vitesses”, Esprit, numero speciale Marzo-Aprile 2004; Donzelot J., “La nouvelle question urbaine”, Esprit, Novembre 1999; Boyer J.C. (2000), Les banlieues en France. Territoires et société, Armand Colin, Paris.

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acquisisce un carattere “monumentale”, con grandi torri e barre (grands ensembles), tutto rigorosamente in cemento, utilizzato al massimo dagli ingegneri del MRU, dei quali il mestiere iniziale era costruire strade, ponti, ferrovie e per i quali l’urbanismo era un’astrazione.

Ruolo chiave nell’avvio di questo modello di pianificazione sono le zone à urbaniser en priorié (ZUP)107, istituite nel 1958, le quali costituiscono il quadro nel quale si concentrerà la

costruzione in banlieue, creando di fatto interi quartieri di alloggi sociali, noti come cité108. La

capacità minimale di tali ZUP era fissata a 500 alloggi; di fatto, rari furono i grands ensembles che si limitarono a questa cifra. Le unità più vaste come Aulnay-Sevran e Créteil, nella banlieue parigina, arrivarono rispettivamente a 18.500 e 16.000 alloggi109.

Tre milioni di alloggi sono realizzati in tutta la Francia dal 1954 al 1962 e da questa data in poi 300.000 all’anno (60.000 all'anno nella regione parigina)110; si tratta soprattutto di

costruire velocemente, a basso prezzo, là dove il prezzo fondiario si presta meglio a questi ultimi imperativi e dove si possa contare sull’appoggio delle autorità locali per espropri ed altre facilitazioni. In manovre del tutto precipitate, ad esempio, viene costruito un ensemble di 975 alloggi nella periferia di Nantes che comprende solo un'ascensore per i suoi 4.000 abitanti111.

Eredi delle HBM d'inizio novecento e delle HLM del secondo dopoguerra, i grands ensembles sono l'espressione dell’urbanismo funzionale associato al fordismo. Quelle che prendono corpo si presentano come vere e proprie “macchine abitative” anti-città: tutto sarà uguale, banalizzato, in un’insieme dove niente è più distinguibile. Il grand ensemble è riducibile ad un dormitorio e continua a far gravare sulla città il peso di tutte le strutture sociali necessarie, soprattutto quando a quest’insieme di “standards” - sufficienti in teoria - 107 Istituite con il decreto ministeriale n°58-1464 del 31 Dicembre 1958, le ZUP costituiscono le zone dove costruire prioritariamente, si decide cioè dove si concentrerà la costruzione in banlieue. Esse sono destinate a permettere la creazione ex-nihilo di nuovi quartieri, dotati di alloggi, negozi e altre strutture. In generale, furono localizzate su ampi terreni agricoli, facili da acquisire e a buon mercato. Le costruzioni furono facilitate dagli chemin de grue (binari ferrati sui quali correva la gru), che permisero la costruzione delle “barre” lunghe 400 metri e delle “torri” alte 18 piani. La capacità minima delle ZUP era fissata a 500 alloggi, ma in realtà poche si limitarono a tale cifra. Le unità più vaste, come Aulnay-Sevran e Créteil, nella banlieue parigina, raggiunsero rispettivamente 18.500 e 16.000 alloggi. Menanteau J. (1994), Les banlieues, Le Monde-Éditions, Bruxelles, p. 53. Testo integrale (tradotto in italiano) in Samonà A. (1966), La nuova dimensione urbana in Francia. I “grands ensembles” e la modificazione della città, Marsilio Editori, Vicenza; pp. 175-177.

108 Le cités sono interi isolati di edilizia popolare, riconoscibili come unità residenziali e come spazio di vita a cui fanno riferimento gli abitanti. Si preferisce lasciare il termine francese, particolarmente sintetico ed evocativo.

109 Menanteau J. (1994), p. 53. 110 Samonà A. (1966), p. 49. 111Menanteau J. (1994), p. 56.

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