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2.3. Legge e legge. LE MAGLIE DEL POTERE TRA SISTEMA JAGUNÇO E POLITICA ISTITUZIONALE

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2.3. Legge e legge. LE MAGLIE DEL POTERE TRA SISTEMA

JAGUNÇO E POLITICA ISTITUZIONALE

Nel trattare il fenomeno della modernizzazione forzata del Brasile, ci siamo focalizzati sul rapporto tra l’astrazione della Legge e la concretezza oltre ogni retorica del Paese di ‘di carne e sangue e mille e tante miserie’. Abbiamo sottolineato come quest’astrattezza sia solo del dispositivo discorsivo (quello progressista) che serve a legittimare una serie di pratiche di dominazione tutt’altro che astratte, ma lo scontro tra il sertão e il Brasile che siamo fin qui venuti delineando rimaneva comunque inscrivibile nei termini di uno scontro tra Legge e vita; dove la Legge (con la Cultura e il Progresso: le istituzioni) veniva a coincidere con il Potere e la vita con le pratiche sociali immanenti alla moltitudine degli abitanti del sertão.

Il Potere rappresenato in Grande sertão, però, non si esaurisce nel complesso delle istituzioni repubblicane. Se andiamo ad analizzare da vicino la trama di relazioni che lo costituiscono, vedremo che essa coindice solo in parte con il sistema delle leggi istituzionali. In altre parole, la legge vigente nel sertão non coincide con la Legge (quella con l maiuscola, unica e uguale per tutti, propria del discorso liberale), ma è anch’essa plurale: vi sono più leggi, tra loro anche contrarie, ma che formano una trama di potere che è una sola. In questo capitolo analizzeremo la rappresentazione del Potere in Grande sertão. Per far questo, partiremo ovviamente dalla questione del jaguncismo, ma al fine di dimostrare che, come afferma Willi Bolle, «Ao focalizar o sistema jagunço, Guimarães Rosa não retrata um poder paralelo, mas o poder»1.

Per cominciare, diciamo due parole sul jaguncismo. Il termine jagunço è di origine quimbundo e significa letteralmente ‘soldato’. Nel portoghese del Brasile esso passò ad indicare coloro che si prestavano a svolgere un servizio paramilitare di protezione di uomini facoltosi (ricchi proprietari e politici). Al bandito indipendente, che prendeva le armi per vendicare ingiustizie subite da individui

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potenti, viene invece dato il nome di cangaceiro. Differentemente dal jagunço, il cangaceiro è figura che l’immaginario popolare valuta in termini sostanzialmente elogiativi. Personaggi quali Jesuíno Brilhante, Antônio Silvino e Capitão Lampião2 sono infatti i protagonisti di centinaia di racconti e canti popolari, che ne narrano le imprese in una cornice epica che fa di loro moderni paladini e

2 Jesuíno Brilhante fu uno dei primi cangaceiros a entrare nella leggenda, in qualità di Robin Hood

sertanejo, che rubava ai ricchi per dare ai poveri e vendicava i torti degli oppressi. Decise di darsi

al cangaço nel 1871, probabilmente per vendicare un fratello, ucciso in una faida con una famiglia rivale. Nel 1879 morì per una pallottola della polizia, ricevuta in pieno petto nei pressi del municipio di Brejo do Cruz di Paraíba.

Antônio Silvino fu il padrone incontestato del sertão dei primi del Novecento. Cantato da grandi poeti popolari come Leandro Gomes de Barros e ricordato da José Lins do Rego nel suo Meus

verdes anos (Rio de Janeiro, Edições de Ouro,1967, pp. 272-273), fu incarcerato nel 1914 e poi

graziato per buona condotta.

A pochi anni dalla sua cattura compare sulla scena nordestina Virgulino Ferreira da Silva, destinato a passare alla storia col nome di Capitão Lampião, poiché si diceva che le vampate del suo fucile illuminassero anche la notte più scura. Questi si dà al cangaço ancora giovanissimo (insieme ai fratelli Antônio, Ezechiele, e Livino, che finiranno tutti uccisi dalla polizia), per una discordia tra famiglie di piccoli allevatori. Le sue imprese sono tra le più cantate da poeti popolari e non. Lins do Rego, in Presença do Nordeste na literatura brasileira (Rio de Janeiro, O vulcão e a fonte, 1957, pp. 31-44), racconta che nella città di Sousa, Lampião prese prigioniero un giudice e lo obbligò a suonare la viola sulla porta della chiesa. Dopo vent’anni trascorsi in cima a tutte le cronache del sertão, o rei do cangaço muore, all’alba del 28 luglio 1938, presso la grotta di Angico (stato di Sergipe), crivellato dalle pallottole della polizia, che aveva provveduto ad accerchiare il luogo. Con lui muoiono molti compagni e la leggendaria amante Maria Bonita. Il resto della banda si riorganizza attorno alla figura del Diabo Louro, che due giorni dopo vendica la morte del capo, massacrando per intero la famiglia del fazendeiro traditore, prima di cadere a sua volta sotto i colpi della polizia. Successivamente alla distruzione della banda che era stata di Lampião, il coronel João Bezerra percorrerà in lungo e in largo il Nord-Est, esibendo le teste mozzate dei banditi. Si chiude così nel sangue tutta una fase della storia del Nor-Est. Non ci sarà più nessun cangaceiro ad attingere alla fama di Lampião, né alla sua portata simbolica nell’immaginario popolare.

Queste informazioni si ricavano da SILVANO PELOSO, Medioevo nel sertão, Napoli, Liguori, 1984, Il bandito dell’altopiano e le sue gesta. Verso la leggenda, pp. 54-62.

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simboli della ribellione del sertanejo al ruolo di contadino sottomesso e passivo, impostogli dalle autorità (tanto pubbliche quanto private)3.

Ora, è chiaro che nella realtà il confine tra jaguncismo e cangaço non era delimitato tanto quanto la rigidità definitoria tende a far sembrare. Nella testimonianza di Claudionor Oliveira Queiroz leggiamo infatti:

Jagunço era todo o indivíduo que empunhava uma arma em defesa própria, de seus bens, da sua família, do seu lar, na primeira oportunidade que se lhe oferecia. O jagunço era uma criação dos chefes políticos. Desde a monarquia e depois dela com a República, veio a ser elemento necessário à garantia daqueles chefes, que então se tornavam mais respeitados pela gentalha e mais desejados pelos governantes4.

Come si vede, in questa descrizione vi è una fusione tra le istanze individualiste del ribelle che ha deciso di provvedere autonomamente alla protezione sua e dei suoi cari e quelle del mercenario al soldo dei politici.

Consapevole del fatto che la complessità del reale oltrepassa il più delle volte le aporie del linguaggio cristallizzato, Guimarães Rosa sceglie (qui come in molti altri casi) la via della forzatura del linguaggio comune, utilizzando indiscriminatamente il termine dispregiativo, anche per personaggi che si avvicinano molto di più alla definizione di cangaceiro. All’inizio del romanzo troviamo subito un elenco di capi ‘jagunços’, ciascuno dei quali accompagnato da una breve ma efficace descrizione della natura del proprio impegno in armi:

Viver é muito perigoso... Querer o bem com demais força, de incerto jeito, pode já estar sendo se querendo o mal, por principiar. Esses homens! Todos puxavam o mundo para si, para o concertar consertado. Mas cada um só vê e entende as coisas dum seu modo. Montante, o mais supro, mais sério – foi Medeiro Vaz. Que um

3 Silvano Peloso ha analizzato da vicino i rapporti tra letteratura popolare sertaneja e fonti

medievali, in particolare il ciclo di Carlo Magno e dei pari di Francia. Cfr. La rappresentazione

epica e le sue fonti tradizionali, in Medioevo nel sertão, cit., pp. 62-68.

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LAUDIONOR OLIVEIRA QUEIROZ, O sertão que eu conheci, Salvador, Fundação Cultural do Estado de Bahia, 1998, p. 7.

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homem antigo... Seu Joãozinho Bem-Bem, o mais bravo de todos, ninguém nunca pôde decifrar como ele por dentro consistia. Joca Ramiro – grande homem príncipe! – era político. Zé-Bebelo quis ser político, mas teve e não teve sorte: raposa que demorou. Só Candelário se endiabrou, por pensar que estava com doença má. Titão Passos era o pelo preço de amigos: só por via deles, de suas mesmas amizades, foi que tão alto se ajagunçou. Antônio Dó – severo bandido. Mas por metade; grande maior metade que seja. Andalécio, no fundo, um bom homem-de-bem, estouvado raivoso em sua toda justiça. Ricardão, mesmo, queria era ser rico em paz: para isso guerreava. Só o Hermógenes foi que nasceu formado tigre, e assassim. E o “Urutu-Branco”? Ah, não me fale. Ah, esse... tristonho levado, que foi – que era um pobre menino do destino...5

Abbiamo ritenuto opportuno trascrivere anche le tre righe precedenti all’inizio dell’elenco vero e proprio, poiché esse contengono una riflesione fondamentale per comprendere il rapporto tra il sistema jagunço e la politica istituzionale. Come gli esponenti di quest’ultima, i capi-bandito «puxavam o mundo para si, para o concertar consertado» (letteralmente ‘sistemarlo corretto’); ad animarli, è dunque, paradossalmente, un desiderio di ordine. Ma veniamo alla caratterizzazione dei principali jagunços del romanzo.

Ad aprire la citazione è quel Medeiro Vaz che più di ogni altro personaggio si presta a incarnare l’ideale del cangaceiro. Di lui ci viene detto che è «homem antigo», dove antigo si deve intendere in relazione a un glorioso quanto imprecisato passato di valorosi guerrieri, opposto a un presente in cui non esiste più niente di «legítimo leal». Si veda il brano seguente:

Tempos foram, os costumes demudaram. Quase que, de legítimo leal, pouco sobra, nem não sobra mais nada. Os bandos bons de valentões repartiram seu fim; muito que foi jagunço, por aí pena, pede esmola. Mesmo que os vaqueiros duvidam de vir no comércio vestidos de roupa inteira de couro, acham que traje de gibão é feio e capiau. E até o gado no grameal vai minguando menos bravo, mais educado:

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casteado de zebu, desvém com o resto de curraleiro e de crioulo. Sempre, no gerais, é à pobreza, à tristeza. Uma tristeza que até alegra6.

Siamo all’interno del punto di vista del cantore epico, che considera il passato il tempo dei grandi valori e delle gesta sublimi (quelle compiute dai «bandos bons de valentões»), mentre il presente è un tempo prosastico e convenzionale («E até o gado no grameal vai minguando menos bravo, mais educado»). D’altronde Medeiro Vaz è un personaggio fin da subito caratterizzato da un alone di leggenda che ricorda da vicino le caratterizzazioni degli eroi epici e dei santi popolari. Si veda il racconto della sua scelta di darsi al jaguncismo

Quando moço, de antepassados de posses, ele recebera grande fazenda. Podia gerir e ficar estadonho. Mas vieram as guerras e os desmandos de jagunços – tudo era morte e roubo, e desrespeito carnal das mulheres casadas e donzelas, foi impossível qualquer sossego, desde em quando aquele imundo de loucura subiu as serras e se espraiou nos gerais. Então Medeiro Vaz, ao fim de forte pensar, reconheceu o dever dele: largou tudo, se desfez do que abarcava, em terras e gados, se livrou leve como que quisesse voltar a seu só nascimento. Não tinha bocas de pessoa, não sustinha herdeiros forçados. No derradeiro, fez o fez-por suas mãos pôs fogo na distinta casa-de fazenda, fazendão sido de pai, avô, bisavô – espiou até o voejo das cinzas; lá hoje é arvoredos. Ao que, aí foi aonde a mãe estava enterrada – um cemiteriozinho em beira do cerrado – então desmanchou cerca, espalhou as pedras: pronto, de alívios agora se testava, ninguém podia descobrir, para remexer com desonra, o lugar onde se conseguiam os ossos dos parentes. Daí, relimpo de tudo, escorrido dono de si, ele montou em ginete, com cachos d’armas, reuniu

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Ivi, pp. 28-29. È interessante che questo tempo, che Riobaldo sembra rimpiangere, coincida di fatto con l’epoca d’oro dal coronelismo e del jaguncismo; la stessa che poco prima, nel tentativo di adattarsi alle strutture mentali del suo interlocutore, egli aveva definito in termini assolutamente negativi: «Vi tanta cruez! Pena não paga contar; se vou, não esbarro. E me desgosta, três que me enjoa, isso tudo. Me apraz é que o pessoal, hoje em dia, é bom de coração. Isto é, bom no trivial. Malícias maluqueiras, e perversidades, sempre tem alguma, mas escasseadas. Geração minha, verdadeira, ainda não eram assim.» (ivi, pp. 23-24).

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chusma de gente corajada, rapaziagem dos campos, e saiu por esse rumo em roda, para impor a justiça7.

Moderno “San Franceso”, che rinuncia ai suoi averi (e arriva persino a rendere irriconoscibile il luogo di sepultura della madre) per partire a compiere una missione più alta, Medeiro Vaz rappresenta il perfetto ideale del cangaceiro. È infatti solo per «impor a justiça» (una giustizia che non ha niente a che vedere con la legalità) che il rei dos Gerais (come è soprannominato) sceglie la via delle armi; senza nessun patto con i potenti, né prospettive di tornaconto personale. Questo alone tra il mistico e l’epico caratterizzerà il personaggio per tutta la durata del romanzo, come se attorno a questa figura Guimarães Rosa intendesse condensare le istanze della poesia popolare e della tradizione epica fiorita intorno alla figura del cangaceiro:

Medeiro Vaz era duma raça de homem que o senhor mais não vê; eu ainda vi. Ele tinha conspeito tão forte, que perto dele até o doutor, o padre e o rico, se compunham. Podia abençoar ou amaldiçoar, e homem mais moço, por valente que fosse, de beijar a mão dele não se vexava8.

Incredibilmente epica è anche la morte dle personaggio, avvenuta nel bel mezzo di un temporale9, con tutti i suoi uomini intorno e con il grande capo che, con le ultime energie che gli rimangono, si preoccupa esclusivamente di domandare «“Quem vai ficar em meu lugar? Quem capitaneia?...”»10.

Personaggio per certi versi simile a Medeiro Vaz è Joca Ramiro. Al suo primo incontro con lui, Rioblado rimane ipnotizzato dal suo aspetto altero e degno del maggior rispetto:

E Joca Ramiro. A figura dele. Era ele, num cavalo branco – cavalo que me olha de todos os altos. Numa sela bordada, de Jequié, em lavores de preto-e-branco. As

7

Ivi, pp. 54-55. 8 Ivi, p. 55. 9

È il topos del temporale che accompagna o segue la morte di un personaggio eccezionale, quasi che il Cielo piangesse per la dipartita di un essere semidivino. Un temporale segue anche la morte di Gesù Cristo.

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rédeas bonitas, grossas, não sei de que trançado. E ele era um homem de largos ombros, a cara grande, corada muito, aqueles olhos. Como é que vou dizer ao senhor? Os cabelos pretos, anelados? O chapéu bonito? Ele era um homem. Liso bonito. Nem tinha mais outra coisa em que se reparar. A gente olhava, sem pousar os olhos. A gente tinha até medo de que, com tanta aspereza da vida, do serão, machucasse aquele homem maior, ferisse, cortasse. E, quando ele saía, o que ficava mais, na gente, como agrado em lembrança, era a voz. Uma voz sem pingo de dúvida, nem tristeza. Uma voz que continuava11.

Si faccia caso alla posizione da cui appare il personagigo: dall’alto, in cima a un cavallo bianco, simbolo di purezza e distacco dalle cose triviali della vita. Non a caso, lo stesso Medeiro Vaz lo ritiene l’«único homem, par-de-frança, capaz de tomar conta deste sertão nosso, mandando por lei, de sobregoverno»12. Eppure tra Medeiro Vaz e Joca Ramiro, esiste una differenza fondamentale:

Fato que Joca Ramiro também igualmente saía por justiça e alta política, mas só em favor de amigos perseguidos; e sempre conservava seus bons haveres13.

Joca Ramiro, pur essendo uomo nobile e valoroso («par-de-frança»), non solo conserva «seus bons haveres», ma soprattutto combatte «em favor de amigos». Chi sono questi amici?

Già nell’elenco di capi che abbiamo citato in apertura del presente capitolo, avevamo un indizio di ciò, nel momento in cui Joca Ramiro veniva presentato con queste parole: «grande homem príncipe! – era político»: è un ‘principe’ dunque (nel senso di nobile, sopraelevato) ma anche, più prosasticamente, un ‘politico’. E proprio agli amici politici – insieme con le ingenti proprietà – farà riferimento Antenor, quando cercherà di tastare il terreno con Riobaldo, per capire che se questi sia o non sia disposto ad allearsi con i seguaci di Hermógenes e Ricardão, nell’architettare una congura contro il capo:

11 Ivi, p. 346. 12 Ivi, p. 55. 13 Ibidem.

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Esse Antenor, sempre louvando e vivando Joca Ramiro, acabou por me dar a entender, curtamente, o em conseguinte: que Joca Ramiro talvez fazia mal em estar tanto tempo por longe, alguns de bofe ruim já calculavam que ele estivesse abandonando seu pessoal, em horas de tanta guerra; que Joca Ramiro era rico, dono de muitas posses em terras, e se arranchava passando bem em casas de grandes fazendeiros e políticos, deles recebia dinheiro de munição e paga: seô Sul de Oliveira, coronel Caetano Cordeiro, doutor Mirabô de Melo. Que era que eu achava?14

Non a caso, sarà proprio nella fazenda di uno di questi uomini, il dottor Mirabó de Melo, che si svolgerà il processo a Zé Bebelo, espisodio emblematico di quella permeabilità di confini tra legalità e illegalità che caratterizza il sertão. Analizzeremo nello specifico l’espisodio in questione più avanti. Per ora limitiamoci a dire che, se Medeiro Vaz è in tutto e per tutto un cangaceiro, quel Joca Ramiro che svolge nel romanzo un ruolo simbolico ben più importante (è il padre di Diadorim e sarà per vendicarlo che Riobaldo farà un patto con diavolo15 e Diadorim morirà in battaglia) è invece a tutti gli effetti un jagunço. Agisce in base agli interessi dei suoi “amici politici” e da loro riceve l’autorità per imporre legge nel sertão:

“O julgamento é meu, sentença que dou vale em todo este norte. Meu povo me honra. Sou amigo dos meus amigos políticos, mas não sou criado deles, nem cacundeiro. A sentença vale. A decisão. O senhor reconhece?”16

Queste le parole che Joca Ramiro rivolge a Zé Bebelo, prima di iniziare il processo.

La figura di Joca Ramiro è quella che maggiormente esprime la fase stroico-politica in cui si situano le vicende narrate in Grande sertão, ovvero quella fase

14

Ivi, p. 244.

15 In realtà – come avremo modo di vedre – vendicare Joca Ramiro è quasi un pretesto per

Riobaldo, che si accorda con diavolo più che altro in risposta a un desiderio di staccarsi dal tempo ciclico e ricorsivo della moltitudine sertaneja ed entrare in quello lineare e progressivo dell’affermazione individuale.

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della República Velha passata alla storia col nome di Política dos governadores (anche detta Política dos estados). Con questa espressione si indica una forma di organizzazione perfezionata da Campos Sales (Presidente della repubblica tra il 1898 e il 1902), ma che affonda le sue radici nella tradizione patriarcale brasiliana, che ha prodotto nel Paese un’organizzazione dei poteri locali su base proprietaria, con l’istituzione di vincoli di natura feudale tra latifondisti e loro affiliati. La Política dos governadores consiste sotanzialmente in un accordo tra il Governo Federale e i governi degli stati, in base al quale, in cambio della promessa del primo di rispettare l’autonomia decisionale dei secondi, i governatori statali mettevano a disposizione il proprio apparato di potere, al fine di far eleggere in Congresso deputati favorevoli al Presidente della Repubblica. Le istituzioni centrali, infatti, – come abbiamo visto – erano un apparato di potere fortemente scollato dalla realtà sociale brasiliana e affinché la loro autorità fosse qualcosa di più che un’entità meramente astratta, necessitavano del favore di quei soggetti che erano invece fortemente radicati sui rispettivi territori e che gestivano una rete organizzativa capace di governare effettivamente le popolazioni ivi residenti.

In questa rete era centrale la figura del coronel17. Essa risale all’epoca imperiale, quando fu istituita la Guarda Nacional (1831), al fine di difendere l’integrità dell’Impero e la Costituzione. I quadri di quest’organo erano nominati al tempo stesso dal Governo e dai presidenti di provincia, e intorno a queste nomine si produsse fin da subito un ingente traffico di influenze e corruzione politica. Infatti, le oligarchie locali iniziarono a finanziare campagne per aggiudicarsi la carica di coronel, o per farla ottenere a qualcuno dei propri affiliati. In questo modo, la nomina a colonnello passò a rappresentare una sorta di titolo nobiliare,

17 Il più celebre tra i coronéis è quell’Horácio de Matos che fu politico e coronel del sertão di

Bahia nella prima metà del XX secolo. Questi finì per essere il padrone assoluto della Chapada

Diamantina, nonché intendente di Lençois, centro di estrazione mineraria tra i più ricchi del Paese.

Tra le altre cose, partecipò alla repressione della Coluna Prestes. Arrestato durante il governo Vargas, morì in circostanze misteriose.

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volta a conferire una parvenza istituzionale all’autorità dei grandi proprietari sulle popolazioni risiedenti nei territori adiacenti le loro fazendas.

I coronéis rappresentavano la base politica degli stati, poiché erano loro che possedevano i mezzi per controllare le elezioni nei propri territori, i cosidetti currais eletorais, attraverso un misto di pratiche intimidatorie ed elargizioni di favori tramite cui essi si assicuravano il controllo sulle votazioni, che allora non avvenivano in forma segreta. A garantire la capacità reale dei coronéis di esercitare il loro potere sul territorio era, ovviamente, il controllo di questi su di una o più bande di uomini armati: i jagunços. Il Coronelismo rappresentava il punto di incontro tra Stato centrale e poteri locali, tra pubblico e privato, tra moderno e arcaico, in quanto nasceva dalla sovrapposizione di forme politiche tipicamente “moderne” (autonomia statale, voto universale) su strutture organizzative di tipo feudale, ruotanti attorno alla grande proprietà terriera. Joca Ramiro è l’esponente perfetto di questo stato di cose e non è un caso che sia proprio a lui che Zé Bebelo richiede un «julgamento correto legal»18.

Quello del processo a Zé Bebelo nella Fazenda Sempre-Verde è sicuramente uno degli episodi chiave del romanzo, e come tale ha suscitato l’interesse di molta della più avveduta critica rosiana. Heloisa Starling la considera una narrativa di «cenas de fundação», realizzate dai capi jagunços, che, secondo la studiosa, sperimentano in quella sede possibilità inedite di interazione politica, in cui governatori (capi) e governati (jagunços semplici) partecipano a un gesto di costruzione delle fondamenta di un vivere comune, attraverso la produzione collettiva di nuova giurisprudenza19. Luís Roncari, al contrario, vi ha visto un

18

Ivi, p. 354. Va detto, inoltre, che anche nel momento di massimo fervore anti-jagunço, Zé Bebelo farà sempre riferimento al nome di Hermógenes, tacendo imbarazzato nel momento in cui Riobaldo oserà chiedergli direttamente la sua opinione su Joca Ramiro: «Conversando, no caminho, eu perguntei, não sei: – “E Joca Ramiro?” Zé Bebelo tiscou de ombros, parece que não queria falar naquele» (ivi p. 183).

19 H

ELOISA STARLING, Lembranças do Brasil. Teoria, política, história e ficção em Grande sertão: veredas, Rio de Janeiro, Revan, 1999, O nome rodeante, pp. 91-130. Questa lettura altamente positiva è basata essenzialmente sul fatto che, nel processo in questione, Joca Ramiro dà la

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tentativo di incorporazione delle istituzioni moderne da parte dei costumi arcaici20. Più interessante è, a nostro parere, l’opinione di Willi Bolle, che considera l’episodio in questione una messa in scena e al tempo stesso una decostruzione del discorso della jagunçagem21. A nostro parere, però, la scena del processo a Zé Bebelo è il luogo del romanzo dove più che il discorso della jaguncagem, ciò che viene decostruito è lo stesso discorso giuridico, attraverso la messa in scena dell’inconsistenza delle distinzioni tra legale e illegale, legittimo e criminale e della loro necessaria compresenza ai fini del funzionamento della macchina del Potere. Non a caso – come si accennava – il processo avviene in casa di quel doutor Mirabô de Mello, annoverato dall’Antenor tra gli amici politici di Joca Ramiro; la dimora privata di un uomo pubblico, dunque un luogo semiufficiale, in cui pubblico e privato si incontrano e si mescolano.

Di questo stato di cose dà conto la deposizione di Titão Passos, colui che nell’elenco di jagunços riportato all’inizio del capitolo era descritto, emblematicamente, come «o pelo preço de amigos»:

Ao que aprecio também, Chefe, a distinção minha desta ocasião, de dar meu voto. Não estou contra a razão de companheiro nenhum, nem por contestar. Mas eu cá sei de toda consciência que tenho, a responsabilidade. Sei que estou comodebaixo de juramento: sei porque de jurado já servi; uma vez, no júri da Januária... Sem querer ofender ninguém – vou afiançando. O que eu acho é que é o seguinte: que este homem não tem crime constável. Pode ter crime para o Governo, para delegado e juiz-de-direito, para tenente de soldados. Mas a gente é sertanejos, ou não é sertanejos? Ele quis vir guerrear, veio – achou guerreiros! Nós não somos gente de guerra? Agora, ele escopou e perdeu, está aqui, debaixo de julgamento. A bem, se, na hora, a quente a gente tivesse falado fogo nele, e matado, aí estava

possibilità di intervenire a tutti i suoi uomini (disposti in cerchio, uno accanto all’altro, intorno all’imputato), sebbene partendo dai capi.

20 L

UÍS RONCARI, O Brasil de Rosa. Mito e história no universo rosiano. O amor e o poder, São Paulo, UNESP, 2004, O tribunal do sertão, pp. 259-341.

21 W

ILLI BOLLE, grandesertã.br, cit., p. 126. Il termine ‘discorso’ è inteso dal critico, in senso foucaultiano, come rappresentazione verbale di un’istituzione.

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certo, estava feito. Mas o refrego de tudo já se passou. Então, isto aqui é matadouro ou talho?... Ah, eu, não. Matar, não. Suas licenças...”22

Il brano é un capolavoro di stile in quanto riassume in sé tutte le contraddizioni di un sistema che si concepisce al tempo stesso esterno e interno all’ordine costituito. Infatti Titão Passos inizia il discorso col rivendicare la sua esperienza in materia di convenzioni giuridiche, in virtù del fatto che è stato giurato a Januaria (in una città, laddove le città sono il luogo in cui si manifesta il potere centrale) e lo finisce rivendicando l’alterità radicale dei sertanejos rispetto agli organi di rappresentanza dello Stato («Pode ter crime para Governo, delegado, juiz de direito, para tenente de soldados. Mas a gente é sertanejos, ou não é sertanejos?»). A sfumare ulteriormente questa conclamata alterità, lo stesso Titão Passos, poco dopo, affermerà che «esses grandes de nossa amizade: doutor Mirabô de Melo, coronel Caetano, e os outros – hão de concordar com a resolução que a gente tome, em desdeque seja boa e de bom proveito geral»23.

Le leggi del sertão – lo si diceva – sono plurali e compenetrate. Vi è una Legge (quella della Repubblica, astratta e universale, cui – come abbiamo visto – fa continuamente appelo Zé Bebelo) e una legge (una prassi effettiva e radicata). È emblematico, a tal proposito lo scambio tra Joca Ramiro e Zé Bebelo, che di seguito si trascrive:

“O senhor veio querendo desnortear, desencaminhar os sertanejos de seu costume velho de lei...”

– “Velho é, o que já está de si desencaminhado. O velhovaleu enquanto foi novo...” – “O senhor não é do sertão. Não é da terra...”24

Si noti la pregnanza del vervo desnortear: letteralmente significa ‘far perdere il nord’ (della bussola), quindi disorientare, ma in questo caso viene ad assumere anche il significato di snaturare il Nord (cioè il Nord-Est del Brasile), ‘denordizzarlo’. Utilizzando questo temine Joca Ramiro mostra di aver ben

22 Ivi, p. 377. 23 Ivi, p. 388. 24 Ivi, p. 364.

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compreso che i progetti di Zé Bebelo sono un attentato mosso dall’universalismo di matrice coloniale alla “specificità” del Nord-Est. Il Deputado, nel suo ossequio alla mentalità liberale, non riconosce che un’unica Legge, quella con la l maiuscola, universale e irrevocabile, quella che – come abbiamo visto nel capitolo precedente – va di pari passo con la Cultura e il Progresso. Ed è proprio questo che fa dire a Joca Ramiro: «O senhor não é do sertão. Não é da terra», riconoscendolo in quanto esponente di quel Brasile ufficiale la cui vuota retorica e i cui ideali importati non hanno niente a che vedere con la realtà sertaneja. D’altronde

: «

sertão é onde manda quem é forte, com as astúcias. Deus mesmo, quando vier, que venha armado!»25. Il sertão, insomma, è di chi sa affiancare i fatti alle parole; per governare questi luoghi non basta l’autorità legale, occorre anche la forza materiale (e violenta) per rendere l’autorità un potere effettivo26

. Ma soprattuto occorre la capacità politica di “sporcarsi le mani”, di scendere a patti con il “costume” del luogo. Zé Bebelo stesso è, infatti, destinato a perdere molta della sua iniziale intransigenza. Già alla fine del processo, egli ammetterà:

Tenho nada ou pouco com o Governo, não nasci gostando de soldados... Coisa que eu queria era proclamar outro governo, mas com a ajuda, depois, de vós, também. Estou vendo que a gente só brigou por um mal-entendido, maximé. Não obedeço ordens de chefes políticos. Se eu alcançasse, entrava para a política, mas pedia ao grande Joca Ramiro que encaminhasse seus brabos cabras para votarem em mim, para deputado... Ah, este Norte em remanência: progresso forte, fartura para todos, a alegria nacional! Mas, no em mesmo, o afã de política, eu tive e não tenho mais... A gente tem de sair do sertão! Mas só se sai do sertão é tomando conta dele a dentro...27

Dal sertão si può uscire solo impadronendosene dal di dentro. In pratica, per normalizzare questo territorio lo si deve poter governare; e l’unico modo di

25 Ivi, p. 19.

26 Questa è, d’altronde, la condizione di ogni apparato di potere (non solo quello brasiliano), che

non può esistere senza un apparato coercitivo (polizia, esercito). 27 Ivi, pp. 390-391.

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governare il sertão è entrare all’interno dei suo “costumi di legge” e piegarli alle esigenze della modernização28.

Rebulir com o sertão, como dono? Mas o sertão era para, aos poucos e poucos, se ir obedecendo a ele; não era para à força se compor. Todos que malmontam no sertão só alcançam de reger em rédea por uns trechos; que sorrateiro o sertão vai virando tigre debaixo da sela29.

E così farà Zé Bebelo: obbedirà al sertão, tenterà di uscirne «tomando conta dele a dentro», cioè diventando il capo di quegli stessi jagunços che ora lo giudicano. E allora, durante la battaglia alla Fazenda dos Tucanos, di fronte all’affermazione di Léocadio che dice di cambattere «em nome de Deus e de meu São Sabastião», potrà aggiungere: «E da Lei...e da lei, também...»30, riconoscendo l’esistenza di quel pluralismo giuridico che dianzi aveva così fermamente negato. La parabola esistenziale di Zé Bebelo ha una valenza simbolica eccezionale: sta a significare che il Brasile può arrivare nel sertão solo mescolandosi con la sua realtà di fatto e che il Potere della Repubblica, per essere qualcosa di più che vuota retorica, deve essere capace di sussumere questa stessa realtà e piegarla ai suoi fini (la Política dos governadores).

In questo mondo misturado in cui politica e jagunçagem condividono lo stesso spazio d’azione, solo Hermógenes sembra rappresentare l’illegalità pura, il banditismo più cruento ma anche più “puro”, perché non disposto a scendere a patti con il Potere. Nell’elenco di capi citato all’inizio del presente capitolo ci veniva detto, infatti, che «Só o Hermógenes foi que nasceu formado tigre, e assassim». Al processo la sua posizione è la più estrema:

“Cachorro que é, bom para a forca. O tanto que ninguém não provocou, não era inimigo nosso, não se buliu com ele. Assaz que veio, por si, para matar, para arrasar, com sobejidão de cacundeiros. Dele é este Norte? Veio a pago do Governo.

28 È ciò che fece Kubitscheck nel cercare l’alleanza coi latifondisti del Nord-Est, per trasformare il territorio in una riserva di materie prime per l’industria nazionale.

29 Ivi, p. 532. 30 Ivi, p. 464.

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Mais cachorro que os soldados mesmos... Merece ter vida não. Acuso é isto, acusação de morte. O diacho, cão!”31

Si noti anche qui, nella domanda retorica: «Dele é este Norte?», l’affermazione, ancora una volta, dell’impossibilità di «Rebulir com o sertão, como dono». L’accusa peggiore che si possa muovere a un uomo è, per Hermógenes, quella di combattere «a pago do Governo», di essere «Mais cachorro que os soldados mesmos». Ciò vale per Zé Bebelo, ma vale a maggior ragione per Joca Ramiro. Come abbiamo visto, infatti, sono proprio le amicizie politiche di questo il motivo scatenante del tradimento degli uomini di Hermógenes e Ricardão; o almeno questo è il pretesto con cui Antenor sedimenta l’odio nei confronti del capo. Ma nel sertão niente è interpretabile in modo univoco. Infatti ciò che si è detto di Hermógenes, non si può dire del compagno di lui, Ricardão. Sebbene nell’immaginario di Riobaldo questi non assuma mai l’importanza dell’altro (per lui, i traditori saranno sempre «os do Hermógenes», Hermógenes è colui che Riobaldo ha più desiderio di uccidere, di lui ci viene detto fin dall’inizio che ha fatto un patto col diavolo), il narratore riconosce, in questa sede: «O Ricardão, no exatamente, era quem mandava no Hermógenes»32.

Ora, che tipo dei jagunço è Ricardão? Nell’elenco di capi jagunços leggiamo: «Ricardão, mesmo, queria era ser rico em paz: para isso guerreava». Al momento di riportare la sua deposizione al processo, l’autore ce lo descrive con queste parole:

Ele era o famoso Ricardão, o homem das beiras do Verde Pequeno. Amigo acorçoado de importantes políticos, e dono de muitas posses. Composto homem volumoso, de meças. Se gordo próprio não era, isso só por no sertão não se ver nenhum homem gordo. Mas um não podia deixar de se admirar do peso de tanta corpulência, a coisa de zebu guzerate. As carnes socadas em si – parecia que ele

31 Ivi, p. 368. 32 Ivi, p. 379.

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comesse muito mais do que todo o mundo – mais feijão, fubá de milho, mais arroz e farofa –, tudo imprensado, calcado, sacas e sacas33.

È il ritratto di un padrone, uno che sembrava «comesse muito mais do que todo o mundo», che nel proprio discorso si fa portatore delle istanze della sua classe sociale34: quella dei proprietari terrieri:

Relembro também que a responsabilidade nossa está valendo: respeitante ao seo Sul de Oliveira, doutor Mirabô de Melo, o velho Nico Estácio, compadre Nhô Lajes e coronel Caetano Cordeiro... Esses estão agüentando acossamento do Governo, tiveram de sair de suas terras e fazendas, no que produziram uma grande quebra, vai tudo na mesma desordem... A pois, em nome deles, mesmo, eu sou deste parecer. A condena seja: sem tardança! Zé Bebelo, mesmo zureta, sem responsabilidade nenhuma, verte pemba, perigoso. A condena que vale, legal, é um tiro de arma. Aqui, chefe – eu voto!...”35

Si noti l’aggettivo legal, riferito alla condanna, che mostra la collusione di Ricardão con il mondo della Legge. Per lui che è realmente un esponente dell’assetto del Potere, Zé Bebelo (con il suoi idealismo liberale) è solo uno «zureta, sem responsabilidade nenhuma, verte pemba, perigoso». Suo vero avversario è quel Joca Ramiro che appartiene al suo stesso mondo e con cui è in lotta per contendersi il medesimo spazio d’azione (rappresentato dagli interessi proprietari e dalle comuni influenze politiche). Joca Ramiro, e non Zé Bebelo, è il vero concorrente di Ricardão nella lotta per il potere.

Joca Ramiro e Ricardão rappresentano i due anelli di congiunzione tra il mondo del sertão e l’universo delle classi dominanti (i grandi latifondisti, di cui i jagunços sono praticamente i vassalli); universo che, per certi versi, appare come un corpo estraneo al sertão, sebbene non tanto estraneo quanto le istituzioni centrali. Anche di questo troviamo una rappresentazione efficace nel capolavoro

33 Ivi, p. 374.

34 Classe sociale all’interno della quale egli occupa però – come vedremo – una posizione di

sottomissione. 35 Ivi, p. 375.

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di Guimarães Rosa. Si veda, ad esempio, quel siô Abano che tanta importanza avrà nella vita di Riobaldo36. Così lo descrive il narratore, raccontando del suo primo incontro con lui:

Assim ele dava balanço, inquiria, e espiava gerente para tudo, como se até do céu, e do vento suão, homem carecesse de cuidar comercial. Eu pensei: enquanto aquele homem vivesse, a gente sabia que o mundo não se acabava. E ele era sertanejo? Sobre minha surpresa, que era37.

E poco dopo aggiunge: «conheci que fazendeiro-mor ésujeito da terra definitivo, mas que jagunço não passa de ser homem muito provisório»38.

Il jagunço, anche se capo e proprietario come Ricardão e Joca Ramiro, è un individuo precario (e un sottoposto), e in quanto tale è un vero esponente del sertão. Il siô Abano, che è invece un individuo ‘definitivo’, sembra a Riobaldo un uomo che non ha niente a che vedere con il sertão. Eppure ne fa parte; ne fa parte dal di fuori (poiché si sporca sì le mani con il ‘costume’, ma non direttamente, attraverso i jagunços), dall’alto, come potente, tanto che può permettersi di guardare a dei feroci criminali con l’occhio di chi non vi vede nient’altro che potenziali ‘dipendenti’, braccia da lavoro, mano d’opera a basso costo a disposizione della sua impresa commerciale:

E espiou para mim, com aqueles olhos baçosos – aí eu entendi a gana dele: que nós, Zé Bebelo, eu, Diadorim, e todos os companheiros, que a gente pudesse dar os braços, para capinar e roçar, e colher, feito jornaleiros dele. Até enjoei. Os jagunços destemidos, arriscando a vida, que nós éramos; e aquele seô Habão olhava feito o jacaré no juncal: cobiçava a gente para escravos!39

Per il suo statuto di fazendeiro-mor (‘fazendeiro maggiore’, più in alto dei fazendeiros vassalli che sono i capi-jagunço) egli è un esponente del mondo

36 Sarà l’incontro con lui a confermare definitivamente Riobaldo nel suo progetto di fare un patto

col diavolo. 37 Ivi, p. 587. 38 Ivi, p. 588. 39 Ivi, p. 591.

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“arcaico” e semi-feudale del sertão, ma al tempo stesso si eleva al di sopra di esso. Ed è con questo tipo di personaggi che la politica ufficiale può entrare in contrattazione diretta (da pari a pari) per far arrivare anche nel Nord-Est la lunga mano della modernização. Questo ruolo è riconosciuto al siô Abano dallo stesso Zé Bebelo, quando, nel sentire i progetti di lui, si sente investire da una ventata di speranza nel tanto amato progresso:

Zé Bebelo, que esses projetos ouvisse, ligeiro logo era capaz de ficar cheio de influência: exclamar que assim era assim mesmo, para se transformar aquele sertão inteiro do interior, com benfeitorias, para um bom Governo, para esse ô-Brasil!40

Ma, contrariamente a quanto avviene in Zé Bebelo (che si limita a sognare strade, ponti, scuole per i bambini etc. ), nel siô Abano il progresso rivela il suo volto più tragico ma anche più autentico, quello dello sfruttamento capitalistico:

Disse que ia botar os do Sucruiú para o corte da cana e fazeção de rapadura. Ao que a rapadura havia de ser para vender para eles do Sucruiú, mesmo, que depois pagavam com trabalhos redobrados41.

Ora, il siô Abano conosce per fama il padre di Riobaldo: Selorico Mendes, altro esponente del Potere nel sertão. Solo in quanto figlio di questi, e non in quanto guerriero dalla mira incredibile, il nostro protagonista potrà iniziare a parlare ad Abano da pari a pari:

“Duvidar, seô Habão, o senhor conhece meu pai, fazendeiro Senhor Coronel Selorico Mendes, do São Gregório?!” Pensei que ele nem fosse acreditar. Mas, juro ao senhor: ele me olhou com muitos outros olhos. Aquele olhar eu agüentei, facilitado42.

Ed è così che il cerchio si chiude, se pensiamo che a casa di Selorico Mendes – che, come abbiamo visto, si vantava di essere stato a tavola col Neco – Riobaldo incontra per la prima volta Joca Ramiro (ma anche Hermógenes e Ricardão); e che

40 Ivi, p. 592. 41 Ivi, p. 591. 42 Ivi, p. 593.

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è in bocca a questo persoanggio (che «Nas coisas de negócio e uso, no lidante, também quase não falava. Mas gostava de conversar, contava casos. Altas artes de jagunçosisso ele amava constante – histórias.»43) che incontriamo la prima descrizione esplicita del funzionamento dell’alleanza tra fazendeiros e jagunços44.

“Ah, a vida vera é outra, do cidadão do sertão. Política! Tudo política, e potentes

chefias. A pena, que aqui já é terra avinda concorde, roncice de paz, e sou homem particular. Mas, adiante, por aí arriba, ainda fazendeiro graúdo se reina mandador – todos donos de agregados valentes, turmas de cabras do trabuco e na carabina escopetada!45

Per concludere, c’è un’altra figura di fazendeiro che merita menzione in questa sede: il siô Ornelas. Quest’uomo «sistemático, sestronho»46 che «De ser de linhagem de família, [...] conseguia as ponderadas maneiras, cidadão, que se representava»; sembra avere poco a vedere con il mondo ruvido e violento del sertão. Eppure di lui apprendiamo che è il suo compare e capo, Rotilio Manduca, «viajava amiúde até no Rio de janeiro, se bem que famanado homem de cabras em armamentos, na política de jagunçagem»47. Anche lui, dunque, deve essere stato un jagunço. Riobaldo lo incontrerà per la prima volta quando, già capo, pernotterà nella sua proprietà e tra i due nascerà da subito un’intesa, tanto che il nostro si offrirà come protettore dell’onore della nipote dell’uomo. E non a caso è nella casa di lui che il protagonista si risveglierà alla fine dell’ultima battaglia della sua carriera di jagunço (quella in cui sono sconfitte le truppe di Hermógenes,

43 Ivi, p. 150.

44 Ma prima ancora, questo stato di cose traspare in controluce dalla descrizione che il narratore dà

della propria fazenda, in cui, ormai diventato egli stesso fazendeiro-mor, vive circondato dai suoi ex-compagni: «não vou valendo? Deixo terra com eles, deles o que é meu é, fechamos que nem irmãos. Para que eu quero ajuntar riqueza? Estão aí, de armas areiadas. Inimigo vier, a gente cruza chamado, ajuntamos: é hora dum bom tiroteiamento em paz, exp’rimentem ver. Digo isto ao senhor, de fidúcia. Também, não vá pensar em dobro. Queremos é trabalhar, propor sossego.» (ivi, pp. 26-27).

45 Ivi, p. 150. 46 Ivi, p. 649. 47 Ivi, p. 655.

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ma al prezzo altissimo della morte di Diadorim)48. Lì verranno a raggiungerlo anche la sua futura moglie Octacília e il siô Abano, con la notizia della morte di Selorico Mendes e dell’eredità lasciata al figlio. È un nuovo inizio per Riobaldo che ora è pronto a passare definitivamente dall’altra parte del sertão, quella degli ‘individui definitivi’.

48 Tra l’altro è proprio un calendario (oggetto simbolo di un tempo razionalizzato, misurabile) il

primo oggetto su cui Riobaldo si sofferma e che gli dà piacere: «A primeira coisa que eu queria ver, e que me deu prazer, foi a marca dos tempos, numa folhinha de parede» (Ivi, p. 866).

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