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III. Il romanzo: analisi strutturale

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Academic year: 2021

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III.

Il romanzo: analisi strutturale

§ III. 1 Il racconto: una successione di parole

Secondo R. Barthes, nella sua Introduzione all’analisi strutturale del racconto, il livello “narrazionale” è un sistema di valori basato sul discorso. Durante la lettura di un libro, il lettore si lascia trasportare nella realtà descritta dalla successione degli eventi raccontati nella narrazione, abbandonando temporaneamente la percezione del mondo reale, per riuscire ad assaporare le situazioni e le emozioni proposte nelle scene della finzione narrativa. Si attiva dunque un processo mentale, che allenta l’attenzione rivolta al contesto esterno, e aumenta la concentrazione sulle pagine del racconto: la cosiddetta “immersione nella lettura”, che rende possibile l’animazione delle azioni della storia narrata nella fantasia del lettore. Gli avvenimenti descritti sono il frutto dell’elaborazione, da parte dell’autore, di sequenze narrative, formate da una successione di frasi, che creano l’ambiente fittizio del romanzo. Linguaggio, dunque, che prende vita nell’immaginazione di chi si inoltra nella lettura del libro. Questo risultato, la trasformazione delle parole in immagini mentali, si ottiene grazie alla codifica delle scene, raccontate nelle sequenze narrative, tramite le loro relazioni con i rispettivi referenti nella realtà esterna, resa possibile dalla logica dell’esperienza.1 Ciò che è narrato all’interno dell’universo immaginario del racconto, sia esso una novella o un romanzo, è, di fatto, una riproposizione di un qualcosa già sperimentato nella vita reale; la finzione narrativa può pertanto essere definita una rielaborazione degli eventi del mondo reale. La sequenza narrativa

è una serie logica di nuclei uniti tra loro da una relazione di solidarietà.2

1 Barthes 1969 2 Barthes 1969

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Unità base del racconto, la sequenza narrativa è costituita da un piccolo gruppo di funzioni metalinguistiche. Le funzioni sono raggruppate all’interno di insiemi omogenei di sequenze che, legate fra loro da relazioni di senso logico, formano la copertura funzionale del racconto. Questa si configura come una vasta struttura organizzativa, in cui le sequenze sono collegate fra loro senza interruzione, susseguendosi, in modo che la parte finale della sequenza precedente risulti essere l’input di quella successiva; e si intersecano a diversi livelli, partendo dalle micro- sequenze di funzioni, come la descrizione di un’azione svolta dal personaggio, fino ad arrivare a strutture organizzative più ampie, che illustrano situazioni più complesse all’interno della trama narrativa.

§ III. 2 Freispruch für Medea: la trama

Il romanzo si apre con una premessa, in cui l’autrice giustifica la scelta di non avere rappresentato il mito di Medea seguendo la scia euripidea, bensì andando a cercare fra le testimonianze più antiche, e riprendendo la tradizione pre- euripidea, per raccontare la vita di una Medea vista non come il prototipo di infanticida, ma vittima dei pregiudizi altrui:

Wie ich mich mit der Stärke und Unbedingtheit ihrer Persönlichkeit identifizieren konnte, so fremd war mir die überlieferte Rache der Medea, als betrogene Frau die mit Jason gemeinsamen Kinder zu töten.3

La volontà di scagionare la donna dall’infamia attribuitale nel corso della storia letteraria non le impedisce, tuttavia, di lasciare che la protagonista si macchi di vari delitti, lungo il percorso che compie dalla Colchide fino in Grecia (come l’omicidio del

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fratello Apsyrtos e quello del re Pelias, benché in entrambi i casi Medea non ne sia l’esecutrice diretta). Il romanzo, parabola della vita della principessa colchica, sembra essere diviso in due parti, in mezzo alle quali l’atto dell’aborto appare come “turn of the screw”, la chiave di volta: il momento di piena maturazione di Medea, che apre gli occhi di fronte all’illusione del sentimento amoroso provato nei confronti di Jason, in nome del quale, fino a quel momento, si erano giustificati gli spargimenti di sangue e le rinunce (alla terra nativa, all’affetto delle persone care). Se nelle pagine precedenti a tale atto Medea è rappresentata prima come la fanciulla spensierata, ma arrendevole al volere degli altri (soprattutto nei confronti del padre, che la considera una bambina prodigio, benché il suo affetto per lei si limiti a celare le sue reali intenzioni, ossia lo sfruttamento delle sue arti magiche), e successivamente come moglie pacata e sottomessa al marito, dopo l’aborto nella donna avviene un cambiamento psicologico, che si manifesta tramite un periodo di mutismo e depressione. Una volta riacquisita la voce, dopo l’episodio in cui Medea aiuta Herakles a Tebe, il carattere della principessa colchica muta, esternando la sua indole ribelle, insita in lei fin dall’infanzia, nell’ostilità che prova nei confronti del genere maschile, e meditando vendetta attraverso le nozze che ha in mente di contrarre con il sovrano di Atene, Aigeus. La personalità di Medea, fino ad allora caratterizzata dall’ingenuità e dalla pacatezza della fanciulla colchica, dopo l’esperienza dell’aborto si trova ad affrontare un periodo di sentimenti burrascosi, che la rendono consapevole delle azioni compiute in passato, uscendo quindi dall’illusoria felicità dell’infanzia, e dalla piacevole isola felice, in cui si era rinchiusa a fianco dell’eroe greco.

La vicenda di Medea è strutturata in quattro macro- capitoli, ripartiti ulteriormente in trentanove capitoli minori, che non sono suddivisi in maniera sistematica nei capitoli principali:

I. MÄDCHEN4 (1- 4) II. JASON5 (5- 28)

III. FLUCHT6 (29- 33) IV. RÜCKKEHR7 (34- 39)

4 Freispruch für Medea, pp. 13- 49

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All’inizio di alcuni dei capitoli minori appare un breve riassunto (in alto a destra della pagina, prima della numerazione del capitolo, scritto in maniera extra- testuale e in caratteri più piccoli rispetto al corpus del racconto), che comprende i contenuti del capitolo stesso, e di quelli che seguono. Non vi è una logica di apparizione di tali riassunti tematici; essi compaiono, infatti, soltanto all’inizio di diciassette capitoli, e non sembra esserci alcuna regola di ricorrenza.

Il capitolo primo, Mädchen, racchiude le vicende vissute dalla principessa colchica nella madrepatria, e le relazioni che la legano agli altri abitanti della Colchide. Esso si apre con la presentazione del personaggio protagonista, che appare sulla scena in un’immagine tipicamente infantile: la corsa. Nei capitoli minori ivi compresi si narra dello stretto legame fra la fanciulla e la natura, in cui Medea ritrova l’essenza di se stessa, che si esplicita attraverso la dedizione di lei nella coltura dei colchici, i fiori lilla. Si descrive in seguito l’arrivo nella Colchide della zia paterna, la maga Kirke, che sconvolge la mente della giovane Medea (la cui fantasia era già da tempo popolata dalla figura misteriosa della donna, grazie ai pettegolezzi di corte), con visioni incantate e bizzarre degli uomini- bestia, suoi amanti. Lungo le pagine del primo capitolo del romanzo, si percepisce come la vita della principessa colchica, ancora una fanciulla innocente, sia divisa fra l’armonia in cui Medea vive con il giardiniere Leonidas e il nonno Helios, e il turbolento rapporto con la matrigna Idyia, verso la quale Medea prova timore e allo stesso tempo volontà di ribellione, nonché il controverso rapporto con il padre. A questo ultimo argomento è dedicata l’ultima parte del primo capitolo, subito prima dell’introduzione, nel capitolo successivo, di Jason e dell’impresa degli Argonauti. Medea sperimenta nel rapporto con la figura paterna la propria forza di guaritrice, in quanto esperta di erbe medicinali e portatrice di una saggezza sovrannaturale, e la debolezza che dimostra avere nei confronti dell’autorità maschile, alla quale si assoggetta docilmente, a differenza dell’ostilità e dell’istinto di ribellione che prova nei confronti della madre.

6 Freispruch für Medea, pp. 156- 186 7 Freispruch für Medea, pp. 187- 219

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All’inizio del capitolo secondo, Jason, è descritto l’approdo della nave Argo sulle sponde delle terre orientali. La narrazione descrive il primo contatto che i Greci hanno con i nativi della Colchide, lungo il percorso che porta al palazzo del sovrano, sottolineando la diversità delle due culture: quella occidentale, che si considera superiore e civilizzata, e quella orientale, rappresentata dalla popolazione della Colchide, rurale, legata alla terra e, agli occhi dei dotti Greci, di costumi primitivi. Dopo la presa del Vello d’Oro da parte di Jason, supportato dalle arti magiche di Medea, innamoratasi dell’eroe greco, è narrato il viaggio di ritorno in Grecia, durante il quale si succedono gli episodi della morte di Apsyrtos, la visita di Medea e Jason sull’isola di Kirke per espiare l’omicidio, il matrimonio dei due amanti sull’isola di Korkyra (Corfù), e l’uccisione dell’usurpatore del trono di Iolco Pelias, zio di Jason. Nei capitoli successivi è descritta la vita di Medea nel palazzo di Korinth, relegata dal marito al ruolo di moglie, fedele e sottomessa, nella dolce prigione delle sue stanze regali, fra ancelle, ricami e olii profumati:

Jason hatte das dunkle Mädchen aus dem fernen Land geholt und hielt es wie sein exotisches Eigentum in dem süßen Gefängnis.8

Medea, in stato di gravidanza, e consapevole del fatto che il marito soddisfi le sue brame erotiche presso il salotto della cortigiana Aspasia, tenta un ultimo riavvicinamento al consorte, donandogli una seconda giovinezza; ma questo si approfitta ancora una volta di lei e, tornato vittorioso dalla guerra contro la città di Argos, decide di ripudiarla per sposare Kreusa, e legittimare così la sua sovranità sul regno di Korinth. Il capitolo si chiude con la scena dell’aborto, in cui Medea si avvelena, ingerendo il fungo parassita della segale, la Claviceps Purpurea o Ergot, che le provoca attacchi epilettici e allucinazioni, e fra le convulsioni la donna ha la visione

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della rivale Kreusa che arde in fiamme, seguita nella stessa sorte dal padre, nel vestito donatole da Medea come regalo di nozze.

All’interno del capitolo terzo, Flucht, Medea abbandona Korinth, recandosi dapprima da Herakles a Theben, dove lo libera dall’incantesimo della matrigna Era, ossia l’identificazione da parte dell’eroe greco dei due figli con le figure bestiali, che la dea era solita inviargli al fine di ucciderlo. Dopo avere lasciato Herakles in preda alla desolazione poiché, ritrovato il senno, si rende conto di avere ucciso i figli, Medea medita vendetta contro gli uomini e la società greca da cui è sempre stata discriminata, e decide di sposare il vecchio sovrano di Athen, Aigeus, con il quale ha un figlio meticcio. L’arrivo del bambino sembra placare l’ira della donna, che in principio aveva riposto in lui la speranza di una futura sovranità della “razza barbara” sulla civiltà greca. La stabilità della vita ad Athen è però infranta dall’arrivo di Theseus, primogenito illegittimo di Aigeus, che Medea tenta di avvelenare, e pertanto, insieme a Viviane e Medos, è costretta all’esilio.

Nel quarto e ultimo capitolo, Rückkehr, si descrivono ancora una volta le terre orientali e i vasti campi ai piedi del Caucaso. Il figlio di Medea, Medos, scopre la patria materna, e incontra Kirke con il figlio Telegonos, mentre Medea ritorna, non senza difficoltà, alla sua vecchia realtà, ritrovando i genitori, invecchiati e deformati dal peso degli anni e dei dispiaceri, e il non mutato Leonidas. Il romanzo termina con la riproposizione di una delle scene iniziali, in cui Medea si reca dal nonno, e insieme osservano il tramonto dalla terrazza del palazzo. Nonostante i cambiamenti, il sempiterno Helios riduce tutte le vicende negative vissute dalla nipote come esperienze necessarie alla vita della principessa colchica, senza le quali Medea sarebbe rimasta incompleta nella sua essenza:

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Aber schau zurück. Du hast Jason geliebt, liebst ihn noch! Er ist die Sonne. Er ist das Feuer, dem du nah bist, das dich verbrennt und leuchten läßt. – Du hast deinen Sohn mit nach Kolchis gebracht! –

§ III. 3 La ciclicità nella narrazione del romanzo: la Colchide

Mentre nel dramma euripideo la vicenda di Medea è incentrata sull’ultima parte della sua vita trascorsa a Corinto, quando si consuma la tragedia dell’infanticidio, nel romanzo della Haas si narra la vita della principessa colchica dalla sua infanzia trascorsa nella Colchide, sino al suo ritorno in patria, accompagnata dal figlio e dalla fedele nutrice, dopo molti anni passati nel mondo della civiltà greca. Il vasto panorama di terre visitate da Medea durante i suoi viaggi (le sue fughe) comprende un itinerario circolare: le terre orientali, che si ergono fra la catena del Caucaso e il Mar Nero, le isole del Mar Adriatico, fino a giungere nelle terre greche, per poi infine tornare in Oriente. La Colchide, terra misteriosa e selvaggia,9 si delinea come punto di partenza e di arrivo della vicenda narrata, e i suoi abitanti non mutano con il passare degli anni, ma come in una dimensione incantata e atemporale rimangono invariati, intenti a passare le giornate immersi nei doveri quotidiani. Nel momento in cui, all’inizio del quarto capitolo, Medea, Medos, Viviane e la servitù greca scorgono gli abitanti del regno della Colchide intenti in festeggiamenti tradizionali, ricorrono sulla scena molti degli elementi descritti dai ricordi di Medea all’inizio del romanzo, quando con Jason e gli Argonauti era in procinto di lasciare l’Oriente a bordo di Argo. Leonidas in primis, l’amico di Medea, che si occupa dei giardini di colchici del regno con assoluta

9 Nel romanzo è localizzata in Oriente, affacciata sul Mar Nero e delineata dalla catena del Caucaso,

secondo l’ubicazione tradizionale, sebbene esistano anche altre occasionali testimonianze, cfr. Susanetti 2005, p. 213: «la testimonianza di una collocazione contraria che situa il regno dei Colchi nello spazio inquietante e deserto dell’estremo occidente al di là delle colonne d’Ercole, ove ‘i raggi del Sole riposano nel talamo dorato sulle rive di oceano’ (Mimnermo, fr. 12 West.)»

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dedizione, sembra non essere stato intaccato dallo scorrere del tempo, né essersi accorto del periodo trascorso in assenza della principessa:

Ohne sichtbaren Grund drehte sich Leonidas plötzlich um. Medea. Kein Schrecken in seinen Augen, keine Freude. Er legte die Sense aus der Hand und kam langsam den Hang herunter. Sie sahen sich an. Der Kaukasus im Licht. Schulterhoch die Herbstzeitlosen, der Vogelfels in reinen Farben.

«Gut, daß du da bist, Medea – es gibt viel zu tun diesen Sommer.»

«Ja, ich bin wieder zu Hause, Leonidas! – Mein Sohn Medos ist bei mir. Ich habe ihm in Griechenland viel von dir erzählt.»

«Die Kolcherblumen werden bald blühen, Medea.»10

Il nonno Helios, al contrario, è consapevole degli avvenimenti vissuti dalla nipote lontano dalla patria ma, nonostante ciò, anche lui è immerso nell’atmosfera di eternità immutabile della terra orientale. Nelle ultime pagine del romanzo si ripropone la stessa scena del primo incontro fra Medea e il nonno, quando osservano il tramonto sulla terrazza del palazzo. La saggezza dell’anziano rassicura la nipote, spaventata dallo smarrimento in cui si ritrova, dopo l’esperienza greca e i sacrifici compiuti, e spiega tutto il suo tormento con il fatto che la donna ha semplicemente vissuto ciò che avevano previsto insieme in passato, ed è poi tornata al punto di origine, nel palazzo natale, ad osservare il tramonto, come nel momento in cui i due si erano separati anni prima.11 Le uniche due figure della Colchide, che Medea ritrova mutate dall’azione del tempo, sono i genitori Idyia e Aietes, entrambi invecchiati e schiacciati sotto il peso del dolore, per la perdita del figlio Apsyrtos la prima, e per la demenza senile il secondo, probabilmente causata dagli eccessi della vita sregolare condotta in passato dal sovrano. Nonostante il loro cambiamento fisico e mentale, rispetto alle figure austere dei genitori conosciute da Medea prima della sua partenza alla volta della Grecia, anche questi due personaggi vivono in una dimensione atemporale, straniati dalla realtà che li circonda.

10 Freispruch für Medea, p. 205 11 Freispruch für Medea, pp. 216-218

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§ III. 4 Le personalità principali del romanzo

Il personaggio (dal greco charakter “impronta”, “segno impresso”, “incisione”) corrisponde a quel prodotto stilistico, all’interno della narrazione, la cui funzione è quella di identificarsi come soggetto concreto delle azioni che ricorrono nella trama, al fine di sorreggere la struttura narrativa:

Di fatto, le opere narrative basano una grandissima parte della loro capacità di interessarci su un meccanismo illusionistico, che consiste nell’evocare, attraverso un certo numero di informazioni testuali, la presenza di quello che Forster ha chiamato Homo Fictus: una figura immaginaria, fatta esclusivamente di materiale verbale, ma percepibile come umana, o almeno disponibile a essere interpretata in termini umani. Il che presuppone la realizzazione di un’operazione cognitiva complessiva, se non di un vero e proprio salto logico, tale da fondere momentaneamente due livelli di esistenza diversi come il piano delle parole e quello della realtà. È proprio per via di questa doppia natura che, nella storia della critica, le proposte per definire l’ontologia del personaggio si sono raggruppate in due campi, che hanno puntato rispettivamente sul suo ruolo testuale, o più esattamente “grammaticale”, e sulla sua consistenza umana reale.12

Nel testo euripideo la parte anteriore alla vicenda di Corinto è solo accennata dalle parole della balia, che parla dell’arrivo degli Argonauti nella Colchide, del furto del Vello d’Oro, dell’omicidio di Pelia, e a conclusione del dramma Medea anticipa la sepoltura dei figli nel tempio della dea Era Acraia e predice la morte di Giasone,13 non facendo alcun riferimento a ciò che succederà dopo l’esilio da Corinto. Nel romanzo della Haas, invece, si fanno spazio le vicende vissute da Medea nel viaggio a bordo di Argo, l’esperienza a Tebe e ad Atene, e soprattutto quella vissuta nella Colchide. I

12 Cavalloro 2014 13 Del Corno 1990

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personaggi che appaiono lungo la narrazione sono dunque molti, e con differente influenza sulla vita della principessa colchica. Alcuni di essi, che hanno parte attiva nella tragedia di Euripide, si presentano nel romanzo piuttosto con un ruolo marginale e muto (come il pedagogo), o non compaiono (come Creonte e il nunzio).

- Medea

Figlia di Eeta (Aietes) re della Colchide, nel romanzo di U. Haas la principessa è presentata nel fiore della sua giovinezza, quando ancora bambina e innocente vive in armonia con l’ambiente che la circonda. Nata dall’unione di Eeta, figlio del Sole, con Ecate, dea dell’Oltretomba e delle notti di luna piena, Medea è descritta come una creatura vivace e misteriosa, i cui tratti soprannaturali (o semidivini) emergono dalle sue arti magiche. Nella prima parte del romanzo, che si svolge nel palazzo di Aietes, e sui vasti prati colchici, l’indole mite benché selvaggia della ragazza prefigura la passione da cui sarà sconvolta una volta incontrato Jason.14 La Medea descritta dalla Haas, che sceglie di seguire il suo impulso d’amore, tradendo la famiglia e la patria, ha come principale caratteristica, che la accompagna per tutta la narrazione, il carattere ingenuo del suo agire. Così come nel personaggio euripideo, sono le emozioni a guidare l’animo della donna, che non si perita di sacrificare le persone amate per perseguire il proprio desiderio amoroso. Al momento in cui si esaurisce la sua funzione di aiuto all’eroe greco, questo trova in un’altra donna un vantaggio migliore, e decide quindi di soddisfare la sua brama di potere (o la sua ricerca di stabilità sociale) abbandonando la prima moglie. Questi temi, il rapporto fra i sessi e il contrasto tra amore e convenienza, nella Medea di Euripide permeano ogni scena del dramma, che comincia in medias res, quando già il ripudio è stato reso noto, e la donna brama vendetta. L’animo della donna è pieno di odio e rancore, e non vi è alcuna traccia della gentilezza della fanciulla descritta nel romanzo (ad eccezione della falsa gentilezza con cui la Medea di Euripide finge di acconsentire al volere di Giasone e Creonte). U. Haas non ricalca la fisionomia

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del personaggio euripideo, ma fa compiere alla sua Medea un percorso psicologico che, dall’odio provato nei confronti di Jason, passa ad estendere il sentimento di vendetta a tutta la “razza” maschile, incolpando gli uomini di averla costretta all’aborto e agli altri spargimenti di sangue compiuti per amore di un uomo:

Medea weinte, als sie aus diesem Schlaf erwachte, denn ihre Hilflosigkeit, ihre Abhängigkeit von dem Männlichen war ihr nie bewußter geworden. Warum hatte sich ihre Liebe in Haß wenden müssen, warum waren auch ihre Wünsche nach Frieden, nach Toleranz an dem männlichen Trieb nach Macht, nach Anpassung, nach Erfolg, von Jason vernichtet worden? […] Nun wurde sie durch Jasons Abschied auch noch zur Amazone. Sie brauchte den Mann nur zur Kinderzeugung. Jasons Demütigung konnte sie nur Vernichtung entgegensetzen. Die Enttäuschung über ihn übertrug sie auf alle Männer. Hatte sie früher den Mann als etwas Fremdes empfunden – wie der Vater damals mit seinem Gefährten ein anderes Leben führte, - so hatte sie nie gehaßt. […] Klar stand Medea vor sich selbst und voller Trauer, einen Weg gehen zu müssen, der sie selbst anwiderte. Aber um zu überleben, mußte sie die Männer hassen. Sie weinte. Medea, der Mond, war verloren. Für immer.15

Medea medita una futura vendetta, che vuole attuare tramite il figlio avuto con Aigeus, ovvero il Barbaro che sottomette il mondo civile, intendendo come barbarie il suo stato di donna e straniera; tuttavia la nascita del bambino placa la sua brama vendicativa, aiutandola a superare il periodo di depressione. Nelle ultime pagine del romanzo Medea, tornata in patria, tenta con difficoltà di ritrovare il contatto con la natura, che aveva scoperto e rafforzato negli anni della sua infanzia, come è descritto nel primo capitolo del libro, ma che, attraverso la civilizzazione greca e la reclusione nei palazzi di Korinth e Athen, si era affievolito.

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- Jason

L’eroe greco, a capo della spedizione degli Argonauti, nel romanzo della Haas continua a svolgere la sua funzione di antagonista dell’eroina tragica della vicenda, Medea. Nella tragedia euripidea Giasone è una figura sbiadita, borghese, opportunista, non un uomo di spessore eroico, anzi diremmo che è l’anti- eroe per eccellenza,colui che antepone il proprio profitto agli affetti familiari e alla lealtà verso la sposa, e ripudia la moglie, senza la quale non avrebbe ottenuto il trionfo nella spedizione alla ricerca del Vello d’Oro, per contrarre un matrimonio più proficuo, al fine di assicurarsi la scalata sociale alla corte di Korinth e legittimare la sua successione al trono. Nel romanzo, l’interesse di Jason nei confronti di Medea si esaurisce nel momento in cui questa scopre di essere incinta: dopo averla sfruttata per ottenere successo e fama, nella spedizione in Colchide e a Jolkos, con il frutto del suo grembo egli si assicura una discendenza legittima,16 quindi la consorte cessa di essere per lui fonte di sentimenti affettivi e brame sessuali (che soddisfa frequentando il salotto della cortigiana Aspasia). L’autrice inserisce un episodio, in cui Medea offre all’eroe greco una nuova giovinezza, tentando di riavvicinarsi al marito; il pretesto utilizzato per ingannare e uccidere il sovrano Pelias è dunque riproposto come atto d’amore verso il marito, il quale però non si dimostra riconoscente, approfittandosi ancora una volta dell’ingenuità della donna. Sebbene nel romanzo il frutto dell’unione tra Jason e Medea non si concretizzi, poiché la principessa colchica non porta a termine la gravidanza, Medea, dilaniata dal dolore per il trauma dell’abbandono di lui, si esprime in monologhi scissi fra l’istinto materno e amorevole verso la propria creatura, e la volontà di vendetta nei confronti del marito,17 per il quale, nel corso del capitolo III. Flucht, nutrirà un odio crescente, che si estenderà fino a comprendere l’intero genere maschile (e la stessa società greca). Il ripudio di Jason è il perno intorno a cui si sviluppano le vicende del romanzo successive all’interruzione della gravidanza, ossia la vendetta di Medea nei confronti di Kreusa e Kreon (contemporanea all’aborto), la fuga da Korinth, l’episodio di Herakles e il periodo trascorso ad Athen.

16 Freispruch für Medea, pp. 120- 121 17 Freispruch für Medea, pp. 150- 155

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- Leonidas, Helios e Viviane

I tre personaggi colchici svolgono una funzione di aiuto dell’eroina tragica. Leonidas, il giardiniere, e Helios, il nonno, appaiono all’inizio e alla fine del romanzo, negli episodi che si svolgono nella terra nativa di Medea. Sono entrambi entità statiche, che rimangono immutate nelle loro caratteristiche fisiche e psicologiche, nonostante gli avvenimenti che accadono, come la morte del membro della famiglia regale Apsyrtos, e ignare perfino dello scorrere degli anni. Leonidas sembra perfino inconsapevole del periodo di tempo che Medea ha vissuto in Occidente, e continua la sua routine sui campi della Colchide, occupandosi delle piantagioni del regno. Helios, la divinità, nella prima scena in cui appare nel romanzo, intento ad osservare il tramonto sulla terrazza, predice il futuro alla nipote e, in una scena analoga, che si ripropone nelle ultime pagine del libro, conforta la donna, mostrandosi consapevole delle vicende negative da lei vissute. Viviane, la balia di Medea, è presente in tutti gli episodi della storia, e accompagna la protagonista con la sua figura saggia e materna. L’anziana donna svolge la funzione di consigliera e amica consolatrice, che sostiene Medea lungo il percorso che questa intraprende, sia a livello fisico, durante le vicende vissute nel viaggio dalle terre di Oriente fino in Occidente e viceversa, sia a livello psicologico, nel passaggio dall’ingenuità e innocenza infantile della fanciulla, alla consapevolezza dell’età adulta. Complice di tutte le azioni della principessa colchica, dalla fuga dalla madrepatria all’omicidio di Pelias, non si oppone mai alla volontà della padrona, le cui richieste esaudisce senza contrastarle con una coscienza propria.

- Medos

Questo personaggio appare nella terza parte del romanzo, ed è il frutto delle nozze fra Medea e il re ateniese Aigeus. Nella tradizione mitologica, Medo, è protagonista di una leggenda eziologica del popolo dei Medi, in cui egli vaga in Asia alla ricerca della madre che, diversamente da quanto accade nel romanzo, dopo l’arrivo

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e il riconoscimento di Teseo da parte di Egeo, abbandona Atene senza il figlio. Il fanciullo descritto nel romanzo è il simbolo dell’unione di due culture, quella della civiltà orientale di Medea e quella della civiltà greca. Nonostante egli debba essere educato secondo i costumi dell’aristocrazia greca, al fine di prepararne l’ascesa al trono di Athen, la madre, con l’aiuto della balia Viviane, rievoca le immagini del popolo della Colchide attraverso canzoni e favole, per permettere al bambino di costruire nel suo immaginario lo sfondo della madrepatria materna, che al momento del ritorno in Oriente si concretizzerà davanti ai suoi occhi. Il bambino meticcio, che Medea inizialmente vuole utilizzare come mezzo per compiere la sua vendetta sui Greci, deve avere un aspetto greco, per non essere discriminato dalla società occidentale, come la madre, ma portare in sé l’animo selvaggio e straniero da lei ereditato, affinché un sovrano “barbaro” regni sui suoi nemici. Medos, però, non riesce ad eccellere nelle arti atletiche, né negli studi delle lettere e dei rapporti di guerra a cui lo educa il suo pedagogo Alexander. Nel momento in cui appare il primogenito illegittimo del re di Athen, Theseus, e prima ancora che egli venga riconosciuto dal padre, e scelto come suo unico erede e successore al potere, Medos non riesce a reggere il confronto fisico e psicologico con l’eroe, che viene lodato da Aigeus come prototipo di bellezza e perfezione greca, mentre il giovane figlio è da lui indirettamente disprezzato per la sua eredità orientale:

«Wo ist mein Sohn Medos?» rief der König. «Er soll die Muskeln des Fremden anfassen. Medos, komm schnell her. Schau dir den starken Griechen an.» Medea hörte das Wort „Grieche“. Sie handelte nur aus diesem Wort heraus, ohne Denken, ohne Gefühl. Sie war mit einem Schlag besetz von der ganzen Demütigung, die das Wort „Grieche“ mit ihr in diesem Land vollzogen hatte, und sie handelte aus dem äußersten Grad an Abwehr und Rache.18

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- Kirke

Questa divinità mitica, che nella tradizione mitologica è descritta come figlia del dio Elio e della ninfa oceanina Perseide, e sorella di Eeta, rappresenta nel romanzo la figura femminile, misteriosa e seduttrice, che popola la fantasia di Medea bambina. La fanciulla, prima ancora di incontrare di persona la zia paterna, vede in lei la personificazione della tentazione e del proibito, dal momento che a corte non è concesso parlare liberamente delle vicende che riguardano la vita di Kirke:

In Medeas Kindheit wurde von Kirke nur so gesprochen, als hielte man sich die Hand vor den Mund. Medea sah dünne Fäden des Besonderen zwischen den Fingern des Redners, wenn er von der Schwester ihres Vaters sprach. Daß er etwas verschwieg, konnte auch nicht mit Ablenkungen verheimlicht werden. Kirke wurde für das Kind geheimnisvoll und übergroß; sie spannte sich in ihrer Einbildung zwischen Himmel und Erde, was ihr ein angenehmes Gruseln über den Körper trieb.19

Nel terzo capitolo minore è descritta la scena dell’incontro fra Kirke e la fanciulla. La zia si materializza all’improvviso nella vita della nipote, che rimane ancora più affascinata dalla personalità bizzarra di Kirke, che tenta di intimorirla con la sua figura mostruosa, incantandola in seguito con le visioni dei suoi incontri amorosi con gli uomini- bestia. In uno dei dialoghi fra Kirke e Medea, la dea associa il colchico, fiore amato dalla nipote, al moly, il fiore bianco dalle radici nere, donato dal dio Hermes a Odysseus per rimanere immune alle arti magiche di lei, benché subito dopo si descriva la scena in cui la dea chiama a sé i suoi amanti, fra i quali vi è appunto Odysseus, che verrà trasformato come gli altri in bestia. Nell’ultima parte del romanzo, in cui si narra dell’incontro fra Kirke e il figlio di Medea, Medos, la donna è accompagnata dal figlio

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Telegonos, avuto da Odysseus, che tenta di calmare la madre, adirata contro la nipote, che a causa del greco Jason ha provocato la rovina della famiglia reale della Colchide.

- Idyia, Aietes e Apsyrtos

I sovrani del regno della Colchide sono presentati, all’inizio del romanzo, come una coppia di coniugi in piena crisi, e la scrittrice sembra mostrare i segnali del degradarsi del loro rapporto matrimoniale attraverso alcuni fatti, che vengono raccontati lungo i capitoli, come l’estirpazione dei pali del vigneto di lei, benché producesse ancora frutti rigogliosi, voluta dal marito,20 oppure le discussioni che i due hanno circa il significato di “Aiaia”, ovvero la prima parola pronunciata dalla piccola Medea.21 Il rapporto che Medea ha con entrambi i genitori è complicato: la matrigna Idyia, che dovrebbe rappresentare per lei una figura materna (questa funzione è invece svolta dalla balia Viviane, nonché dalla sorella maggiore Chalkiope), è in realtà vista da Medea bambina come una nemica, che la contraddice in ogni sua azione, e disapprova il suo comportamento. Idyia è capace di provare nei confronti della figlia soltanto indignazione, oppure, nel migliore dei casi, indifferenza; soltanto nel momento in cui Medea raggiunge la maturità sessuale, con l’arrivo del menarca, la madre sembra essere soddisfatta di lei,22 forse perché vede in questo fatto l’avvicinarsi, per quella figlia irrequieta, della prospettiva del matrimonio. Nell’ultima parte del romanzo il personaggio di Idyia perde la sua severità, presentandosi come una sovrana anziana, sebbene all’apparenza austera, debole e affranta, a causa del dolore avuto per la perdita del figlio. Nel dialogo che la regina ha con Viviane,23 non accusa Medea per tale omicidio, come avviene invece nel caso di Kirke, ma si limita a disperarsi, delirando nella sua pazzia. Mentre Idyia rimane per Medea un’estranea, la figura del padre Aietes, del quale Medea, come per la zia Kirke, inizialmente apprende notizie solamente

20 Freispruch für Medea, p. 19 21 Freispruch für Medea, p. 26 22 Freispruch für Medea, p. 49 23 Freispruch für Medea, pp. 206- 207

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attraverso i discorsi altrui, soprattutto quelli negativi pronunciati dalla madre, diventa parte della cerchia affettiva della fanciulla. Durante i frequenti episodi della guarigione di lui da parte della figlia, infatti, questa si lega al padre in una dimensione metafisica:

Erschöpft schlief Medea ein. Der weiße Vater neben ihr, seine Hand strich über sie, sein Gesicht roch nach Schweiß. Medea entdeckte die Veränderung an sich und an ihm. Ihre Körperflächen bewegten sich aufeinander zu.

Medea fand sich ein in die Phalanx des Vaters. Sie machten sich gemeinsam auf den Weg, bestiegen Treppen, durchflogen Gärten und machten Räume zu riesigen Türmen. Kaleidoskopische Erregung.24

Nell’ultimo capitolo del romanzo, quando Medea torna nella madrepatria, la donna prova pietà per il padre, che trova invecchiato e malato, e tenta di riallacciare la relazione affettiva con lui, cercando di guarirlo dalla pazzia in cui è immerso con l’aiuto, ancora una volta, delle sue erbe, ma non riesce nel suo intento, e si vede costretta ad abbandonare l’anziano sovrano all’avanzare della malattia. Apsyrtos, figlio di Aietes e Idyia e fratello amato di Medea, occupa fisicamente solo una piccola parte della vicenda raccontata nel romanzo, ovvero l’episodio in cui la famiglia reale si presenta nella sala degli specchi per incontrare gli ospiti provenienti dalla Grecia, sebbene la sua presenza spirituale persista nei pensieri e nei ricordi della protagonista per tutta la durata della narrazione.

- Pelias e Kreusa

Questi due personaggi sono, insieme ad Apsyrtos (che però non viene ucciso per volontà della principessa colchica), le vittime sacrificali di Medea. Pelias, zio di Jason e

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sovrano di Jolkos, che ha spodestato e indotto alla morte i legittimi regnanti, ossia i genitori dell’eroe greco, appare nel capitolo quindicesimo, in cui Medea vendica il marito, facendo uccidere con l’inganno l’usurpatore dalle sue stesse figlie. Il re, ammaliato dalla bellezza di Medea, che ha finto il proprio ringiovanimento, e da quella delle sue ancelle, si lascia illudere dalla speranza del ritorno alla potenza virile della gioventù, acconsentendo così al suo omicidio. Il rito di ringiovanimento che la donna, nelle vesti di una vecchia sacerdotessa di Artemide, propone al re Pelias,25 ingannando le principesse e inducendole a fare a pezzi il padre, è riproposto in seguito da Medea a Jason,26 come segno del suo amore per lui, nonostante la consapevolezza che l’affetto del marito per lei sia ormai esaurito. Kreusa, figlia del re di Korinth e promessa sposa di Jason, compare in poche pagine della narrazione, nel momento in cui si descrivono i suoi timori circa le imminenti nozze e si immerge in un soliloquio indirizzato a Medea, supplicando la prima sposa di Jason, affinché la aiuti a diventare una buona moglie.27 La fanciulla è sacrificata, così come nel caso di Pelias, in quanto ostacolo all’amore di Medea per Jason, ma il suo omicidio (di lei e del padre Kreon), che Medea descrive durante un’allucinazione provocata dal fungo ingerito per procurarsi l’aborto, non si risolve, come nel caso del sovrano di Jolkos, con un esito positivo per la relazione fra i due, bensì è l’atto definitivo della loro rottura.

- Le donne greche: le ancelle e Aspasia

La vita di Medea all’interno del palazzo greco è equiparata alla reclusione in una gabbia dorata, da cui alla Basilea greca non è concesso uscire liberamente, e in cui la vita delle donne, siano esse ancelle o padrone, è scandita dal ritmo dei lavori domestici, e dalle regolari visite degli uomini, a cui devono pacatamente sottomettersi. Le ancelle, con le quali la principessa colchica si ritrova a convivere nella parte di palazzo dedicata alle donne, non accettano di buon grado la sua presenza, che percepiscono come

25 Freispruch für Medea, pp. 88- 92 26 Freispruch für Medea, p. 126 27 Freispruch für Medea, p. 148- 150

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estranea e soprattutto bizzarra, a causa della sua indole ribelle e delle abitudini orientali che porta avanti anche in terra greca, con l’aiuto della balia Viviane. Nonostante accanto agli episodi negativi, come le crisi depressive di Medea, le compagne greche vivano con lei anche esperienze positive, come i momenti di piacere vissuti in comunione spirituale nell’ebbrezza provocata dai semi della Cannabis28 e la processione in onore della dea Demetra, compiuta per fare terminare la carestia nella città di Korinth,29 non riescono a tollerare la presenza della padrona straniera. Quando Medea decide di lasciare il palazzo per vivere fuori dalla città con Viviane, le ancelle non riescono a provare nient’altro che sollievo, per essersi liberate dall’incarico gravoso di accudire la “barbara”:

Die griechischen Frauen im Palast Jasons hatten nicht versucht, Medea zurückzuhalten. Sie führten wieder ganz ihr früheres Leben. Eigentlich hatte Medea sie gestört, was sie erst jetzt merkten, und um so befreiter lebten sie nun in den Tag hinein, der buntduftend in ihrer Volière ablief. Sie waren in einem süßen Nest versorgt.30

Aspasia, la bella greca, che diletta gli uomini nel suo salotto di cortigiane, è tollerata da Medea, benché rappresenti un ostacolo fra lei e Jason, in quanto amante favorita di questo. La principessa colchica è consapevole della sua presenza nella vita del marito, ma sembra non darvi peso, se non nel momento in cui è Jason stesso a farle notare la sua esistenza, equiparando il modo in cui entrambe le donne lo toccano.31 Aspasia racchiude in sé l’ideale di femminilità che alimenta il desiderio maschile, ovvero, quella di seduttrice, bella e allo stesso tempo intelligente, capace d’intrattenere

28 Freispruch für Medea, pp. 102- 103 29 Freispruch für Medea, pp. 106- 117 30 Freispruch für Medea, p. 140 31 Freispruch für Medea, p. 119

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gli uomini sia con dialoghi acuti su politica e filosofia, sia con spettacoli erotici, e maestra nelle arti della danza e del canto.

- Herakles

Questo personaggio, che nella prima parte del romanzo è presentato come uno degli Argonauti che accompagna Jason nell’impresa del Vello d’Oro, è anche colui che, come il sovrano di Athen, ha promesso asilo alla principessa colchica, in caso di infedeltà del marito. All’arrivo di Medea a Theben, Herakles è in preda alla pazzia provocata dalla matrigna, la dea Era, che nella mente dell’eroe ha unito i corpi dei figli alle figure bestiali, che era solita inviare a perseguitarlo. Medea decide di sciogliere la stregoneria a cui è sottomesso l’amico, nella cui situazione identifica se stessa, ovvero ritrova nei suoi occhi spenti lo stesso stato di depressione che la tormenta fin dal momento dell’aborto. Una volta liberato dall’incanto, però, Herakles cade nella disperazione più totale, poiché si rende conto del delitto compiuto, quello di avere ucciso i propri figli creduti creature mostruose, avvicinandosi ancora di più alla condizione psicologica negativa in cui si trova Medea.

- Aigeus e Theseus

Il sovrano di Athen è delineato nel romanzo come personaggio negativo, sia in relazione alla vicenda di Medea, sia alla sua vita prima delle nozze con la principessa colchica. Aigeus è descritto, infatti, come un uomo inetto e debole, nel fisico e nel carattere, che non è stato in grado di garantire un successore al trono del regno di Athen. Il suo agire nei confronti della proposta di matrimonio di Medea sembra essere il frutto di una ponderata riflessione, al fine di ottenere un tornaconto personale, ossia concepire un erede, piuttosto che essere il mantenimento della promessa di rifugio fatta in passato alla donna. Questo fatto viene in seguito confermato dal suo comportamento nei

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riguardi del figlio meticcio, dapprima adorato ed educato nella prospettiva di una sua futura ascesa al trono, che si affretta a disconoscere una volta scoperta l’esistenza del figlio illegittimo Theseus, suo primogenito, avuto con Aithra figlia di Pittheus. Il re preferisce dunque favorire il frutto di una relazione non legalizzata nel matrimonio, anziché quello avuto dall’unione legittima con Medea, proprio a causa della natura straniera di lei, e quindi della conseguente impurità di sangue del figlio Medos. Theseus, che rispetto a Medos eccelle nel vigore fisico, è agli occhi del padre il prototipo di bellezza greca, rappresentando quindi l’erede migliore, colui che incarna a tutto tondo la purezza della “razza” greca.

§ III. 5 Il tempo nel romanzo

 III. 5. 1 Il tempo logico

Il tempo del racconto presenta un’ambiguità di fondo, che concerne la diversità tra la temporalità della storia e quella del discorso. Nel caso di più azioni contemporanee, ad esempio, la complessità della situazione è ridotta nella narrazione in una successione lineare di scene. La sintassi narrativa è caratterizzata dall’opposizione fra successione cronologica e consequenzialità degli eventi. Il tempo del discorso è dunque un tempo lineare, a differenza del tempo della storia, che è definito pluridimensionale.32 Il tempo all’interno del racconto, infatti, oltrepassa le norme che regolano la scansione temporale naturale degli avvenimenti, che possono apparire in successione fra di loro, seguendo dunque un realistico avvicendamento dei fatti, oppure il tempo narrativo può essere prolungato, o sospeso, a discrezione del narratore, per creare un determinato effetto stilistico. Frequente è il ricorso a salti temporali (analessi e prolessi). All’interno di una narrazione il tempo è pertanto scandito attraverso

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un’illusione cronologica, benché debba essere rappresentato secondo un’adeguata prospettiva, al fine di mantenere intatta l’illusione della realtà.33

Si potrebbe dire in un altro modo che la temporalità è solo una classe strutturale del racconto (del discorso), proprio come nella lingua, il tempo esiste solo sotto forma di sistema; dal punto di vista del racconto, quello che noi chiamiamo tempo non esiste che in modo funzionale, come elemento d’un sistema semiotico: il tempo non appartiene al discorso propriamente detto, ma al referente; il racconto e la lingua conoscono soltanto un tempo semiologico; il “vero” tempo è una illusione referenziale “realistica” […] il racconto sarebbe una lingua fortemente sintetica, fondata essenzialmente su una sintassi d’incastri e di avvolgimenti: ogni punto del racconto irradia in più direzioni ad un tempo […]34

La scansione temporale narrativa può definirsi tempo logico (Barthes 1969), vale a dire, che le unità funzionali, contigue dal punto di vista mimetico, possono essere separate da inserzioni appartenenti a sfere funzionali diverse. I nuclei della sequenza narrativa sono uniti non dal principio di sequenza cronologica, bensì da quello di logica, che può distorcere il tempo del racconto con sospensioni e riassunti, affinché si crei nel testo un effetto di suspense. Alla necessità di interrompere la successione naturale degli avvenimenti della narrazione, a causa della divergenza fra tempo del discorso e tempo dell’intreccio della storia, si affianca pertanto la volontà dell’autore di distorcere la catena temporale della storia per fini estetici, e ciò è reso possibile dalla deformazione temporale,35 ovvero, la rottura dell’ordine naturale degli avvenimenti all’interno della combinazione delle frasi.

33 Booth 1996 34 Barthes 1969 35 Todorov 1969

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 III. 5. 2 Il tempo narrativo nel romanzo. Esempi di dislocazione temporale

- Incastro, o “racconto nel racconto”:

inclusione di una storia all’interno della narrazione

Der Großvater neben ihr war eingeschlafen. Das Kinn des Alten lag auf seiner Brust, und die Schultern beugten sich weich gegen den halbdunklen Grund. Medea zog ihre Knie hoch an sich, umfaßte sie und legte den Kopf seitwärts darauf. Der warme Wind der Nacht wehte ihr den Traum des alten Mannes herüber und vermengte sich mit dem säuerlichen Geruch seines Körpers. Der Klang seines holprigen Atems rief sie zur oft erzählten Fahrt des Mannes, den sie zeitlos empfand oder so, daß alle Wünsche und Abenteuer ihrer Mädchenphantasie in ihm Platz fanden.

Sie begleitete ihn auf die Reise seiner Jugend, als es zur See gefahren war und die schönste aller Frauen geliebt hatte. Helios beschrieb sie ihr, wie sie sich selber immer wünschte zu sein: hell und leicht, wie Disteln in Blüte stehen. »Rodja« nannte er sie einmal, und Medea war sich nicht sicher, ob sie diesen Namen nicht nur geträumt hatte.

Er war ihr so lieb geworden, daß sie sich die Geschichte von Helios und Rodja immer neu erzählte. Sieben Tage verbrachte er mit Rodja auf der Insel, die heute Rhodos heißt. Nach jedem Tag ihres Beisammenseins pflanzten sie eine schwarze Pappel. Medea bewegte sich zwischen diesen wispernden großen Gestalten. Die Blätter der Bäume rieben sich aneinander, ihr Geruch vermischte sich mit dem des Meers. Der salzige, grüne Sud.

Das Gesicht des jungen Großvaters fand sie an diesem Ort nicht, wenn er sich schnellfüßig zwischen dem Grün der südlichen Insel bewegte.

Auch Rodja war selten für sie zu sehen und wenn, dann lag sie auf einer Wiese, und nur die Augen des Großvaters brachten ihre Anwesenheit zum Ausdruck. Ihr nymphischer Rücken bog sich mit den schwarzen Pappel.36

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- Riassunto (sommario): presentazione di una serie di episodi in poche righe

Die Ankunft der Griechen in Kolchis am Schwarzen Meer vollzog sich heimlich. Vorher Lemnos vor Jolkos, das Marmarameer, das östliche Thrakien, der Eingang zum Bosporus.

Taten und Töten waren an der Tagesordnung. Sie tauschten griechische Keramik und Eisenwerkzeuge nicht gegen die Erzeugnisse des östlichen Bauernlandes, sondern zwangen die Einwohner für Massaker und Brände zu Opfergaben. So wurden die fahrenden griechischen Männer zu Helden der Geschichte.

Auf dem Weg zu ihrem Ziel vertrieben sie weibliche, fliegende Kreaturen, wurden sie zu lustvollen Zuschauern und beobachteten stöhnende Männer, deren Amazonen Kinder bekamen. Sie durchlöcherten ihre Schilde in Efeuform, und heimlich den freien Beischlaf, die wahllose Paarung der Einheimischen mitzuerleben. Auch an der Geburt des gelehrten Halbpferdes Cheiron nahmen sie mit Staunen und Entzücken teil.

Lustvolle Aufregung also auf der ganzen Fahrt in die Fremde.37

- Analessi, o “ripresa” (flashback):

Medea hatte die Tage in Theben und ihren Kampf um Herakles nicht wirklich wahrgenommen. Sie handelte aus dem Wunsch heraus, den Mann in den lichten Zustand zu bringen, in dem sie ihn während der Argofahrt erlebt hatte. An der Reling des Widderschiffes stand er. Heiter und gelöst. Unbekümmert schien ihm alles zu gelingen, weil keine krampfhafte Suche nach Glück und Erfolg ihn

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bestimmte. Der dunkelste Zustand, in dem sie ihn hier in Theben antraf, forderte sie heraus, zu handeln.38

Haß fühlte sie. Nicht anders. Haß drängte sie zu Rache. »Viviane, wo sind wir jetzt?«

»Nicht weit von Athen, Königin.«

»Schnell, beeilt euch! – Ich will zu König Aigeus – der mächtigste Mann auf unserem Weg.«

Er hatte sie in Korinth besucht, als er mutlos vom Delphischen Orakel kam, das er wegen seiner Kinderlosigkeit befragt hatte.

»Mit mir kannst du ein Kind haben«, hatte Medea ihm lachend beim Abschied zugerufen. »Und ich nehme dich auf, wenn Jason dich betrügt«, antwortete Aigeus. In Athen würde sie Boden finden, um hassend zu leben.39

- Prolessi, o anticipazione (flashforward):

Der Gast, der angekündigt war, hieß Jason und kam aus Jolkos in Griechenland.

Das doppelte J spannte sich für Medea wie zwei Wurzeln zwischen Erde und Wolken. Sie wollte morgen Leonidas, den gleichaltrigen Freund, nach dem Mann fragen. Er wußte viel von der Bedeutung der Namen und Pflanzen. Auch der Großvater würde ihr Antwort geben können.40

38 Freispruch für Medea, p. 164 39 Freispruch für Medea, pp. 168- 169 40 Freispruch für Medea, p. 17

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