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Capitolo I
1) Un excursus storiografico sulle varie forme e definizioni della
narrativa breve
Il racconto, la novella e la fiaba sono alcune delle forme di narrativa breve che costituiscono l’infinito mondo dei generi narrativi. Nonostante si percepisca la presenza di una distinzione tra queste tre forme, ancora oggi i critici continuano a essere in difficoltà quando si tratta di delinearne i tratti caratteristici di ciascuna. Forse la fiaba è la sola modalità descritta in modo più specifico, grazie all’analisi dei Formalisti russi nei primi decenni del XX secolo, riferendosi all’insieme di avvenimenti narrati che seguono un ordine logico e cronologico e che, per il loro carattere dinamico, presentano una progressione costante e coesa del testo narrativo1
.
È importante segnalare l’autore capostipite della scuola russa, Vladimir Jakolevič Propp (1895-1970) e, in particolare, la sua Morfologia della fiaba del 1928, sconosciuta in Occidente fino al 1958. Propp fu infatti il primo a sostenere la necessità di individuare un modello comune di analisi della struttura narrativa delle fiabe popolari russe. Per farlo decise di applicare alle fiabe la stessa metodologia che il formalismo russo aveva applicato in linguistica (che consisteva nella scomposizione della struttura della frase in una serie di elementi analizzabili chiamati morfemi), suddividendole in determinati segmenti narrativi, distribuiti in un ristretto numero di classi. I Formalisti russi hanno quindi avuto un ruolo fondamentale nella nascita di quella che poi sarà la tendenza moderna degli studi letterari: analizzare la letterarietà e non la letteratura.
Il termine novella deriva dall’aggettivo latino novus-a-um, utilizzato per indicare qualcosa che reca notizie di eventi sconosciuti e perfino sorprendenti. Tuttavia, riguardo alla sua definizione in ambito di diegesi, ci troviamo ancora di fronte a due possibili interpretazioni differenti e anche contraddittorie. Secondo alcuni autori, la novella deriva da una specie di concentrazione tematica, che a volte può essere rafforzata da una struttura ripetitiva; ma la sua estensione non viene considerata come un tratto principale nella
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definizione della forma: di norma, si definisce più corta del romanzo e più lunga del racconto2
. Secondo altri, invece, non è possibile individuare delle caratteristiche peculiari che possano distinguere la novella dal racconto tout court, per cui queste due tipologie narrative sono viste esattamente come la stessa cosa.
In Italia, per esempio, solamente a partire dagli anni Sessanta del Novecento, il critico – ma anche scrittore, politico e professore Universitario – Asor Rosa, nella prefazione alla sua antologia intitolata La novella occidentale dalle origini ad oggi, differenzia la novella, associandola alla tradizione, e il racconto, considerato invece una forma più moderna.
In quest’ottica diacronica, potremmo quindi affermare che entrambe le narrazioni brevi che vanno sotto l’etichetta “novella” e “racconto” fanno parte della stessa forma letteraria, solo che la prima è una forma «chiusa e epica»3, mentre la seconda è una forma «lirica, aperta e problematica»4, che si preoccupa più delle aspetti legati alla vita dell’uomo che di quelli legati alla forma e allo stile del testo. Ma la questione è, in verità, ancora molto dibattuta.
In tutte le letterature esiste il problema dell’esatta definizione delle forme di narrativa breve. In quella francese, per esempio, nouvelle conte e histoire vengono utilizzati come sinonimi; in quella angloamericana si utilizza, fino al XIX secolo, il termine tales per indicare tutti i tipi di narrazione breve. Sarà poi grazie a Henry James che vi si contrapporrà il termine short story per indicare il racconto, in cui ritroviamo una certa unità d’effetto, oltre a personaggi psicologicamente complessi. In tedesco incontriamo
Novelle e Erzählung per indicare il racconto di origine letteraria e Märchen per quello
popolare. In spagnolo invece si utilizzano i termini novela corta e cuento.
In Spagna, già a partire dal XV secolo, veniva impiegato il termine novela, come prestito dall’italiano “novella”, per indicare tutte le tipologie di narrativa breve, mentre per le narrazioni più estese si utilizzava il termine libro (a volte però sostituito con
historia, vida o tratado).
Nel 1567, Juan de Timoneda, nella sua opera El Patrañuelo, nomina i suoi racconti
patrañas, definendoli come storie fittizie, ma che sono raccontate in maniera così ampia
2 Ivi. Voce: novela.
3 BAGNI: 2010, pp. 289-290. 4 Ibid.
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e ben strutturata da sembrare quasi realistiche. L’autore, però, non menziona altre modalità narrative: spiega soltanto che in valenzano questo termine si traduce con il termine rondal, mentre in toscano con quello di “novella”. Come testimonia Teófilo Braga, anche in Portogallo esiste il termine patranha, ma si tratta sempre di una delle tante definizioni ascrivibili ai contos de Carochinha. Infatti sembra che questo termine non definisca nessun genere narrativo in particolare, bensì una qualsiasi storia fantasiosa e leggendaria.
Con il tempo, il termine spagnolo novela passò a indicare tutte le tipologie narrative di lunghezza superiore al cuento, ecco perché poi si è resa necessaria la distinzione tra
novela corta e novela. Possiamo dire, infatti, che nel XVII secolo novela aveva la stessa
accezione del termine historia, e che i due termini venivano utilizzati indistintamente: lo notiamo prendendo ad esempi i titoli di due opere famose e molto ravvicinate tra loro, quali le Novelas Ejemplares (1616) di Miguel Cervantes e le Historias Peregrinas y
Ejemplares di Gonzalo Céspedes y Meneses (1623).
È possibile, d’altro canto, ome ha ipotizzato la critica che la parola novela, usata per indicare una narratzione breve, inizi a diffondersi ampiamente in Spagna proprio in seguito alla pubblicazione e al successo dell’opera cervantina: «Cervantes assimila y desarrolla las novelle de los escritores italianos que siguieron la pauta establecida por el
Decameron de Boccaccio, cuyos imitadores se extendieron por toda Europa»5.
Le sue novelas si contraddistinguono per una «mayor extensión e incorporan elementos de otros géneros como las novelas de aventuras, bizantinas y picarescas»6
. Chiamare le sue novelas “esemplari” era una strategia per conquistare i favori del pubblico e della censura. In realtà il concetto di esemplarità era molto diverso da quello medievale: Cervantes voleva sottolineare la qualità del testo, la verosimiglianza dei fatti narrati (l’arte intesa come imitatio vitae) e la verità poetica.
Il termine conto in portoghese (che deriva presumibilmente dal corrispettivo francese
conte, di cui conserva la connotazione di finzione) racchiude in sé le due varianti del
racconto: quello di origine letteraria e quello di origine popolare, per indicare storie di
5 OLIVARES: 2000, p. 33. 6 Ibid.
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avvenimenti realmente accaduti, ma anche immaginari. Per quanto riguarda la parola
novela, invece, notiamo che in Portogallo viene quasi sempre sostituita con la parola história, per designare una narrativa più lunga di un racconto. Novela, in particolare,
indicava una narrazione fantastica che aveva il compito d’intrattenere il pubblico, ma anche quello d’insegnargli una morale. Nel XII e XIII secolo, questo termine è stato comunemente usato dai poeti provenzali per classificare una storia raccontata in maniera realistica; e in seguito, nell’intera penisola Iberica, per indicare tutte le storie di cavalleria. Se escludiamo il breve accenno che Gil Vicente fa del termine nell’Auto da Lusitânia (1532) nei versi 753-762, novela comincia a essere timidamente utilizzato solo verso la metà XVII secolo, e in particolare a partire dal 1641, con la pubblicazione di Varios
effetos de amor en cinco novelas exemplares dello scrittore spagnolo Alonso de Alcalá e
Herrera. Tuttavia soltanto altre tre opere utilizzeranno questo termine: Novelas
Exemplares di Gaspar Pires Rebelo (1650); Doze Novelas di Geraldo Escobar (1674); Serão Político di Frei Lucas di Santa Caterina (1704), diviso in tre notti, che include la
narrativa Irmãos Penitentes, definita come novela exemplar.
In Italia per quanto riguarda l’uso del termine novella esiste una lunga tradizione che arriva fino agli anni Trenta del Novecento grazie ad autori come Verga, Pirandello e D’Annunzio, mentre quello di racconto appartiene a una tendenza più recente, rappresentata da autori quali Moravia, Gadda o Calvino.
La narrativa breve ha un’origine ancestrale, presente fin dalle tradizioni culturali più arcaiche che facevano della narrazione orale uno strumento di seduzione e coesione all’interno della comunità. Il narratore, attraverso i suoi racconti, aveva sia il compito di trasmettere informazioni di avvenimenti importanti, sia di trasmettere la memoria storica e storiografica della comunità, sia d’intrattenere i suoi ascoltatori: per farlo catturava l’attenzione del pubblico, suscitando il fascino degli eventi riportati in un unico atto narrativo. Il narratore, per poter tramandare ciò di cui un tempo era stato lui stesso ascoltatore, si affidava solo ed esclusivamente alla sua memoria: per rendere il compito più semplice ricorreva all’uso di tecniche narrative specifiche e contestuali alla modalità discorsiva tipica della propria cultura di appartenenza come, per esempio, le frasi formulari proprie dell’epica, o, nel caso delle fiabe, il famoso «C’era una volta» o «E vissero tutti felici e contenti». Inoltre queste tecniche erano utili anche al pubblico per
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identificare con maggior precisione quale tipologia di storia (mito, fiaba o leggenda) stesse ascoltando.
Dopo la primigenia fase orale, il racconto viene fissato per iscritto e vengono realizzati alcuni dei testi più importanti del nostro patrimonio culturale, come: Il Libro Magico degli egizi (4000 a.C.); la Bibbia (2000 a.C.); l’Iliade e l’Odissea di Omero (VI sec. a.C.); ma anche Il Cinico di Luciano di Samosata (considerato il primo vero scrittore di racconti) o perfino Le mille e una notte, che compare in Persia nel X secolo d.C.
Riassume, tra gli altri, Teófilo Braga:
A passagem dos contos para a forma literária foi na Índia devida à propaganda búdica, cujas lendas morais foram coligidas no Pantchatandra; na Grécia os Contos escreveram-se com intuito artístico … atingindo a perfeição em Apoleio e em Roma em Petrónio. O Catolicismo procurando combater o politeísmo no ocidente, serviu-se do processo do budismo, deu forma escrita aos contos nesserviu-se Exemplos dos pregadores medievais e nas lendas hagiológicas como a de Barlaam e Josaphat tirada por Lalita Vistara. A entrada dos Árabes na Europa fez com que se vulgarizasse a tradução do Pantchatandra, traduzindo-se do árabe para o grego por Simeo Seth, para latim por João de Cápuas, para o Castelhano com o título Calila y
Dimna e na época da Renascença para o italiano, francês e inglês.7
Dall’Oriente, il racconto giunge come una narrazione inserita dentro una cornice che, durante il Medioevo, diventerà l’elemento principale attraverso cui gli autori proporranno le proprie riflessioni filosofiche e morali, attribuendo all’opera un carattere più didascalico. Il racconto assume, dunque, la funzione di exemplum (paradigma con cui si insegna al lettore una morale), nato inizialmente come supporto al discorso edificante del narratore. Già secondo i canoni della retorica classica, l’exemplum poteva raccontare fatti realmente avvenuti, ma anche fatti inventati (come nella parabola o nella favola). In seguito, però, il racconto acquisisce nella struttura stessa una sua autonomia narrativa.
Durante l’XI e XII secolo, l’exemplum collima con le storie integrate nei sermoni medievali, usate dalla Chiesa per indottrinare i fedeli. In Portogallo la più famosa raccolta di Exempla è intitolata Horto do Esposo, scritta da un monaco anonimo del Monastero di Alcobaça, durante gli anni a cavallo tra il XIV e il XV secolo.
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Dovranno, infatti, passare molti anni prima che il racconto riesca a liberarsi di questa missione edificante e spirituale che gli era stata attribuita e che possa quindi affermarsi come forma narrativa letteraria autonoma.
Ecco che assistiamo alla seconda fase della scrittura del racconto, in cui si registrano le prime preoccupazioni estetiche. È Giovanni Boccaccio (1313-1375) che compie il primo tentativo di codificazione di un genere ancora in costruzione. Nel proemio del
Decameron si registra un primo tentativo di codifica dei termini novella, favola, parabola
e istoria; mentre nella novella Madonna Oretta (la prima della sesta giornata), l’autore espone una riflessione programmatica sulla capacità di narrare. Nella sua opera sottolinea, inoltre, due aspetti che saranno fondamentali per l’evoluzione di questa forma: l’importanza del compito d’intrattenimento che le novelle devono svolgere e un nuovo interesse per tutto ciò che riguarda il contingente e il quotidiano. Nel corso del tempo, quindi, la novella perde un po’ di quella sua esemplarità che possedeva durante il Medioevo, mantenendola tuttavia fino al XVII secolo circa, come dimostrano, per esempio, le Novelas Ejemplares di Miguel Cervantes, pubblicate nel 16138.
Nel XIX secolo, e in particolare con il Romanticismo, il racconto diventa una modalità narrativa di grande prestigio. Attraverso questa tipologia testuale si possono riproporre storie che fanno parte della tradizione popolare di ciascun paese e che incarnano perfettamente quello spirito nazionalista alla ricerca della propria identità, tipico dell’epoca. La raccolta dei fratelli Grimm del 1812 (Jacob 1785-1863 e Wilhelm, 1786-1859) è uno degli esempi più rappresentativi.
Per ciò che concerne la narrazione creativa, il racconto torna ad assumere un certo valore verso il 1820 nel Nord America dove, proprio in quegli anni, si premeva per trovare una qualsiasi forma di emancipazione dalla letteratura britannica. Grazie all’incremento delle scuole superiori, allo sviluppo delle tecniche di stampa e pubblicazione, al miglioramento dei mezzi di comunicazione e della vita urbana, il numero dei lettori, e soprattutto delle lettrici, comincia a crescere repentino. Negli anni Cinquanta del XIX secolo le riviste nordamericane pubblicavano un’immensa quantità di racconti, addirittura quattro o cinque per ciascuna edizione.
8 ZATTI: 2010, p. 15-16.
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La narrativa breve viene sfruttata anche per introdurre nuovi temi e personaggi, per denunciare il disordine sociale, per mostrare al pubblico regioni e luoghi sconosciuti.
Il racconto diventa la forma letteraria più sfruttata dalla letteratura fantastica, fino a quel momento messa da parte dalla tradizione realista e naturalista: essendo uno spazio limitato, è perfetto per rappresentare i sogni, gli eccessi e le deviazioni della mente umana. Il XIX secolo è, in generale, un’epoca in cui si riflette molto riguardo al ruolo del racconto nella letteratura, tanto da far sorgere le prime teorizzazioni sulla la sua struttura. Una delle modalità più usate dai critici per definire il racconto è la cosiddetta “tecnica contrastiva”, in cui esso viene messo a confronto con altri generi narrativi più codificati, come per esempio il romanzo, ma anche il saggio, il teatro o la lirica.
Edgar Allan Poe (1809-1849) è il primo vero teorico del racconto e influenzerà tutti gli autori successivi, dando inizio alla visione moderna, o meglio contemporanea, del genere. Nella rivista «Graham’s Magazine», pubblicata nell’aprile del 1842, Poe propone una recensione critica dell’antologia Twice Told-Tales realizzata da Nathaniel Hawthorne9, dove sostiene che la narrativa breve è il mezzo migliore attraverso cui un artista può esprimere il suo talento. All’interno della sua critica espone gli aspetti fondamentali che un autore deve tenere presente quando scrive un racconto e propone il suo modus operandi attraverso l’analisi della poesia Il Corvo.
I punti focali della sua teoria sono i seguenti:
1) Prima di iniziare a scrivere è sempre necessario tenere in considerazione la cosiddetta “unità d’effetto”. Secondo l’autore ogni parola deve essere selezionata in funzione del finale del racconto.
2) Poe evidenzia l’importanza della brevità del racconto, contrapponendolo al romanzo, che per definizione è un testo molto lungo: «Se un’opera letteraria è troppo lunga per essere letta in una sola seduta, dobbiamo rinunciare all’effetto immensamente importante, che è dato dall’unità d’impressione, perché le faccende del mondo interferiscono con la lettura e così ogni cosa in quanto totalità viene immediatamente distrutta»10.
9 Raccolta di racconti pubblicata in due edizioni: la prima nel 1837 e la seconda nel 1842. 10 POE: 1971, p. 1308.
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3) Oltre all’unità d’effetto, è importante la bellezza che un testo produce, vista non come una qualità ma come un effetto della contemplazione. Una poesia può essere definito tale quando riesce a emozionare così intensamente da elevare l’anima alla bellezza, sottolineando che «tutte le emozioni intense, per un’esigenza psichica, sono brevi».
4) Di grande importanza è porre una particolare attenzione al tono: il più consono per manifestare la bellezza è quello della tristezza, o meglio della malinconia.
5) L’originalità deve essere ricercata laboriosamente, soprattutto per produrre un finale che sia di grande effetto per il lettore.
Oltre quindi a stabilire le caratteristiche principali che un buon racconto deve assolutamente possedere, Poe afferma la superiorità del racconto rispetto alla poesia. Secondo l’autore, infatti, il fine massimo in cui si concretizza la poesia è la Bellezza, mentre per il racconto si tratta della Verità, legata alla logica del discorso e alla verosimiglianza.
Questa affermazione verrà ripresa successivamente da Julio Cortázar il quale, riflettendo sulle affermazioni di Poe, arriva alla conclusione che la genesi del racconto e della poesia è la stessa:
La genesi del racconto e della poesia è tuttavia la stessa, nasce da un repentino straniamento, da uno spostarsi che altera il regime «normale» della coscienza; in un’epoca in cui le etichette e i generi cedono a una strepitosa bancarotta, non è inutile insistere su questa affinità che molti troverebbero fantasiosa. (…) Ogni volta che mi è toccato rivedere la traduzione di uno dei miei racconti (o tentare quella di alti autori, come una volta con Poe), ho sentito fino a che punto l’efficacia e il senso del racconto dipendessero da quei valori che danno alla poesia e anche al jazz il loro carattere specifico: la tensione, il ritmo, la pulsazione interna, l’imprevisto dentro parametri previsti, quella libertà fatale che non ammette alterazione senza una perdita irreparabile11.
Nel XX secolo anche la narrativa breve risente l’influenza del modernismo e delle avanguardie, grazie a autori come Pirandello, Svevo, Tozzi, Gadda, Joyce e Kafka.
Intorno agli anni Cinquanta il racconto diventa definitivamente il miglior mezzo d’espressione di una società in cui tutto si osserva a partire dai dettagli, dal particolare
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e dall’incompleto. Una società la cui vita sembra essere il frutto della casualità, all’interno della quale ormai non esiste più una visione globale del reale, perché la realtà stessa è frammentata, è relativizzata: solo il racconto, così come la fotografia, è in grado di catturare un frammento speciale dell’esistenza.
In questo senso, il romanzo e il racconto, si possono paragonare analogicamente al cinema e alla fotografia, nel senso che un film è innanzitutto un «ordine aperto», romanzesco, mentre una fotografia riuscita presuppone una rigorosa limitazione previa, imposta in parte dal campo ridotto che l’obbiettivo comprende e inoltre dal modo in cui il fotografo utilizza esteticamente tale limitazione. (…) Fotografi del calibro di un Cartier-Bresson o di un Brassäi definiscono la loro arte come un apparente paradosso: quello di ritagliare un frammento della realtà fissandogli determinati limiti, ma in modo tale che quel ritaglio agisca come un’esplosione che apra su una realtà molto più ampia, con una visione dinamica che trascenda spiritualmente il campo compreso dall’obbiettivo. Mentre nel cinema, come nel romanzo, la percezione di tale realtà più ampia e multiforme si ottiene mediante lo sviluppo di elementi parziali, accumulativi, che non escludono naturalmente, una sintesi che dia il «climax» dell’opera, in una fotografia o in un racconto di grande qualità si procede in modo inverso, ovvero il fotografo o lo scrittore di racconti si vedono obbligati a scegliere e a circoscrivere un’immagine o un avvenimento che siano «significativi», che non valgano solamente per se stessi, ma che siano capaci di agire sullo spettatore o sul lettore come una specie di «apertura», di fermento che proietti l’intelligenza e la sensibilità verso qualcosa che va molto oltre l’aneddoto visivo o letterario contenuti nella foto o nel racconto12.
Il nuovo fulcro della narrazione è la ricerca del momento dell’illuminazione, vista come l’unica occasione per raggiungere il senso della realtà. Secondo Sergio Zatti l’epifania novecentista tenta in qualche modo di recuperare e trasformare l’antico carattere esemplare del genere. Questo si manifesta soprattutto nelle epifanie di James Joyce e nelle allegorie di Franz Kafka.
In questo periodo in Portogallo notiamo che un numero considerevole di autori, tra cui per esempio Mário de Carvalho, David Mourão-Ferreira, Sophia de Mello Breyner, Branquinho da Fonseca, Miguel Torga, prediligono per loro produzioni la dimensione del racconto. La narrativa breve sarà la tipologia maggiormente adottata da altri paesi lusofoni, come il Brasile e l’Angola.
12 CORTÁZAR: 1994, p. 1315.
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1.1) Un breve spaccato sull’evoluzione diacronica del racconto letterario e della sua terminologia nel territorio portoghese e brasiliano.
In un periodo che si estende dal Medioevo fino al Barocco, quando si parla di conto in Portogallo si può fare riferimento a diverse tipologie di narrativa breve, come ad esempio la favola, l’apologo e ovviamente l’exemplum. I racconti popolari sono definiti histórias o contos de Carochinha, e all’interno di questi si possono annoverare altre cinque tipologie differenti: i contos de fadas, che sono caratterizzati principalmente dalla presenza del meraviglioso e presentano elementi legati a leggende mitiche; i contos de encantos, simili ai precedenti; i contos-fábulas, che hanno come protagonisti degli animali e in genere hanno uno scopo educativo; le
histórias morais, dove predomina l’aspetto moralistico; e infine i contos anedóticos,
dove predomina l’aspetto satirico e politico.13
Durante il Medioevo, in Portogallo, proliferano le raccolte di natura dottrinaria o spirituale come il Boosoo Deleitoso (pubblicato solo nel 1515) e il già citato Horto
do Esposo (XIV sec.). Come nel resto d’Europa, la produzione dei racconti è
fortemente limitata dall’azione di controllo e di censura della Chiesa, che si intensifica soprattutto dopo l’introduzione del Tribunale dell’Inquisizione nel 1536 e dopo il concilio di Trento (1545-1563).
A partire dal XIII secolo, inizia la produzione di un’altra tipologia di testi letterari brevi di argomento non religioso, tra cui alcuni trattati come il Livro da Ensinança de
Bem Cavalgar Toda Sela, il Livro dos Conselhos e il famoso Leal Conselheiro, tutti
scritti dal re D. Duarte I. All’interno di questa produzione troviamo anche i cosiddetti
Livros das Linhagens. I più importanti sono il Livro Velho (XIII sec.), il Livro do Deão e il Livro das Linhagens (prima metà del XIV secolo), del Conte di Barcelos D.
Pedro, autore anche della Crónica Geral de Espanha, testo con cui viene inaugurato il genere storiografico del XIV secolo. Questi Livros das Linhagens sono, in realtà, dei registri di nomi delle famiglie nobili (detti anche “nobiliari”), all’interno dei quali ritroviamo alcuni esempi delle forme antiche di narrativa breve in galego portoghese,
13 REIS, M. LOPES, 1994. Voce: conto.
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che Alexandre Herculano riunirà poi in due raccolte intitolate rispettivamente Lendas
e Narrativas (1851) e Portugaliae Monumenta Historica (1856-1873).
Durante il passaggio al Rinascimento il racconto viene valorizzato in particolar modo per la sua capacità d’intrattenere il pubblico. Questo aspetto lo notiamo, per esempio, nella raccolta di racconti del 1575 di Gonçalo Fernandes Trancoso, intitolata
Contos e História de Proveito e Exemplo, dove l’autore, sulla base della tradizione
narrativa del Decameron, trasforma le proprie esperienze in lezioni di vita. L’autore, che riprende una parte del lavoro svolto precedentemente da Juan Timoneda, raccoglie una serie di racconti, storie e detti di tradizione sia letteraria che popolare diffuse nella penisola iberica. L’opera ricorre perfino al dettaglio della peste del 1569, ma per quanto riguarda la struttura si differenzia dal testo boccacciano in quanto tutti i racconti sono indipendenti l’uno dall’altro. È importante sottolineare che già a partire dal titolo si evince il desiderio di Trancoso di mostrare l’esistenza di una differenza tra le histórias e i contos; ma ancora più importante è il fatto che sia il primo a farlo in tutta la penisola.
Il primo vero grande teorizzatore della narrativa breve portoghese, però, è stato lo scrittore Francisco Rodrigues Lobo (1580-1621). Nella sua opera Corte na Aldeia e
Noites de Inverno (1619), Lobo è uno dei primi intellettuali che si pone il problema
della definizione delle forme narrative brevi quali história, conto e novela. L’opera è costituita da sedici dialoghi di carattere didattico, in cui i personaggi discutono sulle regole e i comportamenti da tenere a corte. Inoltre, essendo scritta durante il periodo nella monarchia duale (1580-1640), riflette palesemente la frustrazione e la mancanza di una corte nazionale portoghese, ragione per cui i nobili si sono ritirati nelle loro tenute di provincia. Lobo, infatti, cerca di sottolineare la necessità di riconquistare l’indipendenza.
Come abbiamo già detto in precedenza, in Portogallo il termine novela è molto tardivo, al suo posto infatti veniva utilizzata la parola história. È anche per questa ragione che per molto tempo gli autori portoghesi continuavano a usare la designazione conto sia per la forma del racconto orale che per quella letteraria. Lobo sostiene che la forma conto dovrebbe essere utilizzata solo in riferimento alla narrativa orale.
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In Corte na Aldeia, nel Diálogo I, l’autore associa alla novela/história il ruolo d’intrattenimento e il suo carattere finzionale, sottolineando l’assenza della moralità. I personaggi di questo dialogo si ritrovano ed esprimono le loro opinioni sulle letterature dell’epoca, anche se in realtà nei loro discorsi si nota una mera ripetizione delle norme della poetica classica.
Nel Diálogo X il Dottore, Feliciano e Leonardo distinguono la história dal conto. Riassumendo tutte le loro affermazioni, si evince che la história è, dunque, più lunga, più raffinata dal punto di vista stilistico e retorico e deve accattivare gli spettatori; il
conto, invece, è più breve, meno attento sia retorica che allo stile e d’argomento
divertente e arguto (graça do assunto14). La brevità del conto risulta necessaria per evidenziare la semplicità dell’azione, per trasmettere facilmente e velocemente un insegnamento morale e pratico.
Essa diferença me parece que se deve fazer dos contos às histórias, que elas pedem mais palavras que eles, e dão maior lugar ao ornamento e concerto das rezões, levando-as de maneira que vão afeiçoando o desejo dos ouvintes e os contos não requerem tanto de retórico, porque o principal em que consistem é na graça do que fala e na que tem de seu a cousa que se conta.15
Infine nel Diálogo XI si percepisce, grazie alla conversazione tra i vari personaggi, come il conto sia ormai incentrato sugli aneddoti della vita quotidiana. In questo capitolo si fa riferimento al De Sermone (1499 circa) di Giovanni Pontano, autore che per primo tenta di teorizzare la definizione di facetas, neologismo da lui stesso coniato per riferirsi a un tipo di racconto breve e ai detti di tono gioviale.
La conversazione verte poi su quale sia la maniera migliore di raccontare una
história, evitando molti “vizi e dettagli” che gli ignoranti erano soliti inserire. I contos
devono essere come le finiture di un vestito e il narratore deve essere estremamente moderato. Notiamo quindi che, anche per Lobo, la brevitas è la caratteristica più importante nel definire e qualificare un racconto breve16.
Gli stessi cortigiani e letterati conoscono molto bene l’importanza di queste storielle tanto da collezionarle nelle loro biblioteche. Attraverso il personaggio di Solino, Lobo cita e riprende la distinzione che Baldassarre Castiglione – nel
14 LOBO: 1992, p. 204. 15 LOBO: 1992, p. 204. 16 LOBO: 1992.
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Cortegiano (1528) – aveva indicato a proposito del “racconto” rispetto ai “detti acuti
e mordaci”, definendo il primo come una narrazione lunga e continua di un qualcosa che è accaduto, di cui si è stati testimoni oppure di cui si è sentito dire; mentre i secondi dovevano essere racconti brevissimi e d’impatto. Per Juan Boscán, nella sua versione del Cortegiano, cuento traduce “novella” mentre i “detti” sono tradotti come
dichos breves o motes.
Abbiamo già detto che il racconto cambia dal punto di vista formale e strutturale solamente nel XIX, secolo grazie allo sviluppo della stampa e alla crescente valorizzazione dell’estetica e dell’inventio. In questo periodo anche in Portogallo si sviluppa un’attività di recupero simile a quella iniziata dai fratelli Grimm, alimentata dai folkloristi portoghesi. In linea con l’ideologia del Romanticismo, il racconto tradizionale viene utilizzato per esaltare aspetti della cultura autoctona. L’interesse per la narrativa folklorica nazionale inizia con autori come Almeida Garrett (1799-1854) e Alexandre Herculano (1810-1871) e rimane vivo fino alla Geração de 70, che si occupa delle preoccupazioni sociali e nazionaliste del primo Romanticismo da vari punti di vista: estetico-letterario, filologico, etnografico e pedagogico. Fra questi troviamo Teofilo Braga (1843-1924) che pubblica raccolte di racconti come i Contos
Tradicionais do Povo Português (1883), e Adolfo Coelho (1847-1919) con i suoi Contos Populares Portuguezes (1879).
Grazie allo sviluppo della stampa giornalistica, molti intellettuali ottocenteschi hanno la possibilità di pubblicare le loro opere, in un momento in cui il mercato editoriale interno era dominato da editori francesi che preferivano investire principalmente in traduzioni di opere straniere. Assistiamo anche al repentino cambiamento della professione dello scrittore, che comincia a dipendere esclusivamente dall’andamento del mercato e non più dal sostegno di un mecenate, pubblico o privato che fosse.
Nasce così un nuovo genere letterario breve, il folhetim, che si divide in due categorie. Da una parte il folhetim literário, che si configura come elzeviro; dall’altra il folhetim série, che corrispondeva alla pubblicazione a puntate di romanzi
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Influenzato dal folhetim e dall’elzeviro il racconto letterario moderno si allontana sempre di più dalla sua radice folklorica. La stessa evoluzione delle abitudini dei lettori portoghesi evidenzia una preferenza verso questo nuovo tipo di letteratura popolare d’intrattenimento per fuggire dalla banalità del quotidiano.
Molti autori riprendono l’idea di Poe per la quale un racconto deve essere letto «in una sola seduta»: uno di questi autori è, per esempio, Eça de Queirós, che, nella prefazione della raccolta del Conte di Arnoso, intitolata Azulejos (1894), oltre ad affermare che raccontare storie è una delle più belle occupazioni umane, conferma la necessità dell’unità strutturale ed elogia l’estetica della brevità. Più o meno nello stesso periodo in Brasile, Machado de Assis formulerà le prime teorizzazioni del racconto letterario – attraverso le note e la prefazione dei suoi libri, ma anche nel testo
O instinto de nacionalidade (1873) – seguito poi da Tristão de Alencar Araripe
Júnior. Machado, in particolare, verrà influenzato da Edgar Allan Poe nell’uso del racconto come la forma letteraria più funzionale per scrivere storie di fatti misteriosi e di eventi soprannaturali, argomenti emarginati da una tradizione incentrata sul realismo.
Lo sviluppo della narrativa breve brasiliana, per le sue particolarità, merita un discorso a parte.
Come spiega il Prof. Jorge Henrique Moniz Ribeiro17
si possono rintracciare tre momenti fondamentali per ciò che concerne l’evoluzione del conto dal punto di vista tematico, strutturale e tecnico. Cerchiamo di capire quindi, attraverso alcune tappe storiche, in cosa consiste lo sviluppo della narrativa breve brasiliana.
Prima di tutto, incontriamo la cosiddetta fase di “formazione”, che abbraccia quasi trecento anni di storia del Brasile: più o meno dal 1530 al 1880. Tuttavia anche all’interno di questa lunga fase è opportuno tracciare delle linee di demarcazione tra i vari momenti decisivi di diffusione del racconto.
Si registra una prima vera e propria manifestazione letteraria con la diffusione della letteratura di cordel18, di cui il miglior esempio è forse il Peregrino de América
17 Nel suo libro intitolato As origens da Narrativa do Brasil.
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di Nunes Marques Pereira (1652-1728); ma anche con una serie di pubblicazioni di racconti popolari, in genere appartenenti alla cultura tradizionale indigena, oltre che a quella importata dagli africani.
È però con il Romanticismo (1840-1856) che assistiamo alla nascita del conto o della novela in Brasile (termini ancora usati come sinonimi), dovuta alla comparsa e alla diffusione dei giornali, su cui venivano pubblicati racconti tradotti, in genere di origine inglese o francese, e riadattati in forma di allegoria politica e satirica. La data simbolica dell’inizio di questa fase è il 1841, quando viene pubblicato il folhetim Duas
Órfãs di Norberto de Sousa e Silva, che verrà poi inserito nel volume intitolato Romances e Novelas. Sappiamo, grazie alle ricerche di Barbosa Lima Sobrinho, che
in questo periodo circolava una tipologia testuale ascrivibile al genere della narrativa breve, a metà tra il racconto e la cronaca, e che proprio per questa sua natura strutturale catturava particolarmente l’interesse del lettore ottocentesco. Il primo testo di questa tipologia ibrida è A caixa do Tintero pubblicato da Justiniano José da Rocha sul suo giornale «O Cronista», il 26 novembre del 1836. Purtroppo non sappiamo chi siano gli autori della maggior parte dei testi in questione, poiché di solito erano firmarti solamente con le iniziali del nome e del cognome.
Gli ultimi anni di questa fase di “formazione” sono caratterizzati dalla pubblicazione – avvenuta, postuma, nel 1855 – dell’antologia di racconti intitolata
Noite na Taberna di Álvares Azevedo, che riflette la presa di coscienza di un
linguaggio letterario e soprattutto di una letteratura nazionale. Da notare però che i termini conto, novela, romance ed ensaio sono ancora spesso utilizzati come sinonimi.
Segue poi la fase di “trasformazione”, che va dal 1855 al 1882 – cominciata appunto con la pubblicazione dell’antologia sopracitata –, dove si affermano i più grandi scrittori di racconti brasiliani. Un periodo in cui finalmente la parola conto, anche se ancora confusa con la parola história, comincia a imporsi come unica terminologia adeguata per indicare la narrativa breve.
Forse sarebbe addirittura più appropriato associare alla seconda fase del Romanticismo brasiliano l’utilizzo del racconto come unico vero mezzo di espressione letteraria. Dopo l’indianismo di José de Alencar, Gonçalves de Magalhães, Basílio da Gama e Gonçalves Dias, si diffondono, anche in Brasile, da un lato il racconto
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fantastico, sulla scia dell’influenza nordamericana e dall’altro i racconti che mettono in luce gli aspetti e i costumi del sertão, sotto l’influsso del realismo brasiliano. Appartenente a quest’ultima tipologia è la raccolta di Bernardo Guimarães intitolata
Lendas e Romances del 1871: il racconto A dança dos ossos viene considerato il
precursore di tutta la letteratura di questo genere.
L’ultima fase, che il Prof. Moniz Ribeiro denomina di “conferma”, si estende dal 1882, anno della pubblicazione di Papéis Avulsos di Machado de Assis, al 1967, quando viene pubblicata la raccolta Tutameia, di João Guimarães Rosa.
È interessante notare che, secondo il critico Lima Sobrinho, in realtà, il racconto brasiliano moderno nasce proprio in questi anni, a partire dalla pubblicazione di Três
tesouros perdidos, di Machado de Assis, nel 1898. Nelle raccolte precedenti – Contos Fulminenses del 1870 e Histórias de meia noite, del 1873 – è ancora molto evidente
la matrice sentimentalista romantica. Tuttavia già con Papéis Avulsos l’autore dimostra di dominare pienamente questa forma narrativa. Grazie poi alla prefazione della raccolta Várias Histórias del 1896, Machado ci dà la chiave di lettura dei suoi racconti, evidenziando la sua predilezione per il tipo fantastico. L’autore, nel panorama brasiliano, è fondamentale per le sue innovazioni all’interno della struttura narrativa: il modo in cui il narratore onnisciente s’intromette e dialoga con il lettore, la presenza dell’ironia distruttiva, il pessimismo, ecc.
Parallelamente al racconto fantastico, si diffonde e si sviluppa in Brasile il racconto naturalista, che ottenne un grandissimo successo almeno fino al Modernismo del 1922.
Questi racconti erano caratterizzati da descrizioni minuziose degli ambienti, quasi come uno scatto fotografico, e anche da uno sviluppo narrativo basato sulla suspance. La prima figura di rilievo nel racconto naturalista è Aluísio Azevedo con Pegadas
e demônios (1898). Dobbiamo però citare anche una serie di altri autori importanti
come Modeiros de Albuquerque (1867-1934), che scrisse molti libri di racconti, tra cui
Um homem prático (1898), Mã Tapuia (1900), Se eu fosse Sherlok Holmes (1932);
Viriato Correira con le sue raccolte Minaretes (1903), Contos do Sertão (1911),
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E perfino Coelho Neto, indio amazzonico, scrive una serie di raccolte di racconti – Rapsódias (1891) e Sertão (1896) – in cui hanno un certo peso le credenze superstiziose di un popolo afflitto dal dolore e dagli insuccessi. Nello stesso periodo anche Domício da Gama (1862-1925), Pedro Rebelo (1868-1905), Júlia Lopes de Almeida (1862-1934), Carma Dolores, Tomás Lopes (1878-1905), Vírgilio Várzela (1862-1941) danno il loro contributo alla narrativa breve brasiliana.
Declinazione della tipologia di racconti naturalistici è anche il racconto regionale in cui l’attenzione si focalizza sugli ambienti naturalistici e sulle tradizioni locali di ciascuna zona del paese. In questo settore la figura più importante rimane Afonso Arinos, nonostante l’esiguità della sua produzione. I racconti di Valdomiso Silveira, riuniti in Cablocos (1920), Nas serras e nas furnas (1931), Mixuangos (1937) e
Leréiras (1945) peccano di un uso eccessivo di modi di dire autoctoni che li rendono
difficilmente comprensibili senza l’aiuto di un vocabolario. Sullo stesso piano si colloca il regionalismo di Simões Lopes Neto autore di Contos Gauchescos (1912),
Lendas du Sul (1913) e Casos do Romualdo (1952).
Artur Azevedo, invece, si distingue per i suoi racconti umoristici e psicologici, di impronta universale, come Contos possíveis (1889), Contos fora da moda (1894),
Contos efêmeros (1897), Contos Cariocas (1928).
Altri scrittori dell’area del Rio Grande do Sul, zona in cui ha sempre dominato questa modalità narrativa, sono Alcides Maria con Tapera (1911) e Alma Bárbara (1922) e Telmo Vergara. Nel nord, invece, il racconto regionale è rappresentato da
Cenas de vida amazônica di José Veríssimo, e da Gustavo Barroso (1888-1959), che
è il massimo esponente del racconto cearense – ricordiamo Alma Sertaneja (1924) e
Marpunga (1921). Infine rammentiamo un maestro per l’originalità dei sui lavori e per
il vigore dello stile: Monteiro Lobato con Cidades Mortas (1919), O macaco se fez
homem (1913).
Alle tragedie borghesi e alla sconcertante povertà della vita suburbana di Rio de Janeiro si dedicano Lima Barreto, João do Rio e Gastão Cruls (1888-1999) che però sarà poi una figura di spicco nel periodo Modernista.
Anche se c’era già stato qualche precursore dell’estetica modernista, come ad esempio Adelino Magalhães con i suoi racconti Casos e Impressões (1916), i primi
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grandi nomi del Modernismo a essere citati sono ovviamente quelli di Antônio de Alcântara Machado (1901-1935) e Mário de Andrade. Da segnalare, però, che le prime raccolte di quest’ultimo, quali Primeiro Andar (1926) e Belazarte (1934), riflettono una sorta di esibizionismo stilistico più che un nuovo modo di raccontare (infatti la maggior parte dei suoi racconti si conclude come un conto de fada). Solamente nel suo libro postumo Contos Novos (1947) – nel quale si riuniscono produzioni più volte riviste dall’autore – il racconto assume un tono estremamente nuovo, sia per la purezza della lingua che per gli approfondimenti psicologici.
Pian piano anche in Brasile la narrativa breve inizia ad adottare lo stile del racconto contemporaneo di stampo europeo: Čecov, Katherine Mansfield, Saroyan, Kafka, ecc.
Ribeiro Couto (1898-1963) è uno dei grandi innovatori del genere in quanto introduce per primo quel tono d’irrealtà che trasforma il quotidiano. Notevoli sono anche i racconti di animali inventati da João Alphonsus (1901-1944).
Un altro grande modernista è Graciliano Ramos, primo in Brasile a introdurre nelle sue raccolte – Insonia (1947), Dois dedos (1945) e Histórias incompletas (1946) – l’arte di Dostoevskij.
Negli ultimi anni, oltre alla tendenza per il racconto di situazione, si diffonde un tipo di racconto che privilegia solamente l’aspetto formale, abbandonando quasi completamente il contenuto: la trama lascia così spazio all’enfasi della fugacità, alle riflessioni psicologiche, all’automatismo individuale.
La Geração de 45, nel contesto della Terza fase Modernista (1945-1980), ricorre a sperimentazioni e a innovazioni estetiche, tematiche e linguistiche per trovare un codice letterario completamente nuovo. Se però da un lato si presta particolare attenzione alla forma e alla parola con autori come João Cabral de Melo Neto e Guimarães Rosa, dall’altro si esplorano anche tematiche sociali e psicologiche, come nelle raccolte di Clarice Lispector19.
Gilberto Medonça Teles afferma che la teoria del racconto trova la sua più perfetta formulazione nelle quattro prefazioni dell’opera Tutameia: Terceira Estorias (1967) dello scrittore João Guimarães Rosa. Qui l’autore rivela la strada per la possibile
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comprensione del suo progetto narrativo, ma anche in generale del racconto brasiliano contemporaneo, attraverso un’analisi delle sue strutture. Le innovazioni estetiche, linguistiche e letterarie che Guimarães introduce nei sui testi permettono di attribuirgli il ruolo di innovatore, o addirittura di inventore, del termine estória, stabilendo le coordinate del racconto contemporaneo.
In realtà, è João Ribeiro20
, che, nel 1919, propone di adottare il termine estória per indicare il racconto popolare tradizionale. Ribeiro voleva, infatti, che anche nella lingua portoghese – esattamente come avviene in inglese, con story e history – si utilizzasse un termine specifico che si potesse contrappore alla parola história. Tuttavia, il termine proposto da Ribeiro non era certo di sua invenzione. La parola
estória, infatti, si registra già nei manoscritti portoghesi medievali, come variante
grafica del termine história. Dato che non esisteva ancora una norma definitiva per l’uso della /h/ e delle vocali, era facile trovare nei testi diverse realizzazioni grafiche della stessa parola, come per esempio hestória, istória, estórea. Questo fenomeno linguistico avviene anche in altre lingue romanze quali lo spagnolo e il francese.
La parola estória è poi riuscita a oltrepassare i confini del racconto popolare e folklorico grazie all’utilizzo che ne ha fatto Guimarães Rosa.
Secondo Rosa, le varie forme narrative brevi come l’aneddoto, la favola, l’indovinello, il mito e soprattutto le storie della tradizione popolare sono insostituibili poiché ciascuna propone aspetti simbolici e soggettivi, che egli considera una condizione necessaria nello sviluppo della tecnica della narrativa breve. La scrittura deve infatti trasformarsi in una sfida per il lettore.
Assumindo o papel de um típico contador de casos, seguindo os traços do conto popular, Rosa demonstra que a anedota, a adivinha, a fábula, o mito constitue a materialidade da arte do conto, formas que sempre confundiram as fronteiras entre o conto tradicional e o conto literário. Vale dizer, no entanto, que embora bebendo na fonte da forma embrionária do conto popular, Guimarães Rosa revela-se um genuíno escritor do conto moderno, pois, sempre preocupado com a originalidade de sua produção literária, reconhecida como obra prima, investe em novidades que revigoram o conto dos nossos dias e estabelecem uma espécie de fronteira entre a tradição e a modernidade. Breves relatos de episódios imaginários constituem a
20 João Batista Ribeiro da Andrade Fernandes (1860-1934) è stato un giornalista, critico letterario,
filologo, storico, pittore e traduttore brasiliano. Inoltre è stato membro dell’Accademia Brasiliana di Lettere.
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essência de sua contística, que tem conquistado o público pela originalidade das temáticas e linguagem muito próxima da linguagem poética.21
Infine è altrettanto importante notare che la nozione di estória – come proposta da Ribeiro e rilanciata poi da Guimarães Rosa – riprende direttamente dalla tradizione popolare le principali e più significative caratteristiche culturali di un paese. Per questo, soprattutto in luoghi come le ex-colonie portoghesi del Brasile, dell’Angola e del Mozambico, la suddetta tipologia testuale diventa fondamentale per mostrare, esaltare e affermare la propria identità nazionale dopo l’indipendenza: non a caso il termine estória, una volta utilizzato da Guimarães, sarà ripreso ossessivamente da tanti altri autori delle ex colonie, come ad esempio gli angolani José Luandino Vieira e Pepetela o il mozambicano Mia Couto.
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1.2) Conclusioni
Alla luce di quello che abbiamo detto fin ora, possiamo constatare che in tutte le epoche e in tutte le letterature esiste una grande confusione, quando si tratta di stabilire quali siano le coordinate che definiscono le caratteristiche di una forma breve rispetto all’altra. Lo stesso problema si riscontra anche ripercorrendo le definizioni di alcuni dei più importanti dizionari portoghesi antichi e moderni, nonché di alcune antologie. Pochissimi dizionari22
, infatti, si soffermano sulle caratteristiche proprie del conto, della estória, della história e della novela, e tra questi nessuno evidenzia eventuali differenze fra queste forme narrative.
Il termine conto e il termine história faticano a trovare una precisa collocazione sia dal punto di vista cronologico che da quello concettuale: nella maggior parte dei casi non si traccia nessun profilo storico, o, al massimo, si fa un breve riferimento alla sua origine popolare e ai contos/histórias de Carochinha. Spesso, inoltre, il lemma di uno rimanda a quello dell’altro, segno ulteriore dell’incertezza terminologica che li riguarda. In tutte le opere prese in esame un elemento interessante attorno a cui si articolano i tentativi di definizione dei due termini è, oltre alla caratteristica della brevità, il loro aspetto fittizio e immaginario. Entrambi, inoltre, vengono spesso definiti come sinonimi di fábula o patranha.
Anche per quanto riguarda la parola novela, sono molto pochi i casi in cui non vengono usati i termini conto o história per definirla. Alla voce novela, però, è quasi sempre presente un piccolo excursus storiografico sulla nascita del termine e sull’evoluzione del genere. Inoltre viene sempre messa in relazione, per quanto riguarda l’estensione del testo, con il genere del romanzo.
Infine, se tralasciamo alcuni dizionari come il Grande Dicionário Houaiss da
Língua Portuguesa, Caldas Aulete e Aurélio, la voce estória è praticamente
inesistente. Le esigue definizioni che possiamo reperire la descrivono semplicemente
22 Ho consultato i seguenti dizionari: Dicionário da Língua Portuguesa Contemporânea, Academia das Ciências de Lisboa, Dicionário da Língua Portuguesa Etimológico, Dicionário da Língua Portuguesa 2008 da Porto Editora, Grande Dicionário Houaiss da Língua Portuguesa, Grande Dicionário da Lígua portuguesa di Cândido de Figueiredo, Grande enciclopédia portuguesa e brasileira: ilustrada com cêrca de 15.000 gravuras, Novo Dicionário Compacto da Lígnua Portuguesa di António Morais Silva
Dicionário online Caldas Aulete, Dicionário do Aurélio Online, Grande diccionario Portuguez; ou, Thesouro da lingua Portugueza de Dr. Fr. Domingos Vieira, Dicionário online de Raphael Bluteau.
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come una forma narrativa breve di origine popolare, e subito dopo si rimanda alla voce história.