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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1 –ULCERE CUTANEE E NIRS

CAPITOLO 1

Ulcere cutanee e NIRS

Da tempo è ben noto il ruolo fondamentale che l’ossigeno svolge nel processo di guarigione delle lesioni in quanto consente l’accumulo di collagene (proteina principale presente nella pelle, nel tessuto connettivo, nella cartilagine; conferisce resistenza e rigidità al tessuto), la proliferazione capillare e rappresenta un importante substrato nella distruzione ossidativa dei batteri. L’ossigeno, infatti, può essere considerato “un farmaco intelligente” [6]: in particolare la respirazione di ossigeno in camera iperbarica determina un aumento della sua concentrazione nel plasma e questo a sua volta stimola la sintesi del monossido di azoto, che potenzia la riparazione dell’ulcera [6]. Esistono diverse tecniche di imaging (ad esempio imaging iperspettrale (HSI), o multi spettrale (MSI), oppure imaging con macchina fotografica digitale [3]) per valutare lo stato di guarigione della lesione e l’efficacia della terapia iperbarica o in generale della terapia adoperata (ad esempio la terapia compressiva). Questo lavoro di tesi propone come tecnica innovativa per la valutazione dell’efficacia della terapia iperbarica in pazienti affetti da ulcere venose negli arti inferiori, la tecnica di imaging nel vicino infrarosso. Pertanto, nel primo capitolo sono richiamati alcuni concetti base riguardanti: la tecnica NIRS, l’anatomia della pelle, le ulcere cutanee e possibili trattamenti con le quali sono curate, con particolare riferimento all’ossigeno terapia iperbarica.

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1.1 Anatomia e funzionamento della cute.

La cute ricopre l’intera superficie del corpo umano, è sottile (lo spessore medio è di circa 1,5 – 2 mm) ed estesa. La pelle è costituita da tre tessuti: epidermide, derma, e ipoderma (Fig.1.1).

L’epidermide è il tessuto a contatto con l’ambiente esterno, ed è costituto da cinque strati: basale, spinoso, granuloso, lucido, corneo. Lo strato basale è composto da un unico strato di cellule collegate alla membrana basale che unisce l’epidermide al derma. Lo strato spinoso è costituito da cellule di forma irregolare che maturando si spostano verso la superficie dell’epidermide. Lo strato granuloso è formato da cellule di forma appiattita ricche di cheratina. Lo strato lucido, presente solo in alcune zone della cute (palmi delle mani e dei piedi), contiene cellule morte (che hanno perso il nucleo e gli organi citoplasmatici). Lo strato corneo rappresenta la parte più esterna dell’epidermide, è costituito da cellule morte completamente appiattite.

Il derma rappresenta lo strato intermedio, contiene i bulbi piliferi, vasi linfatici, le terminazioni nervose, i vasi sanguigni, le ghiandole sudoripare. Questo strato ossigena e nutre la cute, e grazie alla presenza di collagene e di elastina conferisce robustezza ed elasticità alla pelle.

Lo strato più profondo della pelle è l’ipoderma, esso è formato in maggioranza da tessuto adiposo che ha la funzione di riserva energetica.

Fig.1.1-Tre strati della cute: epidermide, derma, ipoderma (fonte http://www.iltoccodellaluna.it/?cat=348&print=print-page).

La funzione fondamentale della pelle è di difendere gli organi interni dall’ambiente esterno (colpi, infiltrazioni di microrganismi estranei, traumi ecc); tuttavia ha anche altre funzioni: respiratoria, riproduttiva, termoregolatrice, sensoriale. Ustioni, ferite e ulcere possono, pertanto, causare alterazioni reversibili o irreversibili della cute, che compromettono l’integrità dell’organismo causando malattie, disabilità e nei casi più gravi la morte. Quando

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la pelle subisce una o più lesioni dopo l’emostasi (coagulazione, aggregazione piastrinica), inizia un processo di guarigione spontaneo che si divide in tre fasi: infiammatoria, proliferativa, maturazione.

La fase infiammatoria dura circa tre giorni ed è caratterizzata da quattro sintomi: dolore, calore, gonfiore e arrossamento. Durante questa fase i macrofagi migrano nell’area lesa ripulendo la ferita dai rifiuti cellulari ed eliminando i batteri presenti. Inoltre, i macrofagi forniscono zuccheri e aminoacidi indispensabili per la riparazione della ferita e richiamano le cellule per la riformazione del tessuto.

La fase proliferativa dura da 4 a 24 giorni e comporta la formazione del tessuto di granulazione, la contrazione della ferita e la crescita di cellule epiteliali. I fibroblasti avviano la formazione del tessuto di granulazione producendo elastina, collagene e altre sostanze che costituiscono la matrice cellulare del derma. Durante la contrazione la dimensione della lesione diminuisce progressivamente. La proliferazione si conclude quando le cellule migrano verso il centro della ferita fino a chiuderla totalmente.

La fase di maturazione rappresenta il processo finale di riparazione della ferita, può durare da una settimana a due anni. In questo periodo avviene la formazione di nuovo collagene che aumenta la resistenza della pelle intorno alla ferita; il processo termina quando il tessuto cicatrizzante raggiunge l’80% della forza originale.

1.2 Ulcere cutanee.

Per ulcera cutanea s’intende una ferita cronica presente da più di tre settimane che non riesce a guarire oppure che non passa attraverso il normale processo di guarigione. Le ulcere cutanee possono essere classificate in varie tipologie: ulcere da pressione o da decubito, ulcere da arto inferiore e ulcere da diabete [8][9][10].

Le ulcere da pressione sono tipiche di pazienti allettati per lunghi periodi, si manifestano in aree del corpo sottoposte all’azione di una prolungata pressione meccanica, che causa una riduzione della perfusione del sangue. Queste ulcere oltre a interessare i tessuti superficiali possono raggiungere anche gli strati sottocutanei e nei casi più gravi possono diffondersi nelle ossa e nel muscolo. Questo tipo di lesione evolve molto rapidamente ed è difficile da curare, spesso è incurabile. Clinicamente le ulcere da decubito sono state classificate in quattro categorie. Il sistema di classificazione più usato è quello proposto dall’International Pressure Ulcer Advisoru Panel ed European Pressure Ulcer Advisory

Panel (NPUAP-EPUAP)[11]

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2ª categoria: formazione di vescica o di un’abrasione con perdita parziale di

derma e/o dell’epidermide.

3ª categoria: perdita della pelle a spessore totale, necrosi degli strati

sottocutanei della pelle che possono estendersi fino alla fascia muscolare sottostante.

4ª categoria: necrosi del tessuto, danno a osso, muscolo e strutture di

supporto con o senza perdita cutanea a tutto spessore.

Le ulcere da arto inferiore colpiscono per lo più la popolazione anziana, e sono causate da alterazioni a livello di arterie, di vene e di nervi. Le ulcere da arto inferiore a seconda dell’origine possono essere classificate in vario modo: venosa, arteriosa, mista. L’ulcera venosa colpisce la parte laterale e mediale delle gambe, e si presenta come un buco con placche bianche. L’ulcerazione è causata da valvole “difettose” che si trovano nella vena. Questo malfunzionamento fa sì che durante la contrazione muscolare la pressione venosa profonda non raggiunga valori ottimali e dunque determini un aumento della pressione e un ristagno circolatorio che ostacolano la microcircolazione; tutto ciò non consente il trasposto di ossigeno e nutrimenti alla zona lesa. L’ulcera arteriosa è causata per lo più da arteriosclerosi (indurimento della parete delle arterie), ed è localizzata all’esterno della gamba o delle dita dei piedi. L’ulcera si presenta con una forma ovale con bordi frastagliati circondata da una zona pallida e priva di peli. Le ulcere miste sono ulcere venose con insufficienza arteriosa. La zona lesa è caratterizzata da pallore, edema, e alterazioni pigmentarie. Queste ulcere possono arrivare a coinvolgere strutture tendinee.

L’ulcera da diabete si sviluppa al livello del piede, può essere di tipo ischemica o neuropatica. Tuttavia in alcuni soggetti, soprattutto di età avanzata, coesistono sia l’ischemia sia la neuropatia. Le ulcere ischemiche si formano sulle punte dei piedi o sul dorso del piede. La causa dello sviluppo di tale ulcera è l’accumulo di sostanze lipidiche e di altro genere (formatesi a causa di alti valori di glicemia) a livelli dei vasi sanguigni, che comporta un restringimento dei vasi sanguigni che provoca un’ischemia (scarso apporto di sangue). Il blocco parziale o totale del flusso di sangue al piede, e quindi la mancanza di ossigeno provoca un forte dolore al piede. L’ulcera neuropatica è localizzata in aree del piede soggette a forte pressione (apice delle dita, testa metatarsale). L’origine di questo tipo di ulcera è una neuropatia motoria, che colpisce le fibre nervose che innervano i muscoli del piede causandone la deformazione della pianta del piede con riduzione della superficie di appoggio, che provocando un aumento del carico a livello delle teste metatarsali. L’organismo in

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risposta all’eccesso di carico irrobustisce lo strato corneo della pianta del piede così da creare una difesa temporanea: a lungo andare si formerà un ematoma seguito dall’ulcera.

1.2.1 Trattamenti e ossigeno terapia iperbarica (OTI)

Prima di intraprendere il trattamento della lesione è importante curare la patologia primaria (come ad esempio l’insufficienza venosa, il diabete mellito), e rimuovere le cause che hanno determinato la formazione della lesione (nel caso di ulcera da pressione, ad esempio, occorre riposizionare il paziente e applicare superfici antidecubito in modo da eliminare la pressione esercitata). Al fine di individuare un adeguato trattamento dell’ulcera occorre raccogliere i dati sul paziente (età, stato nutrizionale, patologie di base) e individuare il tipo di lesione e le sue caratteristiche (sede, profondità, tipo di tessuto: necrotico, infetto, granuleggiante). Una prima azione terapeutica che è effettuata, anche a ogni cambio della medicazione, indipendentemente dal tipo di ulcera, prevede la pulizia della lesione e la detersione con l’uso di soluzione fisiologica, di antibiotici e antisettici nel caso di elevata carica batterica, al fine di ridurla e di rimuovere l’essudato, i detriti metabolici, residui di medicazioni precedenti e corpi estrani. Dopo il primo trattamento, prima di passare alla medicazione, occorre rimuovere il tessuto non vitale per via chirurgica o enzimatica (l’enzima applicato sulla ferita promuove la rimozione del tessuto necrotico) o chimica (mediante soluzioni di iodio e acqua ossigenata) o biochirurgica (uso solo sperimentale, applicazione di larve da mosca sulla lesione). Terminate le fasi di detersione e di rimozione del tessuto necrotico, si attiva una medicazione periodica (ogni giorno o ogni due/tre giorni) che può essere di tipo tradizionale, avanzato o con la combinazione delle due. La medicazione tradizionale prevede copertura e protezione della lesione utilizzando garze (che consentono l’isolamento dall’ambiente esterno quando la lesione è asciutta), agenti essiccanti e altre sostanze (soluzioni saline, antisettiche). Questo tipo di medicazione garntisce l’emostasi, l’assorbimento dei liquidi e l’essiccamento ma non agisce contro il dolore. Il materiale utilizzato, inoltre, si bagna frequentemente facilitando il passaggio di germi che favoriscono la formazione d’infezioni e di macerazioni del fondo dell’ulcera. La medicazione avanzata si basa sul concetto di medicazione in un ambiente umido e utilizza materiali biocompatibili che interagiscono con il tessuto favorendo il processo di guarigione. Questo tipo di medicazione rispetto a quella tradizionale fornisce un ambiente idoneo per la riparazione tissutale, conferisce un isolamento termico, riduce il rischio d’infezione, consente una riduzione della frequenza di cambio della medicazione. I materiali utilizzati nella medicazione in umido sono diversi: idrogel, pellicole di poliuretano, idrocolloidi, schiume di poliuretano, alginati.

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Gli idrogel sono polimeri (gel amorfo) contenente un’alta percentuale di acqua (70% -80%) in grado di idratare i tessuti necrotici favorendo l’autolisi e l’attivazione dei processi di granulazione. Il gel è depositato sulla ferita e necessita di una medicazione secondaria per rimanere in sede.

Le pellicole di poliuretano sono dei film trasparenti impermeabili ai liquidi contaminati ma permeabili a vapore acqueo e ossigeno.

Gli idrocolloidi sono sostanze contenenti una composizione metilcellulosa, sono sospesi in matrice adesiva ricoperta all’esterno da film o da schiume. Le pellicole d’idrocolloidi sono adesive in diversa forma e favoriscono la formazione dell’ambiente umido assorbendo l’essudato e trasformandolo in gel.

Le schiume di poliuretano hanno un’elevata capacità assorbente, quindi sono molto usate in ulcere con produzione medio-alta di essudato. L’assorbito dell’essudato avviene in maniera progressiva, verticalmente e non orizzontalmente, consentendo un ambiente umido nella zona centrale della lesione e un ambiente asciutto ai margini, pertanto la probabilità di formazione di macerazione diminuisce.

Gli alginati sono sostanze costituite da fibre derivanti dalle alghe marine contenente acido alginico. Gli alginati posti a contatto con la ferita si trasformano in un gel umido e soffice, non aderente al tessuto con potere detergente, ciò crea un ambiente umido che favorisce la guarigione.

In ambito clinico e di ricerca si stanno valutando nuovi materiali biocompatibili (come ad esempio l’argento, che riduce la carica batterica e contrasta il cattivo odore) e nuovi trattamenti tra cui la terapia iperbarica [7].

La terapia iperbarica avviene in un ambiente chiuso ermeticamente in cui la pressione interna è aumentata rispetto a quella atmosferica, in modo controllato. La terapia è effettuata

normalmente a una pressione fra 1,5 e 2,8 atmosfere assolute (ATA) corrispondenti a 5-18 metri di profondità in mare per tempi che vanno tra 60-120 minuti [6]. All’interno della

camera iperbarica i pazienti respirano ossigeno puro, tramite una maschera. Poiché l’ossigeno è somministrato in condizione di elevata pressione, aumenta sia la quantità di ossigeno trasportato nel sangue in forma legata all’emoglobina sia la quantità di quello disciolto nel plasma in forma molecolare. Quest’ultimo raggiungendo tessuti ipossici favorisce la ripresa delle funzioni tissutali attraverso il ripristino dell’ossigenazione di tali tessuti. L’ossigeno iperbarico, oltre alla riattivazione delle cellule ipossiche, ha numerosi effetti sull’organismo

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- fornisce ossigeno ai tessuti ischemici (deficit circolatorio e di trasporto) - promuove la sintesi del monossido di azoto (NO), il quale ha azione antinfiammatoria, favorisce la formazione di nuovi vasi sanguigni (anche attraverso il reclutamento delle cellule staminali), e accelera la riparazione delle ferite;

- favorisce il ripristino di cellule o apparati sofferenti per ipossia; - favorisce la riproduzione di collagene, che serve per riparare le ferite; - attiva la riparazione delle ossa e la deposizione di calcio;

- ha azione antibatterica;

- riduce i danni da infiammazione cronica (interagendo con il metabolismo dei neurotrasmettitori e del monossido di azoto, riducendo le citochine proinfiammatorie e le diapedesi leucocitaria);

- regola la risposta immunitaria;

- modifica il bilancio delle prostaglandine (sostanze chimiche implicate nell’infiammazione);

- ha azione antiedema (cerebrale, midollare, tissutale);

- facilita la proliferazione vascolare capillare (neoangionesi e vasogenesi) e la rivascolarizzazione delle aree dove arrivi poco sangue (ischemiche);

- accelera la demarcazione tra tessuto morto da quello sofferente (ischemico) ancora recuperabile;

- favorisce il ripristino funzionale del metabolismo cellulare nei casi di intossicazione da monossido di carbonio, fumo, cianuri e metaemoglobina.

L’ossigeno iperbarico, grazie agli effetti benefici sopra descritti, può rivelarsi un importante trattamento nei pazienti con ulcere cutanee, giacché accelera il processo di guarigione delle ulcere. Tuttavia, affinché questi effetti non siano vani, è necessario intraprendere un approccio pluriterapeutico e multidisciplinare volto a curare anche la patologia di base [12]. In letteratura si trovano alcuni esempi di applicazioni cliniche riguardanti il trattamento di ulcere con la terapia iperbarica. Il dossier pubblicato nel 2009 dalla Regione Emilia Romagna Profili di assistenza e costi del diabete in Emilia Romagna –

analisi empirica attraverso dati amministrativi (2005-2007)[13], ad esempio, mostra che

pazienti con ulcera da diabete al piede, trattati con la terapia iperbarica contemporaneamente all’uso di procedure di chirurgia vascolare, hanno probabilità inferiore di subire amputazione rispetto a pazienti non trattati con ossigenoterapia. In conclusione, la terapia iperbarica è un

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trattamento a basso costo ed efficace, utilizzato in soggetti con ulcere cutanee. Obbiettivi futuri sono la realizzazione di dispositivi portatili a basso costo per la terapia a domicilio [14].

1.2.2 Valutazione dello stato di guarigione delle ulcere cutanee.

Il monitoraggio della ferita durante il trattamento avviene attraverso ispezione visiva da parte dei medici e attraverso misure della dimensione e della profondità della ferita. Altri parametri per valutare la guarigione di una ferita sono lo stato di ossigenazione dei tessuti lesi e le variazioni della microstruttura della ferita. Studi clinici hanno dimostrato che una riduzione del 40% della dimensione della ferita entro 4 settimane dall’inizio del trattamento indica uno stato di guarigione e un’efficace terapia. Questi parametri possono essere ottenuti attraverso tecniche di imaging ottico. Tra le tecniche più utilizzate, in ambito clinico o di ricerca, troviamo: imaging iperspettrale (HSI), imaging multi spettrale (MSI), laser doppler imaging (LDI), imaging con macchina fotografica digitale, tomografia a coerenza ottica [3].

L’imaging iperspettrale (HIS) unisce tecniche di spettrometria e d’immagine per la caratterizzazione dei tessuti. Una fotocamera iperspettrale cattura una molteplicità d’immagini alle varie frequenze nel range del visibile e del vicino infrarosso. Ogni immagine rappresenta una particolare banda di lunghezza d’onda: questo insieme d’immagini forma il cosiddetto ipercubo. Ogni pixel dell’immagine spettroscopica contiene pertanto uno spettro composto da un elevato numero di bande (in radianza o riflettanza) che può essere utilizzato per caratterizzare i tessuti con grande precisione e dettaglio. L’HIS consente di valutare il livello di saturazione dell’emoglobina, calcolare la concentrazione della melanina e valutare la profondità della ferita.

La tecnica multispettrale (MSI), cattura immagini a una specifica lunghezza d’onda dello spettro elettromagnetico (le lunghezze d’onda sono separate da filtri o mediante l’uso di strumenti sensibili a particolari lunghezze d’onda). La differenza tra HSI e MSI è nel numero di bande usate (banda è la regione dello spettro elettromagnetico in cui i rilevatori sono sensibili) e nella loro larghezza: HSI, infatti, usa tante bande strette, mentre la MSI usa poche bande larghe [15]. La MSI è stata applicata solo in ambito di ricerca per ottenere curve di assorbimento di alcuni cromofori della pelle come melanina e aminoacidi.

L’imaging laser doppler (LDI) si basa sull’effetto Doppler (variazione della frequenza dell’onda rilevata rispetto a quella trasmessa quando la sorgente e il rilevatore sono in movimento un rispetto all’altro) per ottenere un’immagine a colori in cui il colore rappresenta il livello di perfusione tissutale. Da questo tipo di dispositivo è possibile ottenere in tempo reale informazioni sulla profondità.

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La fotocamera digitale è facile da usare, economica e applicabile in ogni situazione, quindi è adatta nella pratica di routine clinica e in studi clinici sperimentali. Le immagini ottenute a lunghezza d’onda nel range del visibile consentono di ottenere informazioni sulla dimensione della ferita, ma, a differenza delle altre tecniche ottiche, non è possibile ricavare informazioni sull’ossigenazione dei tessuti lesi.

La tomografia a coerenza ottica è una tecnica di imaging non invasiva ad alta risoluzione spaziale. Questa tecnica si basa sulla misura del tempo di ritardo dell’eco di luce riflessa (la luce usata è nella banda NIR) da parte dei tessuti nell’area d’interesse. Questa tecnica utilizzata in studi di ricerca su animali o su soggetti umani permette di ottenere informazioni strutturali della regione lesa consentendo la valutazione della presenza o meno dello stato epidermico della pelle.

1.3. NIRS.

La spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS) è una tecnica di imaging recentemente utilizzate per distinguere ferite che guariscono da ferite che non guariscono in quanto è in grado di fornire informazioni funzionali e fisiologiche sulla ferita. Da studi condotti da alcuni ricercatori [4][5], utilizzando la NIRS, per monitorare i cambiamenti emodinamici della zona d’interesse, è emerso che le ferite che tendono a guarire mostrano livelli di concentrazione di emoglobina inizialmente alti, che in seguito al trattamento della ferita diminuiscono per avvicinarsi ai livelli di concentrazione del tessuto sano. Al contrario le ferite che non tendono a guarire mostrano livelli di emoglobina alti che non diminuiscono nel tempo. In un altro studio [16] immagini NIRS sono state utilizzate per calcolare la dimensione della ferita attraverso tecniche di segmentazione dell’immagine, che consentono di identificare il contorno della ferita sulla base dell’ossigenazione della stessa: pixel con livello di grigio simile appartengono a una regione con livello di ossigenazione simile (contorno della ferita mostra un livello di ossigenazione diverso rispetto alla parte centrale). Oltre le immagini NIRS ottenute usando uno scanner ottico nel vicino infrarosso (NIROS), sono state acquisite immagini digitali, nel range spettrale della luce bianca, impiegando una telecamera endoscopica. Da questo studio è emerso che la zona lesa nelle immagini NIRS segmentate è maggiore rispetto a quella ottenuta da immagini acquisite con telecamera endoscopica. Tale risultato potrebbe indicare che le immagini NIRS rilevano che le ferite che non tendono a guarire sono maggiori internamente rispetto a quelle in superficie; oppure la maggiore regione lesa mostrata nelle immagini NIRS può essere dovuta a un artefatto introdotto durante la fase di elaborazione dell’immagine. Obiettivi futuri prevedono la coregistrazione d’immagini

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NIRS su immagini ottenute da telecamera endoscopica, ai fini di valutare le dimensioni delle ferite interne rispetto a quella superficiali. Attualmente, diversi studi di imaging utilizzano la NIRS per differenziare ferite che guariscono da ferite che non guariscono e per monitorare lo stato di guarigione della ferita in risposta ad una specifica terapia [3][4].

La spettroscopia nel vicino infrarosso è una tecnica non invasiva in grado di monitorare il livello di ossigenazione e perfusione tissutale. I principi fondamentali su cui si base questa tecnica sono la relativa trasparenza dei tessuti biologici alla luce nell’intervallo spettrale del vicino infrarosso e la capacità di alcuni componenti dei tessuti di assorbire in modo differente la luce. Questa tecnica fu introdotta alla fine degli anni ’70 da Jobsis, il quale usò la luce nella banda spettrale del vicino infrarosso per effettuare un monitoraggio funzionale non invasivo del tessuto cerebrale. La scoperta di Jobsis portò alla realizzazione dei primi dispositivi NIRS, oggi “chiamati a onda continua” (continuos wave CW), che consentono di calcolare la concentrazione di sostanze presenti nel tessuto (cromofori) rispetto a una condizione iniziale. Tuttavia questi dispositivi non permettono misure di concentrazione assoluta. Dopo la realizzazione dei primi dispositivi NIRS si è assistito a un continuo miglioramento della tecnologia: sono state sviluppate tecniche in grado di misurare la concentrazione assoluta di cromofori presenti nel tessuto, e sono stati sviluppati strumenti di imaging in grado di generare mappe di ossigenazione regionale del tessuto d’interesse (miocardio, tessuto celebrale ecc). Tutto ciò ha consentito una larga diffusione della NIRS in diversi ambiti, tra cui: diagnosi di tumori, studio funzionale dell’attività cerebrale, analisi del consumo di ossigeno da parte dei muscoli, studio della perfusione cardiaca, diagnosi precoce dell’artrite reumatoide.

1.3.1 Principi fisici.

La NIRS si basa sulla propagazione della luce nel vicino infrarosso (banda spettrale 650÷950nm) nei tessuti biologici. La luce penetrando i tessuti, in parte è assorbita e in parte diffusa. La diffusione è il processo dominate nella banda spettrale del vicino infrarosso e diminuisce all’aumentare della lunghezza d’onda favorendo la trasmissione della luce. L’assorbimento da parte dei tessuti, nell’intervallo ottico del vicino infrarosso, invece è basso, e dipende dalla composizione molecolare del tessuto attraversato. La luce nel tessuto biologico è assorbita a particolari lunghezze d’onda da sostanze chiamate cromofori, essi non assorbono totalmente il fascio di luce incidente ma in parte lo attenuano [17]. Dall’informazione sull’attenuazione è possibile ricavare la concentrazione dei cromofori all’interno dei tessuti. Alcuni cromofori portano un contributo costante di assorbimento (lipidi, acqua, melanina), invece altri assorbono in maniera maggiore o minore il fascio di luce

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a seconda dello stato di ossigenazione, mostrando così uno spettro di assorbimento diverso. La figura sottostante (Fig.1.2) mostra lo spettro di assorbimento dell’acqua e dell’emoglobina ossigenata e deossigenata. Dal grafico è possibile notare i picchi di assorbimento dei tre cromofori: l’acqua mostra un picco a 970nm, l’ossiemoglobina a 880nm e la deossiemogobina a 660nm. Gli spettri di dell’emoglobina ossigenata e deossigenata s’intersecano a una lunghezza d’onda di circa 796nm in un punto chiamato isobestico, di sotto al quale l’assorbimento è dovuto principalmente alla deossiemogobina. Per lunghezze d’onda maggiori domina l’ossiemoglobina. Valutando lo spettro di assorbimento dell’ossiemoglobina (HbO2) e della deossiemoglobina (Hb) è possibile calcolare la concentrazione locale di questi due cromofori e in base al valore di concentrazione di tali cromofori si può stimare il livello di saturazione dell’ossigeno nei tessuti come segue:

St

=

Dove e sono rispettivamente la concentrazione di ossiemoglobina e di dessosiemoglobina e St il valore percentuale della saturazione di ossigeno.

Fig. 1.2 - Spettro di assorbimento dell’emoglobina ossigenata e ridotta (HHb) e dell’acqua [17].

Per quantificare l’assorbimento della luce da parte di una sostanza è necessario ricorrere alla legge di Lambert-Beer, secondo cui la luce che attraversa un tessuto è assorbita in modo direttamente proporzionale alla concentrazione del cromoforo, alla distanza tra sorgente e rilevatore e al coefficiente di estinzione molare [18]:

A = ln

= D

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A : densità ottica (detta anche assorbanza) C: concentrazione cromoforo (Moli/L) D: distanza sorgente rilevatore (cm)

ε : coefficiente estinzione molare ( × L× ) : intensità del fascio incidente

: intensità del fascio trasmesso

Considerando che il tessuto è costituto da diversi cromofori ognuno caratterizzato dal proprio coefficiente di estinzione molare, l’attenuazione totale della luce incidente sarà data dalla somma del contributo di attenuazione di ogni cromoforo. La legge, dunque, può essere scritta come combinazione lineare del contributo di ogni cromoforo come seguente [18]:

A= [ + ]

La legge di Lambert-Beer tradizionale in realtà non può essere applicata al tessuto biologico, in quanto a causa dei fenomeni di scattering la lunghezza del cammino dei fotoni nel mezzo attraversato non coincide con la distanza tra sorgente e rilevatore ma è maggiore e dipende dalle dimensioni del campione, dagli indici di rifrazione dei cromofori e dalla lunghezza d’onda della luce. In un mezzo altamente dispersivo come il tessuto si utilizza la legge di Lambert-Beer modificata per mezzi complessi [18]:

A= ln

= D

Dove i simboli indicano:

DPF : fattore differenziale di percorso, tiene conto

della forma a “banana” del percorso (testa uomo adulto DPF = 6) : coefficiente di scatteting, contempla anche la geometria emettitore- ricevitore.

Il termine , che compare nell’equazione della legge di Lambert-Beer, è sconosciuto, pertanto non è possibile ricavare la concentrazione assoluta del cromoforo. Tuttavia, ipotizzando che durante la misura restino costanti , la distanza tra rilevatore e sorgente (D) e il fattore differenziale di percorso (DPF) (poiché D è fisso e DPF e dipendono dalla struttura del tessuto che rimane inalterato durante la registrazione) è possibile calcolare la variazione di concentrazione del cromoforo, a partire dalla variazione temporale di assorbanza:

ΔC = Δ

ΔOD = ln

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Dove ΔC è la variazione di concentrazione del cromoforo, ΔOD è la variazione di densità ottica calcolata dalla misura dell’intensità di luce e in due istanti temporali diversi (istante iniziale , istante generico t).

La legge di Lambert-Beer modificata, come nel caso delle leggi classiche, considerando la presenza di più cromofori può essere scritta come combinazione lineare del contributo di ogni cromoforo come seguente [19]:

=

Dove: à è è il coefficiente di estinzione molare del cromoforo i-esimo, la sua concentrazione, d è la distanza tra sorgente e rilevatore, PDF ( è un parametro che tiene conto dello scattering del tessuto e G ( ) è un fattore legato alla geometria del tessuto.

Considerando, come per il caso di un cromoforo, che durante la misura restino costanti G ( ), d e PDF ( , si può scrivere la variazione temporale di densità ottica come segue [19]: Δ =

Δ

in cui t0 è l’istante iniziale, t1 l’istante temporale considerato, Δ è la variazione temporale del cromoforo i-esimo Ci.

Considerando l’equazione precedente, a due lunghezze d’onda diverse si può ottenere la concentrazione di due cromofori diversi, ad esempio le variazioni temporali di concentrazione di ossiemoglobina e di deossiemoglobina: eseguendo una misura simultanea a due lunghezze d’onda ₁ e ₂, si possono ricavare dal seguente sistema [19]:

In conclusione, attraverso l’uso delle formule descritte è possibile misurare la variazione di concentrazione del mezzo attraversato, utile per ottenere informazioni fisiologiche o funzionali.

1.3.2 Strumentazione NIRS.

La strumentazione NIRS prevede l’uso di una o più sorgenti di luce (diodi led o laser, per fornire luce ai tessuti a intensità nota, a due o più lunghezze d’onda), di uno o più rivelatore di luce (che misurano l’intensità della luce che esce dal tessuto) e dell’elettronica per l’acquisizione ed elaborazione del segnale. Il numero e la disposizione spaziale delle sorgenti e dei rilevatori dipendono dallo spessore del tessuto in esame e dall’informazione che

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si vuole ottenere. Quando lo spessore del campione sotto indagine non è grande (come ad esempio la testa dei neonati) la sorgente e il rilevatore possono essere posti su due piani opposti, nel caso in cui il campione abbia uno spessore maggiore (muscoli, testa di un adulto), la sorgente e il rilevatore, invece, devono trovarsi sullo stesso piano a una certa distanza altrimenti, a causa dei fenomeni di assorbimento e scattering, l’intensità del segnale rilevato non sarebbe apprezzabile. Quando si vuole misurare il segnale da un’unica regione ristretta, si usa un’unica sorgente e un unico rilevatore, mentre se si vuole rilevare il segnale da una regione più ampia a diverse profondità, si adoperano più rilevatori posti a diverse distanze dalla sorgente. Infine, se si vuole ottenere una mappa di ossigenazione del tessuto sotto esame, occorre usare dispositivi dotati di matrici di sorgenti e rilevatori, in cui ogni rilevatore riceve il segnale da una o più sorgenti.

La strumentazione NIRS si divide in tre principali categorie[19][18][17]: a onda continua;

nel dominio del tempo; nel dominio della frequenza.

Spettroscopia a onda continua (Fig.1.3 a)

La sorgente emette in continua la luce con intensità costante: questo tipo di sistema misura il decadimento dell’ampiezza della luce incidente. Questi dispositivi consentono di ricavare solo la variazione di concentrazione dei cromofori e non la concentrazione assoluta del cromoforo. Se si vuole monitorare la variazione di concentrazione di più cromofori per ottenere una stima accurata occorre effettuare la misura con almeno un numero di lunghezze d’onda pari al numero di cromofori d’interesse. Le diverse lunghezze d’onda sono scelte in base alle proprietà di assorbimento dei cromofori (la maggior parte dei dispositivi in commercio utilizza al massimo quattro lunghezza d’onda). L’informazione sulla concentrazione assoluta ha poca rilevanza in molte applicazioni: in neuroscienza, ad esempio, è più importante rilevare i cambiamenti nell’attività cerebrale piuttosto che ottenere misure assolute. Il costo della strumentazione è relativamente basso e i sistemi possono possedere componenti wireless e possono essere miniaturizzati. Per tali ragioni oggi la spettroscopia a onda continua è una delle tecniche più diffuse.

Spettroscopia risolta nel dominio del tempo (Fig.1.3 b)

La sorgente laser genera impulsi di luce di durata di qualche picosecondo e i rilevatori misurano la distribuzione temporale dei fotoni che lasciano il tessuto. Questo sistema permette di misurare il tempo medio impiegato dai fotoni per arrivare dalla sorgente al rilevatore, consente di separare il contributo di assorbimento e permette di fornire misure

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quantitative della concentrazione dei cromofori. La spettroscopia risolta nel dominio del tempo presenta una risoluzione spaziale maggiore rispetto alla spettroscopia a onda continua o alla spettroscopia risolta nel domino delle frequenze; tuttavia gli strumenti utilizzati sono molto costosi e ingombranti e i tempi di acquisizione per ottenere SNR (rapporto segnale rumore) accettabile sono lunghi.

Spettroscopia risolta nel dominio della frequenza (Fig.1.3 c)

La sorgente emette luce in continua modulata in ampiezza, a frequenza dell’ordine di decine o centinaia di megahertz. Questi sistemi misurano il decadimento dell’ampiezza e lo sfasamento del segnale misurato rispetto a quello trasmesso per ricavare informazioni sull’assorbimento e sulla dispersione. La spettroscopia risolta nel domino della frequenza fornisce misure quantitative della concentrazione dei cromofori.

Fig. 1.3 -illustrazione delle tre tecniche NIRS: (a) onda continua, (b) dominio del tempo, (c) dominio delle frequenze [19].

In conclusione, i diversi tipi di strumentazione consentono di ricavare la concentrazione o la variazione di concentrazione dei cromofori d’interesse partendo dall’informazione dell’assorbimento della luce da parte del tessuto d’interesse sfruttando le equazioni descritte nel paragrafo precedente. Adoperando dispositivi di imaging, inoltre, è possibile ottenere una mappa di ossigenazione, alcuni dispositivi forniscono direttamente la mappa di ossigenazione, altri invece forniscono le immagini acquisite a specifiche lunghezze d’onda. In questi casi bisogna implementare un algoritmo che partendo dalle immagini alle diverse lunghezze d’onda, calcoli l’immagine di saturazione di ossigeno. Ad esempio, nello studio descritto nell’articolo [20], sono state acquisite immagini nel vicino infrarosso a più

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lunghezze d’onda. Per ogni pixel (x, y) di ciascun’immagine, per la specifica lunghezza d’onda ( ) nota l’intensità del segnale e l’intensità di riferimento , è stato calcolato lo spettro della densità pseudo ottica (POD), dal quale sono state ricavate le concentrazioni dei cromofori d’interesse, che nello studio decritto nell’articolo [20] sono: ossimioglobina + ossiemoglobina, deossiemoglobina + deossimioglobina e acqua. Lo POD definito [20]:

Considerando la legge di Lambert-Beer modificata il POD per ogni pixel(x,y) è il seguente:

+ +

+

Dove:

è ’ ’ à + e sono rispettivamente la concentrazione delle due proteine in

forma ossigenata e deossigenata per ogni pixel(x,y). Considerando che gli spettri di assorbimento dell’emoglobina e della mioglobina non sono distinguibili per le due proteine sia in forma non legata all’ossigeno e sia in forma legata, sono applicati gli stessi coefficienti di estinzione molare rispettivamente e ; è il percorso ottico mediato sui

pixel; è che tiene in considerazione la variabilità dell’assorbimento che è funzione del campione; è un coefficiente di scattering.

Derivando questa equazione rispetto alla lunghezza d’onda si ottiene:

=[Hb + +

Questa equazione (noti i coefficienti di estinzione molare dei cromofori) rappresenta un sistema lineare a quattro incognite:

[Hb , [ ,

, .

Si costruisce un vettore contenente le incognite, una matrice M, avente numero di righe pari al numero di lunghezze d’onda considerate, tre colonne contenenti i parametri noti e una colonna di uni chiamata E:

= { }, M=(

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Noto e M si può ricavare il vettore , come proposto nell’articolo [20], attraverso un fitting ai minimi quadrati, con il vincolo di avere tutte e quattro le componenti positive. Da si ricavano le concentrazioni per ogni pixel(x,y):

[Hb ;

Dalla concentrazione di ossiemoglobina e deossiemoglobina si calcola per ogni pixel la saturazione di ossigeno:

=

1.3.3 Applicazioni cliniche.

Nel corso degli anni la NIRS è stata abbondantemente utilizzata per monitorare l’ossigenazione in diversi tessuti biologici tra cui il tessuto muscolare, i vasi sanguigni, il cervello e il tessuto connettivo.

Uno dei campi di applicazione della NIRS frequentemente riportato in letteratura è lo studio funzionale dell’attività cerebrale di adulti, neonati e bambini in stato patologico o sano. La NIRS, in questo campo, consente il monitoraggio in tempo reale e non invasivo dello stato emodinamico e delle condizioni di ossigenazione cerebrale. Un aumento dell’attivazione neurale in una determinata zona del cervello rispetto alla condizione di riposo, comporta un incremento del flusso ematico cerebrale che a sua volta determina un aumento locale della concentrazione di ossiemoglobina che può essere misurata attraverso la metodica NIRS. Numerosi, sono gli studi NIRS su neonati e bambini per rilevare disturbi pediatrici e monitorare lo sviluppo dell’encefalo. Altrettanto numerose sono state le applicazioni su soggetti con disfunzioni cerebrali (alzheimer, epilessia, depressione, schizofrenia ecc). Inoltre, alcune ricerche [21] hanno evidenziato l’utilità della NIRS per il monitoraggio dell’ossigenazione cerebrale durante interventi chirurgici allo scopo di rilevare ischemie in molti casi clinici come l’endoartetictomia carotidea (CEA). Al fine di garantire un buon risultato dell’intervento è importante individuare un’ipoperfusione del tessuto cerebrale e rivelare una sofferenza ischemica.

Un’altra applicazione della NIRS, anch’essa largamente riportata in letteratura, è lo studio sulla saturazione venosa dei muscoli scheletrici durante l’esercizio fisco. Nell’articolo [21] viene descritto il cambiamento della concentrazione di emoglobina ossigenata durante il ciclismo a cinque ritmi di lavoro costante. Nella figura sottostante (Fig.1.4) è possibile osservare la variazione temporale di ossiemoglobina durante la pedalata. Nella fase iniziale dell’esercizio fisico si verifica un incremento dell’ossiemoglobina a causa di un aumento della gittata cardiaca e del flusso sanguigno muscolare. All’aumentare dell’intensità dell’attività

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fisica è consumato maggiore ossigeno dai muscoli e conseguentemente si misura una diminuzione della concentrazione dell’ossiemoglobina. Nella fase di recupero la concentrazione di ossiemoglobina aumenta in modo da fornire più ossigeno ai muscoli.

Fig. 1.4 -Registrazione della variazione di ossiemoglobina a un aumento dell’intensità della pedalata a cinque ritmi: Simbolo “S” indica l’inizio dell’esercizio e il simbolo “F” la fine dell’esercizio [21].

Le informazioni ottenute con l’uso della NIRS riguardanti il consumo locale di ossigeno del muscolo possono essere usate per valutare l’intensità dell’esercizio fisico e per determinare un programma specifico per gli atleti.

Recentemente sono stati introdotti dei sistemi di tomografia ottica che consentono di ottenere mappe dell’ossigenazione del sangue di un tessuto biologico. Questi sistemi d’imaging possono essere applicati per identificare precocemente tumori al seno, sfruttando le diverse proprietà ottiche del tessuto sano rispetto a quello tumorale. Un recente studio condotto dai ricercatori del Dartmounth Collage e Dartmounth Medical Shool [22] dimostra che l’utilizzo combinato di risonanza magnetica (MRI) e NIRS può essere utile per ottenere una diagnosi più accurata del tumore al senso, poiché la MRI dà informazioni strutturali del seno, mentre NIRS consente di ottenere informazioni funzionali. I risultati derivanti da questo studio mostrano che la zona tumorale presenta alti valori di emoglobina e un’elevata concentrazione di acqua. Successivi studi clinici ancora dovranno essere compiuti per valutare l’effettiva possibilità di individuare un tessuto maligno prima di eseguire una biopsia. Un altro campo di applicazione della tomografia ottica è l’ambito neonatale, in tale contesto la metodica consente l’individuazione di possibili danni cerebrali dovuti ad anomalie nel sistema circolatorio, queste disfunzioni sono le principali responsabili di forme d’inabilità nei neonati. In conclusione la NIRS è largamente utilizzata in diversi campi. Oltre alle possibili applicazioni brevemente descritte ne esistono molte altre.

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1.3.4 Pregi e difetti della NIRS

Tra i pregi della spettroscopia nel vicino infrarosso spiccano la non invasività della metodica, l’elevata risoluzione temporale e la non nocività biologica. Tuttavia tale tecnica mostra dei difetti tra cui l’impossibilità di indagare tessuti in profondità a causa dei fenomeni di scattering della luce.

La spettroscopia nel vicino infrarosso è una tecnica non invasiva che usa radiazioni non ionizzanti (ossia radiazioni che non provocano ionizzazioni degli atomi attraversati); quest’aspetto evita la formazione di danni biologici dovuti all’accumulo di radiazioni ionizzanti come i raggi X. Inoltre, l’esposizione a radiazioni della banda spettrale del vicino infrarosso non causa un accumulo di calore sulla cute, a differenza della tecnica a ultrasuoni, che provoca, invece riscaldamenti dei tessuti con possibili fenomeni di vasodilatazione [21].

La NIRS fornisce informazioni sui valori assoluti di concentrazione dei cromofori d’interesse; questo è molto rilevante in applicazioni di neuroimaging funzionale, poiché le altre tecniche a oggi utilizzate non consentono di ottenere questo risultato. Infatti, l’elettroencefalografia (EEG) misura solo segnali elettrici, la tomografia a emissione di positroni (PET) può misurare il flusso sanguigno, il consumo di glucosio e il volume ematico, la risonanza magnetica funzionale (fMRI) misura valori relativi alle variazioni emodinamiche. Tuttavia le formule utilizzate per quantificare la concentrazione dei cromofori, a causa della loro complessità, possono portare a un’imprecisione del valore calcolato [21].

Il processo di scattering della luce limita la profondità di penetrazione, che varia a seconda del tipo di tessuto studiato. La profondità di penetrazione dipende dalla distanza tra sorgente e rilevatore e influenza anche la risoluzione spaziale. Maggiore è la distanza tra sorgente e rilevatore e maggiore è la profondità di penetrazione e peggiore è la risoluzione spaziale. L’impossibilità di penetrare i tessuti in profondità limita l’utilizzo della NIRS solo a studi riguardanti tessuti superficiali; ad esempio non è possibile studiare strutture anatomiche sottocorticali, come avviene invece con la fMRI.

Un problema della NIRS è l’interferenza di cromofori non d’interesse che contribuiscono all’attenuazione totale della luce ad esempio: la luce prima di raggiungere il tessuto cerebrale deve passare attraverso diversi strati che contengono altri cromofori come la bilirubina, presente nel plasma, che, oltre a contribuire all’attenuazione del fascio incidente abbassa il livello di ossigenazione cerebrale [17].

La spettroscopia nel vicino infrarosso non fornisce informazioni strutturali, perché la risoluzione spaziale, pur essendo migliore rispetto ad altre metodiche come la PET, non consente di percepire i dettagli anatomici della struttura sotto esame. Al contrario, tali dettagli sono apprezzabili in altre metodiche come la MRI. Tuttavia, la spettroscopia nel vicino

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infrarosso ha un’ottima risoluzione temporale (nettamente migliore di altre tecniche quali MRI, PET, SPECT) che consente di monitorare i cambiamenti rapidi dell’emoglobina nei tessuti [23].

In conclusione la spettroscopia nel vicino infrarosso, nonostante sia una metodica ancora in via di sviluppo, grazie ai vantaggi sopra discussi, è molto usata in ambito clinico e di ricerca. Inoltre, i continui miglioramenti della tecnica fanno ben sperare a un incremento dei campi di applicazione.

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