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PRIMO CAPITOLO 1

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Academic year: 2021

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PRIMO CAPITOLO

1 Tra etologia umana e psicologia dello sviluppo emotivo

In questo primo capitolo esplorerò il significato delle emozioni ed il loro utilizzo, attraverso un’analisi degli studi e delle ricerche scientifiche che hanno contribuito a riconoscere le emozioni come parte integrante e condizionante del nostro essere.

Sarebbe utile per l’essere umano riuscire ad essere coerente con se stesso e consapevole di ciò che prova, assumendosi la responsabilità di ciò che prova e di come riesce a gestire le proprie emozioni. Diversi studiosi e ricercatori sono stati coinvolti in questo elaborato, a partire da Charles Darwin che ha offerto notevoli contributi antropologici ed etnologici e grazie alle sue scoperte è riuscito a scuotere il panorama scientifico del tempo, annunciando al mondo le nuove scoperte riguardanti i tratti somatici ed i particolari caratteri espressivi simili a tutti gli uomini, senza distinzione di colore, cultura o estrazione sociale.

Inoltre grazie all'intervento di illustri autori come Donald Winnicott, Jerome Bruner o Lev Vygotskij sono state avanzate proposte per una nuova psicologia cognitiva e indipendente in cui l'essere umano è al centro dell'ambiente in cui vive; è un uomo consapevole e partecipe nella strutturazione del proprio sé, grazie ad un riconoscimento e approfondimento della propria natura e delle proprie istanze innate che sono in continua trasformazione.

1.1 Che cos'è un'emozione

Per molto tempo si è creduto che il cervello fosse composto da due diverse strutture: il cervello emotivo e il cervello razionale. Le emozioni non avevano nulla di razionale ed erano una peculiarità femminile, definite come esseri irrazionali per eccellenza. Eppure è stato dimostrato che il dinamismo interiore, caratteristica della nostra umanità, fa parte della razionalità, poiché le emozioni colorano la vita e ne disegnano i contorni.

Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire, per attuare piani d'azione (istinto evoluzionistico), per gestire in tempo reale le emergenze della vita. La radice stessa della parola emozione deriva dal verbo latino MOVEO, “muovere”, con l'aggiunta del prefisso “e-” (“movimento da”), per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire1

. Il fatto che le emozioni spingano all'azione è ovvio soprattutto se si osservano gli animali o i bambini.2

1 www.oed.com: Oxford English Dictionary; Mid 16th century (denoting a public disturbance): from French émotion,

from émouvoir 'excite', based on Latin emovere, from e- (variant of ex-) 'out' + movere 'move'. The current sense dates from the early 19th century.

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"L'emozione è dunque un movimento verso l'esterno; un impulso che nasce dentro di noi e che si rivolge a tutto ciò che ci circonda; una sensazione che ci dice chi siamo e che ci mette in relazione con il mondo."3 (Isabelle Filliozat, Il quoziente emotivo, 2002, pag 29).

L'emozione può essere legata ad un ricordo, un pensiero o qualcosa che succede fuori di noi, ci informa prima di un ragionamento ipotetico-deduttivo e ci guida ricordandoci ciò che amiamo e ciò che detestiamo. In questo modo le emozioni ci offrono una consapevolezza rivolta alla nostra esistenza, al nostro vivere, all’essere degli individui con una personalità propria.

Diversi studiosi e ricercatori ( Darwin 1878, Filliozat 2002, Winnicot 2004), sottolineano l’inevitabile intromissione dei processi cognitivi nell’insorgere dell’emozione, in quanto il cervello identifica e da senso ad una percezione-sensazione, e successivamente l’impulso sarà direzionato verso la zona prefrontale del cervello, in cui si scatena un'emozione.

Il ruolo delle emozioni è di segnalare gli avvenimenti importanti per l'individuo e ci guidano nella scelta di azioni/comportamenti, le emozioni sono quindi funzionali e adattive alla vita poiché la maggior parte di esse ci permette di avere le reazioni più appropriate alle diverse situazioni.

Le emozioni hanno connotazioni biologiche, funzionali e le fondamentali sono almeno cinque e comuni a tutte le culture: la collera, la paura, la tristezza, il disgusto e la gioia; causano reazioni fisiologiche all'organismo e partecipano alla gestione di ogni attimo della vita dell'individuo.

Mentre i sentimenti sono delle elaborazioni, dette secondarie, perché passano attraverso la mente. Il sentimento definisce una condizione cognitivo-affettiva che dura più a lungo delle emozioni: per sentimento genericamente si indica ogni forma di affetto sia quella soggettiva, riguardante la propria individuale affettività, sia quella rivolta al mondo esterno. In Kant il sentimento è una forma emozionale soggettiva del sentire, rappresenta quindi un sentire o percepire generale che appartiene intimamente ed esclusivamente al soggetto. Nella “Critica del giudizio” Kant afferma che sul sentimento si fondano i giudizi riflettenti, quelli relativi al piacere e al dispiacere, in quanto connessi con la rappresentazione dell’oggetto, di una idea, di un pensiero. Tali giudizi, poiché sono suggestivi, secondo il filosofo non hanno alcun riferimento con le cose esterne, poiché non sono le cose esterne a determinarne il piacere o meno, quanto il modo di sentire i fenomeni naturali in accordo con le nostre esigenze morali.4

3 Isabelle Filliozat, Il quoziente emotivo, Piemme, 2002 4 Sergio Moravia, Educazione e pensiero, Le Monnier, 1993

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1.2 Studi Antropologici ed Etnologici

Charles Darwin biologo e naturalista britannico, è riuscito a raccogliere una serie di materiali fotografici e video-filmati nel suo famoso scritto “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” del 1872, che hanno permesso di confermare le tesi dello studioso, riguardo l’universalità delle emozioni. Sono state identificate dallo studioso otto emozioni fondamentali: felicità, sorpresa, imbarazzo, collera, paura, tristezza, disgusto e disprezzo, considerate di base o naturali e manifestate/comunicate con espressioni facciali comuni a tutti gli individui, con lievi sfumature causate da fattori culturali.

Dobbiamo fare un’ulteriore distinzione fra emozioni considerate di base o naturali, radicate nella storia evolutiva dell’uomo, ed emozioni sociali o complesse, con caratteristiche diverse nelle diverse civiltà perché culturalmente determinate. Queste sfaccettature emotive verranno approfondite nel corso del lavoro, in cui si sentirà spesso parlare di emozioni di base ed emozioni sociali o complesse, poiché sarebbe riduttivo fare una spiegazione esaustiva a questo punto del lavoro. Cerchiamo di comprendere cosa succede quando emerge un’emozione, e questo è un primo passo per riconoscere le distinzioni emotive sopra citate.

Darwin si è preoccupato di studiare come avviene l'attivazione fisiologica che accompagna un'emozione, definendo l’effetto emotivo una funzione preparatoria e comunicativa. La funzione preparatoria comprende una componente di attivazione generale, che predispone l’intero organismo all’azione; a questa segue un'attivazione specifica che modula l’esecuzione del set di comportamenti relativi all’emozione percepita.

Entrando nello specifico lo studioso, individua cinque principi che definiscono e caratterizzano le emozioni:

• le emozioni giocano un ruolo cruciale nell’evoluzione della coscienza, influenzando l’emergere dei più alti livelli di cognizione durante lo sviluppo ontogenetico e determinando in larga parte il contenuto dell’attività mentale nel corso della vita;

• gli stati emotivi agiscono sia da causa scatenante del comportamento diretto a uno scopo, sia da processi concomitanti a esso: le emozioni costituiscono la principale componente motivazionale delle operazioni mentali e del comportamento manifesto;

• le emozioni di base aiutano a organizzare e a motivare azioni critiche per il benessere dell’individuo, permettendo un adattamento positivo alle variazioni ambientali contingenti.

• i sistemi neurali coinvolti nel processo emotivo cooperano in modo dinamico generando e monitorando i pensieri e le azioni: tali interazioni dinamiche possono originare innumerevoli esperienze emotive;

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• l’emozione che si manifesta in un dato momento dipende dall’interazione tra aspetto cognitivo, abilità comportamentali, sociali e cognitive dell’individuo. (Darwin, 2012, p. 116)

1.3 Passato emotivo

I primi studi riguardanti l'anatomia e la fisiologia delle espressioni risalgono al 1800, grazie ad un emerito professore di fisiologia ed anatomia, Sir Charles Bell.5 (Darwin, 2012, p. 119)

Egli diede impulso all'approfondimento di un nuovo argomento in campo scientifico ( i movimenti muscolari del viso) poiché il contributo che ha lasciato consiste nell'aver evidenziato l’intimo rapporto tra i movimenti espressivi e quelli respiratori.

Sempre nell’Ottocento altri studiosi si dedicarono alla fisiologia delle espressioni facciali ed in particolare: alla relazione tra fisiologia e il meccanismo di arrossire; ai movimenti dei muscoli facciali, quindi ai meccanismi della fisionomia umana; alla contrazione di ogni singolo muscolo, evidenziando i muscoli che sono meno controllati dalla volontà.

Un insigne studioso francese di anatomia, Pierre Gratiolet, nel 1865 professore alla Sorbona fece una serie di lezioni sull'espressione dei movimenti e della fisionomia. La sua teoria può essere sintetizzata in una frase: "da tutti i fatti che ho ricordato risulta che i sensi, l'immaginazione e lo stesso pensiero, per quanto alto o astratto lo si immagini, non possono funzionare senza suscitare un relativo sentimento, il quale si traduce direttamente, simpateticamente, simbolicamente o metaforicamente, in tutte le sfere degli organi esterni, e questi a loro volta lo manifestano ognuno con il suo particolare modo di azione, come se ognuno di essi ne fosse stato investito direttamente" (Darwin, 2012, p. 120)

Charles Darwin era molto interessato a questa teoria, eppure mancavano dei importanti dettagli riguardanti le abitudini ereditarie o dei singoli individui; per lo studioso questa era la ragione secondo la quale Pierre Gratiolet, non era riuscito a trovare spiegazioni ai molti gesti ed espressioni. Colui che è vicino alle teorie evoluzioniste di Charles Darwin, è Herbert Spencer filosofo britannico che in una delle sue massime opere "Principi di Psicologia" del 1855 discute di sentimenti, osservando: "La paura, quando è forte, viene espressa mediante grida, tentativi di nascondersi o di fuggire, palpitazioni e tremore; e queste sono rigidamente le manifestazioni che avrebbero accompagnato un'effettiva esperienza del male temuto. Le passioni distruttive si manifestano in una tensione generale del sistema muscolare, in azioni come digrignare i denti, sfoderare gli artigli, dilatare gli occhi e le narici, in ringhi e brontolii; e queste non sono che forme più deboli delle azioni che accompagnano l'uccisione di una preda." (Darwin, 2012, p. 122)

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In generale secondo Darwin, tutti gli autori che hanno scritto a proposito delle espressioni, ad eccezione di Spencer, sono fermamente convinti che la specie, compreso l'uomo, fossero comparse sulla terra con delle loro caratteristiche specifiche. Lo studio delle scimmie antropoidi condotto da Darwin sfata la certezza che le scimmie siano dotate di muscoli speciali utilizzati unicamente per esibire le loro smorfie, quindi non è vero che le loro espressioni facciali non esprimono emozioni, anzi, utilizzano il loro viso per manifestare ciò che provano e questa tesi viene giustificata dalle ricerche condotte da Darwin accertando che a tutti o a quasi tutti i muscoli facciali vengono attribuite funzioni specifiche, indipendentemente dall'espressione.

Secondo Darwin si potranno chiarire le cause dell'espressione emotiva solo quando l'uomo e gli animali saranno considerati interdipendenti e verrà ammesso che un tempo l'uomo ha vissuto in una condizione molto più bassa e vicina a quella degli animali.

Dagli studi compiuti da Darwin sono emerse alcune informazioni importanti riguardanti i movimenti del volto e del corpo che esprimono emozioni uguali per tutti gli esseri umani e da questo si può dedurre che molto probabilmente queste espressioni sono autentiche poiché innate o istintive.

Darwin fece uno studio molto attento sulle espressioni facciali e corporali di diverse etnie e animali, il materiale raccolto permise al biologo di comprendere che l'espressione delle emozioni sottendono l'utilizzo di movimenti o cambiamenti di qualsiasi parte del corpo, ad esempio: alzare le spalle nell'uomo, dilatare i vasi capillari della pelle, lo scodinzolare del cane, il movimento delle orecchie all'indietro nel cavallo.

Secondo lo studioso ci sono tre fondamentali principi che spiegano la maggior parte delle espressioni e dei gesti utilizzati involontariamente dall'uomo grazie all'influenza delle varie emozioni e sensazioni: il principio delle abitudini associate utili; il principio dell’antitesi; il principio degli atti determinati dalla costituzione del sistema nervoso.

Il principio delle abitudini associate utili sostiene che alcuni stati d'animo provocano particolari atti abituali che hanno una certa utilità diretta o indiretta, perché alleviano o soddisfano particolari sensazioni, desideri; quindi ogni volta che si riproduce quel particolare stato d'animo, c'è la tendenza, per abitudine o associazione, di ripetere lo stesso movimento, il quale può essere represso dalla volontà. Rispetto a questo principio Darwin osserva che l'abitudine ha una grande forza, in alcune occasioni è possibile compiere senza il minimo sforzo e senza averne coscienza i movimenti più complessi e difficili. Ad esempio infiliamo dei guanti prima di uscire di casa senza accorgercene. Pensiamo anche solo al riflesso di suzione di un bambino6 o alle azioni involontarie

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ereditate culturalmente e geneticamente, associate al desiderio di ottenere un oggetto, come nel vedere il bambino che desidera prendere un oggetto e attiva strategie involontarie.

Quando la nostra mente è turbata, si riflette sui movimenti del nostro corpo, quindi entra in gioco non solo l'abitudine ma anche una copiosa quantità di energia nervosa che non si sa come verrà indirizzata. Ad esempio spesso le persone che vedono qualcosa di orrendo, chiudono di occhi energicamente oppure scuotono la testa, per non vedere o allontanarsi da quella visione.

Questo primo principio sottolinea come gli atti compiuti divengono talmente abituali che vengono attivati ogni volta che si prova quella emozione, indipendentemente dal fatto che diano un effetto positivo o negativo.

Il principio dell’antitesi afferma che quando sopraggiunge uno stato d'animo contrario a quello precedentemente percepito, di conseguenza si ha una forte e involontaria tendenza ad eseguire movimenti di natura opposta. Ad esempio il cane o il gatto si comportano in un determinato modo quando sono minacciati, allo stesso tempo assumeranno atteggiamenti diversi se vivono un momento affettivo con il loro padrone. Questi atteggiamenti affettivi rappresentano l'esatta antitesi di quelli che sono stati adottati naturalmente, quando di animali vivevano una disposizione di ferocia e si preparavano ad attaccare. Questo processo di antitesi si riscontra anche nell’espressività umana, nel modo in cui si cambia comportamento quando sopraggiunge nella nostra vita un evento contrario a quello che vivevamo prima, ad esempio una notizia spiacevole.

L’ultimo principio degli atti determinati dalla costituzione del sistema nervoso evidenzia l'azione diretta del sistema nervoso, grazie all’intervento neurotrasmettitivo. L’evento eccitante crea un eccesso di energia che viene trasmessa in diverse parti del corpo, creando infine dei prodotti espressivi. Questa definizione fa intendere che avvengono atti involontari e strettamente connessi con il sistema nervoso, ad esempio: il tremito del corpo, le convulsioni dei bambini piccoli, l'aumento della sudorazione, la percezione del freddo.

Le principali parti del corpo coinvolte nell’espressione emotiva sono: il cuore e il cervello.

Il cuore che batte ininterrottamente è estremamente sensibile agli stimoli provenienti dall'esterno e lo stesso organo influenza il cervello, il quale produce a sua volta una reazione immediata e diretta al cuore; cosicché una qualsiasi eccitazione provoca una serie di azioni e reazioni reciproche fra questi due organi, essendo i più importanti del nostro organismo.

Riassumendo possiamo dire che ogni volta che il sistema cerebro-spinale è stimolato si genera e si libera energia nervosa, la direzione che prenderà questa energia è determinata dalle vie che collegano le cellule nervose fra loro e queste con le varie parti del corpo; ma la direzione che prenderà questa energia dipende anche dall'abitudine, che esercita una grande influenza poiché

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creando una abitudine comportamentale si avrà maggiore probabilità che l'energia possa passare attraverso quel canale.

Difatti lo studio degli animali di tutti i tipi, e dei loro progenitori, dimostra come hanno fatto sempre ricorso a tutte le loro energie per combattere e difendersi ogni volta che erano attaccati o minacciati da un nemico. Allora secondo il biologo, deve essersi stabilita un'abitudine ereditaria di mettere in azione i muscoli in associazione alla collera. Di conseguenza, come abbiamo visto in precedenza, ogni sensazione ed emozione che provoca un'attività muscolare, andrà a stimolare il flusso di energia che si sprigiona a livello cerebro-sensoriale che provocherà una reazione del cuore; questa reazione a catena si manifesta anche se non interviene alcuna attività muscolare. Ad esempio quando un uomo è arrabbiato o infuriato, può controllare i movimenti del corpo, ma non può impedire al cuore di battere in fretta; forse il suo torace non si gonfierà molto e le narici tremeranno appena poiché i movimenti della respirazione sono controllati dalla volontà solo in parte, così i muscoli del viso faranno trapelare l'emozione poiché solo in parte obbediscono alla volontà.

1.4 Riflessioni primordiali

Darwin grazie alle sue ricerche antropologiche ed etologiche ha potuto verificare che l'adattamento delle sopracciglia non indica solo un tipo di emozione che si vive, ma può esprimere una difficoltà o qualcosa di sgradevole che si prova.

Il biologo per comprendere i movimenti espressivi, segue un procedimento molto simile a quello dei naturalisti, in quanto per capire pienamente come si struttura l'emozione bisogna ricostruirne lo sviluppo embrionale.

L'espressione più precoce che si manifesta e si osserva nel bambino appena nato è quella del pianto, l'atto di strillare, molto frequente nel primo periodo di vita del piccolo; mentre successivamente verrà provocato da qualsiasi sensazione e emozione dolorosa o piacevole. Quando un bambino è a disagio o non sta bene, compaiono sul suo volto continuamente lievi corrugamenti e generalmente a questi seguono ritmi di pianto.

Per innumerevoli generazioni i bambini hanno contratto le sopracciglia per abitudine, all'inizio di ogni crisi di pianto o di strilli, questa abitudine si è strettamente legata alle sensazioni spiacevoli e dolorose, quindi nell'età adulta, si presenterà la stessa manifestazione facciale quando ci si trova in condizioni simili. Con la maturità, il bambino terrà a freno con la volontà gli strilli e il pianto, mentre l'aggrottamento della fronte non viene mai represso.

Riassumendo possiamo dire che l'atto di aggrottare le sopracciglia è l'espressione naturale del disappunto per aver incontrato alcune difficoltà o aver provato sensazioni spiacevoli con il pensiero

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o con l'azione; a chi capita di trovarsi in questo stato mentale di disappunto ha la tendenza a essere irritabile, ad arrabbiarsi o stizzirsi e la prima manifestazione di questo stato d'animo è aggrottare le sopracciglia.7

Quando siamo in preda alla collera il viso diventa rosso o purpureo, perché viene impedito il deflusso del sangue, la respirazione è faticosa, il torace si gonfia e le narici si dilatano e fremono, spesso tutto il corpo trema, la voce si altera, i denti sono serrati oppure battono insieme e il sistema muscolare è di solito, stimolato ad una attività violenta, quasi frenetica; di solito il corpo è eretto per essere pronto a entrare immediatamente in azione e le gambe sono più o meno rigide, le labbra sono tenute energicamente chiuse, si attuano gesti come alzare le braccia con i pugni chiusi, quasi si volesse colpire la persona che ci offende. È molto difficile riuscire a contenere e non fare gesti violenti, spesso il desiderio di colpire è così forte e pressante che si colpiscono oggetti. I bambini quando sono arrabbiati spesso si rotolano per terra, strillano, scalciano, gridano e mordono qualsiasi cosa.8

Se prendiamo in esame alcuni gesti umani che siamo abituati a considerare artificiali, convenzionali come stringersi nelle spalle in segno di impotenza o alzare le braccia con le mani aperte e le dita distese in segno di meraviglia, rimarremmo sorpresi dallo scoprire che questi gesti sono innati. Lo si deduce dal fatto che sono compiuti da bambini in tenerissima età, anche da bambini nati ciechi. Esistono anche gesti che potremmo pensare che siano innati ma in realtà sono stati appresi, come ad esempio: l'atteggiamento della preghiera, congiungere le mani con gli occhi rivolti verso l'alto; il bacio come segno di affetto o stringere la mano per presentarsi.

I movimenti espressivi del volto e del corpo sono molto importanti per il nostro benessere, servono come primo mezzo di comunicazione fra la madre e il suo bambino: la madre sorride per approvare il comportamento del bambino, il quale si sente incoraggiato a proseguire in quella direzione, oppure aggrotta le sopracciglia trasmettendo disapprovazione9. Percepiamo dagli altri, attraverso le loro espressioni, i sentimenti di partecipazione e di simpatia, questo ci permette di alleviare le nostre sofferenze e di aumentare le vostre gioie. I movimenti espressivi incidono sulle parole che pronunciamo, rivelano i pensieri e le intenzioni nostre e degli altri in modo autentico.

La scienza fisiognomica osservò che persone diverse usano frequentemente alcuni muscoli facciali a seconda della loro disposizione mentale e di conseguenza le rughe e i solchi che si formano sul loro volto, sono dovuti alla contrazione abituale, diventando così profondi e vistosi.

7 P. Ekman, Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Amrita, Torino, 2008 8

P. Ekman, Friesen W.V., Ellsworth P., Emotion in the human face: Guidelines for research and an integration of findings, P Ekman, NY Pergamon Press, New York, 1972

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Gli atti comportamentali derivano secondo Darwin, dall'intimo rapporto che esiste tra tutte le emozioni e le loro manifestazioni esterne e anche dall'influenza diretta sul cervello, cuore e muscoli.

1.5 L'aspetto psicologico

Dopo aver discusso delle ricerche e osservazioni riguardanti le manifestazioni espressive studiate da da Charles Darwin, sembra doveroso dover approfondire e ampliare il contenuto di questa ricerca con le nuove posizioni psicologiche avanzate da Donald W. Winnicot, psicanalista e pediatra inglese. Il merito di Winnicot è di aver definito il dispositivo emozionale indispensabile nella relazione tra madre e figlio. Si laureò in medicina nel 1923 e successivamente divenne psicanalista della Società Psicanalitica Britannica, lavorò in un ospedale pediatrico circa quarant'anni, dove acquisì una ricca esperienza clinica. Entrò a far parte del cosiddetto gruppo Middle Group, gli indipendenti britannici, fu il pioniere della scuola delle relazioni oggettuali e grazie al suo lavoro riuscì ad osservare a lungo i bambini e la loro interazione con la madre, permettendogli di elaborare originali teorie sullo sviluppo psicologico ed emotivo del bambino. Il Middle Group riprende alcune concezioni kleiniane che vedono il bambino come un soggetto programmato per l'interazione con gli altri esseri umani, il bambino è programmato per avere un'interazione armoniosa ed uno sviluppo non traumatico.10 Egli ha introdotto e sostenuto la nozione di holding (supporto) inteso come: la capacità della madre di fungere da “contenitore” delle angosce del bambino, di costituire una sorta di spazio (holding enviroment) fisico ma soprattutto psichico in cui il bambino si sente accolto, sostenuto, rassicurato, incoraggiato nelle prime espressioni di sé.

Secondo Winnicot, l'infante (0-5 anni) è, da principio, un essere confuso e non ben delimitato di funzioni psico-somatiche che non sono ancora ben organizzate e specializzate, di conseguenza l'ambiente è riconosciuto come una parte di un insieme illimitato e indistinto. Il neonato non può certamente vivere a prescindere dall'esistenza di qualcuno che si prenda cura di lui, quindi è inevitabile la relazione tra il piccolo e l'ambiente, da cui dipende in modo assoluto per la propria sopravvivenza e in questo contesto la madre svolge un ruolo fondamentale per il suo sviluppo. Il neonato vive in una realtà che percepisce come illusione della propria magica onnipotenza, condivisa e realizzata con la madre ed in questa fase del suo sviluppo manca la consapevolezza della differenza tra sé e il mondo. Il piccolo vive in una dimensione di rassicurante quiete e l’insieme delle esperienze positive nella relazione madre-figlio costituiscono il fondamento del suo

10 D.D.Winnicott, Psicanalisi dello sviluppo, Armando Ed., 2004; con approfondimenti ricercati su

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"essere nel mondo", questo consentirà al neonato di vivere e crescere sentendo di esistere. Questo garantisce nel tempo, l'integrazione degli aspetti della personalità del bambino, lo sviluppo di alcune funzioni, l'acquisizione di importanti processi psichici che lo porterà gradualmente a costruire un'immagine di sé.

La relazione con la madre consente all'infante di fare esperienza della propria esistenza, l'ambiente facilitante è ciò che comprende tutto, circonda il bambino e si adatta alle sue necessità, conformandosi sensibilmente anche ai suoi ritmi, consentendo in futuro lo sviluppo e il passaggio dall'assoluta dipendenza ad una dipendenza relativa, andando verso l'indipendenza; pensiamo ad esempio allo svezzamento che corrisponde nello sviluppo emozionale del bambino, a progredire verso una successiva fase di dipendenza relativa e di disillusione graduale.

Per far si che il bambino realizzi uno stato di indipendenza e riconoscimento della realtà esterna ed un adeguamento ad essa, dobbiamo percorrere una strada obbligatoria, passando dal principio di piacere al principio di realtà. Quest'ultimo pone il bambino di fronte alla frustrante accettazione della propria separazione dalla madre, all'imprevedibilità dell'ambiente circostante e alla propria impotenza.

Il disadattamento (allontanamento) materno deve essere graduale e sensibile, deve procedere al passo con i tempi, i bisogni e le acquisite abilità infantili, senza trascurare che la capacità del bambino di agire sulla realtà gli permette di conoscerla e di venire a patti con essa11.

Winnicot parla di "forza vitale" come traduzione dell'aggressività primaria che vive il bambino, difatti manifestando la sua mobilità è spinto a conoscere e sperimentare l'ambiente attraverso il gioco ed esercita la propria curiosità.12

Winnicot parla dell'aggressività infantile come di un aspetto sostanziale della vitalità dell'individuo, poiché precisa che le origini dell'aggressività sono riconducibili alle prime manifestazioni della motilità infantile, quindi in semplici e naturali movimenti del corpo che determinano la scoperta dell'ambiente, il quale viene visto come ostacolo al proprio movimento. Lo psicanalista individua alcune manifestazioni primordiali di questa motilità-aggressività infantile: il feto scalcia nel grembo materno, il neonato succhia il latte mordendo con le gengive il capezzolo della madre; queste rappresentano espressioni di una " spietatezza" che si manifesta come una sorta di "attacco" al corpo materno, ma questo non è frutto dell'odio quanto piuttosto una forma di amore spietato che si accompagna all'incapacità da parte del bambino, di preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni.

Nel corso del tempo, la scoperta dell'ambiente sarà favorita dall'impulsività infantile ed il graduale processo di disillusione, dovuto al graduale disadattamento materno ai bisogni del piccolo,

11 Piergiorgio Foglio Bonda, Disturbi psicologici dello sviluppo infantile, FrancoAngeli, Milano, 1994 12 D.D.Winnicott, Psicanalisi dello sviluppo, Armando Ed., 2004

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consentirà al bambino di iniziare a fare esperienza di sé e dell'ambiente circostante, distinguendo lentamente ciò che è Me da ciò che è non-Me.

In questo processo di acquisizione di consapevolezza e riconoscimento della realtà esterna separata dal Sé, l'aggressività-motilità è lo strumento attraverso il quale è possibile sperimentare il mondo esterno e conoscerne gli oggetti. L'aggressività intesa in questo modo, contribuisce all'acquisizione della consapevolezza di Sé e del proprio mondo interno. In questa fase il piccolo comprende l'esistenza indipendente degli oggetti ed impara ad usarli, questo presuppone che il piccolo riconosca ed accetti l'oggetto del desiderio o della sua fantasia, come parte del mondo oggettivo. La madre in una fase iniziale viene oggettivizzata e collocata nel mondo Me, successivamente il bambino inizia a riconoscerla come una persona intera che esiste indipendentemente dalla sua volontà e il piccolo assume la penosa consapevolezza di non poterla controllare come se fosse una parte di sé.

Questo percorso non è privo di difficoltà, accettare la propria separazione dalla madre significa porre l'oggetto al di fuori dell'area del proprio controllo onnipotente, e questo presuppone il riconoscimento della propria impotenza e del bisogno dell'altro.

1.6 Lo sviluppo emozionale

Winnicot ha notato che intorno ai cinque o sei mesi, nell'infante si verifica un cambiamento che potremmo associare al suo sviluppo emozionale.Anna Freud sostiene che il neonato è, a quella età, più interessato alle cure che gli vengono prodigate, piuttosto che alle specifiche persone con cui entra in contatto. Anche Bowlby crede che l'infante prima dei sei mesi non abbia esigenze particolari, quindi la separazione dalla madre ha un effetto diverso rispetto al vivere questo evento dopo i sei mesi13. A questo stadio di sviluppo, un bambino è capace di avere una relazione simile a quella degli adulti, è in grado di dimostrare nel suo gioco che comprende l'esistenza di un dentro e che le cose provengono dal di fuori, mostra di sapere che si arricchisce incorporando le esperienze fisicamente e psichicamente. Di conseguenza l'infante percepisce che la madre ha un dentro che può essere ricco o povero, buono o cattivo, ordinato o disordinato. Comincia ad essere preoccupato per la madre, per la sua salute e per il suo umore.

Nello studio della natura dell'aggressività non può mancare la ricerca delle radici dell'intenzione aggressiva14. L'aggressività è presente prima ancora che vi sia una integrazione della personalità: un

13 Piergiorgio Foglio Bonda, Disturbi psicologici dello sviluppo infantile, FrancoAngeli, Milano, 1994 14

Valeria Ugazio , Manuale di psicologia educativa. Prima infanzia, Condizionamenti educativi, FrancoAngeli, Milano, 2004

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bambino scalcia nel grembo della madre ma con questo non si può pensare che stia cercando di uscire; un neonato di poche settimane muove l'aria sbattendo le braccia ma questo non vuol dire che intende colpire; un neonato mastica il capezzolo con le gengive ma questo non vuol dire che tende a distruggerlo o ferirlo. In origine l'aggressività è quasi sinonimo di attività, si tratta di una funzione parziale poiché il bambino divenendo un adulto, organizza gradualmente queste attività.

Il comportamento del piccolo è diretto ad uno scopo, quindi nel momento in cui diventa intenzionale anche l'aggressività lo diventa. A questo punto possiamo pensare di intervenire sulla fonte principale dell'aggressività cioè l'esperienza istintuale.

L'aggressività è parte dell'espressione primitiva dell'amore. È necessario descrivere un periodo nel quale il bambino vive una incapacità di preoccuparsi o spietatezza, egli esiste come persona che ha un'intenzione pur non preoccupandosi degli effetti15.

Nello stato di eccitazione, il bimbo vive un amore diretto alla madre e sente verso di lei un attaccamento al suo corpo. Questa è l'aggressività che fa parte dell'amore.

Se in questo periodo dello sviluppo emotivo, il bambino perdesse la propria aggressività verrebbe contemporaneamente persa una quota della propria capacità di amare e di stabilire relazioni oggettuali.

Il bambino nel suo periodo evolutivo attraversa lo stadio definito da Winnicot come "stadio della preoccupazione", uno stadio intermedio della crescita del piccolo, in cui l'integrazione dell'Io, ormai acquisita, permette al bambino di affrontare la personalità della madre. Questa tappa evolutiva ha delle conseguenze molto importanti per il bambino, il quale inizia a preoccuparsi delle conseguenze delle sue esperienze istintuali, fisiche e psichiche. Lo stadio della preoccupazione trascina con sé la sensazione di provare un senso di colpa. Una parte dell'aggressività compare come dolore, senso di colpa o con manifestazioni equivalenti dal punto di vista fisico come il vomito. La colpa rispecchia il danno che il bambino sente di aver provocato verso la persona da lui amata, data da un'azione eccitante. Il bambino può sopportare questo senso di colpa grazie ad una madre vera e viva che diventa capace di sostenere il personale bisogno del bambino di voler dare, costruire e riparare; in questo modo l'aggressività del bambino si trasforma in un fare, fare sociale ma nel momento in cui non trova nessuno che sia pronto ad accettare il suo sforzo per riparare, questa trasformazione si interrompe e ricompare l'aggressività.

A questo punto del discorso Winnicot sente l'esigenza di parlare della rabbia e della frustrazione, la quale è inevitabile in tutte le esperienze e fornisce una visione dicotomica: da un lato si sentono innocenti pulsioni aggressive rivolte agli oggetti frustranti e dall'altro pulsioni aggressive che producono senso di colpa perché rivolte a oggetti buoni.

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In questa fase la psicologia del bambino diventa complessa: il bambino comincia ad essere preoccupato sia per gli effetti delle sue funzioni verso la madre sia delle conseguenze di queste esperienze hanno su di Sé. Secondo Winnicot è fondamentale ricordare che nell'infanzia ciò che osserviamo è un essere umano che gradualmente sta diventando capace di distinguere tra soggettivo e oggettivo.

Le soddisfazioni istintuali lo fanno sentire bene ma vive questa doppia ambivalenza tra il prendere dentro e l’espellere fuori: si riempie di ciò che sente buono e questo contribuisce a generare e mantenere fiducia in sé stesso ed in quello che può aspettarsi dalla vita; allo stesso tempo deve tener conto dei suoi attacchi di rabbia che hanno la conseguenza di farlo sentire pieno di cose cattive, maligne o persecutorie. Queste "forze cattive" che il bimbo sente dentro di sé, diventano una minaccia verso l'altro, verso quel buono su cui si fonda la sua fiducia nella vita. È ora il momento di assumersi l'eterno compito di gestire il proprio mondo interno e questo impegno non può essere intrapreso prima che il bambino abbia stabilito una salda percezione del corpo e sia consapevole della differenza tra ciò che è dentro di sé da ciò che è esterno a sé, tra ciò che è reale e ciò che è parte della loro fantasia. Il modo in cui il bambino affronta il mondo esterno dipende da come si relaziona al proprio mondo interno.

Il bambino può immagazzinare dentro di sé la cattiveria, in modo da utilizzarla per attaccare l'esterno quando diventa minaccioso e proteggere in questo modo ciò che viene sentito degno di bontà, in questo caso l'aggressività ha una valenza sociale. In questo modo l'oggettività viene salvaguardata ed il nemico può essere affrontato.

1.7 Il sé che serve

Ora grazie a Winnicot proviamo a capire se l'aggressività proviene da una rabbia prodotta dalla frustrazione.

Bisogna prima di tutto considerare la funzione d'amore primitiva che opera in questo stadio evolutivo del bambino (6 mesi-2 anni), in cui la crescita dell'Io è appena cominciata ed il processo di integrazione non è ancora avvenuto in modo stabile.

La somma delle esperienze di motilità inducono l'individuo verso una prima sensazione della propria esistenza, in questo caso l'ambiente sottende a far sì che questo sviluppo sia possibile. Possiamo dire che l'individuo esiste quando si crea quella differenza importante tra le due istanze: l'Io e l’Es, le quali stabiliscono e mantengono una relazione nonostante le difficoltà operate dal principio di realtà, quindi l'opposizione dell'ambiente, dal Non-Me che piano piano va a distinguersi dal Me.

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Jerome Bruner psicologo statunitense, ha contribuito allo sviluppo della psicologia cognitiva e culturale. La psicologia cognitiva ha come obiettivo lo studio dei processi mentali mediante i quali le informazioni vengono acquisite dal sistema cognitivo, elaborate, memorizzate e recuperate. Bruner si impegnò in nuovi ambiti di ricerca psicopedagogica, grazie agli incontri che fece con il grande psicologo svizzero Jean Piaget e con le opere di Lev Vigotskij.

Lo psicologo statunitense discute di un aspetto più universale dell'esperienza umana, ed è il fenomeno del "sé", e sottolinea che l'educazione, improntata sul principio dell'identità e dell'autostima, è fondamentale per la sua formazione dell’individuo.

Gli uomini realizzano un "sé" grazie alla loro esperienza interiore e al riconoscimento degli altri come un sé esterno, difatti molti scienziati hanno sostenuto che la consapevolezza di sé richiede come condizione necessaria il riconoscimento dell'altro come sé.

In questo caso ricopre un ruolo fondamentale secondo Bruner, la scolarizzazione, poiché è il primo impegno istituzionale della vita al di fuori della famiglia, quindi possiamo immaginare il ruolo cruciale che detiene nella formazione del sé.

Vi sono secondo lo psicologo, due aspetti del sé che vengono considerati universali: la capacità d’azione, la valutazione16

.

La capacità d’azione rappresenta l'identità personale che deriva dal senso di poter fare e portare a termine delle attività per proprio conto; le persone vivono come soggetti agenti ma l'identità è qualcosa di più del semplice riconoscimento di essere persone che vivono attività senso-motorie. Ciò che caratterizza l'identità è la costruzione di un sistema concettuale, una sorta di base che organizza e documenta ciò che incontriamo nel mondo, con uno sguardo al passato, alla nostra memoria autobiografica, utilizzata per proiettare nel futuro un sé, una storia e delle possibilità. È un "sé possibile" che regola le nostre aspirazioni, la fiducia, l'ottimismo ed i loro contrari. Questo sistema del sé realizzabile ha una valenza affettiva, è privato, interiore e allo stesso tempo si estende verso l'esterno: le esperienze, i luoghi, le attività che coinvolgono il nostro Io; andiamo di un "sé esteso".

Winnicot era in accordo con Bruner quando questi discuteva che la realizzazione dell'identità non prescinde da un aspetto morale, espresso da un fenomeno molto semplice, ad esempio "attribuire la colpa a se stessi o ad altri per le azioni commesse o per le conseguenze che derivano dalle nostre azioni". A livello evolutivo Bruner specifica l'idea di responsabilità che obbliga il sé ad avere degli obblighi nei confronti di un'autorità più ampia.

16 Bruner Jerome S., La cultura dell'educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Nuovi Orizzonti Feltrinelli Ed., Milano, 2001

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Come dicevamo la capacità d'azione implica la capacità di iniziare e di portare a termine delle attività, comporta il possesso di abilità e di un saper fare, in questa fase il successo e il fallimento sono condizioni essenziali che nutrono lo sviluppo del sé. La scuola, in questo caso, rappresenta il luogo per eccellenza in cui i bambini incontrano per la prima volta questi criteri. La scuola giudica i loro rendimenti, ed i bimbi giudicano a loro volta loro stessi.

Una seconda caratteristica universale dell'identità personale è la valutazione, nel senso che valutiamo la nostra efficacia nel portare a termine quello che desideriamo o un compito che ci è stato chiesto. Allo stesso tempo siamo agenti e ci autovalutiamo, questo richiama in Bruner il concetto di autostima. L'autostima nasce dalla percezione di quello per cui ci crediamo capaci e di quello che temiamo non essere all'altezza. Il modo in cui viene vissuta o espressa l’autostima dipende dal contesto in cui viviamo. La scarsa stima di noi si manifesta a volte con un senso di colpa per le proprie intenzioni, a volte proviamo vergogna per non essere stati in grado di fare o di raggiungere un traguardo, a volte sfocia in rabbia attribuendo colpe a se stessi, agli altri, alle circostanze. La gestione dell'autostima non è semplice e la sua affermazione risente della disponibilità e del sostegno proveniente dall'esterno, il che non significa vivere cose eclatanti, ma semplicemente offrire una seconda possibilità o apprezzare un tentativo buono, anche se non riuscito e soprattutto avere l'opportunità di un dialogo che permetta al bambino di comprendere perché e come le cose non sono andate come già previsto. Idealmente, la scuola dovrebbe fornire un ambiente attento alle prestazioni del bambino, in cui le conseguenze risultano meno dannose per la autostima, rispetto a quello che potrebbe vivere il bambino nel mondo reale, difatti l'allievo dovrebbe sentirsi incoraggiato a mettersi alla prova.

1.8 La natura delle emozioni sotto il profilo neurologico

Le prime definizioni del termine emozioni compaiono a livello scientifico e medico, anche se rintracciamo un filo storico e filosofico risalente ad Aristotele, ma di questo parleremo in seguito. Da un punto di vista scientifico “Le emozioni costituiscono una delle componenti più naturali, spontanee e allo stesso tempo complesse del comportamento.” (Filliozat, 2002, p.73)

Sono emerse diverse teorie nel corso degli anni che hanno cercato di offrire una spiegazione alla natura delle emozioni connesse al funzionamento del cervello.

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I recenti sviluppi della scienza cognitiva hanno portato a considerevoli progressi nella comprensione dei meccanismi cerebrali alla base delle emozioni.Queste si attivano all'interno della struttura cerebrale chiamata sistema limbico, nel quale l’amigdala svolge un ruolo essenziale17. Il sistema limbico è un complesso di strutture encefaliche che partecipano all'integrazione emotiva, istintiva e comportamentale.

In generale il sistema limbico interviene nella modulazione dello stato affettivo di base, nell'ansia, nelle reazioni di paura e in quelle aggressive, nei comportamenti alimentari e sessuali, inoltre gioca un ruolo essenziale per alcune funzioni cognitive come l'apprendimento, la memoria; ed influenza lo stato funzionale di vari organi quali: il cuore, i vasi sanguigni, la colecisti, l'intestino e la vescica. Altrettanto importante è stato l'intervento di Richard Davidson della Madison University fondatore del settore della neuroscienza affettiva che individua i circuiti cerebrali attivati dalle emozioni distruttive.

Il lavoro di Davidson ha aperto la strada alla ricerca sui substrati neurologici delle emozioni, sul ruolo del cervello in rapporto alle emozioni distruttive e diede avvio ad un programma per aiutare le persone ad attraversare le emozioni che provocano effetti distruttivi ma anche a coltivare quelli positivi. Davidson si distingue come uno dei più eminenti studiosi nel campo della neuroscienza affettiva, la scienza che studia le emozioni dal punto di vista cerebrale18.

Lo scienziato dimostrò che qualsiasi tipo di comportamento, non si concentra su un'unica zona del cervello, poiché sono molte le parti del cervello che lavorano insieme per produrre un comportamento complesso, quindi interagiscono zone diverse del cervello.

Tra le zone corticali più importanti troviamo il lobo frontale, esattamente dietro la fronte, è la zona decisiva per regolare le emozioni, ed ospita le facoltà operative del cervello.

Il lobo parietale è la zona in cui le percezioni sensoriali come la vista, l'udito e il tatto, si fondono insieme.

L’amigdala racchiusa al centro del cervello, nella regione conosciuta come sistema libico, è particolarmente attiva quando si provano emozioni come la paura.

L'ippocampo è una struttura allungata e collocata dietro l’amigdala, regola le azioni rispetto al contesto, è essenziale alla comprensione del contesto, degli eventi. Ad esempio quando si vive in un ambiente che richiama sensazioni di sicurezza, di amore come la propria casa, le persone si sentono

17

Massimo Matelli Carlo Umiltà, Il cervello. Anatomia e funzione del Sistema nervoso centrale, Il Mulino, Bologna, 2007

18

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al sicuro ed a proprio agio e la comprensione di questo spazio fisico come contesto sicuro e amorevole riguarda l'ippocampo19.

Difatti patologie emotive come la depressione o disturbi da stress post-traumatico, implicano disfunzioni dell'ippocampo. L'ippocampo ci fornisce informazioni sul contesto e ci aiuta a orientare le reazioni emotive, in modo che siano appropriate al contesto.

I lobi frontali, l’amigdala e l'ippocampo hanno collegamenti diretti con il corpo, in particolare con: il sistema immunitario; il sistema endocrino che regola gli ormoni; il sistema nervoso autonomo che regola il battito cardiaco; la pressione del sangue e altro. Questo ci fa capire come la mente può influenzare il corpo e come l'impatto delle emozioni provoca degli effetti sulla salute mentale e sull'identità.

Come avevamo già detto in precedenza, il lobo frontale svolge funzioni diverse: le zone della corteccia frontale sinistra svolgono un ruolo importante per le emozioni “positive”, mentre il lobo frontale destro svolge funzioni importanti per alcune emozioni “negative”.

Il contributo di Davidson è fondamentale poiché i suoi studi hanno individuato nel cervello la sede delle emozioni “positive”, la zona gamma: la circonvoluzione medio frontale sinistra.

In principio abbiamo discusso come le prime sperimentazioni in laboratorio hanno evidenziato che le persone presentano livelli elevati di attività cerebrale in quella zona specifica della corteccia prefrontale sinistra, manifestano contemporaneamente sensazioni di felicità, entusiasmo, gioia, energia e consapevolezza. Allo stesso tempo Davidson ha scoperto che la zona prefrontale destra è collegata alle manifestazioni di emozioni “negative”, quindi le persone che hanno un più alto livello di attività cerebrale nella zona prefrontale destra ed una bassa attività nella zona sinistra, saranno più soggetti alla tristezza, ansia, pena.

Le ricerche in laboratorio dello scienziato Davidson hanno risaltato lo spostamento cerebrale quando si vive uno stato emotivo, ad esempio quando si prova compassione, questa si riflette nell'espressione di un umore estremamente positivo. Compassione intesa come apertura nel ricercare il benessere degli altri, entrare in empatia con la sofferenza dell'altro e questo atteggiamento emotivo crea nell'individuo una condizione di maggiore benessere. La compassione è una condizione assolutamente ignorata dalle ricerche della psicologia moderna, mentre spesso le indagini si rivolgono ad aspetti dell'essere umano che lo danneggiano come l'ansia, la depressione20. Non esiste un consenso unanime sulla definizione di emozioni, ma sono descritte come stati affettivi intensi, accompagnati da modificazioni fisiologiche e cambiamenti comportamentali e

19 Bear Mark F., Connors Barry W., Paradiso Michael A., Neuroscienze. Esplorando il cervello, Elsevier, Milano, 2007

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osservabili, alla cui attuazione sono dedicati circuiti neurali specifici per le decisioni e gli atti successivi.21 Le emozioni sono caratterizzate da due componenti principali: la risposta fisiologica all'evento e il sentimento conscio associato ad esso. Ad esempio sentiamo il cuore battere forte e ci sentiamo spaventati.

Anche se l’incontro con altri professori, psicologi e ricercatori hanno capovolto totalmente questa idea.

Abbiamo discusso in precedenza di come lo studio delle emozioni e dei sentimenti sia stato poco affrontato dalla psicologia del passato, in quanto è stato difficile descrivere, classificare e collegare le emozioni a qualsiasi legge.

I primi furono James W. e Lange K.G.: il primo rivolse l'attenzione alle consistenti cambiamenti somatici che seguono i sentimenti; il secondo studiò i mutamenti del flusso vascolare che accompagnano le emozioni.

I due ricercatori arrivarono alla conclusione che si ha una grande confusione nella comprensione dei sentimenti e delle emozioni22.

La psicologia comune e il pensiero quotidiano, distinguono nell'emozione, tra momenti:

- la percezione di una qualsiasi oggetto o evento, o la sua rappresentazione (l'incontro con una un malfattore, il ricordo di una persona amata, eccetera);

- l'emozione evocata da questi (paura, tristezza) ;

- le espressioni corporee di quest'emozione (lacrime, tremore).

Questa spiegazione avvalorata la tesi secondo la quale l’osservazione attenta di ogni sentimento ci facilita la comprensione della sua espressione somatica. I sentimenti forti creano un disegno sul nostro viso, e guardando una persona riusciamo a intuire l'emozione che sta vivendo.

James capì che ogni sentimento attraversa le tre fasi sopra descritta: (A) percezione; (B) sentimento; (C) mimica; ma il ricercatore affermò un altro tipo di formula ACB: percezione, mimica, sentimento. Egli presuppone che determinati eventi provocano in noi, spontaneamente, cambiamenti corporei che solo in una secondo momento percepiamo e manifestiamo come sentimento. Se pensiamo all'incontro con un brigante, per riflesso, senza la mediazione di un sentimento, scatena in noi tremore: secchezza della gola, respirazione affannosa e altri sintomi di paura. Ad esempio il ricordo di una persona cara provoca in noi le lacrime, l'abbassamento della testa, la chiusura del corpo; la tristezza che proviamo ci porta a percepire le nostre lacrime, la nostra posizione curva eccetera. Di solito piangiamo perché siamo addolorati, picchiamo perché siamo

21 D. Lama, D. Goleman, Emozioni distruttive, Mondadori, 2004 22

Lev Semenovic Vygotskij, Psicologia pedagogica. Manuale di psicologia applicata all’insegnamento e all’educazione, Erickson Ed., Trento, 2006

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adirati, ma secondo James sarebbe corretto dire: siamo addolorati perché piangiamo, siamo adirati perché picchiamo, siamo impauriti perché tremiamo.

Ciò che pensavamo essere la causa è in effetti il risultato ed il risultato stesso ci rivela la causa. Tale teoria viene confermata in modo più convincente da un fenomeno contrario: basta superare le espressioni corporee dell'emozione e subito la pista svanisce. Ad esempio se in uno stato di paura, si esprime il tremore, si obbliga il cuore a pulsare regolarmente, si dà al viso un'espressione normale, allora lo stato di pentimento di paura svanirà. Se reprimiamo l'espressione di un qualsiasi passione, essa morirà.

Uno psicologo collega di James raccontò un'esperienza, in cui ogni volta che sentiva una eccesso d'ira, raddrizzava i palmi delle mani e stendeva le dita fino a provare dolore, in questo mondo paralizzava l'ira, poiché non ci si può arrabbiare con il palmo delle mani completamente aperto, giacché l'ira significa pugni stretti e bocca serrata. Quindi togliere alla rabbia i sintomi significa cessare di arrabbiarsi.

Esistono alcune obiezioni riguardanti questa tesi, in quanto esistono reazioni che non sempre sono collegate a delle emozioni, prendiamo l'esempio dell'utilizzo della cipolla, la quale scatena lacrimazione oculare, ma ciò non significa affatto che dietro a queste lacrime ci sia una emozione di tristezza. La seconda obiezione consiste nel fatto che un sentimento può essere provocato da sostanze introdotte nel sangue, assumere una certa dose di alcol, morfina, sostanze stupefacenti provocano una serie di sentimenti complessi. Introducendo sostanze che alterano la composizione chimica del sangue e quindi influenzano la circolazione sanguigna, otteniamo senza difficoltà una forte effetto emotivo sull'organismo. Questo ci permette di comprendere come le emozioni erano costituite da un sistema di reazioni, collegato per riflesso a determinati stimoli.

Ritornando allo schema descritto in tre fasi, possiamo riassumere:

A il sentimento, in condizioni normali, non nasce da sé, lo precede un determinato stimolo ed una determinata causa (interna o esterna);

C infine avremo la reazione circolare, il ritorno delle reazioni nell'organismo come nuovi stimoli, la percezione di un ordine secondario del campo propriocettivo e rappresentano quello che prima veniva chiamata emozione;

B ciò che provocherà l'emozione sarà lo stimolo responsabile della reazione, quindi seguiranno una serie di reazioni riflesse, motorie, somatiche e ormonali;

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1.9 Partiamo dalle espressioni facciali

L'espressione facciale rappresenta l'indice delle emozioni più facilmente riconoscibile. Sono stati affrontati molti metodi che consentono una classificazione sistematica delle espressioni facciali, osservate direttamente o fotografate. Il metodo più oggettivo ed esaustivo, chiamato FACS (Facial Action Coding System), è stato sviluppato da P. Ekman e W. V. Friesen; esso permette che siano registrate unità individuali di azioni facciali e consente la valutazione sia della qualità che dell'intensità della risposta emotiva.23 L’importanza delle espressioni facciali per la nostra specie è confermata dall’osservazione che una parte molto estesa della corteccia motoria è dedicata proprio ai muscoli del volto.

Paul Ekaman professore e ricercatore universitario, esperto mondiale dell'espressione facciale e direttore dei laboratori sull'interazione umana dell'affetto presso l'Università della California di San Francisco, diede avvio ad una studio scientifico delle dinamiche fondamentali delle emozioni, pose le basi per una piattaforma conoscitiva sulla quale confrontarsi ed ampliare il dibattito verso il senso distruttivo/costruttivo delle emozioni.

Lo studio di Ekman24 delle espressioni facciali ha evidenziato che, benché sia molto facile fingere alcune espressioni (si pensi alle abilità esibite da un bravo attore nel riprodurre ad arte espressioni emotive non autentiche), esistono parametri che possono aiutare a distinguere, se le espressioni sono più o meno sincere:

- Asimmetria: un’espressione emotiva è asimmetrica nel senso che gli stessi atti sono prodotti su entrambe le metà del volto, ma risultano più intensi su un lato, tipicamente sul sinistro. Il lato sinistro è controllato dall’emisfero destro, dominante nel controllo delle espressioni facciali delle emozioni. Nelle emozioni contraffatte accade che nella parte controllata dall’emisfero riguardante l’azione dei muscoli è più intensa. In tal senso l’asimmetria può indicare un’emozione poco sentita.

- Tempo: generalmente la mimica legata a un’emozione rimane sul volto per pochi secondi. Le espressioni che perdurano per dieci secondi o più possono essere segnale di ridotta autenticità.

- Collocazione nel corso della conversazione: spesso, vedendo parlare qualcuno, possiamo cogliere alcuni sfasamenti tra la comunicazione verbale e i movimenti del corpo o le

23

P.Ekman, Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Amrita, 2008

24 Ekman P., Friesen W.V., Ellsworth P., Emotion in the human face: Guidelines for research and an integration of

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espressioni facciali. Se ciò accade, le desincronizzazioni possono essere verosimilmente considerate indizi di esperienze emotive non realmente esperite.

La capacità di manifestare i propri sentimenti tramite atteggiamenti del volto non è una caratteristica unica del genere umano. Anche i primati non umani hanno muscoli facciali che permettono loro di eseguire espressioni di paura, di sorpresa, di rabbia ed espressioni simili al riso umano. Secondo la psicologia evoluzionista le emozioni si sono evolute all’interno di gruppi sociali come incentivo motivazionale per promuovere l’organizzazione di risposte comportamentali complesse e funzionali alla risoluzione di problemi. Tramite la selezione naturale si sono affermate le risposte emotive più efficaci nel fronteggiare situazioni critiche per la sopravvivenza e il benessere degli individui e del gruppo a cui essi appartengono.25

Sulla base di questi pensieri evoluzionisti, le ricerche sostenute da Paul Ekman, hanno ampliato il concetto di universalità, in quanto è presente non solo nell'espressione delle emozioni ma anche in alcuni eventi che le scatenano. Per esempio la tristezza o l'angoscia hanno come tema comune una perdita rilevante di qualcosa o qualcuno; allo stesso modo si evidenziano universali cambiamenti fisiologici quando proviamo un'emozione, per esempio la rabbia o la paura, emozioni che fanno aumentare il battito cardiaco, la sudorazione, l’aggrottamento delle sopracciglia o il rossore.

Inoltre è stato studiato come il viso non è soltanto un mezzo per manifestare l'emozione, ma serve anche ad attivarla, poiché quando si assume una espressione spontanea, cominciano i cambiamenti fisiologici che accompagnano l'emozione. 26

Secondo Ekman il pacchetto emotivo comprende più elementi: espressione emotiva e cambiamento fisiologico, quest'ultimo associato alla velocità e all'intensità con la quale l'emozione si esprime. Se le emozioni sono intense o veloci, altrettanto lo sono i cambiamenti nel sistema corporeo governato dal sistema nervoso autonomo. Successivamente si è scoperto che certe persone presentano reazioni emotive veloci, forti e lunghe, trovando particolari difficoltà a gestire le proprie emozioni.

Ekman non è riuscito a capire in quale fase dello sviluppo poter intervenire, per fornire agli individui una possibilità di gestione delle proprie emozioni, ma in seguito, con il procedere di questo lavoro cercheremo di chiarire anche questo punto.27

25

D. Lama, D. Goleman, Emozioni distruttive, Mondadori, 2004

26 P.Ekman, Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Amrita, 2008

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1.10 Le emozioni svelano qualcosa di noi

Le ricerche dello scienziato proseguono verso l'identificazione del meccanismo che si innesca nel momento in cui proviamo una certa emozione: le emozioni insorgono molto rapidamente, inoltre diventiamo consapevoli di provare paura, rabbia o tristezza solo dopo che l'emozione è iniziata e non prima, quindi prendiamo consapevolezza dell'emozione che accade un quarto di secondo dopo dell'inizio della stessa.

La nostra vita sarebbe diversa se valutassimo consapevolmente la nostra emozione prima del suo verificarsi, di solito quando osserviamo un evento di riflesso proviamo una emozione ma non siamo consapevoli del processo di valutazione dell'azione dell'altro o dell’evento che mi ha fatto arrabbiare. All'inizio non siamo noi a comandare, diventiamo consapevoli soltanto quando viviamo l'emozione.

Le emozioni non sono private, sono pubbliche, in quanto segnalano agli altri, attraverso la voce, la faccia e la postura che emozioni stiamo provando; i nostri pensieri sono privati, le nostre emozioni no, e gli altri percepiscono come ci sentiamo; questo aspetto del nostro essere condiziona il nostro approccio relazionale.

Quando un'emozione sorge, genera dei cambiamenti nella nostra espressione, e non solo, anche nel nostro modo di pensare e nell'impulso all'azione, tutto ciò accade involontariamente.

Per definire l'emozione dobbiamo accettare di esserne invasi, può durare pochi secondi, si sposta rapidamente, un attimo prima siamo arrabbiati e un attimo dopo tristi.

Le idee fondamentali di Charles Darwin possono venirci in aiuto, in quanto chiarificano il concetto che le emozioni si sono evolute nel corso della nostra storia per permetterci di affrontare eventi importanti dell'esistenza: l'educazione dei figli, l'amicizia, la coppia, gli antagonismi, la sopravvivenza, la morte, l'abbandono e la loro funzione è di farci agire rapidamente, senza doverci pensare. Per esempio ci troviamo nel traffico e improvvisamente sopraggiunge un macchina dal senso opposto, come se ci venisse addosso, senza pensarci sterziamo bruscamente e premiamo il freno, prima di capire che cosa sta succedendo ed in questo caso l'emozione paura, angoscia ci ha salvato la vita. Se avessimo dovuto pensare di riconoscere il pericolo, pensare a cosa fare, non saremmo sopravvissuti.

1.11 La consapevolezza emotiva

Secondo Ekman le emozioni fondamentali sono dieci: rabbia, paura, tristezza, disgusto, disprezzo, sorpresa, divertimento, imbarazzo, colpa e vergogna. Ognuna di queste rappresenta una grande famiglia, e contengono un complesso di sensazioni collegate, ad esempio nella famiglia della

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felicità sono comprese sette variazioni: divertimento, fierezza, sollievo, eccitazione, meraviglia, piaceri sensoriali, calma.

Diciamo pure che le emozioni si distinguono dagli umori, poiché le prime possono andare e venire nell'arco di pochi minuti o secondi, un umore può durare anche una intera giornata. Quando proviamo un'emozione siamo in grado di dire che cosa l'ha scatenata, qual è stato l'evento che ha suscitato quell'emozione, mentre quando parliamo di umore non riusciamo a fare lo stesso ragionamento, ci possiamo svegliare estremamente apprensivi o tristi ma non sappiamo il perché. Ekman crede che questi umori siano prodotti da cambiamenti interni e non ci sia alcun rapporto con quanto sta accadendo all'esterno.

Le ricerche sulle emozioni come sull’umore continuano ancora oggi e si sa molto poco sulle cause che le scatenano, lo stesso Ekman conviene con la probabilità che possano esserci pensieri che scatenano il nostro umore, di cui non siamo consapevoli.

Ekman aggiunge una riflessione, affermando che quando siamo in preda di un certo umore, questo influenza e restringe il nostro modo di pensare, ci rende vulnerabili; gli umori negativi creano così molti problemi poiché cambiano il nostro modo di pensare.28 Ad esempio se mi sveglio in preda all'irritazione, cercherò un'occasione per essere arrabbiato e mi sento frustrato per cose che normalmente gli sarebbero indifferenti. L'umore esercita un doppio pericolo: esercita una forte influenza sul pensiero e amplifica le nostre emozioni. Quando sono di umore irascibile la mia rabbia diventa sempre più forte e più rapida, dura di più ed è più difficile del solito tenerla sotto controllo. Ci sono sicuramente delle condizioni che influenzano il nostro umore ma di solito sono estranee alla nostra consapevolezza, quindi non sappiamo il perché ci sentiamo in un determinato modo. Spesso sentiamo dire "non so perché sono così arrabbiato", questo non esprime che non ci sia un motivo, piuttosto significa semplicemente che non vogliamo saperlo.

La scienza, come dicevamo, sa molto poco di come si scatenano le emozioni, in quanto accadono automaticamente e nascono indipendentemente dalla nostra consapevolezza.

Le emozioni possono prenderci di sorpresa, e dobbiamo chiederci come possiamo fare per arrestare quel processo di reazioni automatiche e quindi agire sulle valutazioni originarie che le scatenano. In questo caso potremmo agire in modo più misurato, donandoci più tempo per gestire quello spazio ignoto che sta tra l'impulso ad agire in base all'emozione sentita, e l'effettiva reazione; aumentare lo spazio di tempo tra impulso e azione, anche se non è da sottovalutare il tempo che intercorre tra la valutazione e l'impulso.

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È molto difficile arrivare ad una consapevolezza della valutazione dell'evento o della persona, poiché le stesse valutazioni accadono molto velocemente e in zone del cervello che operano indipendentemente dal senso di consapevolezza.29

Una volta che la valutazione è avvenuta (quella persona si è comportata in modo ingiusto), interviene un impulso all'azione (obiettare bruscamente per ciò che ha fatto) ed in questo momento subentra l'atto consapevole e siamo in grado di valutare e decidere deliberatamente se vogliamo procedere ed agire in base all'impulso o cambiare rotta. Non è facile accedere a questa

consapevolezza dell'impulso, non tutti siamo aperti a sentirlo e spesso ci vuole molta pratica.

Esiste una fase successiva all'azione data dall'impulso, in cui sentiamo la nostra voce pronunciarsi, percepiamo la tensione del nostro corpo, pronunciamo una o due parole, arriviamo a qualche consapevolezza di ciò che sta accadendo. A questo punto usiamo la capacità di osservarci mentre stiamo agendo, prendiamo tempo e questo ci permette di scegliere una consapevolezza dell'azione, dimostrando di monitorare le nostre azioni e di interrompere o modificare le abitudini emotive mentre stanno accadendo.

Il problema sollevato consiste nel capire come educare alla consapevolezza, in modo da rafforzare la capacità di percepire le nostre valutazioni per riuscire ad allungare i tempi tra l'impulso e l'azione. La chiave di tutto è la scelta, sarebbe bene per tutti noi se riuscissimo ad esercitare una scelta nei casi in cui le emozioni ci portano ad azioni che sono distruttive per noi o per gli altri.

Questi tre momenti di consapevolezza indicati da Ekman, rappresentano la scelta che si vuole intraprendere: durante la valutazione, durante l'impulso e durante l'azione.

La posizione generale della psicanalisi e della psicologia occidentale considerano le emozioni come parte naturale della psiche umana e non sono considerate di per sé negative.

Resta da risolvere la questione più importante: la differenza rilevante tra la regolazione della reazione prima, durante e dopo la comparsa di un'emozione. Ci sono tre processi mentali distinti o tre diverse possibilità comportamentali che possiamo perseguire quando emergono determinate emozioni:

1. l'obiettivo più importante è di fare in modo che quella reazione, se negativa e violenta, non succeda più;

2. riguarda il non agire sull'onda dell'emozione, non agire d'impulso per impedire che si abbiano impatti negativi sugli altri e su me stesso;

3. imparare dalla situazione, dall'esperienza nella speranza di fare il meglio la prossima volta.

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Uno dei motivi per cui abbiamo tante difficoltà, una volta diventati emotivi, è che l'emozione ci rende schiavi. Ekman lo definisce periodo refrattario30, durante il quale non permettiamo che altre informazioni condizionino la percezione degli eventi, la nostra interpretazione è talmente prevenuta da farci vedere il mondo in modo da sostenere l'emozione che stiamo provando. Il periodo refrattario può durare pochi istanti o essere molto più lungo, ed in questo periodo non riusciamo a liberarci della nostra emozione ma ciò non significa che sicuramente agiremo a partire da quella emozione. Una volta finito il periodo refrattario, l'emozione può finire quindi la difficoltà sta nel ridurre il periodo refrattario ed Ekman fa notare che ci sono tre modi per intervenire:

1. non diventare assolutamente emotivi;

2. abbreviare il periodo refrattario (accedere ad informazioni in mio possesso che avrebbero fermato la mia emozione, quindi interpreto le circostanze che sostengono quella emozione);

3. tenere meglio sotto controllo le proprie azioni anche durante il periodo refrattario.

Ogni essere umano possiede la capacità di educare la propria mente a capire cosa c'è di distruttivo nelle emozioni e dunque a tenerle sotto controllo.

Una delle emozioni più influenti sull'organismo e provoca la perdita di controllo di esso, è la rabbia, verso la quale continua a crescere un certo interesse.

Ekman non crede che la violenza sia parte integrante della rabbia, non è una conseguenza necessaria né un requisito biologico. Egli ritiene che è insito nella reazione della rabbia un impulso ad eliminare l'ostacolo che ci blocca, e questo non richiede necessariamente il ricorso alla violenza. Non tutti gli scienziati o studiosi occidentali sono d'accordo su questo punto ma Ekman ha voluto elencare gli eventi più comuni che precedono la rabbia: l'interferenza visiva, la frustrazione, un tentativo da parte di qualcuno di farci del male, la rabbia di un altro. Quest'ultimo è l'elemento più pericoloso poiché spesso la rabbia suscita altra rabbia ed è necessario un grande sforzo per non reagire alla rabbia, con altra rabbia.

Molto spesso il modo più efficace per rimuovere l'ostacolo consiste nell'assumere il punto di vista dell'altro. Invece di reagire verbalmente o fisicamente, si cerca di capire perché l'altro sembra creare un ostacolo.

Bisogna comprendere che la rabbia è un'emozione che racchiude un'intera famiglia di sensazioni che variano per intensità: fastidio, furia, ira, indignazione, collera, malumore, vendetta.

Ci sono emozioni risvegliate dall'intelligenza come la compassione, che sentiamo sorgere nel momento in cui vediamo qualcuno che soffre. Certo quando si prova compassione la mente non è

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