CONCLUSIONI
Seguendo lo sviluppo dei romanzi nel loro ordine di successione cronologico, come sono stati trattati in questo elaborato, ciò a cui si assiste è un progressivo avvicinamento dell’universo infantile a quello adulto, che va di pari passo con l’evoluzione dei personaggi.
In The Cement Garden l’immagine che ci viene presentata è quella di quattro fratelli — le cui età coprono un arco temporale che racchiude in sé tutti i periodi che vanno dalla prima infanzia alla tarda adolescenza — la cui mente si rivela estremamente oscura, contorta e a tratti perfino disturbata, non solo nell’ambito dei rapporti all’interno del nucleo familiare, ma anche in merito a quelli che hanno a che fare con il mondo esterno ad esso. Le relazioni con le figure genitoriali, e più in generale con qualsiasi tipo di adulto, vengono vissute attraverso sentimenti alternanti tra l’odio e il timore reverenziale, situazione a cui i protagonisti credono di poter porre rimedio innalzando un utopistico “muro di cemento” tra il loro piccolo universo personale e tutto ciò che non ne fa parte, barriera che è inevitabilmente destinata a crollare.
The Child in Time ci mette invece di fronte a diverse immagini dell’infanzia,
ognuna connessa in qualche modo con le altre: la bambina perduta che non
tornerà mai più, ma il cui ricordo sarà sempre vivo nella mente di coloro che la
amavano e che le avevano dato la vita, e il bambino ritrovato, grazie ad un
processo di profonda maturazione interiore il cui punto di partenza è stato
proprio l’accettazione di quella scomparsa. Vi è poi il bambino che si
manifesta come simbolo del disagio nei confronti delle responsabilità che il
processo di crescita personale e sociale porta con sé, un malessere che culmina
con l’autodistruzione del soggetto, combattuto tra i propri doveri e gli istinti
primordiali che ne hanno ormai preso il totale controllo. Infine, una nuova
nascita va a chiudere il cerchio, alleviando il dolore causato dalla perdita e
portando con sé non solo la speranza di un futuro migliore, ma anche la
consapevolezza dell’importanza del dialogo tra gli individui.
In ognuna di queste circostanze, possiamo ancora percepire il forte contrasto tra il mondo adulto e quello infantile, incarnato in particolar modo dalla figura di Charles Darke. Tuttavia, la loro separazione non è più così netta, come nel caso precedente, ma si percepisce già — soprattutto nel finale — una volontà di apertura verso l’altro.
The Daydreamer, pur discostandosi dagli altri testi per il target cui è rivolto, attraverso le avventure del suo protagonista — che a sua volta compie un personale processo di maturazione nel corso del romanzo — ci dimostra come, grazie all’empatia, anche le paure più grandi possano essere superate, compresa quella di crescere. Diventare grandi, infatti, non implica necessariamente abbandonare il proprio io infantile, rinunciando ai semplici piaceri che un tempo erano sufficienti a renderci felici, ma può rivelarsi un’esperienza meravigliosa ed eccitante, se solo lasciamo che almeno una parte del bambino che eravamo rimanga viva in noi.
Con The Children Act, infine, sembra che l’autore sia riuscito a raggiungere un qualche equilibrio tra questi due mondi che spesso appaiono incompatibili, un equilibrio ideale tra innocenza e maturità incarnato dalla figura del giovane Adam Henry. Tuttavia, non dobbiamo interpretare il caso di Adam come una
“soluzione” definitiva, la formula che racchiude in sé la possibilità di trovare finalmente un compromesso all’eterna lotta tra le due parti. Adam finirà infatti per soccombere — come alcuni dei personaggi precedentemente incontrati, ognuno a modo suo — sotto il peso della realtà. Ciò che però lo contraddistingue è il fatto che, nonostante la sua scelta ricada comunque sulla morte anziché sulla vita, questa decisione non dipende da una lotta interiore, bensì dall’incapacità di far fronte ad un mondo che, molto probabilmente, non è ancora pronto ad accettare tale assimilazione.
In ognuna di queste opere, esplorando le incertezze e le complessità delle
relazioni interpersonali, McEwan ci presenta al tempo stesso gli orrori e le
meraviglie della società contemporanea, un ritratto che ci scuote nel profondo
e ci invita alla riflessione, ponendoci di fronte alla psiche di ciascun individuo, con le sue necessità, i suoi sogni ma anche i suoi più oscuri desideri.
“I’m only 66, my notebook is still full of ideas” protesta ironicamente
1l’autore quando l’argomento si concentra sulla propria routine e i propositi futuri, “Life is still too interesting, I really want to know what’s going to happen in the 21st century” . È facile immaginare che, anche nei suoi lavori
2futuri, l’infanzia rivestirà un ruolo importante e, probabilmente, l’autore declinerà questa tematica in modi ancora diversi, per arricchire ulteriormente il grande affresco della vicenda umana che il suo macrotesto narrativo intende tracciare.
Robert McCrum, “Ian McEwan: “I’m only 66 - my notebook is still full of ideas”.
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Ivi.
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