UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in
Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia
TESI DI LAUREA SPECIALISTICA
Valutazione dell’outcome dei pazienti con Sepsi
in seguito all’introduzione del quick SOFA
in un DEA di II livello
RELATORE
Chiar.mo Prof. Massimo Santini
CORRELATORE
Dott.ssa Alessandra Violet Bacca
CANDIDATO
Lidia Bardelli
Al mio primo uomo e alla mia prima donna,
mi avete insegnato più voi
che tutti quei professori a Pisa:
grande babbo, grande mamma, grazie!
Indice
1. Introduzione ... 1
1.1. Sepsi ... 1
1.2. Definizione e inquadramento generale ... 3
1.2.1. Una nuova definizione di sepsi: Sepsis-3 ... 3
1.2.2. Definizione di shock settico ... 5
1.3. Epidemiologia della sepsi ... 6
1.3.1. Un pò di storia... ... 6
1.3.2. Epidemiologia negli USA ... 6
1.3.3. Epidemiologia in Europa e Italia ... 7
1.4. Fisiopatologia della sepsi ... 10
1.4.1. Risposta normale dell’organismo ad un’infezione ... 10
1.4.2. Evoluzione verso la sepsi ... 12
1.4.3. Effetti sistemici della sepsi ... 13
1.5. Organi bersaglio ... 14 1.5.1. Sistema cardiocircolatorio ... 14 1.5.2. Polmone ... 15 1.5.3. Tratto gastroenterico ... 15 1.5.4. Rene ... 15 1.5.5. Sistema nervoso ... 15 1.6. Fattori di Rischio ... 17 1.7. Eziologia ... 18 1.8. Clinica ... 20 1.8.1. Sintomi e segni ... 20 1.8.2. Segni laboratoristici ... 20 1.9. Diagnosi ... 22 1.9.1. Diagnosi di sepsi ... 22
1.9.2. Diagnosi di shock settico ... 24
... 26
1.10. Terapia ... 27
1.11. Prognosi ... 32
2. Analisi della letteratura precedente ... 33
3. Protocollo sperimentale ... 36
3.1. Scopo dello studio ... 36
3.3. Pazienti e metodi ... 36
3.3.1. Disegno dello studio ... 36
3.3.2. Selezione dei pazienti ... 37
3.4. Analisi dei dati ... 37
4. Risultati ... 39
4.1. Pazienti ... 39
4.2. Analisi Descrittiva ... 39
4.2.1. Distribuzione per Sesso e per Età ... 39
4.2.2. Rapporto tra Sesso e Mortalità ... 41
4.2.3. Rapporto tra Età e Mortalità ... 42
4.2.4. Comorbilità ... 44
4.2.5. Codice Colore ... 48
4.2.6. Sede di partenza della Sepsi ... 49
4.2.7. SOFA score ... 50
4.2.8. Shock settico ... 51
4.2.9. Quick SOFA score ... 51
4.2.10. Successivi accessi in Pronto Soccorso ... 52
4.3 Analisi di Correlazione ... 53
4.4 Analisi statistica delle differenze di mortalità nei due gruppi studiati ... 56
5. Discussione ... 58
5.1. Limiti dello studio ... 59
6. Conclusioni ... 60
7. Indice delle figure, delle tabelle e dei grafici ... 61
8. Appendice ... 63 8.1. Appendice 1 ... 63 8.2. Appendice 2 ... 65 8.3. Appendice 3 ... 66 8.4. Appendice 4 ... 67 8.5. Appendice 5 ... 68 8.6. Appendice 6 ... 70 9. Bibliografia ... 76 Ringraziamenti... 83
1
1. Introduzione
1.1. Sepsi
Nel 1991 è stata indetta la prima Consensus Conference che ha avuto come obiettivo una definizione condivisa di sepsi e shock settico per la comunità scientifica internazionale, con successiva revisione nel 2001. La sepsi è stata definita come la presenza di un’infezione accertata o sospetta, accompagnata dalla positività per almeno due criteri della Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS), mentre lo shock settico è stato definito come uno stato di insufficienza cardiovascolare (ipotensione) secondario a sepsi1,2,3.
La SIRS era definita come una risposta infiammatoria sistemica a insulti non specifici, caratterizzata dalla presenza di almeno due di quattro criteri (fig. 1.1), mentre la sepsi era considerata come una SIRS secondaria ad un processo infettivo4.
La presenza di sepsi associata ad almeno un segno di danno d’organo o MOFS (sindrome da insufficienza multiorgano) definiva la sepsi grave, e la mancata risposta alla fluidoterapia rappresentava la progressione a shock settico4.
Figura 1.1. Criteri della Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica
Figura 1.2. SIRS e Sepsi
SIRS (Systemic Inflammatory Response Syndrome)
Two ore more of
• Temperature > 38° or < 36° • Heart rate > 90/min
• Respiratory rate > 20/min or pCO2 < 32mmHg (4,3 kPa) • White blood cell count > 12.000/mm3 or < 4000/mm3
2
I criteri della SIRS sono stati a lungo utilizzati per ricercare e quindi trattare la sepsi.5
Tuttavia nel tempo si sono avute evidenze contrastanti riguardo alla validità del concetto di SIRS e ampie critiche della necessità di due o più criteri di SIRS per diagnosticare la sepsi, proprio per il fatto di avere un’inadeguata specificità e sensibilità per infezione6,7,8.
Ad esempio, in uno studio condotto su pazienti ricoverati in Unità di Terapia Intensiva con infezione e insufficenza d’organo, approssimativamente 1 paziente su 8 non aveva sintomi che rispettassero i due criteri minimi di SIRS, tali da definire la presenza di sepsi5,9.
I criteri della SIRS inoltre non indicano necessariamente una risposta deregolata dell’ospite minacciosa per la sopravvivenza.
Sebbene già nel 2001 venissero evidenziati i limiti di queste definizioni, non furono proposte alternative per la mancanza di evidenze. Nell’ultima Consensus Conference (2016) è stata presentata la nuova definizione di sepsi, da cui è scomparso il concetto di SIRS così come quello di sepsi grave. Gli autori hanno chiamato questa nuova definizione e i rispettivi criteri per sepsi
Sepsis-3, e allo stesso tempo hanno chiamato le definizioni di sepsi date precedentemente Sepsis-1 (del 1991) e Sepsis-2 (del 2001).
3
1.2. Definizione e inquadramento generale
1.2.1. Una nuova definizione di sepsi: Sepsis-3
Secondo la Third International Consensus Definitions for Sepsis and Settic Shock (Sepsis-3) Taske
Force, la sepsi è definita come una “disfunzione d’organo causata da una risposta sregolata
dell’ospite contro un’infezione, tale da mettere a rischio la sopravvivenza dell’individuo”10. La
sede di partenza dell’infezione può essere accertata o presunta.
La Taske Force ha anche individuato i criteri clinici migliori per identificare i pazienti con sepsi: la disfunzione d’organo è definita da una variazione acuta del valore di base del SOFA score maggiore od uguale a 2 punti, in conseguenza di un’infezione, a prescindere dalla sede di partenza.
Le ragioni per cui è stato scelto il SOFA tra vari algoritmi diagnostici riguardano il fatto che è uno score più semplice, è conosciuto più diffusamente nell’ambiente ospedaliero ed ha una predittività del rischio di mortalità correlato a sepsi largamente validata. Inoltre può essere valutato retrospettivamente, sia manualmente che in maniera computerizzata, partendo dai dati clinici e laboratoristici eseguiti di routine nella valutazione acuta del paziente10.
Il valore di base del SOFA score deve essere considerato pari a 0, a meno che il paziente non abbia condizioni acute o croniche di disfunzione d’organo note prima di contrarre l’infezione10,
ad esempio pazienti con insufficienza renale cronica preesistente, insufficienza epatica preesistente ecc.
Un SOFA score ≥ 2 riflette un rischio complessivo di mortalità approssimativamente del 10% nella popolazione ospedaliera generale con infezione presunta11; questo dato supera
addirittura il tasso di mortalità dell’8,1% dei pazienti con STEMI, condizione come noto altamente pericolosa per la sopravvivenza12.
Questa nuova definizione di sepsi pone l’accento sulla risposta non omeostatica dell’ospite contro un’infezione, sulla sua potenziale letalità, che va oltre i danni dell’infezione stessa, e sulla necessità di una diagnosi urgente10. La sepsi ha una fisiopatologia verosimilmente più
complessa rispetto all’infezione accompagnata da una risposta infiammatoria e basta; nel contesto delle disfunzioni d’organo che si creano, dei difetti cellulari e delle alterazioni dei parametri biochimici, la terminologia usata in passato di “sepsi grave” è diventata superflua. Sebbene la SIRS (Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica) rifletta più semplicemente una risposta appropriata dell’ospite di natura adattativa, e sia un concetto scisso da quello di sepsi, i criteri aspecifici di SIRS, come febbre e neutrofilia continueranno ad essere di supporto nell’orientamento diagnostico generale della sepsi, così come rash, addensamenti polmonari, disuria e peritonite permetteranno comunque di focalizzare la probabile sede dell’infezione10.
Pazienti con sospetta infezione, che probabilmente andranno incontro a prolungati periodi di degenza in Unità di Terapia Intensiva o peggio a morte, possono essere prontamente identificati utilizzando l’algoritmo quick SOFA, che include la valutazione di tre parametri:
4 - Pressione arteriosa sistolica ≤ 100 mmHg
- Frequenza respiratoria ≥ 22 atti respiratori/minuto
Sebbene sia un algoritmo meno solido rispetto al SOFA score, il qSOFA ha il vantaggio di fornire al medico dei semplici parametri da applicare rapidamente al letto del paziente senza richiedere esami ematochimici, per identificare il soggetto con sospetta infezione che andrà incontro ad un outcome peggiore (almeno 2 punti su 3). Inoltre è ripetibile, permettendo di incrementare la frequenza del monitoraggio.
Uno studio retrospettivo su 1009 pazienti, pubblicato nel 2017 e durato 9 anni, ha comparato la capacità del qSOFA e dei criteri SIRS di predire lo sviluppo di insufficienza d’organo, utilizzando curve ROC; i risultati hanno dimostrato la superiorità del qSOFA nel predire sia la disfunzione d’organo nei pazienti con sospetta infezione, che la mortalità intraospedaliera dei pazienti con sepsi (specificità dell’85%).13
5
1.2.2. Definizione di shock settico
Lo shock settico è un sottoinsieme della sepsi in cui nei pazienti si evidenziano profonde anomalie circolatorie, cellulari e metaboliche associate ad un maggior rischio di mortalità rispetto alla sola sepsi.10
Lo shock settico può essere clinicamente identificato dalla presenza di ipotensione che richieda l’utilizzo di farmaci vasopressori per mantenere una pressione arteriosa media ≥ 65 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚, e di lattati sierici > 2 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚/𝐿𝐿 (> 18 𝑚𝑚𝑚𝑚/𝑑𝑑𝐿𝐿), in assenza di ipovolemia10,14.
Questa combinazione è associata ad una mortalità intraospedaliera superiore al 40%.10
Questa definizione di shock settico si discosta da quella precedentemente data dalla Task Force del 2001, in cui lo shock settico veniva definito come uno “stato di insufficienza circolatoria acuta”2; la Task Force del 2016 ha dato una definizione più ampia di shock settico,
differenziandolo dalla sola disfunzione cardiovascolare e riconoscendo l’importanza delle anomalie cellulari implicate10.
6
1.3. Epidemiologia della sepsi
1.3.1. Un pò di storia...
Sebbene le prime descrizioni della sepsi appaiano in papiri egizi risalenti al 100 a.C., le origini del termine sepsi derivano dalla lingua greca, in cui la parola “sepsis” significava putrefazione o decomposizione della materia organica. Gli stessi Omero ed Ippocrate usarono questa parola. Ci sono voluti più di 2000 anni prima che venissero prese in considerazione le cause e la prevenzione di questa sindrome. Le prime osservazioni in merito risalgono al diciannovesimo secolo, quando l’ostetrico ungherese Ignaz Semmelweis si accorse che al semplice lavaggio delle mani seguì una drastica riduzione della sepsi delle puerpere nei reparti maternità.
Le teorie di Semmelweis inizialmente furono rifiutate, ma dopo la sua morte vennero validate inconsapevolmente da Louis Pasteur e Robert Koch, le cui scoperte dettero vita alla teoria dei microbi come causa delle malattie infettive. Ciò aprì la strada allo studio sistematico, molti decenni dopo, dello spettro della sindrome da sepsi e del suo impatto sulla vita umana15.
Nonostante la reale incidenza della sepsi sia sconosciuta10 a causa dell’assenza di studi
prospettici sulla popolazione generale, emerge dalla letteratura che la sepsi è una causa maggiore di mortalità e morbilità in tutto il pianeta.
1.3.2. Epidemiologia negli USA
In uno studio epidemiologico statunitense condotto tra il 1979 e il 2000, tra 750 milioni di ospedalizzazioni negli USA sono stati riscontrati più di 10 milioni di casi di sepsi; fu rilevato che la sepsi era più frequente negli uomini che nelle donne, nelle razze non bianche (soprattutto maschi afro-americani) che in quella bianca16, nella stagione invernale che nelle altre,
probabilmente per l’aumentata prevalenza delle infezioni respiratorie17, e soprattutto nei
pazienti di età superiore ai 65 anni5,16.
Tra il 1979 e il 2000 in USA c’è stato un incremento annuale dell’incidenza di sepsi dell’8,7%, con 164000 nuovi casi/anno. La mortalità intraospedaliera totale durante questo periodo di osservazione subì un decremento dal 27,8% prima del 1984 al 17,9% fino al 2000. Nello studio si è riscontrato che l’incidenza di sepsi era in aumento, ma che il tasso di mortalità totale per sepsi era in decremento16.
Numerosi studi successivi hanno confermato questo andamento.
nSolo nel 2011 in USA la sepsi ha comportato un costo di 20 miliardi di dollari (5,2% di tutta la
7
Dati epidemiologici più recenti confermano che l’incidenza di sepsi è in continuo aumento18, e
probabilmente questo andamento riflette il progressivo invecchiamento della popolazione19
con aumento delle comorbilità, la cronicizzazione di molte malattie con conseguente immunodepressione e immuno-paralisi, lo sviluppo di infezioni multi-resistenti alle terapie farmacologiche20, la maggiore invasività delle procedure diagnostiche e terapeutiche e anche
una maggiore diagnosi di sepsi19,20.
Oltretutto, come emerso da uno studio pubblicato nel 2012 in cui gli autori hanno accertato un aumento di sequele neurologiche (in termini di disabilità e disfunzioni cognitive) e morbilità a lungo termine in pazienti sopravvissuti per almeno 3 anni dopo una sepsi, c’è una crescente evidenza che i pazienti che sopravvivono ad una sepsi, spesso si portano dietro disabilità fisiche, fisiologiche e cognitive a lungo termine, con implicazioni sanitarie e sociali significative18.
1.3.3. Epidemiologia in Europa e Italia
Per quanto riguarda l’Europa, si registrano 1,4 milioni di casi/anno con mortalità variabile tra il 28% e il 50%21.
8
Uno studio osservazionale multicentrico prospettico europeo, condotto per valutare l’epidemiologia della sepsi nelle UTI, ha mostrato marcate differenze di frequenza della sepsi fra i vari paesi europei, con tassi di mortalità più elevati proprio in quei paesi che presentavano incidenza maggiore22.
Sempre dallo stesso studio è emerso che il tasso di mortalità nelle UTI aveva un andamento inversamente proporzionale rispetto al numero di insufficienze d’organo al momento dell’ammissione22,23.
9
Nella Regione Toscana i ricoveri per sepsi sono quintuplicati passando dai 566 del 2005 ai 2719 del 2012, ed i ricoveri attesi per il 2015 erano tra i 10.000 ed i 15.00021.
La Surviving Sepsis Campaign si è posta come obiettivo la riduzione del 25% della mortalità per sepsi entro il 2020.
Figura 1.7. Sepsis handbook: prevalenza della sepsi severa nelle UTI, numerosi studi nel mondo. Dellinger P. et all 2009
10
1.4. Fisiopatologia della sepsi
La normale risposta dell’ospite all’infezione consiste in un complesso processo che va dalla localizzazione del microbo al tentativo di controllare l’invasione batterica con le armi che il corpo ha a disposizione, e infine alla riparazione del danno tissutale provocato sia dall’infezione che dal processo infiammatorio stesso.
La sepsi si verifica quando la risposta infiammatoria dell’ospite al danno microbico diventa abnorme e generalizzata, ed arriva a coinvolgere tessuti sani situati a distanza dal sito di danno e/o infezione24. La progressione della sepsi dipende da un riconoscimento e una terapia tardivi,
dall’aggressività del microrganismo in causa e dalle difese immunitarie del soggetto colpito19.
1.4.1. Risposta normale dell’organismo ad un’infezione
Tutto comincia quando un patogeno batterico entra in un sito sterile dell’organismo, dove le cellule residenti del sistema immunitario innato, in particolare macrofagi e polimorfonucleati (PMN), riconoscono l’invasore e legano gli antigeni microbici. Questo legame dà avvio ad una serie di passaggi che comprendono la fagocitosi dei batteri, l’uccisione dei batteri e la fagocitosi dei residui cellulari dei tessuti danneggiati24.
Questi passaggi apparentemente semplici, sono in realtà mediati da numerose vie di segnalazione intracellulare (pathways):
- I PRRs (Pattern Recognition Receptors) espressi sulla membrane della cellula immunitaria riconoscono i PAMPs (pathogen-associated molecular patterns) del microrganismo25;
esistono tre famiglie di PRRS: i Toll-Like Receptors (TLRs), il Nucleotide-Oligomerization Domain (NOD) e le elicasi retinoic-acid-inducible gene I-like (RIG-I-like). Ad esempio, il peptidoglicano dei batteri Gram+ si lega al TLR-2, mentre il lipopolisaccaride dei Gram- si lega al TLR-424.
- I PRRs riconoscono anche segnali di pericolo endogeni, le cosiddette “allarmine” o DAMPs (Danger Associated Molecular Patterns), che vengono rilasciati durante il processo infiammatorio. Le DAMPs sono molecole nucleari, citoplasmatiche o mitocondriali che acquisiscono nuove funzioni quando vengono rilasciate nell’ambiente extracellulare; alcuni esempi sono l’HMGB1, l’S100 e il DNA mitocondriale26.
- Un’altra via è quella dei Triggering Receptor Expressed on Myeloid Cell (TREM-1) e Myeloid DAP 12-associating lectin receptors (MDL-1 R), che riconoscono antigeni microbici27.
Il legame dei recettori di superficie delle cellule immunitarie agli antigeni microbici ha effetti molteplici:
- L’attivazione dei TLR attiva una cascata intracellulare tramite l’attivazione dell’NF-kB, il quale si sposta dal citoplasma nel nucleo, e qui va a legarsi su siti trascrizionali a livello del DNA inducendo la trascrizione di una serie di geni i cui prodotti hanno un ruolo nella risposta infiammatoria: ad esempio citochine proinfiammatorie (TNF-alfa, Interleuchina-1), chemochine (ICAM-1 [molecola di adesione intercellulare-1] e VCAM-1 [molecola di adesione vascolare]) e ossido nitrico (NO).
11
- I leucociti PMN attivati esprimono molecole di adesione che ne determinano l’attacco e l’aggregazione all’endotelio vascolare. Ciò è facilitato anche dall’espressione di molecole di adesione da parte dell’endotelio stesso, che attirano i leucociti24. Quindi i leucociti vanno
incontro ad una serie di step che li portano a migrare al di fuori del torrente vascolare, nella sede del danno e dell’infiammazione: rolling (rotolamento lungo le pareti del vaso), adesione (grazie alle molecole di adesione), diapedesi (attraversamento dell’endotelio vascolare, permesso anche da un aumento della permeabilità dello stesso, dovuto al processo infiammatorio: i leucociti emettono delle propaggini che si fanno strada tra le cellule endoteliali, fino ad attraversare completamente la barriera endoteliale) e chemotassi verso la sede di danno.
Questo processo a step, la migrazione dei neutrofili, rappresenta il segno distintivo del processo infiammatorio acuto28. Infatti, una volta giunti in sede, i PMN, che rappresentano
la primissima cellula dell’immunità innata a raggiungere la sede d’infezione, rilasciano tutta una serie di mediatori responsabili dei segni cardinali dell’infiammazione localizzata: rubor e calor dovuti alla vasodilatazione locale e all’iperemia, tumor dovuto all’accumulo di essudato per l’aumentata permeabilità vascolare, e infine dolor per stimolazione delle fibre nocicettive.
La risposta dell’ospite è governata da un equilibrio tra fattori proinfiammatori e antiinfiammatori secreti dai macrofagi, a loro volta attivati dall’invasione tissutale da parte dei batteri: i fattori proinfiammatori comprendono TNFa, IL-1, IL-2, IL-6, IL-8, IL-10, PAF, INF, eicosanoidi ecc, mentre i mediatori antiinfiammatori sono citochine che inibiscono la produzione di altre citochine 29,30,31. In particolare è stato posto l’accento sul ruolo diretto
dell’IL-1 nel determinare ipotensione, MOF (multiorgan failure), discrasia ematologica e shock, e nell’incidere drasticamente sulla morbilità e mortalità associate alla sepsi: sono state anche condotte ricerche su come inibire l’IL-1 per migliorare l’outcome della sepsi32.
Alla fine di tutto questo processo possiamo dire che se questi mediatori si bilanciano tra loro e il focolaio infettivo iniziale viene risolto, l’omeostasi tissutale viene ripristinata33, e il tessuto
andrà incontro a riparazione e guarigione.
12
Solo quando l’equilibrio tra queste due forze viene meno, questi mediatori diventano pericolosi e dannosi: le conseguenze di una risposta antinfiammatoria sistemica sbilanciata comprendono shock, deficit di coagulazione33 e sepsi. Tutto ciò è il risultato di una “dissonanza
immunologica”.
1.4.2. Evoluzione verso la sepsi
Come suddetto, la sepsi si verifica quando il rilascio dei fattori proinfiammatori in risposta ad un’infezione va oltre i confini dell’infiammazione localizzata, portando ad una risposta generalizzata24.
La sepsi può essere concetualizzata come un’infiammazione maligna intravascolare34:
Maligna, perchè è incontrollata, sregolata e si auto-mantiene
Intravascolare, perchè il sangue fa diffondere mediatori, che normalmente sono confinati nell’intercellulare, alle interazioni cellula-cellula
Infiammazione, perchè tutte le caratteristiche della sindrome settica sono esagerazioni della normale risposta infiammatoria
I motivi per cui a volte la risposta infiammatoria localizzata si diffonde oltre i confini del focolaio causando sepsi non sono noti. Le cause probabilmente sono multifattoriali, comprendendo quattro possibili meccanismi:
• Effetti legati ai microrganismi: i componenti della parete batterica (endotossine,
peptidoglicani, acido teicoico e lipoteicoico) e i prodotti batterici (enterotossina B dello stafilococco, tossina-1 della sindrome da shock tossico, esotossina A dello Pseudomonas, proteina dello Streptococco Beta Emolitico di Gruppo A) possono contribuire alla progressione dell’infezione localizzata in sepsi35.
• Eccesso di mediatori proinfiammatori: TNFa, IL-1 ecc possono diffondere nel torrente
circolatorio contribuendo anch’essi alla progressione. Il TNF ha un ruolo importante, e alti livelli di TNF derivano dal legame dell’endotossina batterica al lipopolisaccaride (LPS)-binding protein e al suo successivo trasferimento sul CD14 dei macrofagi, che li stimola a secernere TNFs.
• Attivazione complementare: la cascata complementare consiste in un’attivazione a
catena di proteine, il cui ruolo è quello di eliminare i microrganismi. Il suo ruolo è così importante che l’inibizione complementare riduce l’infiammazione e migliora la mortalità nei modelli animali36-37.
• Suscettibilità genetica: ci sono variabili genetiche associate ad un maggior rischio di
sepsi, la più comune è il polimorfismo del singolo nucleotide (SNP). SNP è una sostituzione stabile di singole basi disseminata in tutto il genoma, comprese sequenze promotrici e regolatrici, presente nell’1% della popolazione. SNP è utilizzato anche come marker genetico, e la sua presenza aumenta la suscettibilità alle infezioni e peggiora l’outcome. Ci sono SNP di geni che codificano per citochine (es TNF, IL-1-R, IL-6 ecc), ACE, heat shock proteins, PAI (inibitore dell’attivatore tissutale del plasminogeno), caspasi ecc38.
13
1.4.3. Effetti sistemici della sepsi
Quando la risposta immune diventa generalizzata, si ha un danno cellulare diffuso, che è l’anticamera del danno d’organo. I meccanismi del danno cellulare sono ignoti, ma si ipotizza che siano coinvolti:
- Ischemia tissutale (squilibrio tra apporto e richieste di ossigeno e metaboliti): questa è dovuta a lesioni del microcircolo (risultanti dallo squilibrio tra sistema coagulativo e sistema fibrinolitico, entrambi attivati durante la sepsi) e lesioni endoteliali (conseguenti all’interazione tra cellule endoteliali e PMN, che induce la produzione di ROS, enzimi litici e sostanze vasoattive che danneggiano l’endotelio vascolare). Anche il lipopolisaccaride (LPS) può determinare la distruzione del citoscheletro e dell’integrità della barriera endoteliale microvascolare39. Un’altro fattore che contribuisce all’ischemia durante la sepsi è il fatto
che gli eritrociti ed i neutrofili perdono la loro capacità di deformarsi all’interno dei vasi del microcircolo40,41. La rigidità di queste cellule determina una riduzione del flusso ematico ai
tessuti.
- Danno citopatico diretto: i mediatori proinfiammatori (soprattutto TNFa e NO) possono causare disfunzione mitocondriale sepsi-indotta attraverso vari meccanismi, che comprendono inibizione diretta dei complessi respiratori enzimatici (con alterazione della catena di trasporto mitocondriale di elettroni), danno da stress ossidativo, rottura del DNA mitocondriale42, distruzione o disfunzione della membrana mitocondriale interna e delle
proteine della matrice mitocondriale e degenerazione dell’ultrastruttura mitocondriale43.
Quindi il danno e la morte cellulare nella sepsi hanno una spiegazione nella “anossia citopatica o istotossica”, ovvero nell’incapacità di utilizzare l’ossigeno anche quando questo è presente24, e la crisi energetica mitocondriale può essere coinvolta nella disfunzione
d’organo, anche in assenza di morte cellulare44.
Il danno mitocondriale è considerato talmente importante nella patogenesi della sepsi che la “biogenesi mitocondriale”, ovvero il processo di riparazione e rigenerazione di tale danno, potrebbe essere un target terapeutico avanzato45.
- Alterazione dell’apoptosi: l’apoptosi è il processo fisiologico di morte cellulare programmata, attraverso la quale le cellule senescenti o malfunzionanti vengono eliminate, con cui normalmente si conclude un processo infiammatorio.
Durante la sepsi, le citochine proinfiammatorie possono ritardare la morte cellulare programmata dei macrofagi e neutrofili attivati, prolungando quindi la risposta infiammatoria e contribuendo allo sviluppo di MOF. Inoltre la sepsi induce l’apoptosi di cellule linfocitiche e dendritiche, e ciò altera l’efficacia della risposta immunitaria (immunosoppressione) riducendo la clearance dei microrganismi. Studi osservazionali e su animali hanno infatti dimostrato che un eccesso di infiammazione può essere seguito da immunosoppressione46,che ha una rilevanza clinica notevole.
14
1.5. Organi bersaglio
Il danno cellulare sopra descritto spesso progredisce verso la disfunzione e l’insufficienza d’organo. Praticamente nessun organo è protetto dalle conseguenze della sepsi, e la MOF è una conseguenza comune24.
Tuttavia possiamo individuare una serie di organi che sono più spesso colpiti.
1.5.1. Sistema cardiocircolatorio
La disfunzione circolatoria che si ha nella sepsi ha la sua manifestazione più grave nell’ipotensione, verosimilmente dovuta al rilascio massivo di mediatori vasoattivi (NO e prostaciclina), prodotti dalle cellule endoteliali. Lo scopo della vasodilatazione è quello di aumentare la disponibilità di ossigeno per migliorare l’autoregolazione metabolica24.
Il NO sembra avere un ruolo centrale nella vasodilatazione che accompagna lo shock settico per vari motivi: la NO-sintetasi endoteliale e del muscolo liscio viene stimolata dalle endotossine47,
poi il NO deprime l’autoregolazione metabolica a tutti i livelli del circolo (macrocircolo o circolazione centrale, circolazione regionale e microcircolo), e inoltre il NO può determinare un danno centrale a livello del centro di regolazione autonomico48.
Un altro fattore che può contribuire alla persistenza di vasodilatazione durante la sepsi è il deficit di secrezione compensatoria di ormone antidiuretico (vasopressina), che in generale è un fattore che migliora l’emodinamica; questo dato è supportato dall’osservazione di più bassi livelli di vasopressina nei pazienti con shock settico rispetto a quelli con shock cardiogeno49.
Un’altra causa di ipotensione durante la sepsi è la ridistribuzione del liquido intravascolare, conseguenza dell’aumento della permeabilità endoteliale.
Oltre a tutti questi effetti circolatori diffusi, la sepsi ha anche effetti localizzati sul circolo:
- A livello del circolo centrale (cuore e grandi vasi) una delle prime manifestazioni della sepsi è la riduzione della performance sistolica e diastolica ventricolare, dovuta al rilascio di sostanze inibenti il miocardio50,51. Nonostante ciò, può essere sempre messo in gioco il
meccanismo di Frank-Starling per aumentare l’output cardiaco, che permette di mantenere la pressione arteriosa in presenza di vasodilatazione sistemica. Questo meccanismo è difficoltoso nei pazienti con preesistenti malattie cardiache, soprattutto se anziani24.
- A livello del circolo regionale (piccoli vasi e vasi viscerali) si ha incapacità di distribuire appropriatamente il flusso tra gli organi, in particolare dagli organi splancnici agli organi vitali (cuore ed encefalo) quando il delivery dell’ossigeno è ridotto52.
- Il microcircolo (capillari) è il target più importante della sepsi: si ha una riduzione del numero di capillari funzionanti, quindi della densità capillare, che riduce l’estrazione totale di ossigeno53-54-55. Questo può essere dovuto alla compressione capillare estrinseca
dipendente dall’edema tissutale o alla stasi all’interno del lume del capillare di leucociti ed eritrociti che hanno perso la loro normale deformabilità24.
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- Anche a livello endoteliale la sepsi determina danni che sono stati precedentemente esposti: alterazioni della coagulazione, riduzione della deformabilità cellulare ecc.
1.5.2. Polmone
Il danno della membrana alveolo-capillare durante la sepsi inizia e si amplifica con l’intrappolamento dei neutrofili nel microcircolo polmonare: il risultato è un aumento della permeabilità del microcircolo, con conseguente edema interstiziale e poi alveolare56, che
determina un mismatch ventilatorio-perfusionale e quindi ipossiemia. La manifestazione clinica risultante è la Sindrome da Distress Respiratorio Acuto (ARDS).
1.5.3. Tratto gastroenterico
I meccanismi della sepsi possono alterare la funzione della barriera intestinale e, aumentandone la permeabilità, favorire la traslocazione batterica ed endotossica dal tratto gastrointestinale al torrente circolatorio56. L’aumentata permeabilità gastrointestinale è
predittiva di MOF57,58.
1.5.4. Rene
La sepsi è spesso accompagnata da insufficienza renale acuta, ma il meccanismo sottostante non è completamente compreso. Un meccanismo possibile è la Necrosi Tubulare Acuta conseguente all’ipoperfusione e/o ipossiemia sistemica56. Tuttavia possono contribuire anche la
vasocostrizione intrarenale diretta, il rilascio di citochine e l’attivazione dei neutrofili da parte delle endotossine59.
È tuttora dibattuto il ruolo di una terapia sostitutiva renale continuativa, che supporterebbe la funzione renale da un lato e l’immunomodulazione dall’altro60,61,62: sembra che, se iniziata
precocemente, sia associata ad una migliore emodinamica e ad un miglior outcome63. È stato
anche osservato che i pazienti settici che sviluppano insufficienza renale hanno una maggiore probabilità di morte, ma non si conosco bene i meccanismi alla base24.
1.5.5. Sistema nervoso
Le complicanze a livello del sistema nervoso centrale nei pazienti settici sono molto frequenti, e spesso più precoci di quelle che colpiscono gli altri organi. La più comune comprende l’alterazione del sensorio (encefalopatia).
La patogenesi dell’encefalopatia è stata scarsamente definita: sono stati osservati microascessi cerebrali in uno studio, ma l’infezione ematogena come meccanismo principale è incerta24. Le
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signaling intracellulare, dovute ai mediatori infiammatori. Probabilmente contribuisce anche la disfunzione della barriera emato-encefalica, che facilita l’infiltrazione leucocitaria, l’esposizione a mediatori tossici e il trasporto attivo di citochine attraverso la barriera64.
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1.6. Fattori di Rischio
I fattori di rischio per sepsi comprendono20:
- Ammissione in Unità di Terapia Intensiva: approssimativamente il 50% dei pazienti in UTI hanno infezioni nosocomiali e di conseguenza sono intrinsecamente ad alto rischio di sviluppare sepsi66.
- Essere portatori di un dispositivo invasivo (PVC/CVC, catetere vescicale, intubazione ecc) - Batteriemia: i pazienti con batteriemia sviluppano spesso le conseguenze sistemiche di
un’infezione.
- Età: il rischio di sepsi in base all’età ha una distribuzione bimodale, con un aumento dell’incidenza nei bambini molto piccoli, un decremento nell’infanzia/adolescenza e nuovamente un aumento negli adulti, con incidenza notevolmente più elevata negli anziani (≥ 65 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎)67; inoltre l’età anziana è un fattore predittivo indipendente di mortalità
associata alla sepsi; i pazienti anziani che muoiono per sepsi, tendono a morire precocemente durante l’ospedalizzazione68.
- Sesso: il sesso maschile è associato ad una più alta incidenza di sepsi67.
- Razza: negli USA la razza nera è associata ad un rischio raddoppiato di sviluppare sepsi rispetto a quella bianca; questa disparità si accentua nella fascia di età compresa tra 35 e 44 anni. Queste differenze potrebbero essere dovute al fatto che nella razza nera c’è una maggiore incidenza di comorbilità che predispongono a sepsi, ad esempio diabete mellito, HIV, insufficienza renale cronica, potus; i bianchi invece hanno più frequentemente patologie polmonari e cancro67.
- Immunosoppressione, dovuta per esempio a neoplasie ematologiche, insufficienza renale, insufficienza epatica, AIDS, ipo/asplenismo e trattamenti immunosoppressivi69.
- Diabete mellito: determina alterazioni del sistema immunitario, con aumento del rischio di sepsi.
- Polmonite acquisita in comunità: in questi pazienti la sepsi compare nel 48% dei casi e lo shock settico nel 5% dei casi rispettivamente70.
- Altre comorbilità, ad esempio insufficienza cardiaca, patologie polmonari croniche ecc67.
- Precedenti ospedalizzazioni: si ritiene che l’ospedalizzazione induca un’alterazione del microbioma umano, soprattutto in quei pazienti che vengono trattati con terapia antibiotica. Le ospedalizzazioni sono associate ad un rischio triplicato di sviluppare sepsi nei 90 giorni successivi al ricovero71. Quelli a maggior rischio di tutti sono i pazienti ricoverati
per patologie infettive, specialmente da Clostridium difficile20.
- Predisposizione genetica.
- Localizzazione geografica e stagionalità: maggiore incidenza di infezioni respiratorie in inverno67.
Identificare e prevenire i fattori di rischio per sepsi, data l’elevata mortalità e morbilità della malattia, è estremamente importante.
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1.7. Eziologia
Sono stati individuati sei siti di infezione più comuni associati a sepsi: si possono avere infezioni polmonari, infezioni del torrente circolatorio (compresa l’endocardite infettiva), la sepsi correlata a cateteri intravascolari, infezioni endo-addominali, l’urosepsi, l’infezione delle ferite chirurgiche72 e dei tessuti molli, e poi più raramente possiamo avere endocarditi, infezioni del
sistema nervoso centrale e altre infezioni non specificate.
Per quanto riguarda la polmonite, che è la sede di partenza più frequente, la diagnosi clinica richiede la presenza di un infiltrato parenchimale alla radiografia, col sospetto che l’infiltrato sia causato da un’infezione; tale sospetto può essere avvalorato dalla misurazione della temperatura corporea (febbre), della conta leucocitaria (leucocitosi), della saturazione dell’ossigeno, dalla presenza e dal grado di purulenza dell’espettorato e dall’analisi del liquido di lavaggio broncoalveolare73,74.
Le infezioni del torrente circolatorio sono responsabili del 30-40% dei casi di sepsi e shock settico72, e possono essere forme primarie (di origine non nota) in pazienti che non hanno una
causa identificabile d’infezione, e forme secondarie ad una forma infettiva individuata75. In
verità questa percentuale è verosimilmente una sottostima, perchè in un recente studio sono risultate positive il 60% delle emocolture eseguite in pazienti con sepsi76.
Un recente studio francese ha evidenziato che i principali batteri presenti nelle emocolture sono lo Streptococcus pneumoniae (17,4%), lo Staphylococcus aureus (15,8%, di cui 11,6% meticillino-sensibile e 4,2% meticillino-resistente), i Bacilli Gram- (43,2%), di cui Escherichia coli (15,8%), Klebsiella pneumoniae (5,3%) e Pseudomonas aeruginosa (8,4%, di cui 4,7% ticarcillina-sensibile e 3,7% ticarcillina-resistente), gli anaerobi (3,7%) e la candida (2,6%)77.
L’endocardite infettiva rappresenta la causa dell’1% di tutti i casi di sepsi, ed è associata ad un tasso di mortalità del 33%78.
Per quanto riguarda la diagnosi di infezione correlata a cateteri intravascolari, si tratta di una diagnosi di esclusione basata sulla conferma data dall’esame colturale e sulla dimostrazione che non esiste un’altra sede di partenza della sepsi. La probabilità di tale evento è maggiore quando i cateteri rimangono in sede per minimo 7 giorni, e clinicamente può essere sospettato dalla presenza di un arrossamento o indurimento nel sito del catetere, di cellulite lungo il tratto sottocutaneo del catetere e di pus a livello della soluzione di continuo75.
Le infezioni addominali si dividono in:
- forme retroperitoneali, che di solito hanno un decorso più indolente.
- Infezioni di organi solidi, come milza e fegato, che sono controllabili con tecniche miniinvasive.
- Infezioni dei visceri intraperitoneali, con possibile peritonite che può essere secondaria per esempio a ostruzione o perforazione di un’ansa intestinale. In questi casi i batteri infettanti provengono dalla flora saprofita intestinale. Nel caso della peritonite terziaria, ovvero quella forma di peritonite che persiste per oltre 48 hh (nonostante l’apparente controllo di una forma di peritonite primaria o secondaria), possiamo avere una flora infettante
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nosocomiale caratterizzata da Stafilococchi coagulasi-negativi, Candida, Enterococchi, Pseudomonas ed Enterobacter75.
Per quanto riguarda l’urosepsi, ci sono pochi studi in letteratura sulla correlazione tra infezioni delle vie urinarie (IVU) e pazienti delle UTI con sespsi o shock settico; sebbene le IVU batteriche e la candiduria siano molti comuni sia in pazienti con catetere vescicale che senza, la loro importanza come fonte primaria di sepsi e shock settico rimane non chiara75.
Le infezioni della cute e dei tessuti molli sono abbastanza comuni, e comprendono uno spettro di condizioni di diversa gravità clinica, dalla cellulite focale con sintomi lievi alle infezioni necrotizzanti gravate da elevata mortalità e morbilità. Queste possono insorgere spontaneamente, o essere secondarie ad un trauma evidente o inapparente, ad un’ustione o ad infezione di una ferita chirurgica. L’ispezione diretta del tessuto colpito spesso permette di fare diagnosi, e risulta molto utile prelevare del materiale, soprattutto se purulento, per l’esame colturale e l’antibiogramma75.
Se poniamo l’attenzione sui batteri in causa, possiamo dire che fino alla fine degli anni ottanta i bacilli Gram- (Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella pneumonia) avevano una prevalenza maggiore rispetto ai Gram+; negli ultimi decenni, invece, i più comuni germi isolati con le emocolture risultano essere i cocchi Gram+.
Infine, in uno studio del 2003 è stato visto che i patogeni più frequentemente associati a shock settico o morte sono Escherichia coli, Staphylococcus aureus e Streptococcus pneumoniae79,80.
20
1.8. Clinica
I pazienti con sepsi si presentano ipotesi, tachicardici, febbrili e con leucocitosi, e, oltre ai segni di danno d’organo (oliguria, danno renale acuto, alterazione dello stato mentale), possono comparire segni di shock2,81. È importante sottolineare che la presentazione clinica può non
essere specifica, entrando in diagnosi differenziale con altre condizioni20.
1.8.1. Sintomi e segni
Comprendono:
- Sintomi e segni specifici della sede d’infezione: ad esempio tosse e dispnea possono far sospettare una polmonite, oppure dolore ed essudato purulento nella sede di una ferita chirurgica possono essere i segnali di un ascesso sottostante
- Ipotensione arteriosa, definita come pressione arteriosa sistolica < 90 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚, pressione arteriosa media < 70 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 oppure un decremento della pressione arteriosa sistolica > 40 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 rispetto al valore abituale per quel paziente
- Temperatura > 38,3°𝐶𝐶 o < 36°𝐶𝐶
- Frequenza cardiaca > 90 𝑏𝑏𝑎𝑎𝑏𝑏𝑏𝑏𝑎𝑎𝑏𝑏𝑎𝑎/𝑚𝑚𝑎𝑎𝑎𝑎 oppure 2 deviazioni standard al di sopra del normale valore misurato per età (tachicardia)
- Frequenza respiratoria > 20 𝑎𝑎𝑏𝑏𝑏𝑏𝑎𝑎 𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑎𝑎𝑟𝑟𝑎𝑎𝑏𝑏𝑚𝑚𝑟𝑟𝑎𝑎/𝑚𝑚𝑎𝑎𝑎𝑎 (tachipnea)20
Quando la sepsi tende a progredire verso la MOF, vediamo i segni di un’ipoperfusione d’organo:
- Cute fredda e cianotica, perchè il sangue, tramite la vasocostrizione distrettuale, viene direzionato verso gli organi vitali sacrificando il distretto cutaneo; in particolare, l’aumentato tempo di riempimento capillare, la cianosi e la presenza di aree di cute marezzata sono indicativi di shock
- Alterazione dello stato mentale, con ottundimento o agitazione - Oligo/anuria
- Ileo paralitico con silenzio peristaltico addominale
Questi segni possono essere alterati da malattie preesistenti o da terapie in corso, ad esempio i pazienti che fanno beta-bloccanti possono non avere una tachicardia proporzionata alla caduta della pressione sanguigna; al contrario, pazienti giovani possono sviluppare una tachicardia grave e prolungata e non diventare ipotesi, oppure pazienti ipertesi possono sviluppare un’ipotensione critica pur essendo a livelli pressori più elevati di un paziente normale (ipotensione relativa).
1.8.2. Segni laboratoristici
Sono molto aspecifici e comprendono:
- Leucocitosi (𝑊𝑊𝑊𝑊𝐶𝐶 > 12.000/µ𝐿𝐿) o leucopenia (𝑊𝑊𝑊𝑊𝐶𝐶 < 4.000/µ𝐿𝐿) - Conta dei globuli rossi normale con un aumento delle cellule immature
21
- Iperglicemia (glucosio plasmatico > 140 𝑚𝑚𝑚𝑚/𝑑𝑑𝐿𝐿 o > 7,7 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚/𝑚𝑚) in assenza di diabete - Aumento della Proteina C Reattiva
- Ipossiemia arteriosa (𝑃𝑃𝑎𝑎𝑃𝑃2/𝐹𝐹𝑎𝑎𝑃𝑃2 < 300)
- Oliguria acuta (𝑚𝑚𝑜𝑜𝑏𝑏𝑟𝑟𝑜𝑜𝑏𝑏 𝑜𝑜𝑟𝑟𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑟𝑟𝑎𝑎𝑚𝑚 < 0,5 𝑚𝑚𝐿𝐿/𝐾𝐾𝑚𝑚/ℎℎ) nonostante adeguato rimpiazzo volemico
- Aumento della creatininemia di entità > 0,5 𝑚𝑚𝑚𝑚/𝑑𝑑𝐿𝐿 o > 44,2 µ𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚/𝐿𝐿 - Anomalie della coagulazione (𝐼𝐼𝐼𝐼𝐼𝐼 > 1,5 𝑚𝑚 𝑎𝑎𝑃𝑃𝑎𝑎𝑎𝑎 > 60 𝑟𝑟𝑟𝑟𝑠𝑠𝑚𝑚𝑎𝑎𝑑𝑑𝑎𝑎) - Trombocitopenia (𝑃𝑃𝐿𝐿𝑎𝑎 < 100.000/µ𝐿𝐿)
- Iperbilirubinemia (𝑏𝑏𝑎𝑎𝑚𝑚𝑎𝑎𝑟𝑟𝑜𝑜𝑏𝑏𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑏𝑏𝑚𝑚𝑏𝑏𝑎𝑎𝑚𝑚𝑟𝑟 > 4 𝑚𝑚𝑚𝑚/𝑑𝑑𝐿𝐿 o > 70 µ𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚/𝐿𝐿) - Possibile iponatremia ed iperkalemia
- Aumento dei lattati (𝑚𝑚𝑎𝑎𝑏𝑏𝑏𝑏𝑎𝑎𝑏𝑏𝑎𝑎 > 2𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚/𝐿𝐿): la misurazione della lattacidemia è una componente importante della valutazione iniziale, in quanto un aumento dei lattati sierici si associa ad una prognosi peggiore81,82
- Aumento della procalcitonina plasmatica
Per quanto riguarda l’imaging, non abbiamo esami specifici che ci permettano di identificare la sepsi, eccetto quei casi in cui l’imaging permette la diagnosi d’infezione in un sito specifico (ad esempio una radiografia del torace per individuare una polmonite, una TC addome per infezioni localizzate ecc).
Gli esami microbiologici, in un paziente che soddisfa i criteri di sepsi, possono essere di supporto nella diagnosi ma non sono necessari ai fini della stessa; il razionale di questa affermazione consiste nel fatto che non si può aspettare la positività di una coltura per decidere di iniziare il trattamento antibiotico empirico83,84. L’esame colturale è comunque estremamente
utile e va eseguito per individuare i germi causali e gli antibiotici a cui questi sono più responsivi.
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1.9. Diagnosi
Data la gravità della sepsi sia in termini di mortalità che di morbilità, è fondamentale riuscire a diagnosticare questa condizione il più precocemente possibile, e soprattutto fare un attento screening dei pazienti a rischio di sepsi, ad esempio pazienti che abbiano un’infezione o una batteriemia20,81. La diagnosi di sepsi è prevalentemente clinica.
1.9.1. Diagnosi di sepsi
I criteri diagnostici di Sepsis-3 per la sepsi comprendono: - Presenza di infezione sospetta o accertata + SOFA≥ 2
Il SOFA è uno score che è stato inizialmente messo a punto per valutare la gravità di disfunzione d’organo in pazienti settici critici85. Ma dal momento che la MOFS è comune anche nei pazienti
critici non settici, il SOFA è stato poi usato per predire la mortalità nei pazienti con insufficienza d’organo dovuta a cause diverse, tra cui l’insufficienza epatica acuta, l’insufficienza epatica cronica, il cancro, la cardiochirurgia ecc86,87,88,89,90,91.
Gli elementi del SOFA comprendono delle semplici misure, sia cliniche che laboratoristiche, della funzionalità degli organi più importanti:
- Funzione respiratoria, valutata attraverso il rapporto tra PaO2 e FiO2
- Funzione cardiovascolare, valutata attraverso il dosaggio dei farmaci vasoattivi necessari per prevenire l’ipotensione
- Funzione epatica, valutata attraverso il dosaggio della bilirubinemia - Funzione coagulativa, valutata attraverso la conta piastrinica - Funzione neurologica, valutata attraverso il Glasgow Coma Scale
- Funzione renale, valutata attraverso la creatininemia e l’output urinario
Lo score (fig. 1.9.) viene calcolato dopo 24 ore dall’ammissione in un’Unità di Terapia Intensiva, quindi viene ripetuto ogni 48 ore (ecco perchè “Sequential”); il senso è quello di predire la mortalità dei pazienti ricoverati in UTI.
La Task Force del 2016 ha introdotto anche uno score applicabile ai pazienti al di fuori delle Unità di Terapia Intensiva, per facilitare e velocizzare l’identificazione di un potenziale rischio di morte per sepsi10,11,14: si tratta del quick SOFA score, una versione modificata del Sequential
(Sepsis-related) Organ Failure Assessment (SOFA) score. Un quick SOFA score≥ 2 𝑟𝑟𝑜𝑜𝑎𝑎𝑏𝑏𝑎𝑎 è associato ad un outcome peggiore dovuto a sepsi. È un punteggio facile da calcolare, perchè consta di 3 elementi, ciascuno dei quali è prontamente identificabile al letto del paziente:
- Frequenza respiratoria > 22 𝑎𝑎𝑏𝑏𝑏𝑏𝑎𝑎 𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑎𝑎𝑟𝑟𝑎𝑎𝑏𝑏𝑚𝑚𝑟𝑟𝑎𝑎/𝑚𝑚𝑎𝑎𝑎𝑎𝑜𝑜𝑏𝑏𝑚𝑚 - Glasgow Coma Scale < 13
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1.9.2. Diagnosi di shock settico
I criteri diagnostici per lo shock settico comprendono:
• PAS < 90 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 o PAM < 70 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 o decremento > 40 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 della PAS rispetto ai valori di PA abituali (paziente iperteso), nonostante un adeguato rimpiazzo volemico * • Necessità di somministrare farmaci vasopressori per mantenere la PAS > 90 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 o la
PAM > 70 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 nonostante un adeguato rimpiazzo volemico*
• Lattacidemia > 4 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚/𝐿𝐿 in assenza di ipotensione (shock settico “criptico”) nonostante un adeguato rimpiazzo volemico*
*per adeguato rimpiazzo volemico si intende un carico idrico di 30mL/kg di cristalloidi effettuato in uno o più boli in massimo 30-60 minuti.
In ultima analisi, per inquadrare tempestivamente un paziente con sepsi bisogna iniziare fin dalla fase del triage con una rapida valutazione anamnestica ed obiettiva. In Pronto Soccorso il “pannello sepsi” dovrebbe prevedere un pool di esami che comprenda: emocromo con formula leucocitaria, coagulazione (pT, pTT ed eventualmente fibrinogeno), creatininemia, uremia, glicemia ed elettroliti sierici, bilirubinemia totale e diretta, AST/ALT, LDH, PCR, PCT . Durante la visita medica iniziale è importante eseguire:
- Una valutazione anamnestica e obiettiva completa (comprensiva di GCS)
- Misurazione dei parametri vitali (Frequenza Cardiaca, Frequenza Respiratoria, misura incruenta della Pressione Arteriosa Sistolica, Media e Diastolica, Saturazione Arteriosa dell’O2 con pulsossimetro e Temperatura corporea)
- Prelievi ematici per valutare: emocromo, funzionalità renale, pancreatica ed epatica, coagulazione, indici di flogosi
- Esame emogasanalitico con dosaggio dei lattati: i lattati sono il prodotto della glicosi anaerobia che si attiva negli stati di ipossia ed ipoperfusione tissutale; il livello di lattati e la clearance, ovvero la loro misurazione seriata entro 4 ore, sono correlati con la prognosi, l’outcome dei pazienti settici e la risposta alla terapia. Maggiore è la clearance dei lattati e migliore è la sopravvivenza92.
- Segni clinici cutanei di alterazione della perfusione e del riempimento capillare
- Emocolture, importanti da eseguire prima dell’inizio della terapia antibiotica empirica; gli esami colturali dovrebbero in realtà prendere in considerazione anche altri potenziali siti d’infezione, purchè questo non comporti un ritardo sostanziale nell’avvio della terapia antimicrobica: quindi oltre al sangue potrebbero essere inclusi nell’indagine colturale anche il liquido cerebrospinale, le urine (soprattutto nei pazienti che sono già portatori di catetere vescicale o che hanno alterazioni della diuresi), i tamponi cutanei da ferite chirurgiche o ulcere infette, le secrezioni respiratorie (espettorato e liquido di lavaggio broncoalveolare) e altri fluidi corporei che possano essere raccolti senza eseguire indagini invasive. La decisione riguardo a quale sito scegliere per il prelievo di materiale biologico da inviare all’esame colturale richiede un’attenta valutazione da parte del team che ha in cura il paziente, ma in generale sono sconsigliate le “pancolture”81.
- Utilizzo del dosaggio dell’1-3-β-D-glucano (BDG), del mannano e degli anticorpi anti-mannano (se disponibili) quando c’è il sospetto di una candidosi invasiva come causa di infezione
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- Monitoraggio della diuresi mediante posizionamento di catetere vescicale se il paziente non è in grado di urinare spontaneamente: la diuresi è un importante indicatore della perfusione renale e dei parenchimi in generale (valori inferiori a 0,5 mL/Kg/hh indicano deficit perfusionale)
- Eventuali indagini diagnostiche per supportare la ricerca del sito di infezione (Rx torace, Eco addome, Tc ecc)
- Ruolo dei biomarker nelle infezioni: negli ultimi anni la ricerca si è impegnata per trovare dei marker umorali che fossero capaci di identificare con certezza un’infezione, ma ad oggi non è stato identificato il marcatore ideale verosimilmente per via del complesso quadro fisiopatologico della sepsi93. Tra i marcatori studiati vi sono: la conta leucocitaria (marker
aspecifico, incapace di distinguere gli stati infiammatori sistemici dagli stati settici), la VES, la Proteina C Reattiva (PCR, anch’essa aspecifica e non in grado di distinguere un’infiammazione da un’infezione), la procalcitonina (PCT), infine altri marcatori di più recente scoperta (suPAR, TREM1 e presepsina), ma in generale la valutazione dei markers ha validità solo se inserita in una valutazione clinica di più ampio raggio. I markers infiammatori possono supportare la diagnosi clinica, ma non “fanno” la diagnosi, in quanto non sono in grado di distinguere tra uno stato infiammatorio acuto e uno stato settico. - Si può arrivare ad eseguire un monitoraggio emodinamico più complesso, come frequenza
respiratoria con valutazione ecografica dello stato volemico (vena cava inferiore, ecotorace, ecocardiografia), misura cruenta della pressione arteriosa ecc.
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1.10. Terapia
Le nostre armi per sconfiggere la sepsi sono rappresentate da tre punti chiave: - La tempestività dell’identificazione dei pazienti con sepsi (diagnosi precoce)
- La tempestività dell’intervento terapeutico (inizio della terapia antibiotica ed infusionale) - L’aderenza degli interventi alle indicazioni delle linee guida della Surviving Sepsis Campaign Questi fattori si sono dimostrati efficaci nel ridurre significativamente la mortalità.
L’aspetto centrale è la tempestività di diagnosi e d’intervento: anche per la sepsi e lo shock settico (così come per l’infarto miocardico acuto, l’ictus e il politrauma) vale il concetto di Golden Hour, ovvero un intervento che deve avvenire entro brevissimo tempo dalla diagnosi per migliorare la sopravvivenza dei pazienti. L’identificazione del paziente durante la “golden hour” è fondamentale, poichè l’inizio precoce del trattamento si correla direttamente e strettamente con una prognosi più favorevole, mentre un ritardo terapeutico nelle prime ore può significare una progressione verso la MOFS94.
In “Surviving Sepsis Campaign: International Guidelines for Management of Sepsis and Septic Shock” del 2016, Rhodes e colleghi forniscono delle line guida al clinico che ha in cura pazienti adulti con sepsi o shock settico, ma queste non dovrebbero sostituirsi alla capacità discriminatoria del medico curante.
I concetti chiave sono esposti di seguito.
Appropriata rianimazione emodinamica precoce: la sepsi e lo shock settico sono emergenze mediche che richiedono innanzitutto una terapia infusionale tempestiva, cruciale per ottenere la stabilizzazione dell’ipoperfusione tissutale correlata alla sepsi. Le linee guida raccomandano, per contrastare gli effetti dell’ipotensione, l’infusione rapida di almeno 30 𝑚𝑚𝐿𝐿/𝐾𝐾𝑚𝑚 di cristalloidi endovenosi entro le prime 3 ore81 in boli
successivi da 500 𝑚𝑚𝐿𝐿 ciascuno. I boli possono essere ripetuti in base alla risposta e alla tolleranza del paziente. La correzione degli squilibri emodinamici può richiedere l’ulteriore somministrazione di boli fino a 60 𝑚𝑚𝐿𝐿/𝐾𝐾𝑚𝑚. Una cosa fondamentale in questi pazienti è l’esecuzione di un attento monitoraggio dei parametri vitali in maniera continuativa, per controllare la risposta al trattamento.
Somministrazione di farmaci vasoattivi: è indicata se persistono indici di inadeguata perfusione tissutale anche dopo appropriato reintegro volemico.
Le linee guida raccomandano la noradrenalina come prima scelta. È possibile aggiungere alla noradrenalina la vasopressina (0.03 U/min) oppure l’adrenalina per riportare la Pressione Arteriosa Media (MAP) al di sopra di 65 mmHg oppure si può aggiungere la vasopressina per ridurre il dosaggio di noradrenalina. È inoltre possibile utilizzare come alternativa la dopamina solo in pazienti altamente selezionati (ad esempio pazienti con basso rischio di tachiaritmie o con bradicardia assoluta o relativa), e soprattutto a basse dosi per non danneggiare la funzione renale81.
Il razionale di questo trattamento è che la norepinefrina aumenta la MAP grazie al suo effetto vasocostrittore, con minimo effetto sulla funzione cardiaca, mentre la dopamina ha un maggior effetto inotropo, quindi aumenta sia la MAP che l’output cardiaco; la
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noradrenalina è più potente ed efficace della dopamina sull’ipotensione, mentre la dopamina è particolarmente utile in pazienti con funzione sistolica compromessa, tenendo presente che determina un maggior rischio di tachiaritmie81.
Per quanto riguarda la vasopressina, è stato osservato che i suoi livelli durante lo shock settico sono ridotti, per cui piccole dosi di vasopressina a breve durata d’azione possono essere utili per aumentare la pressione in pazienti refrattari ad altri farmaci vasopressori49,95. È sconsigliata la somministrazione di vasopressina ad alte dosi, tranne
in quei casi in cui gli altri farmaci hanno fallito, perchè c’è rischio di indurre ischemia del distretto splancnico96.
La somministrazione di inotropi come la dobutamina è indicata in pazienti con segni di disfunzione miocardica (ridotto output cardiaco)81.
Nei casi particolarmente gravi di shock settico è indicata la terapia con vasoattivi anche durante la fase di rianimazione con fluidi.
La Surviving Sepsis Campaign del 2016 sottolinea la necessità di continuare il monitoraggio sia dei parametri vitali sia di altri parametri invasivi e non invasivi, se possibile. A tal proposito è utile ricordare che, secondo le raccomandazioni del 2012, il trattamento infusionale ed emodinamico doveva essere mirato al raggiungimento di specifici obiettivi entro le prime 6 ore:
- 𝑃𝑃𝑃𝑃𝐶𝐶 𝑑𝑑𝑎𝑎 8 − 12 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 - 𝑃𝑃𝑃𝑃𝑃𝑃 > 65 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚
- 𝑑𝑑𝑎𝑎𝑜𝑜𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑎𝑎 > 0,5 𝑚𝑚𝐿𝐿/𝐾𝐾𝑚𝑚/ℎℎ
- 𝑟𝑟𝑎𝑎𝑏𝑏𝑜𝑜𝑟𝑟𝑎𝑎𝑠𝑠𝑎𝑎𝑚𝑚𝑎𝑎𝑟𝑟 𝑣𝑣𝑟𝑟𝑎𝑎𝑚𝑚𝑟𝑟𝑎𝑎 𝑠𝑠𝑟𝑟𝑎𝑎𝑏𝑏𝑟𝑟𝑎𝑎𝑚𝑚𝑟𝑟 𝑑𝑑𝑟𝑟𝑚𝑚𝑚𝑚′𝑚𝑚𝑟𝑟𝑟𝑟𝑎𝑎𝑚𝑚𝑟𝑟𝑎𝑎𝑚𝑚 (𝑆𝑆𝑃𝑃𝑃𝑃2) > 70%
- 𝑠𝑠𝑚𝑚𝑟𝑟𝑎𝑎𝑟𝑟𝑎𝑎𝑎𝑎𝑠𝑠𝑟𝑟 𝑑𝑑𝑟𝑟𝑚𝑚 𝑚𝑚𝑎𝑎𝑏𝑏𝑏𝑏𝑎𝑎𝑏𝑏𝑚𝑚
- miglioramento del riempimento vascolare valutato attraverso il monitoraggio
ecografico della vena cava
- miglioramento dei segni clinici di ipoperfusione cutanea19
E’ lo stato di riempimento vascolare ad influenzare la perfusione e quindi l’ossigenazione tissutale: se questo si altera, abbiamo i presupposti per un danno d’organo e uno shock. Per valutare lo stato di riempimento sarà necessario innanzitutto considerare la clinica del paziente (parametri vitali, diuresi, sensorio, turgore delle giugulari, edemi periferici, edema polmonare ecc), e secondariamente procedere a metodiche incruente o cruente (monitoraggio della PVC). Tra le metodiche non cruente abbiamo l’ecografia, che permette di distinguere il paziente “vuoto” dal paziente “pieno”. Esiste infatti una correlazione tra diametro della vena cava inferiore (VCI), indice di collassabilità della VCI e PVC:
- classifichiamo come “vuoto” il paziente che ha un 𝑑𝑑𝑎𝑎𝑎𝑎𝑚𝑚𝑟𝑟𝑏𝑏𝑟𝑟𝑚𝑚 𝑑𝑑𝑟𝑟𝑚𝑚𝑚𝑚𝑎𝑎 𝑃𝑃𝐶𝐶𝐼𝐼 < 15 𝑚𝑚𝑚𝑚, completo collasso durante l’inspirazione e 𝑃𝑃𝑃𝑃𝐶𝐶 < 5 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚
- classifichiamo come “pieno” il paziente con 𝑑𝑑𝑎𝑎𝑎𝑎𝑚𝑚𝑟𝑟𝑏𝑏𝑟𝑟𝑚𝑚 𝑑𝑑𝑟𝑟𝑚𝑚𝑚𝑚𝑎𝑎 𝑃𝑃𝐶𝐶𝐼𝐼 > 25 𝑚𝑚𝑚𝑚, collasso assente durante l’inspirazione e 𝑃𝑃𝑃𝑃𝐶𝐶 𝑑𝑑𝑎𝑎 15 − 20 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚97,98
Un altro aspetto utile dell’ecografia consiste nella valutazione dell’imbibizione polmonare. L’ecocardiografia consente invece di valutare le dimensioni e la performance ventricolare, la gittata sistolica e la frazione d’eiezione. Sicuramente in
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questi pazienti può essere riscontrata un’iniziale disfunzione diastolica, che progredisce man mano verso una disfunzione sistolica99.
Ossigenoterapia: la somministrazione di ossigeno supplementare contribuisce a
migliorare il trasporto di ossigeno, correggendo la desaturazione arteriosa. L’obiettivo del trattamento è avere una saturazione arteriosa > 94%
Adeguata terapia antibiotica precoce: prima di iniziare la terapia antibiotica, le linee guida raccomandano di eseguire appropriati esami colturali nei pz con sospetta sepsi o shock settico, tenendo presente che, nel caso in cui questo non sia possibile, la terapia antibiotica non deve essere ritardata oltre i 45 minuti. Il razionale di questa indicazione è che la somministrazione di antibiotici riduce la positività degli esami colturali. Tra gli accertamenti microbiologici è fondamentale eseguire delle emocolture per la ricerca di aerobi e anaerobi81: devono essere fatte almeno due emocolture il più precocemente
possibile da due accessi venosi periferici a distanza di 30 minuti, annotando l’orario di esecuzione. Se il paziente è portatore di CVC da più di 48 ore e non ha un sito d’infezione clinicamente evidente e c’è il sospetto di infezione associata al catetere, è necessario ottenere un’emocoltura dal catetere e simultaneamente un’emocoltura da un accesso periferico81.
La terapia antibiotica deve essere somministrata per via endovenosa entro 1 ora dall’identificazione della sepsi o shock settivo. Ogni ora di ritardo si associa ad un significativo aumento della mortalità100,101.
La scelta della terapia antibiotica empirica si basa su criteri anamnestici, clinici ed epidemiologici, e inizialmente deve essere a spettro sufficientemente ampio da includere tutti i più probabili patogeni: verrano scelti quindi uno o più farmaci ad ampio spettro d’azione attivi contro batteri Gram+ e Gram- e/o funghi (Candida), ai dosaggi efficaci raccomandati e con caratteristiche farmacocinetiche che garantiscano la penetrazione nei focolai di infezione presenti81.
La terapia antibiotica deve essere rivalutata giornalmente perchè una volta che, grazie ai risultati degli esami colturali, il patogeno in causa e la sua sensibilità agli antimicrobici diventano noti, è possibile procedere ad una “de-escalation”, cioè ad una terapia antibiotica più mirata e con spettro d’azione ristretto a quel microbo specifico81. È
importante dire che in 1 caso su 3 non si riesce ad identificare il patogeno in causa102.
Anche quando gli esami colturali sono negativi si raccomanda comunque una de-escalation della terapia, e se si dimostra che l’infezione non è presente, gli antibiotici devono essere sospesi nell’ottica di evitare un trattamento antibiotico non necessario, e quindi minimizzare il rischio che il paziente sviluppi gli effetti collaterali dei farmaci e soprattutto un’infezione da germi multiresistenti81. Una terapia empirica combinata non
dovrebbe essere somministrata per più di 3-5 giorni.
Gli antibiotici non dovrebbero essere usati in pazienti con stati infiammatori gravi di cui sia stata accertata l’origine non infettiva (ad esempio una pancreatite grave o un danno da ustione)81.
La durata adeguata della terapia antibiotica è di 7-10 giorni; terapie più prolungate sono appropriate in pazienti che hanno una risposta clinica lenta, focolai d’infezione che non possono essere sottoposti a drenaggio, batteriemia da S. Aureus, infezioni fungine o
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virali e immunodeficienze (inclusa la neutropenia); terapie più corte sono appropriate in particolare in pazienti che hanno una risoluzione clinica più rapida, successiva al controllo della fonte dell’infezione in una sepsi a partenza intra-addominale o urinaria o con pielonefrite non complicata81.
Esempi di terapia di associazione o combinata (che ha il preciso obiettivo di colpire il/i patogeno/i sospetti con più di un antibiotico, almeno due, per accelerare la clearance del microrganismo) sono:
- Associazione di piperacillina/tazobactam + aminoglicoside o fluorochinolonico per germi Gram-
- Associazione di clindamicina + β-lattamico per lo shock tossico streptococcico - Associazione di un macrolide + β-lattamico per uno shock settico da S.
pneumoniae81
Inoltre le linee guida suggeriscono l’utilità della procalcitonina (PCT) per monitorare la de-escalation della terapia antibiotica nei pazienti settici: la misurazione dei livelli di PCT può essere usata eventualmente per sospendere la terapia antibiotica empirica impostata inizialmente in pazienti che sembravano settici, ma che poi non hanno mostrato evidenza clinica d’infezione81. Quindi può essere utilizzata come guida al
trattamento antibiotico, questo perchè la PCT è un pro-ormone peptidico prodotto dal fegato in risposta alle noxae infettive: aumenta dopo la 4° ora e raggiunge il picco a 8-24 ore dalla noxa (in caso di sospetto clinico e bassi livelli di PCT è utile ripeterne il dosaggio almeno tra la sesta e la dodicesima ora dalla noxa); i livelli di PCT aumentano in particolare per infezioni batteriche da Gram+ e Gram-, mentre non aumentano in caso di infezioni virali, infezioni da batteri intracellulari o infezioni localizzate103,104.
Adeguata terapia antivirale da iniziare il prima possibile in pazienti con sepsi o shock settico di origine virale.
Precoce identificazione e controllo della sorgente d’infezione, subito dopo la stabilizzazione iniziale del paziente: il trattamento di eradicazione comprende la rimozione, ove possibile, di qualsiasi oggetto potenzialmente infetto (ad esempio un device), il drenaggio di una raccolta ascessuale, lo sbrigliamento e l’asportazione del tessuto necrotico ecc105. Le tecniche a minor invasività e a minor impatto sistemico sono
raccomandate perchè meglio tollerate dai pazienti in queste condizioni, mentre il trattamento definitivo va rimandato alla fase di raggiunta stabilizzazione delle funzioni vitali.
Cortisonici: l’uso dei cortisonici per via endovenosa nel trattamento dei pazienti con
shock settico non è indicato se la terapia infusionale e con vasoattivi garantisce la stabilità emodinamica. Altrimenti, può essere somministrato per via endovenosa idrocortisone alla dose di 200 mg al giorno in infusione continua81.
Emoderivati: in conformità con le conclusioni del transfusion requirements in critical care trial, le linee guida raccomandano l’emotrasfusione soltanto quando la
concentrazione di emoglobina scende sotto i 7 g/dL, in assenza di altre condizioni quali ischemia miocardica, grave ipossiemia o emorragia acuta. È sconsigliato l’utilizzo dell’eritropoietina per il trattamento dell’anemia associata alla sepsi. Inoltre, è