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(1)Il Tribunale penale internazionale per la Ex Jugoslavia

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Il Tribunale penale internazionale per la Ex Jugoslavia.

Il contesto storico.

Il Tribunale penale internazionale per i crimini nell'ex Jugoslavia viene istituito con la Risoluzione n° 827 che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite adotta il 25 maggio 1993.

Quando il Tribunale viene creato , a quasi 50 anni dai Tribunali militari di

Norimberga e Tokyo, la crisi nell'ex Jugoslavia vive un degrado disarmante: Sarajevo é sotto assedio da oltre un anno, la regione é devastata dal nuovo conflitto, croato- musulmano, nella Bosnia orientale prosegue la pulizia etnica iniziata nel 1992, falliscono uno dopo l'altro i numerosi piani di pace che si tentano sul piano internazionale.

E soprattutto sempre più inquietanti sono le conferme di violazioni massicce e sistematiche del diritto umanitario.

L'estrema gravità degli eventi, ma forse ancor più il fatto che essi si producono in Europa con rischi di ricadute destabilizzanti su aree contigue a quelle dell'ex

Jugoslavia, valgono probabilmente a spiegare la decisione di istituire un Tribunale ad hoc e di provvedervi nell'arco di pochi mesi.

La competenza del Tribunale.

Lo Statuto fissa la competenza del Tribunale in forza dei tre criteri di tempo, spazio e materia.

Quanto alla competenza ratione temporis, al Tribunale spetta di perseguire e giudicare i fatti commessi a partire dal 1° gennaio del 1991, l'anno cioè in cui

precipita in conflitto armato la crisi innescata dalla indipendenza che, a cascata, viene proclamata da Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina.

Lo Statuto indica il dies a quo della competenza ma non il dies a quem : questo, come si legge nella Risoluzione, verrà determinato dal Consiglio di sicurezza dopo la

restaurazione della pace.

La competenza per territorio é segnata dai confini della ex Jugoslavia.

Tale criterio permetterà di avviare le indagini nel Kosovo sulle gravi violazioni del diritto umanitario ivi perpetrate tra il 1998 ed il 1999 da unità militari e paramilitari agli ordini di Belgrado, che condurranno, nel maggio del 1999 alla incriminazione di

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Slobodan Milosevic, primo caso nella storia di messa in stato d'accusa per crimini umanitari di un Capo di Stato in carica.

Sempre in forza di tale criterio, il Tribunale si riterrà competente a trattare anche le numerose denunce presentate contro le forze della Nato per i bombardamenti aerei effettuati nella primavera 1999 sul territorio della Repubblica Federale Jugoslava di Serbia e Montenegro, anche se a fine maggio 2000 il Procuratore annuncerà al

Consiglio di sicurezza dell'ONU di non intendere avviare un'inchiesta formale su tali episodi non ritenendo che siano emerse prove a carico delle forze Nato circa il loro deliberato intento di attaccare gli obbiettivi civili .

La competenza ratione materiae che lo Statuto assegna al Tribunale può essere suddivisa in quattro categorie generali:

- violazioni gravi delle Convenzioni di Ginevra del 1949 relative al diritto umanitario;

Art 2 Statuto: “Il Tribunale internazionale è abilitato ad incriminare le persone che commettono o danno l’ordine di commettere delle infrazioni gravi alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire i seguenti atti diretti contro delle persone o dei beni protetti ai sensi della Convenzione di Ginevra pertinente:

a) l’omicidio volontario;

b) la tortura o i trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici;

c) il fatto di causare intenzionalmente delle grandi sofferenze o di attentare gravemente all’integrità fisica o alla salute;

d) la distruzione e l’appropriazione di beni non giustificate dalle necessità militari ed eseguite su grande scala in maniera illecita ed arbitraria;

e) il fatto di costringere un prigioniero di guerra o un civile a servire nelle forze armate della potenza nemica;

f) il fatto di privare un prigioniero di guerra o un civile del diritto di essere giudicato regolarmente ed imparzialmente;

g) l’espulsione o il trasferimento illegale di un civile o la sua detenzione illegale;

h) la presa di civili in ostaggio.”

- violazioni di leggi e consuetudini di guerra;

Art 3 Statuto: “Il Tribunale internazionale è competente ad incriminare le persone che commettono delle violazioni delle leggi o costumi di guerra. Queste violazioni

comprendono, senza esservi limitate:

a) l’impiego di armi tossiche o di altre armi concepite per causare delle sofferenze

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inutili;

b) la distruzione senza motivo delle città e dei villaggi o la devastazione che non giustificano delle esigenze militari;

c) l’attacco o il bombardamento, con qualsiasi mezzo, di città, villaggi, abitazioni o edifici non difesi;

d) il sequestro, la distruzione o il danneggiamento deliberato di edifici consacrati alla religione, alla beneficenza, all’insegnamento, alle arti e alle scienze, a monumenti storici, ad opere d’arte e ad opere di carattere scientifico;

e) il saccheggio di beni pubblici o privati.”

- genocidio;

Art 4 Statuto: “1. Il Tribunale internazionale è competente ad incriminare le persone che abbiano commesso genocidio, così come è definito al paragrafo 2 del presente articolo, o uno qualsiasi degli atti enumerati al paragrafo 3 del presente articolo.

2.Per genocidio si intende uno qualsiasi degli atti seguenti, commessi nell’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come:

a) omicidio dei membri di un gruppo;

b) offesa grave all’integrità fisica o mentale dei membri di un gruppo;

c) sottomissione intenzionale del gruppo a delle condizioni di esistenza che debbano portare alla sua distruzione fisica totale o parziale;

d) misure tendenti a impedire le nascite in seno al gruppo;

e) trasferimento forzato di bambini del gruppo ad un altro gruppo.

3. Saranno puniti i seguenti atti:

a) il genocidio;

b) l’accordo al fine di commettere il genocidio;

c) l’istigazione diretta e pubblica a commettere il genocidio;

d) il tentativo di genocidio;

e) la complicità nel genocidio.”

- crimini contro l'umanità.

Art 5 Statuto:”Il Tribunale internazionale è abilitato a giudicare le persone presunte responsabili dei seguenti crimini qualora siano stati commessi nel corso di un

conflitto armato, di carattere internazionale o interno, e diretti contro una qualsiasi popolazione:

a) omicidio;

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b) sterminio;

c) riduzione in schiavitù;

d) espulsione;

e) imprigionamento;

f) tortura;

g) stupro;

h )persecuzione per ragioni politiche, razziali e religiose;

i) altri atti inumani.”

Prima della sentenza del 1995 sul caso Tadic’, si riteneva che il crimine contro l’umanità fosse solo quello commesso in occasione di un conflitto armato

internazionale ancorato alla violazione del diritto bellico; tale sentenza invece può considerarsi storica, in quanto allarga la prospettiva di tale figura criminosa, anche ai conflitti armati interni. Tale impostazione troverà conferma nell’ articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale, che nella categoria dei crimini di guerra, include, oltre alle violazioni gravi delle norme sul diritto dei conflitti armati

internazionali, anche le violazioni gravi della disciplina applicabile ai conflitti armati interni.

Lo Statuto non prevede pene edittali né per le categorie generali dei crimini né per le fattispecie specifiche ma si limita a disporre che le Camere non possono che

condannare alla pena del carcere (art.24 St ).

E' poi il Regolamento a precisare che la pena detentiva può arrivare fino alla perpetuità (art.101 Rpp).

In ogni caso è esclusa la pena di morte.

Soltanto le persone fisiche possono rispondere dinnanzi al Tribunale per i crimini di cui quest'ultimo é competente.

La responsabilità incombe innanzitutto su chi ha pianificato, incitato a commettere, ordinato, commesso od in altro modo aiutato ed incoraggiato a pianificare, preparare o eseguire uno dei crimini (art.7.1 St.).

Viene al riguardo espressamente negato qualsiasi valore esimente od attenuante al fatto che l'autore dei crimini sia un capo di Stato o di governo od un alto funzionario.

I crimini di guerra.

Secondo una diffusa definizione, i crimini di guerra consistono nella violazione

“delle leggi e consuetudini di guerra”; tuttavia la Camera d’Appello del Tribunale

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penale internazionale per la ex Jugoslavia, nella decisione interlocutoria resa nel 1995 nel caso Tadic’, ne da una definizione più precisa in base alla quale si ha crimine di guerra quando:

a) vi è stata la violazione di una norma del diritto dei conflitti armati posta a tutela di beni fondamentali, e la violazione causa serie conseguenze alla vittima;

b) la norma violata ha natura consuetudinaria oppure, se inclusa in un trattato

internazionale, precisa o sviluppa il diritto consuetudinario ed è applicabile nel caso di specie;

c) la violazione comporta, secondo il diritto internazionale consuetudinario, la responsabilità penale internazionale dell’individuo che ha tenuto il comportamento illecito.

E’ chiaro che i crimini di guerra possono essere commessi soltanto in un contesto di natura bellica, o in un contesto entro il quale trova applicazione il diritto

internazionale umanitario. Ciò però non significa che i combattimenti devono essere in corso, poiché il diritto internazionale umanitario si applica anche, ad esempio, ai territori sottoposto ad occupatio bellica, a prescindere dall’esistenza di gruppi di resistenza organizzati che si oppongono all’occupante con la violenza.

La condotta atta ad integrare il crimine deve, in ogni caso, presentare un nesso con il conflitto armato, o con la situazione che genera l’applicazione del diritto

internazionale umanitario.

La vittima deve poi essere identificabile con il “nemico” o, più genericamente con l’

”avversario”.

Non è invece necessario che il perpetratore sia un militare o un combattente, dal momento che anche i civili possono commettere i crimini in questione.

L’elemento oggettivo e soggettivo dei crimini di guerra.

Al fine di identificare l’elemento oggettivo del crimine di guerra, ossia le

caratteristiche principali della condotta vietata, è necessario prendere in esame, caso per caso, il contenuto della norma del diritto dei conflitti armati che si reputa violata.

Ciò in conseguenza del fatto che, il principio nullum crimen sine lege, solitamente accolto dai sistemi giuridici interni, ha, nel diritto internazionale, un ambito di applicazione limitato. Non esiste infatti alcun elenco esaustivo dei crimini di guerra previsti dal diritto internazionale consuetudinario poiché anche lo stesso articolo 8

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dello Statuto della Corte penale internazionale, da un lato,non intende codificare il diritto consuetudinario vigente in materia, dall’altro non include le violazioni del diritto bellico, ritenute dalla prassi e dall’opinio juris degli Stati, appartenenti alla categoria dei crimini di guerra.

Circa l’elemento soggettivo dei crimini di guerra, in taluni casi esso è espressamente specificato dalla norma che vieta una determinata condotta e generalmente coincide con la prova del dolo, ossia della coscienza e volontà dell’evento.

Quando invece le norme internazionali non indicano l’elemento soggettivo che deve accompagnare la condotta vietata, pare corretto ritenere che sia in ogni caso

necessario il dolo, oppure, secondo le circostanze, il livello di coscienza o il dolo eventuale prescritti dalla gran parte degli ordinamenti giuridici interni per la condotta giuridica descritta dalla norma violata.

In linea generale, pare corretto affermare che, salvo diversa disposizione, è

sufficiente la sussistenza della colpa grave ossia la circostanza che l’agente, seppure si fosse prefigurato la possibilità che la propria condotta potesse causare l’evento prescritto dalla norma, fosse tuttavia convinto che esso non si sarebbe realizzato.

Rapporto con il principio “nullum crimen sine lege”.

Il principio nullum crimen sine lege, non trova alcun riferimento esplicito nello Statuto del Tribunale.

Tuttavia, il rapporto del Segretario generale, cui è allegato lo Statuto e alla luce del quale questo deve essere letto e interpretato, ne individua chiaramente la funzione in relazione all’applicazione di norme internazionali

aventi natura consuetudinaria. Nel rapporto si rileva più in generale, in riferimento al rispetto dei diritti umani da parte del Tribunale, che quest’ultimo è tenuto a rispettare gli standards legali internazionali in materia di diritto alla difesa, in ogni fase del processo. In particolare, si osserva che, l’applicazione del principio nullum crimen sine lege impone ai giudici del Tribunale internazionale di applicare le regole del diritto umanitario internazionale, le quali sono, in maniera indiscussa, parte del diritto consuetudinario. Si possono quindi fare due considerazioni: da un lato si può notare che non vi è alcun riferimento al diritto interno; dall’altro è degno di rilievo il fatto che, secondo quanto indicato nel rapporto, il pieno rispetto del principio nullum crimen sine lege impone che si applichino norme che siano, al di là di ogni dubbio, parte del dirittointernazionale consuetudinario. Quest’ultima considerazione

lascerebbe intendere che, laddove la norma in questione sia in via di formazione o non chiara in tutti i suoi elementi costitutivi, questa non dovrebbe essere applicata per garantire il rispetto del principio di legalità.

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Il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia ha riconosciuto espressamente il ruolo di assoluta centralità delle norme internazionali consuetudinarie nell’esercizio della propria funzione. In questo contesto,esso compie alcune importanti affermazioni in merito al rispetto del principio di legalità ed in particolare al ruolo che il diritto interno può avere in questo contesto. La Camera d’appello, infatti, assegna una funzione rilevante, ancorché non decisiva, al diritto interno nella determinazione del contenuto della norma applicabile. Più in generale i giudici individuano le seguenti quattro condizioni affinché una formadi attribuzione della responsabilità penale internazionale possa essere da esso applicata:

a) la forma di responsabilità in esame, deve essere esplicitamente o implicitamente prevista dallo Statuto del tribunale;

b) essa deve esistere nel diritto internazionale consuetudinario;

c) la norma che contempla tale forma attribuzione della responsabilità deve essere stata sufficientemente accessibile a tutti gli imputati, al momento della commissione del fatto per cui si procede;

d) la persona sottoposta ad accusa, deve essere stata capace di prevedere che la sua condotta sarebbe stata penalmente rilevante.

Interessano in particolare le ultime due condizioni, relative alla accessibilità e prevedibilità della norma.

Dal ragionamento compiuto nell’individuare queste quattro condizioni risulta che, ad avviso del Tribunale, gli elementi dell’accessibilità e prevedibilità della norma

internazionale consuetudinaria sono meglio garantiti laddove sia dato rinvenire una corrispondenza tra la norma in questione e una norma di diritto interno. Come è detto nella sentenza, i giudici devono applicare necessariamente le regole internazionali consuetudinarie per ciò che riguarda l’ambito di giurisdizione ratione materiae del tribunale, ma devono far ricorso alla legge domestica dell’imputato ai fini di stabilire la sua conoscenza o meno della rilevanza penale della sua condotta.

Si tratta di quello che è stato efficacemente definito « proximity factor».

Nel ragionamento di questo Tribunale, l’esistenza di tale meccanismo ascrittivo nel diritto interno e la gravità dei crimini in oggetto, sono elementi che contribuiscono a far ritenere che l’imputato fosse a conoscenza della possibilità che gli venissero imputati i crimini commessi a causa della propria partecipazione al piano criminale comune.

La rilevanza del diritto interno ai fini dell’accertamento del rispetto del principio di legalità sembra quindi essere stata riconosciuta.

Il Tribunale e le giurisdizioni nazionali.

La giurisdizione del Tribunale dell'Aja non é esclusiva.

Anche gli Stati possono perseguire i crimini previsti nello Statuto in ragione di altri criteri previsti all’interno dei loro ordinamenti, quali quelli di territorialità, di

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nazionalità dell'autore , di nazionalità della vittima, di tutela di interessi nazionali, di universalità.

Tale principio viene esplicitamente riconosciuto dallo Statuto laddove esso precisa che il Tribunale esercita una giurisdizione concorrente (art.9.1. St.).

In ogni caso, al Tribunale viene attribuito, sulle giurisdizioni nazionali, un primato che si manifesta sotto più profili.

Innanzi tutto, in qualsiasi stato e grado del procedimento, il Tribunale può avocare a sé un caso pendente dinnanzi a giudici nazionali (art.9.2. St.). Proprio il caso Tadic’

trae origine da una richiesta avanzata nell'autunno del 1994 dal Procuratore, e accolta da una Camera di primo grado, di avocare all'Aja un procedimento pendente dinnanzi all'autorità giudiziaria tedesca.

Il giudicato del Tribunale, poi, impedisce un nuovo procedimento dinnanzi alle giurisdizioni nazionali per gli stessi fatti (art.10.1 St.).

Inoltre, il principio del ne bis in idem trova una parziale deroga nell’art 10.2 St, secondo il quale una persona già giudicata da giudici nazionali può essere di nuovo tradotta dinnanzi al Tribunale a condizione che:

a) i fatti oggetto del giudicato nazionale siano stati qualificati in quella sede come semplici delitti di diritto comune;

b) la giurisdizione nazionale non abbia deciso in modo imparziale o indipendente, la procedura avviata dinnanzi alla stessa mirasse a sottrarre l'imputato alla sua

responsabilità penale internazionale, ovvero l'azione penale non sia stata esercitata con diligenza.

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