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Dr. Pietro Ragni

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TAGETE 2-2007 Anno XIII

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IL RISCHIO INFETTIVO ED IL CONTAGIO OCCUPAZIONALE

Dr. Pietro Ragni*

L’attività odontoiatrica espone pazienti e operatori ad una serie di rischi, tra i quali riveste particolare importanza quello infettivo.

L’importanza è in funzione della gravità intrinseca di alcune malattie e dell’attenzione che viene oggi giustamente posta dai cittadini alla sicurezza dei trattamenti medici, diagnostici o terapeutici, ai quali si deve talvolta essere sottoposti.

Il rischio di contrarre malattie a causa o durante gli interventi sanitari, soprattutto se questi comprendono anche pratiche invasive, è ampiamente dimostrato dalla letteratura medica ed è spesso trattato anche dalla stampa non specializzata. Esistono alcuni elementi di criticità che nello loro insieme rendono peculiare la gestione del rischio infettivo in ambito odontoiatrico:

* Responsabile del Programma Efficacia e sicurezza delle Cure presso la Direzione

Sanitaria Azienda USL di Reggio Emilia; Collaboratore presso l’Agenzia Sanitarie Regionale della Regione Emilia Romagna, Area “Rischio Infettivo”

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• La tipologia degli strumenti utilizzati, spesso cavi, di elevata complessità e delicatezza tecnologica e difficili da decontaminare

• L’invasività delle tecniche operative (che tuttavia sono, ricordiamolo, ambulatoriali)

• Il rapido turnover di pazienti

• La contemporanea presenza di pazienti, operatori ed accompagnatori negli stessi locali

• La varietà delle vie di trasmissione

• La varietà delle possibili sorgenti di infezione (pazienti, operatori, ambiente)La molteplicità di agenti microbici, sia patogeni sia opportunisti, potenzialmente coinvolti

• La diffusione delle infezioni da HIV, HBV e HCV nella popolazione La resistenza ai comuni disinfettanti di molte specie microbiche patogene. Già alla fine degli anni ’80 l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) aveva rilevato tramite lo studio SEIEVA (Studio Epidemiologico Integrato delle Epatiti Virali Acute) che coloro che si sottopongono a trattamenti sanitari sono esposti anche al rischio di contrarre le epatiti virali trasmissibili per via parenterale (cioè tramite il sangue, in particolare l’epatite B e l’epatite nonA-nonB). Questo rischio è legato sia

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all’ospedalizzazione, sia a trattamenti diagnostici invasivi (come le endoscopie) sia ad interventi chirurgici, sia a trattamenti ambulatoriali di tipo odontoiatrico.

Ovviamente il rischio associato a tali fattori è di gran lunga inferiore a quello derivante da altri tipi di esposizione quali l’uso di droghe per via endovenosa, la convivenza con portatori del virus dell’epatite B, la promiscuità sessuale.

Se il rischio per la singola persona è presente ma relativamente modesto, è però anche vero che il numero complessivo di persone che si sottopone a pratiche odontoiatriche è molto alto.

Tale situazione ha determinato uno specifico intervento di Sanità Pubblica, che si è realizzato nel giro di alcuni anni e che ha visto una stretta collaborazione far l’ISS, l’Assessorato alla Sanità e le AUSL della Regione Emilia-Romagna in un vasto programma di redazione di Linee guida, divulgazione delle buone pratiche professionali, ispezioni ambulatoriali, controlli ispettivi e campionamenti microbiologici.

I problemi principali di contagio in ambito odontoiatrico , e che saranno qui riporesi, riguardano le infezioni virali a trasmissione parenterela, in

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particolare da HBV, da HCV e da HIV. Il motivo dell’interesse risiede nella gravità e soltanto parziale curabilità di queste infezioni, oltre che nella diffusione nella popolazione generale di persone portatrici di tali virus, e dunque potenziali sorgenti di infezione.

In linea generale il contagio in ambito odontoiatrico può avvenire :

• Da paziente a paziente (cosiddette infezioni corcioate)

• Da operatore a paziente

• Da paziente a operatore (contagio occupazionale)

Tralasciamo qui il problema del contagio ambientale (p.es. da legionella che habbia contaminato il riunito), sia per l’esiguità complessiva del rischio, sia, soprattutto, perché il tema qui trattato è il contagio occupazionale e non quello del paziente.

Infezione da HBV

L’infezione da HBV ha amplissima diffusione nel mondo: si stima che due miliardi di persone si siano infettate e che 350 milioni siano rimaste portatrici.

In Italia la prevalenza dei portatori di HBsAg si è ridotta e diversificata negli anni. Uno studio di Stroffolini et al (Vaccine, 1993) ha rilevato nel

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2001 una prevalenza fra le gestanti pari all’1,7% (era il 2,4 nel 1986), ma se si stratifica per gruppi etnici si riscontrano valori del 5,9% fra le immigrate e dell’1,4% per le italiane.

L’incidenza di epatite acuta da HBV si è invece ridotta negli anni in modo drammatico: da 14casi/100.000 del 1987 si è giunti a circa 4 casi/100.000 del 2003, con valori sostanzialmente lievemente superiori in Emilia- Romagna (4) rispetto all’Italia (2-3).

HBV è un virus ad alta contagiosità, con una carica infettante stimata attorno a 104 particelle virali (la concentrazione virale nel sangue di un infetto può anche supera valori di 1011 -1012 per ml).

La probabilità di contagio a seguito di esposizione accidentale ad HBV è pari al 10% se il paziente fonte è HBeAg negativo e DNA-negativo, e arriva fino al 35-40% se il paziente è particolarmente contagioso, cioè HBeAg positivo e/o DNA-positivo.

Il rischio di contrarre un’epatite acuta da HBV per i pazienti sottoposti a terapia odontoiatrica, rilevato dal SEIEVA (ISS) nel periodo 1998-2002, è in Italia pari ad un OR di 1,55 (LC95% 1,29 - 1,86), cioè pari ad una volta e mezzo rispetto a chi non è stato esposto allo stesso fattore. Il Rischio

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attribuibile, cioè la quota di epatiti virali acute da HBV attribuibile alle pratiche odontoiatriche, è stimato attorno al 7,3%.

Per quanto riguarda il rischio occupazionale di HBV, invece la situazione è decisamente confortante, evidentemente per merito sia della vaccinazione sia delle pratiche di sicurezza. Due studi (Ammon A, 2000;

Thomas, 1996) hanno rilevato dati analoghi negli Stati Uniti e a Berlino, con tassi di sieroprevalenza per HbcAb (un marcatore che costituisce una sorta di cicatrice sierologica, cioè testimonia l’avvenuto contatto con il virus) nel 7% dei dentisti, dunque con un dato sovrapponibile se non inferiore a quello della popolazione generale.

HCV

Anche l’HCV è molto diffuso nel mondo, sebbene meno dell’HBV, con circa 200 milioni di portatori, di cui 5 in Europa occidentale.

Analogamente a quanto è avvenuto per l’epatite virale acuta da HBV, in Italia l’epatite acuta da HCV ha visto una drastica riduzione di incidenza negli ultimi anni, arrivando al valore attuale inferiore ad 1 caso/100.000/anno.

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Il problema epidemiologico dell’HCV è costituito in Italia dai milioni di infezioni che si sono avute nei decenni scorsi, di origine prevalentemente iatrogena (aghi e siringhe non monouso, trasfusioni prima del test per HCV, insufficienti pratiche di asepsi, ecc.) e che oggi hanno creato circa 1,5 – 2 milioni di persone con infezione cronica da HCV. Per fortuna molte di esse non avranno mai problemi di salute rilevanti a causa di questa condizione; tuttavia esiste anche la possibilità della diffusione ad altri dell’infezione, sostanzialmente per via parenterale e molto meno per alter vie (parenterale in apparente, sessuale, verticale). I portatori dell’infezione da HCV sono rari nei nati prima del 1950 e la loro frequenza aumenta con l’aumentare delle classi di età considerate.

Il rischio di contrarre un’epatite acuta da HCV per i pazienti sottoposti a terapia odontoiatrica, rilevato dal SEIEVA nel periodo 1997-2003 è risultato statisticamente non significativo (OR 1.1, LC 95% 0.8-1.4). Ciò significa che, pur sussistendo dal punto di vista biologico questo rischio, il numero di infezioni ad esso legato è talmente basso da non poter essere rilevato con metodi statistico-epidemiologici.

Anche il rischio occupazionale da HCV, così temuto una decina d’anni fa e in effetti sempre possibile, è risultato assolutamente contenuto. Anzi, gli

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studi prima citati (Ammon A, 2000; Thomas, 1996) hanno rilevato una prevalenza di HCV fra i dentisti inferiore a quella riscontrata nella popolazione generale (rispettivamente 0,5% e 0,7%).

D’altra parte, è noto che la trasmissione da esposizione occupazionale è poco efficiente:

l’incidenza media di infezione è 1.8% a seguito di puntura da fonte sicuramente HCV-positiva ed è associata soprattutto a grandi esposizione quali ad esempio ferite da aghi.

Sono stati segnalati alcuni casi di trasmissione in operatori sanitari da schizzo di sangue negli occhi, ma nessun caso di trasmissione tramite contaminazione cutanea con sangue.

Quindi il rischio di trasmissione occupazionale dei virus epatitici è presente ma decisamente basso.

HIV

Per quanto riguarda l’HIV, la probabilità di acquisire il contagio dopo incidente occupazionale è pari a circa lo 0.3 % dopo esposizione parenterale e lo 0.09% dopo esposizione di mucosa o cute lesa.

Il rischio di contagio è maggiore in caso di:

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a) presenza di sangue contenente HIV in alta concentrazione:

• paziente in fase terminale

• paziente con infezione acuta

• paziente con elevata viremia b) ferita profonda

c) puntura con ago cavo

d) sangue in quantità visibile sulla superficie del presidio e) contaminazione di cute o mucose lese

f) contaminazione congiuntivale massiva.

In ambito odontoiatrico, sono 6 i dentisti nel mondo che hanno acquisito l’infezione da HIV probabilmente per esposizione occupazionale.

Non vi sono stati invece casi certi di trasmissione ai pazienti. Vi fu il caso clamoroso del dentista della Florida morto di AIDS nel 1990 e con 6 pazienti che in un primo momento vennero riconosciuti infettati durante le cure odontoiatriche. Tuttavia, più recentemente, sono stati sollevati pesanti dubbi (S. Barr, Annals of Internal Medicine, 1996) che rendono assolutamente labile il legame epidemiologico fra le cure odontoiatriche prestate da quel dentista e i 6 casi di AIDS. Dunque, ad oggi, non è noto

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nessun caso certo di trasmissione dell’HIV a pazienti durante le cure odontoiatriche.

Vaccinazioni consigliate in ambito odontoiatrico

Sono raccomandate per gli operatori le vaccinazioni consigliate anche in diversi altri settings sanitari, di cui riporto in questa sede solo l’elenco (anche se per ognuna esiste un razionale diverso, a volte da ricercare nelle dinamiche epidemiologiche di popolazione più che nella protezione del singolo individuo):

• Epatite B: la più importante!

• Tetano e Difterite (ma solo perché è raccomandata a tutti, non perché in odontoiatria vi sia un rischio aumentato)

• Pertosse

• Morbillo – Rosolia - Parotite (e non solo per le femmine)

• Influenza

• Varicella (solo per i suscettibili)

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Conclusioni

Il rischio di trasmissione di infezioni in odontoiatria è molto diminuito negli ultimi anni; tuttavia, per mantenerlo basso, occorre adottare sempre, rigorosamente e per tutti i pazienti comportamenti corretti, in particolare nell’applicazione delle misure di barriera, le norme di asepsi, decontaminazione, disinfezione e sterilizzazione.

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