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1.1 Premessa ...1-1 1.2 Obiettivi e articolazione del lavoro...1-3 2. SISTEMI DI FITODEPURAZIONE ...2-1

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La depurazione delle acque reflue urbane rappresenta, soprattutto per le piccole e medie comunità, un problema economico e gestionale assai oneroso e di difficile soluzione..

In Sicilia, così come avviene in altri Paesi, particolare interesse avrebbe l’applicazione di sistemi di trattamento naturali come la fitodepurazione, il lagunaggio, i serbatoi di accumulo, ecc.. Tali sistemi, pur richiedendo per la loro realizzazione superfici relativamente ampie, presentano un basso costo di esercizio e sono relativamente semplici nella fase di gestione. Le suddette caratteristiche li rendono particolarmente indicati per il trattamento dei liquami urbani di piccole e medie comunità sia nel caso dello scarico in corpi idrici e sul suolo sia nel caso di riuso agricolo degli effluenti. Inoltre sono particolarmente indicati per i sistemi di depurazione in cui vi una elevata presenza di popolazione fluttuante. Tale peculiarità è particolarmente avvertita in Sicilia e mnelle isole minori per gli impianti a servizio di centri abitati costieri, resort e villaggi turistici, camping ecc. in cui durante il periodo estivo si ha un notevole incremento di presenze legate al turismo balneare.

La tecnologia della fitodepurazione può inoltre trovare applicazione anche per il trattamento delle acque reflue di particolari attività agro-industriali (caseifici, oleifici, aziende vitivinicole, ecc.) caratterizzate da produzione di acque reflue di tipo stagionale o comunque discontinua.

.

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1.1 Premessa ...1-1 1.2 Obiettivi e articolazione del lavoro...1-3 2. SISTEMI DI FITODEPURAZIONE ...2-1

2.1 Generalità...2-1 2.2 Sistemi a flusso superficiale (Free Water Surface – FWS)...2-2 2.2.1 Sistemi a flusso superficiale a macrofite galleggianti...2-3 2.2.2 Sistemi a flusso superficiale a macrofite radicate ...2-4 2.3 Sistemi a flusso subsuperficiale (Subsurface Flow – SSF)...2-5 2.3.1 Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale (H-SSF) ...2-6 2.3.2 Sistemi a flusso subsuperficiale verticale (V-SSF) ...2-7 3. IL RUOLO DELLA VEGETAZIONE ...3-1

3.1 Generalità...3-1 3.2 Classificazione e descrizione delle specie vegetali...3-1 3.3 Propagazione e messa a dimora ...3-9 3.4 Il ruolo svolto dalle macrofite nei sistemi di fitodepurazione...3-12 4. RIMOZIONE INQUINANTI ED EFFICIENZA DEPURATIVA...4-1

4.1 Generalità...4-1 4.2 Solidi Sospesi Totali ...4-2 4.3 Sostanza Organica...4-4 4.4 Azoto...4-7 4.5 Fosforo ...4-10 4.6 Microrganismi patogeni ...4-12 4.7 Metalli...4-14 4.8 Rendimento depurativo...4-16 5. CRITERI PER LA PROGETTAZIONE, GESTIONE E MONITORAGGIO E

INDICAZIONI SUI COSTI...5-1 5.1 Progettazione ...5-1 5.2 Caratteristiche costruttive ...5-7 5.3 Monitoraggio e gestione ...5-11 5.4 Costi d’impianto ...5-14 5.5 Costi di gestione...5-19 5.6 Esempi di progettazione...5-21 5.6.1 Sistemi a flusso superficiale...5-21 5.6.2 Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale...5-22 5.6.3 Sistemi a flusso subsuperficiale verticale...5-23 6. ESPERIENZE DI FITODEPURAZIONE IN SICILIA: Il sistema di fitodepurazione di S.

Michele di Ganzaria (CT) ...6-1

6.1 Descrizione dell’impianto...6-1

6.2 Metodologia ...6-4

6.3 Risultati e discussione...6-5

BIBLIOGRAFIA ...1

(7)

Elenco Figure

Figura 2-1: Classificazione dei sistemi di fitodepurazione ... 2-2 Figura 2-2: Sistemi a flusso superficiale a macrofite radicate emergenti (FWS)... 2-3 Figura 2-3: Sviluppo delle Phragmites in un sistema di fitodepurazione H-SSF (S. Michele di Ganzaria,

Catania) da marzo 2001 (a) a settembre 2001 (b)... 2-6 Figura 2-4: Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale (H-SSF) ... 2-7 Figura 2-5: Sistemi a flusso subsuperficiale verticale (V-SSF) ... 2-8 Figura 3-1. Macrofite utilizzate nei sistemi di fitodepurazione... 3-2 Figura 3-2: Sezione di un’area umida e definizione delle principali zone nelle quali si suddivide... 3-3 Figura 3-3: Colonizzazione della zona litorale di un’area umida... 3-4 Figura 3-4: propagazione mediante rizomi con vegetazione aerea: (a) raccolta dei rizomi; (b) selezione

di rizomi con annessi giovani steli; (c) interramento dei rizomi; (d) inondamento del letto filtrante...3-11 Figura 4-1: Ciclo dei Solidi Sospesi Totali negli impianti di fitodepurazione a flusso superficiale ... 4-3 Figura 4-2: Ciclo della sostanza organica in un impianto di fitodepurazione a flusso superficiale ... 4-5 Figura 4-3: Ciclo dell’azoto in un impianto di fitodepurazione a flusso superficiale (Dal Cin et al.,

2002)... 4-7 Figura 4-4: Ciclo del fosforo in un impianto di fitodepurazione a flusso superficiale (Dal Cin et al.,

2002)...4-11 Figura 4-5: Ciclo di rimozione dei microrganismi patogeni (fonte: Guidelines for Using Free Water

Surface Constructed Wetlands to Treat Municipal Sewage, Queensland Department of Natural Resources, 2000)...4-14 Figura 4-6: Ciclo di rimozione dei metalli (fonte: Technical and Regulatory Guidance Document for

Constructed Treatment Wetlands, Interstate Technology & Regulatory Council, 2005) ...4-15 Figura 5-1: Principali parametri per il dimensionamento dei sistemi di fitodepurazione (modificata da

IWA, 2000)... 5-1 Figura 5-2: Impermeabilizzazione bacini di fitodepurazine: a) guaina bentonitica b) guaina in PEAD ... 5-9 Figura 5-3: Particolare costruttivo della sponda di un sistema di fitodepurazione H-SSF (S. Michele di

Ganzaria, Catania) ... 5-9 Figura 5-4: Strutture per la distribuzione dei liquami nei sistemi di fitodepurazione FWS (modificata

da IWA, 2000) ... 5-9 Figura 5-5: Strutture per la distribuzione dei liquami nei sistemi di fitodepurazione H-SSF (modificata

da IWA, 2000) ...5-10 Figura 5-6: Sistema di distribuzione dei liquami in un sistema di fitodepurazione H-SSF...5-10 Figura 5-7: Strutture per la regolazione del livello idrico nei sistemi di fitodepurazione H-SSF: a) tubo

flessibil; b) tubo regolabile in altezza ...5-11 Figura 5-8. Tubazione forata per la distribuzione dei liquami in un sistema di fitodepurazione V-SSF ...5-11 Figura 5-9: Costi di un sistema di fitodepurazione a flusso sommerso in base alle superfici utili

ottenute dal dimensionamento di processo (impianti Iridra 2001-2003) ...5-14

Figura 5-10: Costi di un sistema di fitodepurazione a flusso sommerso per metro quadrato...5-15

Figura 5-11: Confronto tra andamento costi reali e stime...5-16

Figura 5-12: Costi di un sistema di fitodepurazione H-SSF per metro quadrato di superficie utile

(8)

Figura 5-13: Costi di un sistema di fitodepurazione a flusso sommerso per AE... 5-18 Figura 6-1: Ubicazione del Comune di San Michele di Ganzaria ... 6-1 Figura 6-2. Stato di fatto del sistema di affinamento... 6-2 Figura 6-3: Schema del sistema di affinamento delle acque reflue di San Michele di Ganzaria... 6-2 Figura 6-4: Area da irrigare con le acque reflue depurate ... 6-4 Figura 6-5: Efficienza di rimozione di SST, BOD

5

, COD, N

tot

e P

tot

nel letto H-SSF1... 6-7 Figura 6-6: Rimozione media di Coliformi Fecali (CF), E. coli e Enterococchi Fecali (EF) nel letto H-

SSF1... 6-8 Figura 6-7: Efficienza di rimozione di SST, BOD

5

, COD, N

tot

, P

tot

... 6-9 Figura 6-8. Rimozione media di i Coliformi Fecali (CF), E. coli e Enterococchi Fecali (EF) nel letto

H-SSF2... 6-9 Figura 6-9: Efficienza di rimozione (±DS) di SST, BOD

5

, COD, N

tot

, P

tot

(a); Enterococchi Fecali

(EF), Coliformi Fecali (CT) e E. coli (b) nei letti H-SSF1 e H-SSF2 ... 6-10

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Elenco Tabelle

Tabella 2-1. Principali parametri europei per la progettazione preliminare di un sistema HF... 2-7 Tabella 2-2. Principali parametri europei per la progettazione preliminare di un sistema VF... 2-9 Tabella 3-1: Principali specie di macrofite radicate emergenti ... 3-4 Tabella 3-2: Principali specie di macrofite radicate sommerse... 3-6 Tabella 3-3: Principali specie di macrofite galleggianti... 3-7 Tabella 3-4: Effetti delle macrofite nei sistemi di fitodepurazione ...3-13 Tabella 3-5: Importanza relativa del ruolo svolto dalle piante nei diversi sistemi di fitodepurazione

(Brix, 1994) ...3-14 Tabella 4-1: Processi di rimozione dei principali inquinanti in un impianto di fitodepurazione (Watson

et al., 1989) ... 4-1 Tabella 4-2: Efficienza di rimozione dei principali inquinanti per i sistemi di fitodepurazione FWS ...4-17 Tabella 4-3: Efficienza di rimozione dei principali inquinanti per i sistemi di fitodepurazione H-SSF ...4-18 Tabella 4-4: Efficienza di rimozione dei principali inquinanti per i sistemi di fitodepurazione V-SSF ...4-19 Tabella 5-1: Valori di k

A20

, C* e θ nel modello proposto da Kadlec e Knight (1996)... 5-3 Tabella 5-2. Valori di k

R

e θ

R

nel modello proposto da Reed, Crites & Middlebrooks (1995), con

T>10°C ... 5-4 Tabella 5-3. Valori di conducibilità idraulica e porosità del materiale di riempimento utilizzato nei letti

di fitodepurazione a flusso sommerso (ISPRA, 2012)... 5-6 Tabella 5-4. substrato di riempimento per i sistemi V-SSF ... 5-8 Tabella 5-5: Criteri dimensionali utilizzati nelle stime di costo...5-17 Tabella 5-6: Costi di costruzione, di impianti di fitodepurazione, per diverse tipologie impiantistiche e

diverse dimensioni (AE) espresse in €/m

2

(Ceccon et al., 1999) ...5-19 Tabella 5-7: Costi di gestione e manutenzione ordinaria di un impianto di fitodepurazione a flusso

sommerso orizzontale del tipo H - SSF ...5-20 Tabella 5-8: Costi di costruzione, di impianti di fitodepurazione, per diverse tipologie impiantistiche e

diverse dimensioni (AE) espresse in €/m

2

(Ceccon et al., 1999) ...5-21 Tabella 6-1 Caratteristiche letti di fitodepurazione... 6-3 Tabella 6-2: Valori medi e Deviazione Standard (in parentesi) delle concentrazioni dei parametri

chimico-fisici e microbiologici nelle acque reflue in ingresso (in) ed uscita (out) dal letto H-SSF1 ... 6-6 Tabella 6-3: Valori medi e Deviazione Standard (in parentesi) delle concentrazioni dei parametri

chimico-fisici e microbiologici nelle acque reflue in ingresso (in) ed uscita (out) dal letto H-SSF2 ... 6-8 Tabella 6-4: Percentuali di campioni, prelevati in uscita da H-SSF1 e H-SSF2, che rispettano i limiti

imposti dal D.Lgs. 152/2006 e dal D.M. 185/2003...6-10

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1. INTRODUZIONE

1.1 Premessa

Il notevole progresso tecnologico conseguito nel settore della depurazione delle acque reflue ha consentito la messa a punto di sistemi di trattamento sempre più avanzati ed in grado di rimuovere un notevole numero di inquinanti. Tuttavia, il trattamento delle acque reflue rappresenta tuttora, soprattutto per i piccoli e medi insediamenti

1

, un rilevante problema economico e gestionale, anche in relazione ai vincoli sempre più restrittivi allo scarico imposti dalla direttiva dell’Unione Europea n.271 del 21 maggio 1991, recepita per la prima volta a livello nazionale con il D.Lgs. 152/99 e successivamente dal D.Lgs 152/2006.

Generalmente per le piccole e medie comunità, la causa del mancato funzionamento ovvero della scarsa efficienza depurativa degli impianti di depurazione dipende dalla mancanza di personale qualificato e dagli elevati oneri di esercizio e manutenzione. In Italia, in molti casi sono state utilizzate tecnologie di trattamento non idonee al contesto socio-economico e alle caratteristiche qualitative e quantitative delle acque reflue, privilegiando l’utilizzo di tecnologie di tipo tradizionale o intensivo

2

(fanghi attivi, dischi biologici, ecc.) che a causa del loro contenuto tecnologico, sempre più spinto, sono caratterizzate da alti costi di gestione e manutenzione (Cirelli, 2003). Per tale motivo, come già avviene da qualche decennio in numerosi altre nazioni, particolare interesse avrebbe in Italia l’applicazione di trattamenti naturali come la fitodepurazione, il lagunaggio, l’accumulo in serbatoi (Barbagallo et al., 2001; Cirelli, 2003). Tali trattamenti vengono denominati anche estensivi in quanto i processi di depurazione di tipo chimico-fisico e biologico richiedono:

- lunghi tempi (da 1-2 giorni fino a qualche decina di giorni);

- estese superfici (da 1-2 m

2

/AE fino a 10 m

2

/AE).

In realtà, le proprietà autodepurative degli ecosistemi acquatici sono note sin dall’antichità e sono molteplici gli esempi nella storia di una loro utilizzazione come sistemi di trattamento delle acque reflue prodotte dall’uomo (Masotti, 1993). Uno dei primi esempi è rappresentato dalle paludi Pontine nelle quali, nel periodo imperiale della civiltà romana, venivano immesse le acque della cloaca massima (la grande fogna di Roma che raccoglieva gli scarichi del Foro) al fine di ridurne il carico di inquinanti prima dello sversamento nel Tevere (Romagnoli, 1997). Le paludi sono state utilizzate per secoli come sistemi di trattamento delle acque reflue anche se adottate più come bacini di raccolta delle acque di scarico che come ambienti filtro tra i sistemi terrestri e quelli acquatici. Nel più recente passato, specie negli ultimi due secoli, si è assistito ad una loro graduale e massiccia riduzione, a causa dell’azione di bonifica e risanamento operata dall’uomo per incrementare le superfici coltivabili e contenere la diffusione della malaria.

1

La Commissione Europea (2003) definisce “piccoli e medi insediamenti” quelli in cui il numero degli abitanti equivalenti (AE) è compreso tra 500 e 5.000.

2

Negli impianti di depurazione di tipo tradizionale o intensivo, i tempi di reazione sono

generalmente dell’ordine di qualche ora e lo spazio necessario alla loro costruzione è inferiore a 0,5

m

2

/AE; per “accelerare” le cinetiche di rimozione degli inquinanti occorre disporre di

apparecchiature elettro-meccaniche con un notevole consumo energetico ed un elevato costo di

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Recentemente il mondo scientifico ha riscoperto le potenzialità depurative delle zone umide naturali nell’ottica di sviluppare i sistemi di fitodepurazione. Tali sistemi, conosciuti anche con il termine di aree umide artificiali (derivato dall’anglosassone “constructed wetlands”), intendono ricreare le stesse condizioni trofiche che si instaurano nelle aree umide naturali, esaltando e favorendo con opportuni accorgimenti (scelta delle specie vegetali, scelta del substrato, gestione del carico idraulico) i processi depurativi dovuti all’interazione delle diverse componenti (piante, microrganismi, terreno, acqua) che mediante processi di tipo chimico, fisico e biologico, contribuiscono sinergicamente alla riduzione della concentrazione degli inquinanti.

Le prime sperimentazioni sulla fitodepurazione risalgono al 1952 e vennero effettuate dalla Seidel, e da alcuni suoi collaboratori, al Max Planck Institute di Plon (Seidel, 1955). Ma solo nel 1977 venne costruito il primo impianto di fitodepurazione a scala reale a Othfresen, in Germania (Bassa Sassonia); tale impianto, a flusso sub- superficiale, veniva utilizzato per il trattamento di acque reflue urbane, a servizio di circa 5.000 AE. Contemporaneamente, anche negli Stati Uniti, la depurazione naturale è stata oggetto di un’intensa attività di ricerca, operata dall’agenzia spaziale americana (NASA), specialmente sui sistemi di fitodepurazione a flusso superficiale con Giacinto d’acqua e con Lemna (Wood e Pybus, 1993).

Attualmente sono numerosi i sistemi di fitodepurazione in esercizio sia negli Stati Uniti che in Europa (Germania, Danimarca, Regno Unito, Austria, Slovenia, ecc.). È soprattutto negli USA che tale tecnologia si è sviluppata anche grazie a interventi legislativi degli anni ’80. Oggi negli Stati Uniti gli impianti di fitodepurazione sono così diffusi che l’U.S. Enviromental Protection Agency (EPA) ha disattivato gli incentivi alla loro costruzione in quanto la tecnologia è considerata ormai matura e non più bisognosa di aiuti economici (Bendoricchio, 2000). Anche in Europa la fitodepurazione è ormai diffusamente applicata, in particolare per il trattamento delle acque reflue urbane; al termine del 1999 sono stati rilevati circa 5.600 impianti di fitodepurazione di varie tipologie, prevalentemente a flusso sub-superficiale orizzontale (Masi, 2001).

A tale diffusa utilizzazione, però, non corrispondono ancora oggi né una completa conoscenza del funzionamento e delle prestazioni dei sistemi di fitodepurazione né un’univocità di vedute sui modelli che meglio simulano il comportamento idraulico ed i processi di rimozione degli inquinanti in tali sistemi.

In Italia l’interesse verso la fitodepurazione si è sviluppato solo nell’ultimo decennio;

alla fine del 2002 è stata rilevata la presenza di 150-200 impianti, con una maggiore concentrazione nell’Italia settentrionale e centrale (Masi, 2003).

Il legislatore ha voluto contribuire allo sviluppo della fitodepurazione in Italia con l’emanazione del D.Lgs. 152/99, noto anche come nuovo testo unico sulle acque. In tale decreto (successivamente aggiornato e modificato con il D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152

“Norme in materia ambientale” e ss.mm.ii) l’utilizzo della fitodepurazione viene auspicato per il trattamento delle acque reflue di insediamenti civili di ridotte dimensioni, da 50 AE (Abitanti Equivalenti)fino a 2.000 AE, mentre viene suggerito per gli insediamenti di dimensioni maggiori, fino a 25.000 AE, come “trattamento appropriato” per l’affinamento delle acque già soggette a trattamento depurativo con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa (paragrafo 3 dell’all.5 al D.Lgs 152/2006).

Tutti gli interventi legislativi più recenti pongono la necessità di ridurre i costi di

realizzazione e gestione degli impianti di depurazione a servizio di piccole e medie

comunità, prevedendo anche la possibilità di riutilizzare le acque reflue depurate

(Barbagallo et al., 2012). D’altra parte, gli impianti di trattamento di tipo naturale, quali il

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lagunaggio e la fitodepurazione, possono in molti casi rappresentare, per i bassi costi di esercizio e manutenzione, un’efficace soluzione per ottemperare agli obblighi di legge.

Un ulteriore esplicito riferimento all’utilizzo dei sistemi di fitodepurazione è riportato anche nel Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio n. 185 del 12/06/2003 che stabilisce il “Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue” e fissa dei limiti per i parametri microbiologici (Escherichia coli) che risultano meno restrittivi proprio per le acque reflue depurate provenienti da sistemi naturali, incentivando di fatto il ricorso a tali tecniche di trattamento.

Le condizioni ideali per la concreta diffusione della fitodepurazione ricorrono pertanto anche in Italia dove, a causa degli elevati costi ed alle difficoltà tecniche di gestione, un numero rilevante degli impianti di depurazione non in esercizio è a servizio di piccole e medie comunità.

In Sicilia, su 420 impianti di depurazione esistenti, circa il 30%, principalmente quelli a servizio di comunità con un numero di AE minori di 5.000, non è in funzione (Barbagallo et al., 2012). Inoltre, nel territorio siciliano, al mancato funzionamento dei piccoli impianti si aggiunge la crescente difficoltà di approvvigionamento di risorse idriche per uso irriguo. A tal proposito è stato recentemente realizzato, in Sicilia Orientale, un impianto di fitodepurazione delle acque reflue finalizzato al riutilizzo in agricoltura. Tale impianto, del tipo a flusso sub-superficiale orizzontale, effettua il trattamento terziario di parte delle acque reflue del Comune di San Michele di Ganzaria ed è il primo modulo di un sistema di riuso più ampio progettato per l’irrigazione di colture arboree utilizzando esclusivamente tecnologie di trattamento naturale. Dal mese di marzo del 2001 l’impianto viene monitorato dalla sezione Idraulica e Sistemazione del Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agroalimentari e Ambientali dell’Università di Catania nell’ambito delle attività di ricerca, condotte da alcuni decenni, sui trattamenti naturali finalizzati al riuso delle acque reflue in agricoltura.

1.2 Obiettivi e articolazione del lavoro

In relazione a quanto evidenziato in premessa, il presente manuale è stato finalizzato all’approfondimento e al trasferimento delle conoscenze sull’utilizzo dei sistemi di fitodepurazione per il trattamento ed il riuso delle acque reflue urbane. In articolare si è inteso conseguire i seguenti obiettivi:

• approfondire le conoscenze sul funzionamento delle tecniche di fitodepurazione delle acque reflue urbane per i piccoli e medi insediamenti;

• valutare l’efficienza di rimozione degli inquinanti in rapporto sia ai limiti dettati dalla direttiva dell’Unione Europea n.271 del 21 maggio 1991, recepita a livello italiano con il D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., che a quelli previsti dal D.M. 185/2003 per il riutilizzo a scopo irriguo dei reflui depurati;

Il presente manuale riporta una prima parte di ricerca bibliografica sulle diverse

tipologie di sistemi di fitodepurazione (capitolo 2), sulla vegetazione impiegata (capitolo

3), sui rendimenti depurativi ottenuti (capitolo 4), sui criteri di dimensionamento e di

realizzazione nonchè sui costi d’impianto e di gestione (capitolo 5), e una seconda parte di

indagine sperimentale (capitolo 6) condotta presso l’impianto di fitodepurazione a servizio

del piccolo centro abitato di San Michele di Ganzaria (Catania).

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2. SISTEMI DI FITODEPURAZIONE

2.1 Generalità

Con il termine fitodepurazione si indica un sistema di trattamento progettato e costruito per riprodurre, in un ambiente controllato, i processi di depurazione naturale caratteristici delle zone umide e ottenuti prevalentemente dall’azione combinata di tre principali componenti: il suolo, la vegetazione ed i microrganismi.

I sistemi di fitodepurazione sono stati sviluppati ed utilizzati a partire dagli anni ‘80 soprattutto in USA e in Europa centrale. Oggi in Europa esistono diverse migliaia di impianti di fitodepurazione in esercizio (Vymazal et al., 1998a; Vismara et al., 2000), per lo più ubicati in Germania, Danimarca, Regno Unito, Austria, Slovenia e Svizzera; solo di recente, anche in Italia, si è sviluppato un certo interesse nei confronti di questa tipologia di trattamento (Masi et al., 2000).

I sistemi di fitodepurazione (nella letteratura tecnica internazionale vengono indicati come constructed wetlands = aree umide costruite) sono generalmente costituiti da bacini artificiali poco profondi, generalmente riempiti di materiale granulare inerte, e vegetati con piante acquatiche (macrofite) atte a riprodurre i naturali processi autodepurativi tipici delle zone umide. In particolare, vengono utilizzate piante vascolari, organizzate in tessuti, particolarmente adatte alla crescita in terreni saturi grazie alla notevole presenza di tessuti aerenchimi che, in alcuni casi, possono arrivare ad occupare anche il 60% del volume totale dei tessuti della pianta (Belgiorno et al., 2001). I diversi sistemi di fitodepurazione possono essere classificati (Figura 2-1) in funzione della tipologia di macrofite utilizzate (Brix, 1993):

sistemi a macrofite galleggianti: vengono utilizzate delle piante acquatiche che si sviluppano sulla superficie liquida dei bacini in cui vengono immesse le acque reflue;

sistemi a macrofite radicate sommerse: si fa ricorso ad essenze vegetali radicate al fondo del bacino e con il fusto totalmente immerso nel liquame;

sistemi a macrofite radicate emergenti: vengono impiegate essenze vegetali radicate al fondo ed aventi l’apparato radicale, ed eventualmente solo parte dello stelo, immerso nel liquame.

Una ulteriore classificazione dei sistemi di fitodepurazione è quella effettuata sulla base del regime di funzionamento idraulico:

sistemi a flusso superficiale;

sistemi a flusso subsuperficiale.

I sistemi di fitodepurazione a flusso superficiale (FWS) trattano i liquami in bacini o canali a superficie libera su suolo permanentemente saturo. In tali sistemi possono essere utilizzate macrofite galleggianti, macrofite radicate sommerse, macrofite radicate emergenti o, in sistemi a carattere sperimentale, anche microfite

3

.

Nei sistemi a flusso subsuperficiale, invece, le acque reflue scorrono attraverso un letto filtrante che costituisce il supporto per le radici delle macrofite radicate emergenti. Il

3

Il sistema a microfite è costituito da stagni aerobici che presentano, in sospensione nei liquami, specie

vegetali di ridotto sviluppo (unicellulari o pluricellulari), rappresentate quasi totalmente da alghe

microscopiche.

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livello idrico viene mantenuto sempre al di sotto della superficie del substrato nel quale si vengono a creare condizioni sature e/o insature. Tali sistemi possono essere a flusso orizzontale o verticale.

Sistemi di  fitodepurazione

Sistemi a flusso  Subsuperficiale (SSF) 

Sistemi a flusso  Superficiale (FW)

Sistemi a  Macrofite radicate

Sistemi a  Macrofite galleggianti

Emergenti Sommerse

Verticale (V‐SSF) Orizzontale 

(H‐SSF)

Sistemi di  fitodepurazione

Sistemi a flusso  Subsuperficiale (SSF) 

Sistemi a flusso  Superficiale (FW)

Sistemi a  Macrofite radicate

Sistemi a  Macrofite galleggianti

Emergenti Sommerse

Verticale (V‐SSF) Orizzontale 

(H‐SSF)

Sistemi a  Macrofite radicate

Emergenti

Figura 2-1: Classificazione dei sistemi di fitodepurazione

Nei sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale (H-SSF) il flusso idrico è continuo e scorre, grazie ad una leggera pendenza del fondo del letto, in senso orizzontale attraverso il medium di riempimento, nel quale si crea un ambiente prevalentemente anaerobico. Nei sistemi a flusso subsuperficiale verticale (V-SSF) le acque reflue da trattare, immesse sulla superficie del letto in modo discontinuo, percolano lentamente in senso verticale attraverso il medium di riempimento nel quale si crea un ambiente prevalentemente aerobico.

Le tipologie sopra illustrate possono essere diversamente combinate in un unico impianto, definito ibrido o multistadio, allo scopo di ottenere una riduzione delle aree superficiali necessarie al raggiungimento degli obiettivi depurativi o per migliorare alcuni processi come l’abbattimento dell’azoto e del fosforo.

Le combinazioni impiantistiche maggiormente utilizzate sono (Pucci et al., 2004):

H-SSF + V-SSF: lo stadio a flusso sommerso orizzontale rimuove gran parte dei solidi sospesi e del carico organico mentre lo stadio a flusso verticale effettua una rilevante ossidazione e un’efficace nitrificazione. In alcuni casi viene previsto un ricircolo dell’effluente in testa all’impianto per migliorare le percentuali di rimozione dei nitrati tramite i processi di denitrificazione che si verificano nel H- SSF;

V-SSF + H-SSF: lo stadio a flusso sommerso orizzontale assolve alla funzione di denitrificazione dell’effluente in uscita dal sistema verticale;

H-SSF + V-SSF + FWS: lo stadio a flusso libero finale oltre a completare la rimozione delle sostanze azotate, affina ulteriormente l’abbattimento della carica microbiologica.

2.2 Sistemi a flusso superficiale (Free Water Surface – FWS)

I sistemi di fitodepurazione a flusso superficiale sono detti anche “a superficie

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costituiti da bacini, di forma allungata, aventi una profondità variabile in relazione alle macrofite adottate ed ai tipi di trattamento (secondario o terziario) per i quali vengono utilizzati (Vismara e Pajardi, 1998).

Prima dell’immissione nel bacino le acque reflue devono essere sottoposte ad un pretrattamento di grigliatura e sedimentazione primaria (per piccoli sistemi può essere adottata una vasca Imhoff) allo scopo di eliminare le particelle di dimensioni maggiori e ridurre la concentrazione di solidi sedimentabili e sospesi in ingresso.

I sistemi FWS, i cui meccanismi di rimozione riproducono i processi depurativi delle aree umide naturali, vengono alimentati con un flusso in continuo e le acque reflue immesse nel bacino risultano direttamente a contatto con l’atmosfera (Figura 2-2). Lo strato superficiale della massa liquida si viene dunque a trovare in condizioni aerobiche, mentre le zone a profondità maggiori risultano essere generalmente in condizioni anaerobiche a meno di una piccola quantità di ossigeno che viene convogliata dalle piante (Garuti, 2000).

Figura 2-2 : Sistemi a flusso superficiale a macrofite radicate emergenti (FWS)

Gli inconvenienti derivanti dall’impiego di tali impianti sono connessi alla possibile diffusione nell’atmosfera di odori sgradevoli e alla proliferazione di insetti. Tuttavia lo sviluppo degli insetti può essere efficacemente contenuto mediante l’introduzione all’interno dei bacini di animali insettivori, quali pesci e rane, che si nutrono delle larve presenti sul pelo libero. In particolare, in ambienti prevalentemente aerobici, risulta particolarmente diffusa l’introduzione di pesci Gambusia (Gambusia affinis) efficienti predatori di larve di zanzara. Anche la colonizzazione degli impianti di fitodepurazione da parte di uccelli selvatici può risultare un elemento efficace ai fini della riduzione della proliferazione degli insetti. Ad Arcata, California, è stata osservata una ridotta presenza di larve in concomitanza con un’elevata concentrazione di rondini (Crites, 1994).

I sistemi a flusso superficiale risultano notevolmente diffusi in Nord America mentre in Europa vengono scarsamente utilizzati a causa dell’elevata superficie da essi richiesta che varia da 4-20 m

2

/AE per i trattamenti terziari fino a 20-40 m

2

/AE per i trattamenti secondari (Vismara et al., 2000; Masi, 2001).

2.2.1 Sistemi a flusso superficiale a macrofite galleggianti

I sistemi a flusso superficiale a macrofite galleggianti consistono in uno o più bacini con una profondità variabile da 0,1 m a 0,6 m e con il fondo impermeabilizzato da argilla o geomembrane (Iannelli, 2001).

Le piante utilizzate hanno un apparato radicale che si sviluppa nella massa liquida ed

i loro tessuti fotosintetizzanti, espandendosi sulla superficie, ombreggiano quasi

(16)

completamente il liquido sottostante e impediscono lo sviluppo di alghe (Brix, 1998).

Questo fenomeno favorisce l’instaurarsi di condizioni anaerobiche nella maggior parte dell’altezza della colonna d’acqua ad eccezione della zona superficiale, dove perdurano condizioni aerobiche per il trasferimento di ossigeno dai tessuti fotosintetici alle radici e da queste al liquame (Gopal, 1999).

Le condizioni anaerobiche presenti sul fondo del bacino possono generare delle esalazioni sgradevoli derivanti dalla formazione di idrogeno solforato e composti ammoniacali; la loro propagazione nell’atmosfera può però essere impedita sia dalla copertura vegetale superficiale che dalla loro ossidazione nella zona aerobica del bacino.

La stessa copertura vegetale, però, può anche impedire la diffusione nell’atmosfera dell’anidride carbonica e diminuire quindi il pH delle acque reflue con conseguenze negative sul processo di nitrificazione (Garuti, 2000).

Il principale limite dei sistemi a macrofite galleggianti è rappresentato dall’elevata frequenza con la quale è necessario rimuovere le piante; ciò implica una notevole richiesta di manodopera e problemi di smaltimento della biomassa prodotta.

2.2.2 Sistemi a flusso superficiale a macrofite radicate

Nei sistemi FWS a macrofite radicate vengono di solito adoperate congiuntamente le macrofite emergenti e sommerse. È rara l’applicazione di sole macrofite sommerse, mentre i sistemi a flusso superficiale con sole macrofite emergenti trovano un moderato utilizzo (Garuti, 2000).

Gli impianti a macrofite radicate sono costituiti da bacini il cui livello idrico varia tra 0,1 ed 1 m in funzione delle caratteristiche del liquame da trattare e del tipo di essenza vegetale adottata (Vismara et al., 2000). Le profondità minori garantiscono un’adeguata presenza di ossigeno lungo tutta la colonna d’acqua, mentre con altezze maggiori si vengono a stabilire condizioni anaerobiche sul fondo.

Il fondo del bacino, opportunamente impermeabilizzato, viene ricoperto con materiale di diversa natura (sabbia, pietre, ghiaia, argilla), per consentire la radicazione delle piante. L’altezza del medium in grado di permettere il normale sviluppo delle radici e rizomi delle macrofite più comunemente utilizzate è di 0,3-0,4 m; tale altezza è in grado di impedire anche la possibile perforazione, da parte delle radici, dell’eventuale copertura sintetica.

Nei sistemi a FWS con macrofite radicate, al contrario di quanto accade in quelli a macrofite galleggianti, la superficie del bacino risulta quasi completamente a contatto con l’atmosfera favorendo così l’azione battericida svolta dalla radiazione solare negli strati superficiali della colonna d’acqua.

Inoltre, la presenza della vegetazione all’interno della massa liquida, rallenta il flusso di liquami aumentando così il tempo di contatto tra le piante e le acque reflue e favorendo la sedimentazione dei solidi sospesi e lo svolgimento dei processi biologici. In tal modo viene anche limitata la velocità del vento vicino alla superficie delle acque reflue riducendo la turbolenza idraulica che ostacola il processo di sedimentazione. Nel complesso, dunque, i sistemi a macrofite radicate presentano, rispetto a quelli a macrofite galleggianti, una maggiore efficienza depurativa che peraltro risulta essere pressoché costante durante tutto l’anno grazie alla sopravvivenza, nella stagione fredda, delle radici e rizomi sui quali si sviluppano i batteri.

Un ulteriore vantaggio è infine rappresentato dalla minore frequenza di rimozione

della biomassa. Lo sfalcio e/o il taglio delle macrofite viene infatti effettuato mediamente

(17)

con frequenza annuale, principalmente per rinnovare la vegetazione ed evitare che i residui vegetali, adagiandosi sul fondo del bacino, reintroducano nel ciclo di biodegrazione gli elementi inquinanti da loro assorbiti.

2.3 Sistemi a flusso subsuperficiale (Subsurface Flow – SSF)

I sistemi a flusso subsuperficiale, indicati in letteratura internazionale con il termine subsurface flow (SSF), rappresentano il sistema di fitodepurazione maggiormente utilizzato in Europa (Vymazal, 1998).

La principale differenza fra i sistemi SSF e quelli FWS è rappresentata dalla presenza, all’interno dei bacini, di un materiale inerte di riempimento che ha funzione di supporto su cui si sviluppano le radici delle macrofite radicate. Tale letto filtrante presenta, solitamente, altezze variabili da 0,2 a 0,8 m a seconda del tipo di macrofite adottate e della profondità dei loro apparati radicali (Cooper et al., 1996).

La maggiore diffusione dei sistemi a flusso subsuperficiale rispetto a quelli a superficie libera è imputabile ad una serie di fattori economici, ambientali e di rendimento depurativo. In particolare, tali sistemi richiedono una superficie per abitante equivalente inferiore rispetto ai sistemi a flusso superficiale grazie alla maggiore efficienza depurativa dovuta alla presenza del medium poroso (costituito da materiale inerte) che funge sia da filtro sia da supporto per i film batterici, con una superficie di contatto acqua/inerte di gran lunga superiore a quella dei sistemi a flusso superficiale.

Il letto filtrante, all’interno del quale defluiscono le acque reflue che non pervengono mai direttamente in contatto con l’atmosfera, riduce o elimina del tutto i problemi connessi alla presenza di cattivi odori ed alla proliferazione di insetti. Inoltre, l’efficienza depurativa ottenuta permane elevata anche nei mesi invernali grazie all’inerzia termica del medium ed alla copertura vegetale. D’altro canto, però, vengono a mancare gli effetti benefici della radiazione solare per la rimozione dei microrganismi e viene ostacolato lo scambio di ossigeno con l’atmosfera limitandone di fatto la presenza alla sola rizosfera. È stato infatti accertato che la capacità di trasporto di ossigeno delle piante risulta insufficiente a garantire lo sviluppo dei processi di decomposizione aerobica al di fuori delle zone più prossime alle radici e ai rizomi delle piante.

Il materiale inerte utilizzato nei sistemi SSF non deve essere di dimensioni né eccessivamente ridotte né troppo grandi; le prime perché in grado di provocare un’occlusione del letto, le seconde perché limitano lo sviluppo dei film batterici a causa della loro bassa superficie bagnata per unità di volume (IWA, 2000).

Anche i sistemi a flusso subsuperficiale necessitano di un pretrattamento delle acque reflue in ingresso (i sistemi più adottati sono le fosse settiche tricamerali o tipo Imhoff) in quanto effluenti con eccessiva concentrazione dei solidi sospesi occluderebbero rapidamente il substrato con conseguenti problemi di efficienza depurativa e di insorgenza di cattivi odori.

Infine, la frequenza di rimozione della massa vegetale risulta essere notevolmente ridotta (al massimo una volta l’anno) contenendo così il problema dello smaltimento della biomassa prodotta.

Nei sistemi SSF vengono utilizzate le stesse essenze vegetali impiegate nei sistemi a

flusso superficiale con macrofite radicate. Anche in questo caso le specie maggiormente

utilizzate sono Phragmites sp. (Figura 2-3), Typha sp. e Scirpus sp. che hanno degli

apparati radicali che raggiungono profondità medie rispettivamente di 0,60 m, 0,30 m e

(18)

a) b)

Figura 2-3: Sviluppo delle Phragmites in un sistema di fitodepurazione H-SSF (S. Michele di Ganzaria, Catania) da marzo 2001 (a) a settembre 2001 (b)

La specie in assoluto più impiegata risulta essere la Phragmites australis, grazie principalmente alla minore manutenzione richiesta, all’elevato tasso di crescita e alle maggiori profondità raggiunte dall’apparato radicale rispetto alla quasi totalità delle altre macrofite adottate. Quest’ultima caratteristica consente un più efficace trasferimento di ossigeno al substrato.

2.3.1 Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale (H-SSF)

Nei sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale il liquame pretrattato viene distribuito uniformemente su tutta la larghezza della vasca attraverso una tubazione di distribuzione interrata posta nella sezione trasversale di ingresso del letto perpendicolarmente alla direzione del flusso. La distribuzione sotterranea risulta indispensabile in alcuni casi (nei climi freddi evita i danni alle tubazioni dovuti al gelo) ed è consigliata in altri (nei climi più caldi si evita la formazione di alghe ed i possibili ristagni superficiali in ingresso), di contro interrando la condotta di distribuzione se ne rende più difficile la manutenzione.

Le acque reflue vengono immesse nel sistema con un flusso in continuo e percorrono il letto filtrante in direzione prevalentemente orizzontale per tutta la sua lunghezza fino a giungere nella sezione terminale dove vengono raccolte per mezzo di una tubazione forata posizionata sul fondo e convogliate in un pozzetto di uscita (Figura 2-4). In tale pozzetto vengono collocate le strutture di regolazione del livello idrico del letto filtrante costituite, generalmente, da tubazioni flessibili regolabili in altezza. Tali strutture di regolazione consentono da un lato di allagare completatemene il letto (allo scopo di facilitare lo sviluppo delle piantine appena trapiantate ed eliminare eventuali erbe infestanti), e dall’altro lato di effettuare lo svuotamento del sistema per le operazioni di manutenzione straordinaria.

Il letto filtrante è costituito da materiale inerte a granulometria costante, ad eccezione della zona di ingresso e quella di uscita delle acque reflue dove vengono posizionati degli inerti di maggiore pezzatura per evitare la formazione di percorsi preferenziali da parte del liquame. La superficie utile dal letto filtrante risulta solitamente compresa tra 1 e 5 m

2

/AE, in funzione della tipologia di trattamento da effettuare (Reed et al., 1995).

Lungo il percorso compiuto dalle acque reflue attraverso il medium gli inquinanti

vengono rimossi da una combinazione di processi fisici, chimici, e biologici che

comprendono la sedimentazione, la precipitazione, l’adsorbimento sulle particelle del

suolo, l’assimilazione da parte dei tessuti delle piante e i processi microbici (Brix, 1993;

(19)

Figura 2-4: Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale (H-SSF)

In particolare, i sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale sono particolarmente efficienti nella rimozione dei solidi sospesi che avviene grazie ai processi di filtrazione e sedimentazione che si verificano in maggior misura nella sezione di ingresso del letto filtrante (USEPA, 1993).

Le quantità di azoto rimosso risultano generalmente piuttosto modeste poiché le piante non riescono a fornire al letto filtrante adeguati volumi di ossigeno per la degradazione della sostanza organica e per le reazioni di nitrificazione.

Per una stima preliminare delle superfici necessarie, spesso necessaria per valutare la fattibilità dell’intervento, possono essere utili le indicazioni contenute nelle principali

“linee guida” e manuali europei, riassunte nella Tabella 2-1. Per un dimensionamento più corretto si raccomanda di ricorrere ad uno dei modelli accettati dalla letteratura scientifica internazionale riportati nel capitolo 5.

Tabella 2-1. Principali parametri europei per la progettazione preliminare di un sistema HF Parametri Germania

ATV, 1998 Austria Önorm, 1998

Rep. Ceca Vymazal et al.

1998

Gran Bretagna

WRC, 1996 Danimarca Brix, 2005 Area 5 m

2

/AE 6 m

2

/ AE per BOD 2°:5 m

2

/ AE

3°:1 m

2

/ AE. 2°: 5 m

2

/ AE

3°: 0.5-1 m

2

/ AE. 5 m

2

/ AE.

Materiale riempimento

(Substrato)

U=d

60

/d

10

< 5 Ghiaia ingresso 16-32 (4-8)mm principale 4-8 (2-4) mm

Ghiaia lavata 3-16 mm

Ghiaia lavata:

3-6 mm o 5-10 mm o 6-12 mm

U=d

60

/d

10

<4 0,3<d

10

<2 mm 0,8<d

60

<8 mm Permeabilità 10

-4

–10

-3

m/s - 10

-3

÷ 3x10

-3

m/s 10

-3

m/s 1 x 10

-3

m/s Carico idraul.

superficiale 4 cm/d 5 cm/d - 2°: < 5 cm/d

3°: < 20 cm/d -

Carico organico - 112 Kg/ha x d < 80 Kg/ha x d - -

Profondità 0.5 m 0.6 - 0.8 m 0.6 m 0.6 m

Legenda: 2° trattamento secondario; 3° trattamento terziario.

2.3.2 Sistemi a flusso subsuperficiale verticale (V-SSF)

I sistemi a flusso subsuperficiale verticale sono, da un punto di vista costruttivo, del

tutto simili a quelli a flusso orizzontale appena descritti. La differenza è rappresentata dalla

modalità di immissione dei reflui e dalla tipologia di riempimento del sistema. I liquami da

trattare vengono infatti immessi dall’alto (Figura 2-5) mediante una rete di tubazioni forate

(20)

o dotate di erogatori che distribuiscono i reflui sull’intera superficie del letto. Le acque reflue percolano attraverso il medium con un flusso verticale, vengono raccolte sul fondo da un sistema di tubazioni di drenaggio e quindi convogliate in un pozzetto di uscita. Le tubazioni di distribuzione delle acque reflue vengono generalmente poste ad alcuni centimetri dalla superficie del letto e dotate di aperture o piccoli fori (8-10 mm) che permettono di ottenere un’elevata uniformità di distribuzione evitando fenomeni erosivi sulla superficie del medium.

Figura 2-5: Sistemi a flusso subsuperficiale verticale (V-SSF)

Il riempimento delle vasche avviene in maniera discontinua con cicli alternati di riempimento-svuotamento (reattori a batch), per cui il substrato non risulta costantemente saturo. In presenza dunque di un approvvigionamento intermittente, per garantire la continuità del processo depurativo è necessario disporre di almeno due letti filtranti posti in parallelo e alimentati in modo alternato, oppure servirsi, a monte del sistema di fitodepurazione, di una vasca di raccolta e regolazione delle acque reflue pretrattate che può fungere anche da vasca di equalizzazione e sedimentazione. L’alimentazione può essere realizzata per mezzo di un sistema di pompaggio temporizzato oppure mediante sistemi a sifone, nel caso in cui il carico idraulico lo permetta (Iannelli, 2001).

Nei sistemi a flusso verticale vengono inoltre utilizzati materiali di riempimento a granulometria variabile, crescente dall’alto verso il basso della vasca, per evitare l’occlusione dei pori in prossimità del drenaggio di fondo.

I meccanismi di rimozione degli inquinanti sono sostanzialmente uguali a quelli che

si verificano nei sistemi H-SSF. La differenza sostanziale, dal punto di vista dell’efficienza

depurativa, è rappresentata dalla maggiore efficacia dei processi di degradazione della

sostanza organica e nitrificazione degli impianti a flusso verticale rispetto a quelli a flusso

orizzontale. Ciò è dovuto alla maggiore concentrazione di ossigeno presente nel sistema,

ottenuta grazie ai cicli di riempimento e svuotamento. In particolare, nella fase di

svuotamento il liquame percola lentamente verso il basso permettendo la progressiva

occupazione degli spazi liberati all’interno del medium da parte dell’aria; con la successiva

fase di caricamento, che ha inizio quando il bacino è completamente svuotato, l’aria

presente nel letto filtrante viene bloccata nel sistema grazie al nuovo flusso di acque reflue

(Cooper et al., 1996). I sistemi V-SSF vengono dunque proposti con la funzione specifica

di nitrificazione, in associazione con letti a flusso orizzontale che effettuino la successiva

denitrificazione anossica.

(21)

Il migliore rendimento nella rimozione della sostanza organica e dell’azoto consente inoltre una significativa riduzione della superficie dei sistemi a flusso verticale rispetto a quelli orizzontali. Infatti per i sistemi V-SSF la superficie necessaria risulta essere di circa 1 m

2

/AE quando è richiesta la rimozione del solo BOD

5

e di 2-3 m

2

/AE quando è richiesta anche la nitrificazione (Egaddi, 2000). Tuttavia i sistemi orizzontali sono ancora i più diffusi grazie alla maggiore semplicità impiantistica e la disponibilità di consolidati criteri di progettazione e gestione.

Per una stima preliminare delle superfici necessarie, spesso necessaria per valutare la fattibilità dell’intervento, possono essere utili le indicazioni contenute nelle principali

“linee guida” e manuali europei, riassunte nella Tabella 2-2. Per un dimensionamento più corretto si raccomanda di ricorrere ad uno dei modelli accettati dalla letteratura scientifica internazionale riportati nel capitolo 5.

Tabella 2-2. Principali parametri europei per la progettazione preliminare di un sistema VF Parametri Germania

ATV, 1998

Austria Önorm, 1998

Rep. Ceca Vymazal, 1998

Gran Bretagna WRC, 1996

Danimarca Brix, 2005

Area 2.5 m

2

/AE 5 m

2

/ AE per BOD

2° sotto 100 AE:

1^ vasca: 0,8-2 m

2

/ AE

2^ vasca: 50-60%

della 1^vasca 3° <1-2m

2

/AE

2°:1 m

2

/ AE BOD 2 m

2

/ AE

Materiale riempimento

(Substrato)

U=d

60

/d

10

<5

Dall’alto al basso:

5 cm ghiaia da 8/16 mm

60 cm sabbia 15 cm ghiaia da 40 mm

20 cm ghiaia da 16/32 mm

Sabbia e ghiaia (0-12 mm)

d

60

/d

10

<4

Dall’alto al basso:

8 cm sabbia 15 cm ghiaia da 6 mm;

10 cm ghiaia da 12 mm;

15 cm ghiaia da 30- 60 mm

15 cm truciolato o altro isolante;

90 cm sabbia;

15 cm ghiaia grossolana

Permeabilità

substrato 10

-4

–10

-3

m/s - 10

-3

÷ 10

-4

m/s - - Carico

idraul.

superficiale

60 mm/d - 20-80 mm/d 70-80 mm/d 100 mm/d

Carico

organico 20-25 gr

BOD

5

/m

2

- - 20-25 grBOD

5

/m

2

30 grBOD

5

/m

2

Profondità 0.8 m 0.5-0.8 m 0.6 m 1 m 1.2 m

Legenda: 2° trattamento secondario; 3° trattamento terziario.

(22)

3. IL RUOLO DELLA VEGETAZIONE

3.1 Generalità

La vegetazione costituisce una componente fondamentale dell’ecosistema umido in grado di sostenerlo e di qualificarlo. Tale ruolo viene evidenziato anche dalla definizione di zona umida con la quale viene indicata un’area che presenta il suolo saturo o sommerso con una frequenza ed una durata sufficienti a promuovere la crescita di vegetazione tipicamente adattata alla vita in ambienti acquatici o semiacquatici.

Conseguentemente, anche i sistemi di fitodepurazione, progettati per ricreare artificialmente le stesse condizioni trofiche che si instaurano nelle zone umide, costituiscono un ambiente ideale per lo sviluppo delle medesime comunità vegetali acquatiche presenti nelle aree umide naturali, note con il termine di macrofite.

Con l’espressione macrofite acquatiche viene indicato un gruppo di vegetali, definito su base ecologico-funzionale, che comprende le piante vascolari (con tessuti facilmente visibili) presenti negli ambienti acquatici, palustri e di greto. Tale raggruppamento include angiosperme erbacee, pteridofite, briofite e alghe filamentose formanti aggregati macroscopicamente visibili (Haury et al., 1996).

Le angiosperme erbacee, le pteridofite e le briofite (regno Piante) sono costituite da cellule specializzate organizzate in tessuti ed hanno strutture riproduttive complesse e pluricellulari che producono, a maturazione avvenuta, un limitato numero di cellule riproduttive. Le alghe (regno Protisti), invece, non risultano organizzate in tessuti e presentano strutture riproduttive piuttosto elementari costituite da singole cellule (spore o gameti) che raggiunta la maturazione vengono liberate nell’ambiente circostante (Strasburger et al., 1995).

Le macrofite vengono selezionate dai progettisti e trapiantate nei sistemi di fitodepurazione, al contrario delle alghe che si sviluppano spontaneamente nei sistemi a flusso superficiale.

Per una corretta scelta delle macrofite i progettisti devono necessariamente conoscere le caratteristiche ecologiche, morfologiche e fisiologiche delle diverse specie e la loro disponibilità sul territorio.

3.2 Classificazione e descrizione delle specie vegetali

I biologi utilizzano un sistema comune di classificazione per catalogare i milioni di organismi viventi. Tutti gli organismi sono stati classificati in cinque grandi gruppi definiti regni. Il regno vegetale, Plante, come altri regni, è stato suddiviso progressivamente in gruppi più piccoli (phylum, classe, ordine, famiglia, genere, specie) caratterizzati dalle somiglianze tra le piante dello stesso gruppo. Questo sistema di suddivisioni ripetute produce un “albero genealogico” di ogni pianta. Le macrofite acquatiche, utilizzate maggiormente nei sistemi di fitodepurazione, appartengono a 4 phyla: Briophyta (Briofite:

epatiche, muschi, antoceroti), Lycopodophyta (Licopodi), Filicynophyta (Felci),

Angiospermophyta (Angiosperme: piante con fiori, che comprendono la classe delle

Monocotiledoni e delle Dicotiledoni).

(23)

Sulla base dell’ecologia delle specie, riferendosi, in particolare, all’igrofilia

4

degli organismi, è possibile distinguere le macrofite utilizzate nei sistemi di fitodepurazione in idrofite ed elofite (Figura 3-1).

Le idrofite possono essere suddivise a loro volta in due categorie:

rizofite (macrofite radicate sommerse): piante radicate al fondo che presentano il corpo vegetativo completamente sommerso;

pleustofite (macrofite galleggianti): piante liberamente natanti sulla superficie dell’acqua.

Le idrofite includono le briofite (muschi ed organismi simili), le pteridofite acquatiche (piante vascolari che non producono semi) e le angiosperme (piante vascolari che producono semi) erbacee perenni ed acquatiche aventi gemme subacquee.

Le elofite (macrofite radicate emergenti) sono piante radicate in un substrato sommerso, aventi la parte basale in acqua ma emergenti per la maggior parte del corpo. In tale gruppo sono incluse specie che hanno gemme all’interno del substrato e geofite, ovvero erbe perenni con bulbi, tuberi, rizomi e gemme sotterranee portate da organi speciali.

Figura 3-1. Macrofite utilizzate nei sistemi di fitodepurazione

Sono poi da considerare appartenenti al gruppo delle macrofite anche un significativo contingente di specie che costituiscono le cenosi erbacee pioniere di greto. Alcuni autori le definiscono come specie sopra-acquatiche. Si tratta di piante che colonizzano ambiti alveali frequentemente modificati dai corsi d’acqua, che tollerano temporanei periodi di sommersione ma che spesso non sono neanche particolarmente igrofile. Sono in gran parte

Elofite 

Pleustofite Rizofite Idrofite 

Substrato

(24)

riferibili, secondo il sistema delle forme biologiche di Raunkiaer (1934), a geofite ed a terofite (erbe annuali che superano la stagione avversa sottoforma di seme).

In un’area umida naturale (stagni, lagune, laghi, etc.) le piante tendono ad occupare diverse nicchie ecologiche, in relazione alla profondità dell’acqua. A grandi linee, ed in maniera del tutto schematica, in un ambiente lacustre si possono fondamentalmente riconoscere una zona litorale e una zona pelagica (Figura 3-2). Quest'ultima può essere a sua volta suddivisa in uno strato eufotico (strato d'acqua superficiale nel quale si ha la penetrazione della radiazione solare), uno strato afotico (sottostante al precedente, non interessato dalla luce) ed una zona bentica (a diretto contatto col fondo). A causa delle profonde differenze ambientali che le caratterizzano, queste zone ospitano comunità biologiche diverse tra loro ed altamente specializzate.

Figura 3-2: Sezione di un’area umida e definizione delle principali zone nelle quali si suddivide

La zona litorale, eufotica, viene popolata da macrofite radicate emergenti, galleggianti, radicate sommerse e flottanti (Figura 3-3). Lo sviluppo delle diverse specie vegetali è influenzato dalla profondità dell’acqua, come fattore ambientale principale, a cui si aggiungono altri fattori quali: le caratteristiche edafiche, la temperatura, la qualità dell’acqua, i rapporti di concorrenza fra le diverse specie, ecc. (Greulach e Adams, 1979).

Tutte le specie vegetali svolgono ruoli ben definiti nella catena alimentare e concorrono, attraverso essa, ai processi di biodegradazione. I principi fisici, chimici e biochimici di tali processi sono alla base di tutti i sistemi di fitodepurazione.

Partecipano ai processi depurativi anche le specie fitoplanctoniche che, normalmente presenti in un’area umida naturale, possono spontaneamente popolare anche i sistemi di fitodepurazione. In un ambiente palustre, le specie fitoplanctoniche, come le microfite o microalghe, sono presenti nella zona pelagica (Romagnolli, 2000). Queste specie sono organismi unicellulari caratterizzati da un breve tempo di vita e da una rapida crescita.

Possono formare colonie molto estese sulla superficie dell’acqua ed hanno una notevole

capacità di assimilare nutrienti dalla massa idrica. Esigono, però, temperature elevate e

costanti atte a garantire una buona efficienza depurativa durante l’intero arco dell’anno. Le

microfite più diffuse nei sistemi di fitodepurazione appartengono alla famiglia delle

Cloroficee (Chara, Chlorella, Scenedesmus, ecc.), delle Cianoficee (Spirulina) e delle

Diatomee (Dunaliella) (Camuccio e Barattin, 2001).

(25)

Figura 3-3: Colonizzazione della zona litorale di un’area umida

Le principali specie di elofite impiegate nei sistemi di fitodepurazione vengono elencate nella Tabella 3-1.

Tabella 3-1: Principali specie di macrofite radicate emergenti

Nome scientifico (nome volgare)

Descrizione foto

Phragmites australis (Cannuccia di

Palude)

Specie erbacea, perenne, rizomatosa; può raggiungere anche 4 m di altezza. Foglie , opposte, ampie e laminari, lunghe 15-60 cm, larghe 1 - 6 cm, glabre, verdi o glauche.

All'apice del fusto è presente una pannocchia di colore bruno o violaceo, lunga fino a 40 cm. Germoglia a marzo e fiorisce a luglio.

Typha latifolia (Mazza di Tamburo)

Specie erbacea, alta anche 2,5 m.

Infiorescenze femminili formate da migliaia

di piccolissimi fiori di colore bruno circondati

da peli. Le spighe cilindriche marroni ed a

forma di salsiccia sono lunghe fino a 30 cm.

(26)

Nome scientifico (nome volgare)

Descrizione foto

Typha minima (Mazzasorda)

Specie erbacea alta 30 - 80 cm. Foglie lineari, canalicolate, lunghe e strette (1-3 mm).

Fioritura maggio-giugno.

Typha Angustifolia

(Stiancia)

Specie erbacea perenne, rizomatosa, altezza 1,5-2 m, portamento eretto, fogliame semipersistente. Foglie lineari, cerulee.

Vegeta in terreno fresco, umido, acquitrinoso e tollera periodi di immersione anche prolungati; è molto diffusa nelle paludi, negli stagni e nei fossi, fino a 1.000 m di altitudine.

Il periodo di fioritura è giugno-luglio.

Scirpus Lacustris (Giunco da

Corde)

Specie erbacea perenne, rizomatosa, in condizioni particolarmente favorevoli può raggiungere i 3 m. di altezza. Fusti eretti, cilindrici, di colore verde scuro. Foglie brevi, lineari o ridotte a guaine alla base del fusto.

Infiorescenza a forma di capolino, situata al termine del fusto, costituita da piccole spighe rosso-brune

Juncus spp (Giunco)

Specie erbacea perenne, rizomatosa. Può raggiungere 1-1,5 m. di altezza sviluppando fusti verdi, privi di foglie o con foglie avvolte intorno al fusto.

Nella Tabella 3-2 e nella Tabella 3-3 si riportano le principali specie di idrofite

utilizzabili in fitodepurazione.

(27)

Tabella 3-2: Principali specie di macrofite radicate sommerse

Nome scientifico (nome volgare)

Descrizione foto

Egeria densa (Peste d’acqua

maggiore)

Pianta erbacea, perenne, acquatica. Il fusto è sommerso, di colore verde chiaro, sottile, eretto, lungo fino a 3-4 m e ramificato. Le foglie sono disposte in verticilli, in numero di 3-5 per ognuno, hanno forma lanceolata, margine seghettato, lunghezza di 1,5-3 cm e larghezza di 3 mm. Colore dal verde pallido al verde cupo. La fioritura è compresa nel periodo giugno-agosto.

Elodea canadensis (Peste d’acqua

comune)

Pianta erbacea, perenne, acquatica. Il fusto è sommerso, ramificato, foglioso su tutta la sua lunghezza ma più densamente verso l’alto. Le foglie sono disposte in verticilli, in numero di 3-4 per ognuno, rigide e un pò arcuate, generalmente ottuse e denticolate. I fiori sono di colore bianco-verdastro pallido con diametro di circa 1 cm. La pianta fiorisce da maggio ad agosto.

Myriophyllum heterophyllum (Millefoglio)

Pianta erbacea perenne, rizomatosa, acquatica, radicata sul fondo e completamente sommersa ad eccezione dell’infiorescenza che emerge sulla superficie dell’acqua. Il fusto è robusto, avente un diametro di 8 mm, rossastro, ramificato. Le foglie emerse hanno una forma da lanceolata ad ellittica e sono lunghe fino a 3 cm. Le foglie sommerse, lunghe fino a 6 cm, sono divise in 12-28 sottili filamenti. La pianta fiorisce da giugno a settembre.

Potamogeton lucens (Lingua d’oca)

Pianta erbacea perenne, rizomatosa,

acquatica. I fusti sono parzialmente eretti o

fluttuanti, molto ramificati, che possono

raggiungere la lunghezza di 3 m. Le foglie

sono ovali-lanceolate con margini ondulati,

mucronate, membranacee, di colore verde

chiaro, lucide, con larghezza di 3-8 cm e

lunghezza di 10-20 cm. La pianta fiorisce da

maggio ad agosto.

(28)

Tabella 3-3: Principali specie di macrofite galleggianti

Nome scientifico

(nome volgare)

Descrizione foto

Eichornia crassipes (Giacinto d’acqua)

Pianta erbacea perenne, rizomatosa, acquatica.

Foglie: riunite a formare una rosetta, rotonde o ovali, di colore verde scuro, lucide, larghe 5- 15 cm e lunghe fino a 20 cm. Hanno un picciolo spugnoso e rigonfio d’aria che permette il galleggiamento della pianta.

Fiori: con 6 petali blu-viola che presentano una macchia gialla nella parte alta. La pianta fiorisce nel periodo giugno-luglio.

Lemna gibba (Lenticchia

d’acqua gigante)

Pianta erbacea annuale, acaule, natante.

Foglie: hanno la pagina superiore appiattita mentre quella inferiore, marcatamente incurvata e rigonfia, forma una sorta di semisfera creata dal tessuto lacunoso ricco di spazi contenenti aria che permettono il galleggiamento della pianta.

Fiori: ogni pianta porta un fiore femminile, costituito da un solo carpello, e due maschili costituiti da un solo stame. La fioritura si verifica nel periodo giugno-agosto.

Pistia stratiotes (Lattuga

d’acqua.)

Pianta erbacea perenne, acaule, acquatica.

Foglie: spesse, leggermente spugnose, con margini seghettati, ricoperte da una densa e soffice peluria e con profonde nervature. Sono riunite a formare una rosetta che galleggia liberamente lungo i corsi d'acqua.

Fiori: piccoli fiori bianchi al centro della rosetta. La pianta fiorisce nel periodo giugno- luglio.

Trapa natans (Castagna

d’acqua)

Pianta erbacea, annuale, natante.

Foglie: quelle sommerse sono lanceolato- lineari e brevemente picciolate, mentre in superficie si formano rosette di foglie romboidali, appuntite, lunghe 7 cm e larghe 4,5 cm.

Fiori: piccoli, solitari e poco appariscenti,

portati da lunghi peduncoli all’ascella delle

foglie. La pianta fiorisce nel periodo maggio-

luglio.

(29)

Le idrofite presentano una serie di adattamenti morfologici e anatomici, conosciuti con il nome di idromorfismo, che permettono loro la vita in ambiente acquatico.

In conseguenza della scarsa solubilità e della lenta diffusione dell’ossigeno nell’acqua (la velocità di diffusione dell’ossigeno in acqua è 10.000 volte inferiore rispetto a quella in aria), la cuticola e le pareti esterne dell’epidermide che riveste la parte sommersa della pianta sono estremamente sottili. Le superfici fogliari sono piuttosto sviluppate e presentano diverse conformazioni. Le foglie sommerse sono sottili e, per evitare danni causati dal moto delle acque correnti, sono nastriformi o finemente frastagliate. Le eventuali foglie galleggianti od emerse, pure assai ampie, conservano l’aspetto e, spesso, la struttura delle foglie delle piante terrestri. Si può verificare, in tal modo, il fenomeno dell’eterofillia (la pianta porta foglie di diversa conformazione in parti diverse del proprio corpo). Nelle foglie sommerse l’epidermide è fornita di clorofilla e gli stomi sono assenti, mentre nelle foglie galleggianti gli stomi sono presenti soltanto sulla pagina superiore.

Le idrofite, a causa della ridotta o assente capacità traspirativa, hanno tessuti conduttori poco sviluppati e un accrescimento secondario del fusto e delle radici spesso mancante. Per lo stesso motivo l’apparato radicale è poco esteso, i peli radicali sono assai scarsi e, non di rado, le radici sono addirittura assenti (macrofite galleggianti).

Negli organi sommersi, e soprattutto nelle foglie, i tessuti meccanici sono di ridotte dimensioni o mancanti. In alcuni casi la resistenza meccanica delle foglie viene ottenuta con la semplice dislocazione centrale dei fasci conduttori (Altamura et al., 2000).

Gli spazi intercellulari (canali aeriferi) sono numerosi e di volume così vasto da confluire spesso fra loro e formare un elaborato sistema di canali (parenchima aerifero) che collega le foglie con l’apparato radicale. Attraverso il parenchima aerifero l’aria e l’ossigeno, formatosi dalla fotosintesi o introdotto dalle parti emerse, vengono traslocati in tutto il corpo vegetale. La concentrazione di ossigeno nei canali aeriferi è così elevata che, in alcuni casi, può raggiungere valori doppi rispetto a quelli atmosferici. Grazie a tali elevate concentrazioni gli organi sotterranei o sommersi possono respirare e procurarsi l’energia necessaria all’assorbimento degli ioni. I parenchimi aeriferi conferiscono anche la galleggiabilità che permette alle foglie (come nelle ninfee) o a piante intere (come nelle lenticchie d’acqua) di fluttuare nell’acqua.

In talune piante delle rive paludose la funzione respiratoria è facilitata dal fatto che alcune radici, anziché dirigersi normalmente verso il basso, si dirigono verso l’alto (gravitropiche negative). Tali radici emergono fuori dall’acqua e entrano in contatto con l’aria che, attraverso le aperture lenticellari (pneumatodi) ed i parenchimi aeriferi di cui queste radici respiratorie o pneumatofori sono dotate, può arrivare facilmente a tutte le altre radici sommerse (Strasburger et al., 1995).

Il trasferimento di ossigeno all’interno della pianta avviene per diffusione passiva, secondo il gradiente di concentrazione del gas negli spazi interni, e per flusso convettivo, regolato dal gradiente di pressione. Il gradiente di pressione si crea per le differenze di temperatura e di tensione di vapore dell’acqua attraverso i setti porosi dei tessuti vegetali, e per l’effetto Venturi indotto che si genera dal gradiente della velocità del vento attorno alla pianta (Brix, 1993b). L’effetto Venturi indotto consente il passaggio di ossigeno dall’atmosfera, attraverso eventuali culmi spezzati, fino alla rizosfera (Armstrong et al., 1990). Per contro la presenza di culmi spezzati può provocare una diffusione di ossigeno anche dalla pianta all’atmosfera.

L’ossigeno traslocato alle radici viene parzialmente consumato dalle cellule,

attraverso il processo respiratorio, ed in parte viene diffuso nella rizosfera in risposta

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