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Capitolo terzo. Il “Paradiso Celeste” nel giardino italiano dopo Del Riccio: Il caso di Flora overo cultura di fiori (1638) di G. B. Ferrari.

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Capitolo terzo.

Il “Paradiso Celeste” nel giardino italiano dopo Del Riccio: Il caso di Flora overo cultura di fiori (1638) di G. B. Ferrari.

(2)

1. Un contenitore geometrico in cui travasare le idee: la storia “intellettuale” del giardino formale italiano.

In questi ultimi anni la storia del giardino è stata notevolmente approfondita, raffinando la metodologia di ricerca e ampliando i soggetti di studio fino ad includere i giardini scientifici, cioè gli orti botanici. Questa linea evolutiva è stata accelerata anche dai numerosi contributi di studiosi di varie discipline quali la storia della scienza, la letteratura e la filosofia, che, soprattutto a partire dagli anni Ottanta del scorso secolo, sono venuto arricchendo l’ambito specifico degli studi sul giardino con i loro affascinanti studi1. Questo tipo di accostamenti interdisciplinali risulta particolarmente efficace quando si esaminano i giardini del Cinque-Seicento, età di transizione in cui le scienze non si sono ancora specializzate e risultano ancora frantumate. Non a caso, lo storico dell’arte Eugenio Battisti ha definito il giardino del Rinascimento come “un complesso sistema concettuale”2. Ripercorrendone la “storia intellettuale” è possibile analizzare ogni singolo concetto e aspetto collocandoli nel giusto contesto storico-culturale e individuare quindi le idee di quell’epoca che si riflettono negli spazi del giardino. Da questo punto di vista ritengo sia assai suggestivo il rapporto del giardino con fenomeni quali l’arte della memoria e l’enciclopedismo.

Come abbiamo visto, gli ordinati scompartimenti delle aiuole del “giardino dei fiori” di Del Riccio potrebbero essere usati come luoghi della memoria. Se si tiene conto dell’ingente quantità delle piante che continuavano ad arrivare dall’Oriente e soprattutto dal Nuovo Mondo in Europa nel Cinque-Seicento, non può sorprenderci il fatto che nei primi orti botanici si praticava diffusamente l’arte della memoria. Infatti Pietro Castelli, prefetto dell’orto botanico di Messina, afferma l’importanza della memoria nella botanica:

“Non ita facilis est simplicium vera scientia, ut quis idiota forsitan censeret, non modo, quia multus est simplicium numerus, qui multa eget memoria.”3

1

La bibligrafia è amplissima. Citiamo solo M. Mosser e G. Teyssot (a cura di), L’architettura dei

giardini d’Occidente: dal Rinascimento al Novecento, Electa, Milano, 1990; M. Mosser e P. Nys (a

cura di), Le jardin, art et lieu de mémoire, l’Imprimeur, Paris, 1995; D. Duport, Le jardin et la

nature. Ordre et variété dans la littérature de la Renaissance, Droz, Genève, 2002. 2

E. Battisti, “ ‘Natura Artificiosa’ to ‘Natura Artificialis’ ”, in D. R. Coffin (a cura di), The Italian

Garden, Dumbarton Oaks, Washington D.C., 1972, pp. 1-36, in particolare pp. 5-6. Recentemente è

pubblicata anche la sua tradizione italiana. Cfr. E. Battisti, Iconologia ed ecologia del giardino e

del paesaggio, Olschki, Firenze, 2004, pp. 3-50. 3

P. Castelli, Hortus messinensis, Typis Viduae Ioannis Francisci Bianco, Messanae, 1640, p. 48. Citato in L. Tongiorgi Tomasi, “’Extra” e ‘Intus’: progettualità degli orti botanici e collezionismo eclettico tra il XVI e XVII secolo”, in AA. VV., Il giardino come labirinto della storia, Centro studi di storia e arte dei giardini, Palermo, pp. 48-57, in particolare p. 51.

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Dando dunque per accreditato lo stretto rapporto di un certo tipo di aiuole, soprattutto quelle geometriche contrassegnate da numeri, con i luoghi mentali, ne consegue che in esse possano essere trasfuse idee e concetti in modo da ricreare al di fuori della mente ciò che in realtà può esistere solo al suo interno. In altre parole, le aiuole possono essere concepite come strumenti che rendono il sapere fruibile attraverso le immagini. Vi si dovrebbe rispecchiare – per dirla col dotto gesuita Walter J. Ong – il problema della “materializzazione dei topoi”4, ovvero la proiezione dei luoghi mentali e il prolungamento della struttura cognitiva della mente in un preciso spazio fisico ben ordinato. Questo tema, che abbiamo già incontrato nel pensiero di Del Riccio, costituirà il filo conduttore della nostra indagine sulle caratteristiche gnoseologiche degli spazi fisici e in particolar modo dell’architettura “cinetica”. Sotto quest’ottica, dunque, ci fermeremo ad esaminare alcuni giardini cinque-seicenteschi per evidenziare il loro funzionamento proprio come contenitori di idee. Una digressione di carattere filosofico sugli spazi geometrici potrebbe offrire un contributo non irrilevante all’approfondita analisi del rapporto tra topos interno e gli spazi architettonici in generale.

Tra i numerosi esempi scegliamo come filo conduttore un celebre testo seicentesco di orticoltura, De Florum Cultura (1633), scritto dall’erudito gesuita Giovan Battista Ferrari (1583-1655)5. Era costui un intellettuale che operava a Roma, in un ambiente culturale estremamente articolato, in cui spiccava, tra l’altro, l’Accademia dei Lincei, con i cui membri egli, come poi si dirà, aveva un rapporto culturale e anche di amicizia. Sull’opera, pur essendo considerata una fonte preziosa di notizie botaniche e orticole agli inizi del Seicento, non è stata ancora effettuata un’attenta ed esauriente indagine sulla sua importanza nella storia del giardino geometrico, tranne alcuni brevi e pionieristiche osservazioni6.

4

W. J. Ong, Ramus: Method, and the Decay of Dialogue: From the Art of Discourse to the Art of

Reason, Harvard University Press, Cambridge (Mass), 1958. 5

L’opera è stata pubblicata nell’edizione del 1638 a cura di Lucia Tongiorgi Tomasi, Flora overo

culutura di fiori, riproduzione in facsimile a cura e con introduzione di Lucia Tongiorgi Tomasi,

Olschki, Firenze, 2001. I riferimenti che seguono sono ricavati da questa edizione.

6

Cfr. I. Belli Barsali, “Una fonte per i giardini nel Seicento: il trattato di Giovan Battista Ferrari”, in G. Ragionieri (a cura di), Il giardino storico Italiano. Problemi di indagine, fonti letterarie e

storiche, Firenze, 1981, pp. 221-234; G. Galletti, “‘Se amerai di gareggiare con la vaghissima

ritondità del cielo... ’, il giardino a pianta centrale fra manierismo e barocco.” in A. Tagliolini et al. (a cura di), Il giardino delle muse, EDIFIR, Firenze, 1995, pp. 39-60. Lucia Tongirogi Tomasi ha analizzato le aiuole della Flora dal punto di vista dello sviluppo dell’arte topiaria. Cfr. L. Tongiorgi Tomasi, “Tradizione iconografica, simbologia e scienza in alcuni progetti di arte topiaria tra Cinque e Seicento”, in M. Azzi Visentini (a cura di), Topiaria: architetture e sculture vegetali nel giardino

occidentale dall’antichità a oggi, Edizioni Fondazione Benetton Studi Ricerche/Canova, Treviso,

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Notevole interesse rivestono, dunque, raffinate incisioni su rame inserite nell’opera, tra le quali si trovano non solo le immagini delle essenze vegetali fiorite ma anche alcune planimetrie di aiuole “ideali”. Queste ultime presentano, con il testo esplicativo dell’autore, forme concentriche e geometriche che ricordano gli orti botanici coevi. I giardini di allora, com’è noto, assumevano forme rigorosamente geometriche e, a volte, di difficile realizzazione, ma pochi sono i testi pervenutici che illustrano chiaramente i principi che regolano forma e simbologia ad essa affidate7. Ferrari, non privo di doti letterarie, nel discorrere dei propri giardini, paragona i fiori coltivati con le stelle scintillanti del cielo e, inoltre, sostiene che le aiuole costituiscano il riflesso del Paradiso Celeste. Ritengo che questo paragone poetico offra una chiave importante sia per l’interpretazione delle forme geometriche delle sue aiuole, sia per un ulteriore esame degli orti botanici coevi che presentavano tali forme.

Ci si propone dunque di evidenziare qui le norme che regolano la progettazione dei giardini, sia attraverso l’analisi delle conoscenze botanico-astrologiche, che l’autore presenta in relazione alle forme delle aiuole, che attraverso il confronto delle planimetrie con la tradizione urbanistica della città ideale.

2. Ferrari e la cultura scientifica agli inizi del Settecento a Roma.

2.1. Il mecenatismo dei Barberini e l’Accademia dei Lincei.

In anni recenti sono stati particolarmente focalizzati gli aspetti della cultura artistico-scientifica che fiorì a Roma durante il papato di Urbano VIII (1623-1644). Grazie al sostegno dello stesso papa e del ‘cardinal nepote’ Francesco Barberini, nella città eterna fiorirono studi scientifici molto avanzati che interagirono con le arti figurative. Sulle colline dell’Urbe facevano a gara per sfarzo numerosi giardini, in cui erano coltivate rare essenze vegetali provenienti dal Nuovo Mondo, e che i nobili raccoglievano e studiavano svariati reperti naturali che stavano affluendo a Roma da ogni angolo del mondo, grazie anche ai missionari gesuiti.

7

Dal Rinascimento in poi comincia ad apparire il disegno del giardino nei trattati dell’architettura. Si raccomandano in generale le proporzioni geometriche per le aiuole, ma senza spiegazione dei loro significati. Il primo trattatista dell’architettura che discuse il disegno delle aiuole è Sebastiano Serlio. Cfr. Id., I sette libri dell’architettura, Venezia, 1584, Libri IV, pp. 197-198, ristampa anastatica, Arnaldo Forni, Bologna, 1976. Su questo argomento si veda anche A. Tagliolini, Storia

del giardino italiano: gli artisti, l’invenzione, le forme dall’antichità al XIX secolo, La casa Usher,

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In questo clima di vivacità culturale un ruolo primario fu giocato dalla Accademia dei Lincei, di cui anche il cardinale Barberini era membro onorario. Fondata nel 1603 dal “principe” Federico Cesi (1585-1630), la Accademia è ritenuta dagli storici della scienza una delle prime organizzazioni specializzate in studi scientifici ed è nota soprattutto per aver difeso la teoria eliocentrica proposta da uno dei suoi membri, Galileo Galilei (1564-1642).

Una serie di studi pionieristici dedicati alla Accademia, condotti nei primi anni del secolo scorso da Giuseppe Gabrieli8, aveva già analizzato il pensiero e le attività innovative dei Lincei. Tuttavia la scoperta, attorno al 1980, di alcuni documenti ha permesso di approfondire ulteriormente i numerosi e importanti contributi apportati dal sodalizio allo sviluppo della cultura scientifica ed anche artistica. Tra questi ricordiamo l’organizzazione sistematica di esperimenti sul mondo naturale, i progetti di pubblicazione di libri scientifici, la produzione di illustrazioni naturalistiche e l’organizzazione di raccolte di reperti naturali, cui hanno contribuito accademici quali, in primo luogo, il suo fondatore e Principe Federico Cesi, Fabio Colonna (1567-1640), Giovanni Faber (1574-1629) e Cassiano Dal Pozzo (1588-1657)9. Dal momento che la botanica era uno dei campi privilegiati della Accademia, il tentativo di evidenziarne l’influenza sul giardinaggio e sull’orticoltura coevi potrebbe essere un terreno d’indagine assai fertile. È proprio Ferrari, gesuita e, pur non essendone membro, amico di membri della Accademia dei Lincei, a fornirci un esempio assai significativo da questo punto di vista.

2.2. G. B. Ferrari e le sue opere principali.

8

Sugli studi classici sulla Accademia dei Lincei rimando alle opere di G. Gabrieli (a cura di), Il

Carteggio linceo della Vecchia Accademia di Federico Cesi (1603-1630), Giovanni Bardi, Roma,

1938-1942; Id., Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, voll. 2, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1989 che raccolgono la lunga serie di articoli dedicati da G. Gabrieli alla storia dei primi Lincei.

9

Cfr. Il Museo Cartaceo di Cassiano dal Pozzo. Cassiano naturalista, «Quaderni Puteani 1», Milano, 1989; G. Olmi, L’inventario del mondo. Catalogazione della natura e luoghi del sapere

nella prima età moderna, Mulino, Bologna, 1992, pp. 315-379; D. L. Sparti, Le collezioni dal Pozzo. Storia di una famiglia e del suo museo nella Roma seicentesca, Franco Cosimo Panini,

Modena, 1992; F. Solinas (a cura di), I Segreti di un Collezionista. Le straordinarie raccolte di

Cassiano dal Pozzo 1588-1657, De Luca, Roma, 2001; D. Freedberg, The Eye of the Lynx: Galileo, His Friends, and the Beginnings of Modern Natural History, The University of Chicago Press,

Chicago-London, 2002; I. Baldriga, L’Occhio della Lince. I primi Lincei tra arte, scienza e

collezionismo (1603-1630), Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 2002; F. Tognoni, Arte e Natura tra Cinque e Seicento. Fabio Colonna : un caso esemplare, Tesi di dottrato di Seconda

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Nato a Siena nel 1583, dopo aver ricevuto una formazione culturale di base, Giovan Battista Ferrari entrò, nel 1602, nel Collegio Romano della Compagnia di Gesù10. In seguito egli divenne professore di ebraico nello stesso Collegio e svolse tale attività per un periodo straordinariamente lungo (1618-1642). Ferrari si interessò attivamente di botanica fin dalla gioventù, probabilmente seguendo la tradizione di Pietro Andrea Mattioli, il grande botanico senese cinquecentesco. Attraverso la raccomandazione del Linceo Cassiano Dal Pozzo, amico e protettore di Ferrari, il gesuita frequentò il circolo dei Barberini e lì intrecciò rapporti di amicizia con gli altri Lincei acquisendo profonde conoscenze di botanica. Dopo aver assunto il ruolo di consigliere per l’orticoltura per la famiglia Barberini, ne curò i giardini occupandosi della coltivazione di piante provenienti dall’America, Asia e Africa.

Nel 1633 Ferrari pubblicò De Florum Cultura11, che fu tradotto in italiano nel 1638 da Ludovico Aureli col titolo Flora overo cultura di fiori (d’ora in avanti Flora)12. In questo compendio di giardinaggio e orticoltura viene comunque utilizzato un “istile, benché di prosa, prossimo al poetico”13, che ben si adeguava ad un professore di retorica. L’autore esprime i suoi ringraziamenti a Dal Pozzo per avergli offerto generosamente “i bellissimi segreti in material di fiori”14. L’interesse dell’opera risiede non solo nella vasta conoscenza botanica dell’autore, che si cimenta in una precisa classificazione dei fiori da poco introdotti in Europa, ma anche nel suo singolare modo di combinare il mondo scientifico e quello allegorico, di cui parleremo tra breve. Ben conoscendo l’efficacia delle raffigurazioni realistiche delle piante per la classificazione, padre Ferrari presentò una serie di minuziose illustrazioni di varie specie di fiori. Tra queste spicca un’immagine di semi della «rosa cinese», cioè dell’ibisco, realizzata con l’aiuto del microscopio, la cui raffigurazione voleva anche suscitare un senso di meraviglia per questo strumento appena inventato (fig. 1).

Il gesuita lavorò successivamente, sempre in collaborazione col Linceo Dal Pozzo, alla Hesperides sive de Malorum Aureorum Cultura, un’opera pionieristica che vide la luce a Roma nel 1646 e che diede inizio ad una ricca tradizione di trattati dedicati esclusivamente

10

Sulla bibliografia di Ferrari rimando a A. Tagliolini, Storia del giardino italiano, cit., pp. 234-236; D. Freedberg, “From Hebrew and Gardens to Oranges and Lemons: Giovanni Battista Ferrari and Cassiano dal Pozzo”, in F. Solinas (a cura di), Cassiano dal Pozzo. Atti del Seminario

Internazionale di Studi, De Luca edizione d’Arte, Roma, 1989, pp. 36-72; L. Tongiorni Tomasi, An Oak Spring Flora: Flower Illustration from the Fifteenth Century to the Present Time, Oak Spring

Garden Library, Upperville, 1997, pp. 116-121.

11

G. B. Ferrari, De Florum Cultura, Paulino, Roma, 1633.

12

G. B. Ferrari, Flora overo cultura di fiori, Facciotti, Roma, 1638.

13

Ibid., p. 9.

14

(7)

agli agrumi15. Sulla scia di quest’opera vennero pubblicati, per citarne solo due, Nederlantze Hesperides (1676) di Jan Commelin e Nürnbergische Hesperides (1708-14) di Carl Volkamer16. Anche nella Hesperides di Ferrari, così come in Flora, accanto alle descrizioni basate sull’osservazione diretta, accompagnate da accurate illustrazioni, si inseriscono storie di ispirazione ovidiana riguardanti la nascita delle differenti specie di agrumi. L’autore, di fronte alle specie anomale che male si inseriscono in ogni tentativo classificatorio, fa sovente ricorso alla spiegazione poetica, presentando curiosi episodi sulla metamorfosi di personaggi in alberi per spiegare le forme straordinarie di particolari agrumi17.

Come accennato dallo stesso Ferrari, per la stesura di queste ambiziose opere occorreva il patrocinio del potente Linceo Cassiano Dal Pozzo. Poiché egli stesso era un naturalista e collezionista, non solo egli offrì al gesuita aiuto finanziario, ma fornì anche numerosi disegni di piante e raccolse un’enorme quantità di informazioni botaniche grazie alla sua vasta rete di rapporti epistolari, che annoveravano nomi importanti quali quello grande collezionista francese Nicolas Claude Fabri de Peiresc (1580-1637). Pertanto per inquadrare il contesto culturale-intelletturale in cui la Flora si inserisce, diamo un rapido sguardo alle ricerche botaniche condotte dalla Accademia dei Lincei.

2.3. La ricerca botanica della Accademia dei Lincei.

Gli studi sulla natura e, in parte, sul cosmo condotti dai membri della Accademia si possono considerare molto innovativi per l’epoca in quanto i Lincei compivano studi sui dati ottenuti da osservazioni dirette e sistematiche, compiute con l’aiuto di nuovissimi strumenti quali microscopio e telescopio e mantenendo un atteggiamento critico nei confronti delle speculazioni esclusivamente teoriche. Essi ritenevano poi utile rendere visibili tali risultati con illustrazioni realistiche e il “Principe” provava ad ordinare e

15

G. B. Ferrari, Hesperides sive de Malorum Aureorum Cultura et Usu Libri Quatuor, Herman Scheus, Roma, 1646.

16

Cfr. D. Freedberg, “Cassiano, Ferrari and Their Drawings of Citrus Fruit”, in id. e E. Baldini,

Citrus Fruit. The Paper Museum of Cassiano dal Pozzo: a catalogue raisonnè, Harvey Miller,

London, 1997, pp. 45-99.

17

Sulla Hesperides e il problema della sua classificazione degli agrumi si vedano D. Freedberg, “Ferrari on the Classification of Oranges and Lemons”, in E. Cropper, G. Perini e F. Solinas (a cura di), Documentary Culture. Florence and Rome from Grand-Duke Ferdinando I to Pope Alexander

VII, Nuova Alfa, Bologna, 1992, pp. 287-306 ; Id, “Ferrari and the Pregnant Lemons of

Pietrasanta”, in M. Azzi Visentini e A. Tagliolini (a cura di), Il giardino delle esperidi: gli agrumi

nella storia, nella letteratura e nell’arte, EDIFIR, Firenze, 1996, pp. 41-58; Id., “Cassiano, Ferrari

(8)

classificare “gli oggetti tutti che si presentano in questo gran theatro della natura”18 tramite articolati alberi diagrammatici, ossia tavole dicotome “ramiste”, di cui parleremo tra breve. D’altro canto, per inquadrare nella giusta prospettiva storico-intellettuale l’attività della Accademia, è necessario considerare anche il loro interesse verso saperi pseudo-scientifici quali l’alchimia, l’astrologia e la magia naturale, che, seppure non fossero d’ostacolo, certamente non favorivano lo sviluppo di un metodo di ricerca scientifica rigorosamente moderno. Questi aspetti esoterici della Accademia, che caratterizzano peraltro tutta la fase iniziale della “rivoluzione scientifica”, sono ben rappresentati soprattutto da alcuni dei primi Lincei, come Eckius e Della Porta, che, pur ricorrendo a osservazioni dirette, mantenevano una certa tendenza a seguire, talvolta ciecamente, i grandi autori classici ed ad accettare, talvolta acriticamente, aspetti del sapere tradizionale. A questo proposito sarebbe il caso di ricordare anche il fatto che nelle comunicazioni accademiche veniva talora utilizzato, in particolare durante i difficili inizi, un codice cifrato che usava simboli astrologici19.

Dal nostro punto di vista risulta particolarmente interessante il fatto che Federico Cesi, fondatore della Accademia e menzionato una volta anche in Flora20, si fosse dedicato alla botanica, considerandola come base essenziale per la costruzione di un sistema classificatorio di tutta la natura. Per esempio, nell’abbozzo dello statuto della Accademia, il Lynceographum la cui stesura ebbe inizio nel 1604, il “Principe” descrive le varie strutture necessarie per le sedi (“domicili”) ideali della Accademia, tra le quali, accanto a biblioteche, musei, specoli, laboratori scientifici, sono presenti anche “Areolam conficiendo hortulo Botanici studij, et domesticae deambulationis gratia exhibeat”21. Quest’ultimo non è altro che un orto botanico. Cesi stesso, infatti, aveva nella sua dimora di Acquasparta un giardino dedicato alla collezione botanica22.

18

F. Cesi, Del Natural Desiderio di Sapere et Institutione de’ Lincei per Adempi di Esso, in Id,

Opere scelte, a cura di C. Vinti e A. Allegra, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, Perugia, 2003, pp.

21-51, in particolare p. 35.

19

Per quanto riguarda il codice cifrato usato dai Lincei si vedano A. Alessandrini, “Originalità della Accademia dei Lincei.”, in AA.VV., Convegno celebrativo del IV centenario della Nascita di

Federico Cesi, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1986, pp. 77-177, in particolare p. 107; W.

Eamon, Science and the Secrets of Nature: Books of Secrets in Medieval and Early Moddern

Culture, Princeton University Press, Princeton, N.J., 1994, pp. 229-233. 20

G. B. Ferrari, Flora, cit., p. 229.

21

Lynceographum: Quo norma studiosae vitae lynceorum philosophorum exponitur, edizione a cura di A. Nicolò, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 2001, c. 73v. La citazione è a p. 88. Sull’esame del Lynceographum si vedano A. Alessandrini, “Originalità della Accademia dei Lincei”, cit., pp. 89-99; G. Olmi, L’inventario del mondo, cit., pp. 356-365.

22

Sugli studi botanici dei Lincei cfr. G. Mazzolani e S. Pignatti, “Federico Cesi botanico”, in AA.VV., Convegno celebrativo del IV centenario della Nascita di Federico Cesi, cit., pp. 213-223; P. Findlen, Possessing Nature: Museums, Collecting, and Scientific Culture in Early Modern Italy, University of California Press, Berkeley, 1994, pp. 73-76.

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Il “Principe” dei Lincei redasse, inoltre, nel 1628 le grandi tavole classificatorie delle essenze vegetali: le Tabulae Phytosophicae. Esse sono composte da venti tavole sinottiche, tredici delle quali redatte dallo stesso Cesi, mentre le restanti sono state completate, sulla base delle bozze cesiane, dall’accademico Francesco Stelluti, cui si deve il merito della pubblicazione di quest’opera, ventuno anni dopo la morte del Principe. È importante notare come queste tavole richiamino lo schema arborescente “ramista” (fig. 2). Esse sono basate su una struttura dicotomica, ciascun concetto è suddiviso in due o più concetti subordinati, così da costruire l’articolazione dei rami dell’albero che procedono, verso destra, dal generale al particolare. Come Cesare Vasoli e David Freedberg hanno notato, vi si può scorgere l’influenza dell’enciclopedismo e dell’arte della memoria coevi, due discipline che tentavano di organizzare lo scibile utilizzando vari corredi iconografici quali diagrammi, tavole, figure geometriche, attraverso i quali si assicura l’ordinata comprensione del tutto e delle sue parti23.

Anche altri accademici quali Eckius, Colonna, Faber, Schreck, Müller si dedicarono alla ricerca botanica. I loro studi mostrano, da un lato, sorprendente modernità nel criterio classificatorio basato sulla funzione del fiore e del seme, nella nomenclatura binomia, che anticipa quella di Linneo, e nel riconoscimento delle possibili varietà all’interno della stessa specie. Nella ricerca scientifica dei Lincei l’uso del microscopio supera l’aspetto di mera curiosità per divenire, sulla scorta del Linceo Galilei, un vero e proprio strumento scientifico. D’altra parte, però, vi si scorge ancora l’esigenza di rispettare gli autori classici quali Teofrasto, Dioscoride e Plinio. Nelle opere degli accademici trovano spazio mitologia, poesia, letteratura, agricoltura e antropologia.

Nonostante siano apparse recentemente numerose ricerche dedicate alle vicende della Accademia e alla ricostruzione della sua immagine nel suo complesso, resta ancora spazio per esprimere un giudizio storicamente definitivo sul ruolo che essa ebbe nella cultura scientifica e nell’arte figurativa del XVII secolo24. Sebbene non ne fosse membro, ed anzi, da un certo punto di vista, proprio per questo, il padre Ferrari ci offre molti suggerimenti utili per ricostruire un’immagine globale ed oggettiva di questa istituzione scientifica. Tenendo dunque in considerazione la coesistenza di una modernità innovativa e del modo

23

Cfr. C. Vasoli, “Le Aaccademie tra Cinquecento e Sicento e il loro ruolo nella storia della tradizione enciclopedia”, in L. Boehm e E. Raimondi (a cura di), Università, Accademie e Società

scientifiche in Italia e Germania dal Cinquecento al Seicento, Mulino, Bologna, 1981, pp. 81-115,

in particolare p. 107 ; Cfr. D. Freedberg, The Eye of the Lynx, cit., pp. 367-396. Si veda anche I. Baldriga, L’Occhio della Lince, cit., pp. 123-147.

24

Sulla collocazione culturale-intelletturale della Accademia dei Licei si vedano E. Garin, “Fra ’500 e ’600: scienze nuove, metodi nuovi, nuove accademie.”, in AA.VV., Convegno

celebrativo del IV centenario della Nascita di Federico Cesi, cit., pp. 29-49; P. Findlen, Possessing Nature, cit., pp. 70-78.

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tradizionale di pensare dell’ambiente scientifico dell’epoca, passiamo ad analizzare il contenuto della Flora, scritta sotto una certa influenza dell’attività di Lincei.

3. I disegni delle aiuole geometriche in Flora.

3.1. La composizione della Flora e il suo stile.

Flora, dedicata al Linceo Francesco Barberini, si configura come una sorta di enciclopedia orticolo-floreale, che tratta delle virtù, della semina, della coltivazione e delle varie arti decorative correlate di vari fiori. È organizzata in quattro libri, ciascuno dei quali è ripartito in capitoletti relativi ad un tema. La distribuzione della materia nei quattro libri si articola nel modo seguente:

Libro primo: “Apparecchio di giardini”.

Dopo aver elogiato la nobiltà dell’orticoltura ed aver trattato diacronicamente il suo sviluppo, vengono descritti i disegni e le caratteristiche del luogo in cui viene realizzato il giardino, gli strumenti di giardinaggio e il concime.

Libro secondo: “Segnali e differenze di fiori”.

Vengono illustrate le caratteristiche classificatorie e le virtù dei vari fiori, da quelli europei a quelli provenienti dal “Nuovo Mondo” e dai paesi orientali. Questo libro è corredato da realistiche illustrazioni di alcune piante.

Libro terzo: “Del piantare e del nudrire i fiori”.

Vengono elencate varie tecniche di coltivazione e cura delle piante e spiegati il periodo migliore per la semina, il modo per sterminare gli insetti nocivi e per far moltiplicare le piante.

Libro quarto: “Uso e maraviglie di fiori”.

Si mostrano varie arti floreali, come per esempio la composizione di mazzi di fiori, e si rivelano alcuni segreti relativi al mondo vegetale, cioè si spiega come si possono modificare artificialmente i colori, le forme, gli odori ed i periodi di fioritura delle piante.

L’opera è caratterizzata dalla mescolanza di letteratura, arte, mitologia, etimologia, folclore e botanica. Come si è già accennato, questo connubio inscindibile tra arte e scienza è elemento che attraversava tutte le attività della Accademia dei Lincei. In Flora, infatti, leggiamo le lodi per la ricerca botanica dei Lincei, quali Fabio Colonna e Federico Cesi che

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lavoravano proprio in quel momento al progetto della grande “Istoria Messicana”, impresa senza precedenti che intendeva descrivere in modo completo la storia naturale del Nuovo Mondo25.

Accanto alle descrizioni scientifiche e alle illustrazioni realistiche, sono inserite le favole della dea Flora e di altre divinità, accompagnate da bellissime incisioni eseguite da grandi artisti tra cui ricordiamo Pietro da Cortona e Guido Reni26. Inoltre, nel quarto libro dedicato alle meraviglie dei fiori, l’autore rivela la “ricetta” di una sorta di fertilizzante chimico, con il quale i coltivatori avrebbero potuto trasformare a piacere caratteristiche delle piante quali colore, profumo dei fiori e periodo di fioritura.

La Flora rispecchia dunque in modo evidente il gusto e l’estetica dell’età barocca, che apprezzava il senso del meraviglioso, non solo in campo artistico, ma anche negli studi scientifici e in cui coesistevano armoniosamente conoscenze tradizionali e innovative27. Non possiamo supporre quindi che questo gusto si rispecchi anche nei disegni delle aiuole geometriche?

3.2. I disegni delle aiuole.

I progetti delle aiuole vengono presentati nel terzo capitolo del primo libro intitolato “Architettura del giardino” (pp. 14-44). L’autore tratta in primo luogo delle condizioni ideali del sito e delle varie operazioni giardinieresche quali la coltivazione delle siepi, la compartimentazione e l’organizzazione della rete dei sentieri. Poi passa alla “dichiarazione di vari modelli di giardini”, cioè alle spiegazioni di sette planimetrie esemplari dei giardini. Intendiamo qui focalizzare l’attenzione solamente sull’aspetto estetico dei disegni, mentre esamineremo più avanti le regole per la scelta del luogo in cui edificare i giardini in relazione con la tradizione urbanistica.

Il giardino deve essere cinto – dice Ferrari – da una siepe o da un muro, all’interno del quale si possono scegliere, secondo i propri gusti, aiuole di varie forme geometriche: quadra, rotonda, poligonale (p. 16). Per quanto riguarda la compartimentazione, si può affidare l’operazione al “saggio Architetto”, il quale, preparati i vari disegni, sceglierà “il

25

G. B. Ferrari, Flora, pp. 12-14.

26

L. Tongiorgi Tomasi, “«L’arte ingenua e ingegnosa di coltivare i fiori». Note su Flora ovvero

cultura di fiori di Giovan Battista Ferrari.”, in G. B. Ferrari, Flora, cit., pp. IX-XXV, in particolare

p. XIV.

27

Sull’aspetto della “magia naturale” della Flora si veda A. Segre, “Le metamorfosi e il giardino italiano nel seicento”, in A. Tagliolini et al. (a cura di), Il giardino delle muse, cit., pp. 97-126. Per quanto riguarda l’estetica barocca applicata alla scienza della natura cfr. J. Kenseth (a cura di), The

(12)

più vago” (p. 20). “Niuna però”, sottolinea il gesuita, “se ne forma più leggiadra di quelle, che, ò rose alla ritondità, ò stelle a gli acuti raggi rassembrano” (p. 22). Ferrari ne spiega successivamente la ragione con le seguenti parole poetiche:

“ […] questi nostri Elisij senza fiori ancora fioriscano, ed habbiano le loro stelle, che la bellissima progenie de’ fiori producono con evidenza maggiore, che i rimotissimi lumi celestiali co’ loro influssi non fanno.” (ibid.)

Nonostante la sua brevità, questo brano è ricco di spunti, giacché vi si prospetta lo stretto rapporto che l’autore instaura tra il mondo celeste e quello vegetale. Le aiuole nel giardino-paradiso (“Elisij”), infatti, vengono paragonate alle stelle. Va sottolineato inoltre il chiaro rinvio all’influsso dei “lumi celestiali”, benché la loro efficacia sembri qui sottovalutata. Tra i compartimenti – continua il gesuita – i più “vaghi” ed adatti per la coltivazione dei fiori sono “quelli di otto angoli con piccoli quadretti fraposti” (ibid.). Dopo questa introduzione, Ferrari presenta le sette planimetrie dei “giardini modello”, ognuna delle quali viene brevemente commentata.

Prima pianta (fig. 3)

È un giardino quadrato suddiviso minuziosamente, all’interno del quale si trova un compartimento centrale a forma di stella ad otto punte. L’autore così commenta:

“Chi havrà a grado, nel ristretto di terrestre Giardino di rappresentare quella Città celestiale, felice stanza di eterna stabilità, [...] e nel dimorare in terra, di assuefarsi in un certo modo al Cielo, habbiasi il modello, che a’ Giardini quadrati esattamente quadra [...] ” (p. 23)

Seconda pianta

È una versione rettangolare, dice il gesuita, della prima pianta, ma la sua suddivisione è un po’ diversa. È divisa a croce, al cui centro si trova una piccola aiuola la cui forma ricorda quella di un fiore con otto petali rotondeggianti.

Terza pianta (fig. 4)

Viene paragonata di nuovo al cielo:

“Se, facendo elettione, per vaghezza dell’Horto, di una sembianza ritonda, amerai di gareggiare con la vaghissima ritondità del Cielo, ò di fabricare al secolo de’ fiori quasi un nuovo mondo;” (ibid.)

(13)

La pianta presenta una figura rotonda inscritta in un quadrato. La composizione rimanda ad un edificio a pianta centrale, soprattutto al tempietto di Bramante, illustrato nel trattato di Sebastiano Serlio (fig. 5). Lo spazio agli angoli del quadrato viene adibito a uccelliera o a cella “per riporui i ferramenti e le massaritie dell’Horto” (ibid). Queste strutture angolari, inoltre, devono rimanere basse per non adombrare le aiuole.

Quarta pianta (fig. 6)

Partendo dallo schema precedente, sostituendo l’aiuola rotonda con una ottagonale, si ottiene la quarta pianta, caratterizzata da spazi a forma triangolare.

Quinta pianta (fig. 7)

È “un cerchio ovato dell’honestissima Flora” nel quale la forma dell’ippodromo classico viene rappresentata e sostituita dai fiori affinché se ne possa godere lo spettacolo in una “perpetua primavera” (p. 24). Anche in questo caso lo spazio angolare viene adibito a celle per vari usi.

Sesta pianta (fig. 8)

Serve per risolvere un eventuale problema di irregolarità del sito. Di fronte a questo problema, la maggior parte della pianta – dice il gesuita – viene divisa in settori regolari, mentre la parte rimanente viene ad assumere una forma a piramide o ad obelisco. La pianta mostra un grande rettangolo suddiviso a croce, in cui i quattro settori quadrati sono disegnati in modo tale da formare la figura di un fiore intorno ad un’aiuola centrale. Ricorrente in questa pianta il numero “otto”: infatti sono otto i petali che costituiscono i quattro settori, come otto sono i petali del fiore centrale.

Settima pianta

È un labirinto, le cui siepi si mantengono basse.È un dedalo vegetale a percorso obbligato, cioè un viottolo a senso unico che porta al centro del labirinto. Attraverso questo disegno, grazie al contrasto tra la bellezza delle aiuole e i pericoli simboleggiati dal labirinto, è possibile rappresentare l’“agevolezza” e la “malagevolezza” della cultura dei fiori.

Come abbiamo visto, le prime quattro piante si basano, in qualche modo, sul modello celeste ed anche la quinta pianta presenta una forma simile a quelle precedenti. Invece si ha l’impressione che i disegni della sesta e la settima pianta rappresentino casi accidentali. A proposito di queste piante l’autore spiega in modo assai laconico i motivi essenziali

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per progettare la forma del giardino, paragonando le aiuole alla Città Celeste e i fiori coltivati alle stelle. Per comprendere pienamente i significati e i simbolismi che il padre gesuita ha affidato a questi paragoni ed alle figure geometriche, bisogna rivolgere lo sguardo anche alle altre parti dell’opera in cui l’autore racconta i legami tra il regno vegetale e il mondo celeste.

4. I giardini geometrici come immagine speculare del Cielo.

4.1. “L’astro-botanica” nella Flora.

Nella Flora ricorrono espressioni che paragonano i fiori alle stelle del firmamento e i giardini al Cielo. Ad esempio, all’inizio del primo libro, dove si loda la dignità del giardinaggio, l’autore ci esorta a seguire un “convenevole e dolce passaggio”, un sentiero che dai fiori raggiunge le stelle (p. 2). Infatti presso le diverse culture e in ogni tempo i giardini rappresentano “adombrate e rozze imagini della celeste amenità” (ibid.). Anche sull’aspetto pratico, d’altro canto, si presume che il giardiniere debba avere “qualche notitia [...] delle stelle” (p. 46), per saper riconoscere i momenti più favorevoli per coltivare i fiori. Proprio su questo Ferrari si dilunga nel terzo libro, presentando i precetti concreti riguardanti la decisione della semina. Vediamo dunque come l’autore esponga le teorie della cosiddetta “astro-botanica”.

Dal momento che Vertunno, dio dei giardini e di frutti che sorveglia l’alternarsi delle stagioni, era anche personificazione della luna, per “fare scelta de’ giorni più all’opera profittevoli”, si devono osservare attentamente i moti, le fasi e gli effetti della luna. Infatti secondo le opinioni dei “Greci”, il “calore” e l’“umido” dell’astro hanno una profonda influenza sulla crescita delle piante (p. 224). Dopo aver presentato i vari pareri sull’influenza lunare, l’autore passa a trattare del rapporto tra la luna e i segni zodiacali. Ferrari cita chiaramente la sua fonte, cioè il famoso brano del libro XVIII di Plinio nella Naturalis historia , secondo il quale il moto lunare attraverso i segni dello zodiaco produce effetti, positivi e negativi, per la coltivazione delle piante (p. 225).

Dunque, i momenti favorevoli per la semina sono quelli in cui la luna si trova in determinati segni zodiacali quali Ariete, Toro, Vergine, Libra e Pesci. I Gemelli sono invece un segno ostile e pertanto rappresentano un momento sfavorevole, mentre il resto dei segni zodiacali non ha influenza di alcun genere. Per decidere quando effettuare la semina si deve scegliere anche la fase lunare più favorevole (p. 226). L’atteggiamento

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dell’autore nei riguardi dei precetti astrologici è incisivamente delineato nella frase che segue:

“Chi tien quel conto del piantar d’un fioretto, che suol tenersi della natività di qualche Principe, e stima doversi rinvenire più esattamente l’horoscopo, overo ascendente, che sia felicissimo; costui faccia pruova di più maniere, e s’attenga alla migliore” (p. 227).

Anche in questo caso rinveniamo un’eco di astro-botanica, o per meglio dire “astro-giardinaggio”, secondo il quale chi pratica le tecniche floricole deve scegliere il momento migliore per la cura dei vari fiori accertando l’influenza stellare così come l’astrologo suole osservare l’oroscopo per la nascita dei principi.

Oltre a quella della luna l’autore in seguito illustra le influenze degli altri pianeti (pp. 227-229). Marte è “nocevolissimo” per la terra, mentre Giove e Venere sono propizi. Riguardo a Saturno, se si trova in congiunzione favorevole, è di giovamento per le piante. Alla fine Ferrari, tornando all’argomento del rapporto tra la luna e i segni zodiacali, presenta alcune indicazioni proficue in termini astrologici. Dunque la luna “dovrà essere in segni, che chiamano terrestri, cioè in Toro, in Vergine, e in Capricorno” (p. 227), mentre i segni “che si hanno per propitij” sono “Pesci tutto, e la metà ultima di Sagittario” (pp. 227-276). Giova ricordare qui il fatto che, nella dottrina astrologica, i segni zodiacali sono posti in corrispondenza, in base alle loro caratteristiche, con i quattro elementi. Ad esempio il Toro, la Vergine e il Capricorno sono tradizionalmente considerati segni terrestri28. L’autore aggiunge inoltre notizie riguardanti l’influenza della posizione della luna nei segni zodiacali, indicando concretamente quali fasi lunari nei determinati segni siano favorevoli o nocivi per la crescita delle piante. Pur accogliendo alcune teorie astrologiche, Ferrari critica coloro che cercano irresponsabilmente di dedurre dal cielo la sorte dei fiori, e li paragona ad astrologi che tentano erroneamente di assoggettare “il voler libero dell’huomo alle stelle”. Ciò non toglie che il padre gesuita credesse in alcune dottrine dell’astrologia; anzi, da quanto esposto fin qui risulta evidente che egli riconosceva l’influenza delle luci stellari sul regno vegetale. Se si considera la storia della botanica occidentale, si nota inoltre che la teoria dell’astro-botanica, tradizione notevolmente remota, si prolunga fino al pieno Seicento, epoca in cui Ferrari scrisse la sua Flora. Infatti oltre a Ferrari anche altri teorici del giardino e botanici contemporanei a lui quali Guy de la Brosse e Claude Mollet consideravano l’influenza degli astri sulle piante come sapere

28

Sulle teorie astrologiche e i suoi sviluppi storici restano fondamentali gli studi di S. J. Tester, A

History of Western Astrology, Ballantine Books, Woodbridge, 1987; O. Pompeo Faracovi, Scritto negli astri: l’astrologia nella cultura dell’occidente, Marsilio, Venezia, 1996.

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indispensabile per la coltivazione29. Ebbene, su quale base teorica si basavano questi cultori della scienza giardinieresca per affermare un concetto che sembra enigmatico a noi uomini del XXI secolo?

4.2. La tradizione dell’astro-botanica e la teoria paracelsiana della signatura.

Secondo una tradizionale concezione del pensiero occidentale di matrice aristotelica, ogni ente naturale racchiude, secondo la sua posizione nella gerarchia dell’esistenza, la cosiddetta “quinta essentia”, la stessa materia di cui sono composti i corpi celesti. È proprio questa essenza a fungere da tramite per il legame tra il mondo terrestre e le sfere celestiali30.

Incorporata gradualmente nello studio del regno vegetale, questa teoria contribuisce, durante il Medioevo, alla formazione della tradizione dell’ “erbario astrologico”31. In questo tipo di erbario, ciascuna pianta viene collocata sotto il dominio di un determinato pianeta, di cui l’erborista deve conoscere la natura e l’influenza, dalle quali dipendono sia il momento adatto per la raccolta delle erbe, sia quello per l’assunzione delle medicine con esse preparate.

Nell’età rinascimentale, contestualmente alla nascita della botanica moderna, si verificano, quasi paradossalmente, ulteriori sviluppi della teoria dell’interazione tra entità celesti e quella terrene, del loro attirarsi e influenzarsi a vicenda. Questo tema trova un punto di arrivo negli scritti di Paracelso (1493-1541), medico e alchimista svizzero, che rielabora la vecchia dottrina delle signaturae32. Si tratta di una teoria terapeutica che affidava le possibilità di guarigione di una parte del corpo all’impiego di un vegetale che ne riproducesse l’aspetto33. Inoltre l’alchimista sviluppa un’altra raffinata teoria secondo la

29

Cfr. L. Tongiorgi Tomasi, “The origins, function and role of the botanical garden in sixteenth-and seventeenth-century Italy”, Studies in the History of Gardens & Designed Landscapes, vol.25, No.2, 2005, pp. 103-115, in particolare pp. 107-108; Id., “Gardens of Knowledge and the République des Gens de Sciences”, in Baroque Garden Cultures: Emulation, Sublimation,

Subversion, Dumbarton Oaks, Washington D.C., 2005, pp. 85-129, in particolare p. 89. 30

Cfr. Aristotele, Metafisica, Lib. XII.

31

Su questo si veda A. Pazzini, Virtù delle erbe secondo i sette pianeti. L’erbario detto di Tolomeo

e quelli di altri astrologi, Edizione de “il Giardino di Esculapio”, Milano-Roma, 1959. 32

Paracelso è figura nodale nella nascita della scienza modena. Libri di paracelsiani erano materia di studio diffusa come dimostra la loro presenza nella Biblioteca dell’antico orto di Pisa. Su Paracelso rimando a W. Pagel, Paracelsus. An introduction to Philosophical Medicine in the Era of

the Renaissance, Karger, Basel, 1982, trad. it. di M. Sampaolo con il titolo Paracelso.

Un’introduzione alla medicina filosofica nell’età del Rinascimento, Il Saggiatore, Milano, 1989. 33

Su questo tema rimando a M. L. Bianchi, Signatura rerum: segni, magia e conoscenza da

(17)

quale ogni pianta può essere associata, in base al suo aspetto esteriore (forma, colore, odore, ecc.), ad un determinato pianeta, la cui influenza ne determinerà la virtù medicinale. Si tratta dunque della “iatromatematica” che associa astri, membra e vegetali in funzione terapeutica. Come ha bene illustrato Agnes Arber, autrice dell’opera classica sulla storia della botanica, questa dottrina dà inizio alla cosiddetta “astro-botanica”, una corrente di un certo rilievo, seppur non dominante, nello studio rinascimentale delle piante, diffusa fino al Settecento ed oltre34. Un esempio significativo è offerto dall’erbario di Leonhart Thurneysser, Historia sive descriptio plantarum omnium (Berlino, 1578) in cui le conoscenze botaniche, magiche, astrologiche e alchemiche si armonizzano per creare una visione antropocentrica e organica del mondo vegetale35.

Oltre agli esempi d’oltralpe citati da Arber, le tracce di astro-botanica si possono individuare anche in alcuni scritti italiani. Ad esempio, nel campo pratico del giardinaggio, Agostino Del Riccio presenta, come abbiamo visto, nella sua Agricoltura sperimentale, vari precetti per scegliere il momento migliore per le operazioni del giardinaggio, che può essere determinato in base al movimento della luna36. Per quanto concerne la teoria delle signaturae nel campo botanico, possiamo citare l’esempio di Della Porta che nel 1588 pubblicò la Phytognomonica, in cui si tratta una teoria analoga alla “iatromatematica” paracelsiana. Pur senza essere influenzato dagli scritti di Paracelso, il mago-scienziato napoletano riprende nella sua opera botanica quanto già aveva esposto nel De humana physiognomonia (1586), il più importante testo di fisiognomica dell’epoca, dove teorizzava, basandosi sulla teoria delle signaturae, la corrispondenza tra il carattere ed l’aspetto esterno del corpo37.

Ciò che ci interessa ulteriormente a questo proposito è il fatto che il Paracelso e i suoi seguaci consideravano le piante come stelle terrene. Secondo l’alchimista tedesco ogni pianta è un astro terreno ed ogni astro è una pianta “spiritualizzata”38. Il medico paracelsiano Oswald Croll (ca. 1560-1609), ad esempio, scrive che ogni erba è “Stella Terrena vergens Coelum versus”, mentre le stelle, secondo lui, non sono altro che erbe

34

A. Arber, Herbals: Their Origin and Evolution. A Chapter in the History of Botany, Cambridge University Press, Cambridge, 1986 (1st 1918), pp. 247-263 (Chapter VIII “The Doctrine of Signatures, and Astrological Botany”). Su questo tema si veda anche G. Lamarche-Vadel, Jardin

secrets de la Renaissance. De astres, des simples et des prodiges, L’Harmattan, Paris, 1997,

pp.126-134.

35

Su questo erbario si veda il catalogo della mostra, Immagine e natura: l’immagine naturalistica

nei codici e libri a stampa delle Biblioteche Estense e Universitaria. Secoli XV~XVII, Edizioni

Panini, Modena, 1984, pp. 42-43.

36

Si veda il capitolo II, n. 82.

37

M. L. Bianchi, Signatura rerum, cit., pp. 90-92; Immagine e natura, cit., pp. 127-128.

38

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celesti, dotate di una forma puramente spirituale39. Queste espressioni ci fanno ricordare proprio le succitate analogie delle stelle con i fiori, disseminate nella Flora, tra cui, ad esempio, una bellissima favola della dea Flora che ascende al Cielo, descritto come “Giardino di luce, a fiorire, all’hora che le stelle furono di una nuova luce abbellite”40. Il ruolo essenziale dell’astrologia nella nascita della scienza moderna è anche testimoniato dalla compilazione dell’oroscopo dei membri per la scelta del giorno della fondazione della Accademia dei Lincei e dall’esempio di Galilei, padre dell’astronomia moderna, anch’egli compositore di oroscopi41.

Come abbiamo osservato, i primi anni di attività della Accademia dei Lincei erano fortemente influenzati dall’arte alchemica, specialmente riguardo all’applicazione dell’alchimia alla medicina42. Ad esempio, Eckius, uno dei quattro membri-fondatori, scrive, come rappresentante di tutti gli altri accademici: “Arcanarum sagacissimi indagatores scientiarum, et Paracelsicae dediti disciplinae”43. Infatti, gli studi botanici di Eckius si basavano anche sulla dottrina delle signaturae, che considera l’aspetto esterno dei vegetali come l’indice incontestabile della loro natura interna44. Giovanni Faber, botanico e cancelliere linceo, inoltre, possedeva la Basilica Chymica del paracelsiano Oswald Croll, nella quale si trova il brano sopraccitato che paragona le stelle alle piante45. Dal momento che Ferrari menziona e loda “Giouanni Fabro, Linceo” in Flora, non sembrerebbe improbabile che il padre gesuita fosse stato introdotto alle dottrine alchemiche dei paracelsiani proprio attraverso contatti con i Lincei. L’opera di Croll era talmente popolare nella botanica dell’epoca che appare anche nell’inventario redatto nel 1626 della biblioteca dell’orto botanico di Pisa46.

Comunque sia il loro rapporto d’influenza vicendevole, dalla lettura di Flora risultano chiare tracce dell’arte alchemica nel pensiero di Ferrari. Nel terzo capitolo del quarto libro

39

O. Croll, De signaturis internis rerum, in Basilica chymica [...], in fine libri additus est eiusdem

autoris tractatus novus de signaturis interis rerum, Coloniae Allobrogorum, 1631, p. 13. Citato in

M. L. Bianchi, Signatura rerum, cit., p. 96.

40

G. B. Ferrari, Flora, cit., p. 229.

41

Cfr. A. Alessandrini, “Originalità della Accademia dei Lincei”, cit., p. 105; Sul rapporto dei Lincei con l’astrologia si veda AA.VV., Federico Cesi e la fondazione della Accademia dei Lincei:

mostra bibliografica e documentaria, Istituto per gli studi filosofici, Napoli, 1988, pp. 44-49,

53-55.

42

Cfr. I. Baldriga, L’occhio della lince, cit., pp. 144-147.

43

Lettera a Tomas Merman, 17 Febbrario, 1604, in G. Gabrieli (a cura di), Il Carteggio linceo, cit., p. 30, citato in D. Freedberg, The Eye of the Lynx, cit., p.67.

44

Cfr. D. Freedberg, The Eye of the Lynx, cit., pp. 198-199.

45

Cfr. I. Baldriga, L’occhio della lince, cit., p. 144.

46

C. Sbrana e L. Tongiorgi Tomasi, “Una biblioteca scientifica a Pisa durante il Granducato Mediceo: i libri del Giardino dei Semplici”, in AA.VV., Livorno e Pisa: due città e un territorio

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intitolato “Segreti nella cultura de’ fiori” (pp. 441-444), l’autore cita un “erudito discorso” tenuto, “in una radunanza accademica”, da Andrea Capranica, forse un “giardiniere”, sul quale non abbiamo rinvenuto riscontri biografici. Si tratta dei “segreti dell’arte chimica alla luce degli Horti”. È una sorta di manuale per la composizione del concime chimico. Pur non essendo presente alcun riferimento esplicito al nome di Paracelso, né ai suoi seguaci, nelle pagine dell’opera, però, ricorrono termini (come quinte essenze) e motivi inequivocabilmente riconducibili alle dottrine alchemiche paracelsiane. Ad esempio, vengono innanzitutto citati i tre “ingredienti [...] d’ogni natural mistura”, cioè il mercurio, il sale e lo zolfo, i quali non sono altro che «tre princìpi» paracelsiani47. Tuttavia, per la coltivazione, Ferrari, citando Capranica, consiglia di sostituire il mercurio con “il sangue delle bestie”, il sale con “la cenere” e lo zolfo con “il letame”. Successivamente l’autore illustra come si mescolano questi materiali, riportando numerosi esempi pratici. Possiamo dunque definire questi precetti “giardinaggio alchimistico”.

4.3. I giardini nei quali sono “adombrate e rozze imagini della celeste amenità”.

Da quanto detto sembra lecito ritenere che Ferrari sia stato influenzato, in un certo qual modo, sia dalla tradizione dell’“astro-botanica”, che dalle dottrine paracelsiane sulla reciproca influenza tra l’entità terreste e i corpi celesti. Tenendo presente questo stretto legame tra piante e cielo, approfondiamo ora l’analisi dei modelli dei giardini geometrici presentati dal padre gesuita.

Benché ad una prima impressione le compartimentazioni possano apparire complicatissime, un attento esame della loro tipologia compositiva chiarisce che esse si basano sulla combinazione di figure geometriche semplici, quali sono il quadrato (prima pianta: fig. 3), il cerchio (terza pianta: fig. 4) e l’ottagono (quarta pianta: fig. 6). Com’è noto, nel mondo occidentale, sin dall’antica Grecia, queste forme geometriche possono racchiudere dei simbolismi: il cerchio può rappresentare il cielo, il triangolo la fiamma, il quadrato la terra. Attraverso la loro combinazione, inoltre, si possono simboleggiare i quattro elementi, i principi alchimistici o il cosmo. Come ha notato Lucia Tongiorgi Tomasi non è azzardato cercare influenze di questo tipo di simbolismo nei disegni dei giardini geometrici48.

Maggiore interesse riveste, da questo angolo visuale, la terza pianta (fig. 4) che presenta

47

W. Pagel, Paracalso, cit., pp.71-86.

48

L. Tongiorgi Tomasi, “Tradizione iconografica, simbologia e scienza in alcuni progetti di arte topiaria tra Cinquecento e Seicento”, cit, p. 112; Id., “The origins, function and role of the botanical garden”, cit., pp. 106-107.

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la struttura circolare suddivisa a croce ed inscritta in un quadrato. Dal momento che Ferrari paragonava questa pianta a “la vaghissima ritondità del Cielo” (p. 23), si evince chiaramente che questa figura circolare è considerata come simbolo del firmamento e che i due vialetti che si incrociano al centro corrispondono alle quattro direzioni cardinali del cielo. Da notare inoltre il simbolismo che accompagna la figura di un cerchio inscritto in un quadrato. Questa ultima infatti, insieme con l’ottagono, rappresenta la congiunzione tra il cielo e la terra, o, per meglio dire, la corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo. Esempio emblematico di questo simbolismo è la figura del cosiddetto “uomo vitruviano”, in cui si esprime un canone di proporzioni del corpo umano misurato in analogia con la struttura del cosmo (fig. 9)49.

Oltre al cerchio ed al quadrato, anche l’ottagono caratterizza i disegni delle piante proposte da Ferrari. Si ricordi che il padre gesuita considerava come i più pratici e “vaghi” i compartimenti di “otto angoli” (p. 22). Oltre che nella quarta pianta (fig. 6), che è relativa proprio al giardino ottagonale, si possono riconoscere forme geometriche che rimandano in qualche modo al numero “otto” sparse anche nelle altre piante. Tra queste la più significativa è quella che si trova nel centro della prima pianta (fig. 3), che presenta una forma di una stella a otto punte. L’otto è il numero tradizionalmente legato al mondo celeste. Ad esempio nel sistema tolemaico l’ottava sfera rappresentava le stelle fisse. Inoltre, come è stato dimostrato da Rudolf Wittkower, l’ottagono era considerato la figura simboleggiante Maria, regina del cielo. Difatti si può notare che le chiese dedicate alla Vergine hanno sovente forma a pianta centrale ottagonale50.

Per quanto riguarda il rapporto dei giardini con le dottrine astrologiche, di cui Ferrari era buon conoscitore, ritengo sia possibile applicare lo schema dell’oroscopo alla prima ed alla quarta pianta (fig. 10). Difatti il padre gesuita paragonava, come si è visto, la decisione del momento migliore per la semina al calcolo dell’oroscopo operato dagli astrologi. Con ciò, però, non intendo dire che Ferrari volesse praticare una vera e propria astrologia mediante le aiuole e i fiori ivi coltivati, bensì vorrei suggerire che l’oroscopo poteva essere una delle fonti di ispirazione per la compartimentazione del giardino cinque-seicentesco. Particolare interesse riveste, da questo punto di vista, la pianta dell’orto botanico di Mantova, progettato nel 1603 dall’erborista fiorentino Zenobio Bocchi che aveva una profonda conoscenza dell’astrologia. L’orto mantovano presenta infatti aiuole la cui forma

49

Sul simbolismo delle figure geometriche nell’architettura si vedano R. Wittkower, Architectural

Principles in the Age of Humanism, The Norton Library, New York, 1971 (1st 1949), pp. 3-31; L.

Tongiorgi Tomasi, “Projects for Botanical and Other Gardens: a 16th-Century Manual”, Journal of

Garden History, 1983, vol. 3, pp.1-34; R. Manetti, Le porte celesti: segreti dell’architettura sacra,

Aletheia, Firenze, 2001, pp. 25-29, 42-53.

50

Cfr. R. Wittkower, Architectural Principles in the Age of Humanism, cit., p. 31; R. Manetti, Le

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è chiaramente assimilabile allo schema dell’oroscopo (fig. 11). In una lettera scritta nel 1626 il Bocchi stesso spiegò di aver seguito criteri astrologici nello scegliere tale schema che non vengono tuttavia esplicitati51.

Dallo stesso angolo visuale, anche l’orto botanico di Padova, costruito nel 1545, offre esempi suggestivi, sebbene se non fornisca una prova evidente dell’influenza diretta dell’astrologia. La sua pianta tardocinquecentesca, contenuta nell’opera di Girolamo Porro, L’Horto dei Semplici di Padova, presenta quattro aiuole centrali a forma di stella, inscritte in quadrati (fig. 12)52. Questo raggruppamento di quattro quadrati è iscritto, a sua volta, nel grande cerchio formato dalla recinzione e dal vialetto che circonda l’orto. Come Margherita Azzi Visentini ha accennato, si può considerare questa schema, combinazione di quadrato e cerchio, come una rappresentazione simbolica del cosmo53. Inoltre, riguardo alla divisione a croce dell’orto patavino, Peter Schiller ha avanzato un’ipotesi che può non risultare del tutto convincente ma che è comunque ricca di fascino. Secondo lo studioso questa divisione corrisponderebbe al tradizionale schema del cosmo tolemaico, permettendo di instaurare rapporti privilegiati tra pianeti, segni zodiacali e piante54.

Che questo genere di “astro-giardinaggio” fosse ancora in voga nei primi decenni del Seicento è dimostrato dalla Cristianopolis di Johann Valentin Andreae (1619). Attorno al “Collegio” di questa città utopica si estendono sontuosi giardini ornati “da più di mille diverse specie di piante, tanto da essere un erbaio vivente”. Agli abitanti non è “permesso di mutare l’ordine di distribuzione delle piante, che per l’abilità del giardiniere è stabilito in base alle diverse zone del cielo e forma un insieme meraviglioso, per l’eleganza dei colori, quasi un quadro dipinto.”55

Da quanto detto possiamo ritenere che i giardini geometrici di Ferrari visualizzino e concretizzino negli spazi fisici le corrispondenze tra il regno vegetale e il mondo celeste, tema ricorrente della Flora. Nelle aiuole geometriche che rappresentano l’eterna armonia celeste, dunque, piante eterogenee, provenienti da ogni angolo del mondo, vengono acclimatate ed assumono una propria precisa collocazione a seconda dell’influsso astrologico.

51

Cfr. A. Zanca, “Il Giardino dei Semplici di Mantova di Zenobio Bocchi”, Quadrante Padano, 2 (1981), pp. 32-37; L. Tongiorgi Tomasi, “The origins, function and role of the botanical garden”, cit, pp. 108.

52

G. Porro, L’Horto dei Semplici di Padova, Venezia, 1591.

53

M. Azzi Visentini, L’Orto Botanico di Padova e il giardino del Rinascimento, il Polifilo, Milano, 1984, pp. 89-102.

54

P. Schiller, L’orto botanico di Padova. Geografia astrologica e scienza dei semplici alle origini

della botanica moderna, Centro Tedesco di Studi Veneziani, Quaderni-37, Venezia, 1987, pp.

66-67.

55

Cfr. Johan Valentin Andreae, Descrizione della Repubblica di Cristianopoli e altri scritti, a cura di E. De Mas, Guida, Napoli, 1983, trad. it., pp. 190-191.

(22)

5. I giardini geometrici di Flora e la tradizione della città ideale.

5.1. La repubblica dei fiori

In Flora l’autore paragona spesso giardini con città. Sulla scia di tale paragone, è possibile individuare un rapporto tra il giardino e la cosiddetta “città ideale”, struttura tradizionale urbanistica basata anch’essa sul simbolismo geometrico. Diamo dunque un rapido sguardo al brano in cui l’autore cita esempi di città.

Nel terzo capitolo del primo libro dal titolo “Architettura del Giardino”, il gesuita illustra come costruire muri e siepi. Essendo il giardino “quasi Città di fiori” e “militare alloggiamento delle fiorite schiere”, esso sarà – dice l’autore – cinto da mura “secondo l’uso antico nell’edificar Città” (p. 17). Sempre nello stesso capitolo, Ferrari, discorrendo sul vivaio (“seminario”), chiama le piantine “i pargoletti Cittadini degli Horti”, cui viene dato “buon saggio” e “indole” affinché siano ammesse “nella Republica de’ i fiori” e siano escluse, nel contempo, le specie degenerate e imbastardite (p. 43). Uno stato così rigorosamente controllato e disciplinato non può non ricordarci La Repubblica di Platone. L’autore inizia il quarto capitolo dello stesso libro con parole che paragonano i giardini senza cani da guardia alle “Città, e le Fortezze senza guarnigione militare” (p. 44). D’altra parte l’autore paragona anche il giardiniere, che all’alba deve andare a controllare se “la fiorita republica habbia patito alcun detrimento”(p. 47), al soldato. Le sue armi sono, però, pacifiche per “far sorgere fiori” invece di “trar sangue” (p. 57). Questo stesso concetto è presente, in modo suggestivo e a livello figurativo, in un manoscritto del botanico Giuseppe Casabona preparato verso il 1590 per il progetto del terzo orto botanico di Pisa. In quel manoscritto infatti si rappresenta, attraverso la disposizione simbolica degli strumenti agricoli sopra le armi distrutte (fig. 13), il trionfo dell’arte del giardinaggio nei confronti dell’arte bellica56.

In fine Ferrari, nel primo capitolo del terzo libro, paragona di nuovo fiori a cittadini. Come si vede nella “civil discordia”, anche tra le piante esiste “qualche naturale inimicitia” che va evitata attentamente nelle aiuole (p. 216). Tuttavia, l’autore riferisce in seguito con

56

Sulla figura di Casabona e i suoi manoscritti si vedano F. Garbari e L. Tongiorgi Tomasi, Il

giardiniere del Granduca. Storia e immagini del Codice Casabona, Edizioni ETS, Pisa, 1995; L.

Tongiorgi Tomasi, “Arte e natura nel Giardino dei Semplici: dalle origini alla fine dell’età medicea”, in F. Garbari, L. Tongiorgi Tomasi, A. Tosi, Giardino dei Semplici: Garden of Simples, Edizioni Plus, Università di Pisa, 2002, pp. 47-81, in particolare pp. 47-60.

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una nota ironica di “una dolce guerra circa il pregio della bellezza” condotta tra i fiori coltivati negli orti paragonati a fortezze. Simili concetti si trovano, ad esempio, anche nei giardini inglesi coevi: il giardino di Sir Thomas Fairfax (morto nel 1599) ad Appleton è stato progettato, secondo la descrizione del poeta Andrew Marvell, “in the just Figure of a Fort” con cinque bastioni, mentre quello di Sir Henry Fanshawe a Ware Park nell’Hertfordshire aveva, nel 1606, “a fort, in perfect proportion, with his rampars, bulwarkes, counterscarpes, and all other appertenances”57. A questo proposito va anche considerato che spesso i giardini dell’epoca erano costruiti sui bastioni su cui si ergevano i castelli, come nel caso dei giardini estensi. Infatti per larga parte del XVI secolo la città di Ferrara era circondata da una catena di giardini costruiti sulle mura, che, posti tra città e territorio circostante, costituivano una parte integrante del sistema difensivo cittadino58. Gli stessi criteri geometrici, dunque, potevano all’epoca regolare sia giardini che le città fortificate.

Dal momento che ricorrono in Flora i termini e i motivi riguardanti l’urbanistica di Roma antica (a questi esempi possiamo aggiungere anche il paragone del “giardino con la Città Celeste” e dell’ippodromo che abbiamo visto precedentemente), si può supporre che Ferrari, nei brani sopraccitati, si fosse avvalso del De architectura di Vitruvio, oppure di altri trattati ad esso ispirati. In quest’ottica, esamineremo qui di seguito i precetti impartiti da Ferrari per la costruzione del giardino.

5.2. La città ideale dei fiori.

La prima parte del terzo capitolo del primo libro dal titolo “Architettura del Giardino” è dedicata alla “scelta di sito per l’Horto” (p. 14). La sua collocazione ideale dovrebbe essere, dunque, “sotto cielo temperato, e salutevole, e ben remoto da paludi”. Bisogna inoltre evitare siti in prossimità di fiumi, poiché “l’aure acquose, e fredde” prodotte da questi sono nocive per i fiori (ibid.). Qui l’autore fa ancora riferimento a Plinio59.

Il luogo dovrebbe essere – continua Ferrari reintroducendo la metafora della città – ampio, “affinche il popolo de’ fiori, così vario e numeroso, non habiti angustamente” (p. 15). Altra indicazione suggerita dal padre gesuita riguarda l’orientamento del sito il quale

57

Citato in R. Strong, The Renaissance Garden in England, Thames and Hudson, London, 1979, pp. 122-123.

58

Cfr. G. Leoni, “La città salvata dai giardini. I benefini del verde nella Ferrara del XVI secolo”, in AA.VV., Fiori e giardini estensi a Ferrara. La flora rinascimentale di Luca Palermo, Leonardo ~ De Luca, Roma, 1992, pp. 14-27.

59

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per beneficiare degli “humidi e tiepidi venticelli” dovrebbe essere volto a mezzogiorno; l’autore sottolinea l’importanza di questi elementi naturali paragonandoli alle “anime de’ fiori” (ibid.).

Per quanto riguarda la suddivisione del giardino, è da evitare un disegno contraddistinto da un eccessivo ornamento, come ad esempio la ricamatura, il quale risulterebbe disadatto sia alla semina che alla coltivazione (p. 20). Oltre ai sentieri minori utili per i giardinieri, dovranno esserci alcune vie più larghe che andranno ad incrociarsi nel centro ed altre ancora a circondare il giardino. Queste serviranno non solo per passeggiare, ma soprattutto per mostrare “i vasi da fiori con buon’ ordine” (p. 21).

Questi precetti riguardanti la scelta del sito e le condizioni climatiche ricordano quelli per la scelta del luogo ideale per la costruzione di una città, prescritti da Vitruvio nel primo libro del suo trattato60. Secondo l’architetto romano, il sito dovrebbe essere salubre e temperato, lontano da luoghi paludosi. Ciò che è nocivo per il corpo umano, lo sarà generalmente anche per le piante. Pertanto non deve sorprendere la somiglianza dei precetti per la scelta del sito in cui far sorgere una città o un giardino. Si noti che Ferrari paragonava le siepi che circondano il giardino alle mura di cinta. Inoltre, i viali che si incrociano al centro del giardino richiamano la struttura urbanistica dell’antica Roma, derivata a sua volta da quella degli accampamenti militari, in cui due strade, cardo e decumanus, attraversavano la città formando una croce.

È importante far notare, a sostegno della nostra teoria, che Ferrari presta una accentuata attenzione all’influenza del vento sulle piante. Tale considerazione costituiva un elemento importante anche nella urbanistica di Vitruvio, secondo la quale, come protezione dai venti nocivi (freddi, caldi, umidi) e le infermità da essi causate, i capi delle strade devono delineare direzioni differenti da quelle dei venti61. I venti principali menzionati nel testo sono otto, disposti idealmente lungo le diagonali di un ottagono regolare come una rosa dei venti. Pertanto nei trattati dell’architettura del Rinascimento ispirati a Vitruvio, sono presentati modelli di città ideale, le cui forme concentriche si basano spesso sull’ottagono, ruotato però rispetto a quello dei venti, per seguire i precetti dell’architetto romano (fig. 14). Ne sono esempi noti la Sforzinda di Filarete (1400-1469) (fig. 15), vari progetti di rocca di Francesco di Giorgio Martini (1439-1501) e il progetto di città ideale di Giorgio Vasari il giovane (1562-1625) (fig. 16). Si è già osservato che in queste forme poligonali della città ideale si rispecchia il tema del congiungimento tra terra e cielo, cui lo stesso Vitruvio accennava62. Come abbiamo visto, l’ottagono è la forma preferita anche nei modelli di

60

Vitruvius, De architectura, libro I, cap. IV.

61

Vitruvius, De architectura, libro I, cap. VI.

62

Sul tema del simbolismo della forma geometrica di città si vedano P. Marconi (a cura di), La città

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giardino di Ferrari, il quale ricorre spesso nel suo disegno anche al cerchio e al quadrato. Possiamo ritenere, dunque, con buona probabilità che i disegni geometrici del giardino di Flora fossero basati su una teoria urbanistica che affondava le sue radici fino all’antica Roma. Ferrari, nel proporre i modelli del suo giardino ideale, rielabora questa tradizione ed esalta i simbolismi, quali il congiungimento tra terra e cielo, la corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo. L’originalità del padre gesuita consiste nel mettere in relazione questi concetti urbanistici con il nesso tradizionale tra le piante e il cielo. Cosicché Ferrari realizza i suoi giardini geometrici come “adombrate e rozze imagini della celeste amenità”, ossia come spazi che evochino, seppur nell’imperfezione terrestre, l’ineffabile splendore celeste.

6. Dal giardino terreno al Paradiso Celeste.

Come accennava Ferrari, è difficile realizzare giardini con aiuole dai disegni estremamente complicati. La vera bellezza del giardino, infatti, non consiste nel gioco delle forme ricercate dei compartimenti o nell’esibizione di vasi con piante sagomate in forma eccentrica tipica dell’arte topiaria, bensì nella capacità di suscitare, tramite la disposizione ben ponderata delle piante, la riflessione nell’animo dell’osservatore sull’armonia cosmica. Ciò che contribuisce a creare quest’armonia è proprio il simbolismo delle figure geometriche quali il cerchio e l’ottagono, forme che costituiscono le fondamenta del mondo celeste.

Il fatto di maggior interesse per quanto riguarda il nostro discorso finalizzato ad individuare il modo di organizzare il sapere negli spazi fisici, è che anche nei giardini proposti da Ferrari viene utilizzato un sistema di catalogazione delle piante basato sulla numerazione dei compartimenti e sull’utilizzo degli album progettuali, simile a quello di Del Riccio. “Prima di piantar nel Giardino”, consiglia il padre gesuita, “formane in carta vno schizzo, ò disegno: a ciascun’ aietta, ò compartimento notaui il suo numero” (p. 213). Questo disegno viene incollato “entro vna cartella”. Dopo di che si prepara “vn libretto della stessa misura, che è il disegno”, nei margini del quale si annotano i numeri delle aiuole (ibid). Accanto a ciascun numero quindi si scrivono “i nomi de’ bulbi, ò tuberi, che hauranno in ciascun’ aietta a piantarsi”. Affinché in una stessa aiuola si possano piantar diverse bulbi o tuberi,

G. C. Sciolla, La città ideale nel Rinascimento, UTET, Torino, 1975; A. Fara, La città di Guerra, Einaudi, Torino, 1993.

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