3
2 Introduzione
2.1 La definizione legale di pane
Secondo l’ Art. 14 L. n° 580, 1967:
“Il nome Pane è riservato al prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune (cloruro di sodio)”
La composizione chimica del pane è espressa nella Tabella 2.1: Tabella 2. 1: Composizione chimica del pane
Macrocostituenti Acqua (g) Protidi (g) Lipidi (g) Glucidi (g) Fibra (g) Apporto energetico (cal) %energia fornita/ fabbisogno giornaliero Pane (100g) 30.0 9.0 0.4 58.5 2.1 289 12.04
Le materie prime coinvolte nel processo di panificazione sono:
1. Acqua, responsabile della formazione della maglia glutinica, aumenta la consistenza dei granuli di amido, consente l’attività del lievito, attiva le reazioni enzimatiche e solubilizza il sale eventualmente presente. Con acque dolci (< 5 gradi francesi) si ottengono impasti molli e collosi, mentre con acque dure (5-20 gradi o più), la pasta diviene rigida e poco elastica e il suo colore si discosta dall’originale; l’acqua di media durezza (100-200 mg/L CaCO3) in relazione alla presenza ottimale di Ca2+, Mg2+ e di altri sali minerali è ritenuta la più idonea grazie al suo effetto rafforzante sul glutine.
2. Farina, che conferisce le caratteristiche reologiche all’impasto;
3. Agenti lievitanti, che in base al sistema di lievitazione offrono tre tipi di lievitazione:
- Lievitazione chimica: impasti in cui la lievitazione è ottenuta mediante l’utilizzo di sostanze chimiche che sviluppano CO2 (NaHCO3 o NH4HCO3);
4
- Lievitazione biologica: prodotti in cui la lievitazione è ottenuta col sistema a biga o con il lievito di pasta (lievitazione naturale);
- Lievitazione fisica: dove la lievitazione è provocata dall’azione della chiara d’uovo montata a spuma e addizionata all’impasto (lievitazione meccanica o con spuma) o prodotti in cui la lievitazione è determinata dall’evaporazione e dalla dilatazione dell’acqua emulsionata con grassi (Quaglia, 1984).
4. Sale, eventualmente aggiunto nell’impasto in ragione dell’1.8 – 2.5% ha molteplici ruoli:
- rafforzamento della struttura dell’impasto mediante interazione, analogamente ad altri sali, con la frazione proteica,
- controllo delle attività microbiche durante la fermentazione
- impatto positivo sul volume del pane (per valori non superiori all’1,5-2%) - effetto positivo sull’aroma del prodotto
Per motivi storico-tradizionali, nella produzione del pane toscano il sale non viene utilizzato.
Il processo di panificazione può essere sintetizzato in tre stadi fondamentali:
1. IDRATAZIONE: la farina viene pienamente idratata, l’acqua penetra nella struttura proteica della farina e viene assorbita dai granuli di amido, si forma la maglia glutinica contenente granuli di amido (Fig. 2.1), mentre le α- e β-amilasi presenti nella farina e nei microrganismi vengono attivate, favorendo l’idrolisi enzimatica dell’amido.
Figura 2. 1: Idratazione e formazione della maglia glutinica
2. LIEVITAZIONE: lieviti e, in ambito di lievitazione naturale, anche batteri lattici sviluppano i processi fermentativi che portano al rigonfiamento dell’ impasto, a causa
5
della produzione di CO2 e vapore acqueo. Inoltre dalla degradazione degli zuccheri producono etanolo, acido lattico, acido acetico, acido succinico, glicerina e composti volatili, importanti per le caratteristiche organolettiche del prodotto;
3. COTTURA: La temperatura e il tempo di cottura variano in funzione delle pezzature del pane: la temperatura oscilla tra 180°C e 275° C e il tempo è compreso tra 13 e 60 minuti. Indicativamente per pezzature grandi si utilizza una temperatura più bassa e un tempo maggiore. In questa fase il forte aumento della temperatura determina trasformazioni fisiche, chimiche e biologiche nell’impasto, quali l’evaporazione dell’acqua, dell’etanolo e delle sostanze volatili, l’inattivazione degli enzimi e dei microrganismi, l’aumento del volume del pane e la coagulazione delle sostanze azotate.
2.2 Le farine
Le disposizioni legislative (legge 4 luglio 1967, n.580) prevedono che il pane possa essere prodotto utilizzando cinque diverse tipologie di farine di grano tenero, che si distinguono in funzione del grado di abburattamento, ovvero del grado di raffinazione del chicco (Tab. 2.2).
Tabella 2. 2: Classificazione e caratteristiche delle farine di grano tenero
Tipo di farina Grado di abburattamento (%) Umidità (% max) Ceneri (% max) Cellulosa (% max) Glutine (% min) Integrale - 14.50 1.401.60 1.60 10 “00” 50 14.50 0.50 - 7 “0” 72 14.50 0.65 0.20 9 “1” 80 14.50 0.80 0.30 10 “2” 85 14.50 0.95 0.50 10
2.2.1 Qualità delle farine
La qualità delle farine dipende dalle caratteristiche commerciali e tecnologiche del frumento.
La qualità commerciale viene espressa come: tenore in acqua, sempre inferiore al 13%
6
peso ettolitrico,
% chicchi striminziti, volpati, attaccati (fusariosi…), spezzati lucentezza, cioè assenza di lesioni del pericarpo
assenza di germinazione, che provoca attivazione enzimatica e parziale idrolisi dell’amido
assenza di impurezze (altri cereali, residui di paglia etc.) omogeneità della partita
La qualità tecnologica dei frumenti teneri invece si esprime attraverso:
qualità molitoria, cioè attitudine del grano a dare rese più o meno elevate in farina; la resa diminuisce in funzione del grado di abburattamento della farina grado di efficienza della farina alla panificazione, cioè attitudine a produrre un
impasto di buon volume, avente una buona resistenza alla lavorazione, un’alta tolleranza alla fermentazione e un’elevata resa in pane.
L’elemento determinante della qualità dei frumenti teneri è la varietà, anche se le condizioni ambientali (terreno, clima, pratiche agronomiche, ecc.) possono influire in modo più o meno marcato.
E’ stato accertato come la quantità, e più di questa la qualità, delle proteine presenti nel grano considerato, giochino un ruolo fondamentale nel determinare il suo “valore di panificazione”.
Il modo più affidabile per determinare il “valore di panificazione” è di condurre delle panificazioni, ma la qualità di un grano può essere determinata in maniera sufficientemente affidabile, mediante valutazioni di tipo chimico o reologico (alveografico, farinografico, estensografico…).
Uno strumento fondamentale è l’alveografo di Chopin (Fig. 2.2) che consente di valutare la qualità del grano e della farina. Lo strumento prevede l’impiego di un piccolo impasto foggiato a forma di disco rotondo, alloggiato su una piastra e sottoposto ad un insufflaggio di aria fino alla rottura. L’impasto è sottoposto ad un rigonfiamento per mezzo dell’azione di un gas: lo strumento registra la pressione all’interno della bolla dell’impasto che si viene a formare e in questo modo si ottiene l’alveogramma (Fig. 2.3) che fornisce dati relativi all’estensibilità, alla resistenza e alla forza della farina.
7
Figura 2. 2: Alveografo di Chopin Figura 2. 3: Alveogramma
I parametri offerti da un alveogramma sono i seguenti:
altezza massima della curva (P): in relazione con la resistenza allo stiramento dell’impasto (tenacità);
lunghezza della curva (L): indica l’estensibilità dell’impasto;
area sotto la curva (W), corrispondente all’area dell’alveogramma: è in relazione con la “forza” delle farine, la quale esprime la capacità di una farina a dare un pane con mollica elastica e uniformemente alveolata.
E’ importante sottolineare che esiste una certa correlazione tra contenuto proteico di una farina e il valore del W: al crescere del primo, aumenta anche il secondo in seguito ad un aumento dell’altezza massima della curva.
8
Il farinografo di Brabender (Fig. 2.4) viene utilizzato per misurare la consistenza di un impasto in funzione della forza necessaria a mescolarlo a velocità costante e dell’assorbimento di acqua che consente di raggiungere la consistenza specifica. Viene monitorata la resistenza che la pasta oppone ad una sollecitazione meccanica costante: tale resistenza viene riportata su un diagramma sforzo/tempo detto farinogramma (Fig. 2.5).
Figura 2. 4: Farinografo di Brabender
Figura 2. 5: Farinogramma
Il farinogramma consente di determinare:
la stabilità (C), che esprime l’intervallo di tempo durante il quale, nonostante la progressiva aggiunta di acqua, l’impasto rimane alla massima consistenza; la resistenza dell’impasto (D), che corrisponde alla somma del primo parametro
e del tempo necessario all’impasto per raggiungere il massimo della consistenza. Le farine con una stabilità superiore ai 10 minuti sono qualificate ottime, mentre quelle con una stabilità non inferiore a 7 minuti sono caratterizzate come “buone”.
9
Un’altra analisi molto importante è l’individuazione del “Falling Number” o “indice di caduta” attraverso il quale viene misurata l’attività delle amilasi, enzimi molto importante ai fini della determinazione della qualità, infatti le amilasi (α e β) hanno influenza sui processi fermentativi e sulle caratteristiche qualitative della mollica del pane, in quanto entrambe intervengono nel convertire l’amido in zuccheri semplici che, durante i processi fermentativi, sono facilmente attaccabili dai lieviti.
Attraverso il metodo del “Falling number” si ottiene la misura dell’attività amilasica (α-, β- amilasi) della farina e quindi della capacità di produrre maltosio e glucosio. La quantità di zucchero che si forma tra 25° e 40° C influenza la fermentazione, mentre la qualità della mollica dipende dall’attività che gli enzimi svolgono tra 55° e 80° C. Il tempo di caduta registrato, espresso in secondi, esprime alcune caratteristiche della farina oggetto di analisi, infatti, se il valore del tempo di caduta è inferiore a 150 s, significa che l’attività amilasica è molto elevata e che è elevato il rischio di ottenere un pane dalla mollica collosa. L’attività amilasica risulta normale quando il tempo di caduta è compreso tra 200 e 250: valori che indicano che il grano da cui si è ottenuta la farina non era germinato. Un valore uguale o superiore a 300, invece, sta ad indicare un’attività amilasica molto ridotta che può portare alla formazione di un pane poco voluminoso e con mollica molto secca (Quaglia, 1984).
La qualità del glutine è valutata mediante l’ indice di sedimentazione (metodica Zeleny). La rete glutinica rappresenta una struttura reticolare che ha la funzione di determinare la tenuta e l’elasticità dell’impasto durante la lievitazione e la cottura. Il metodo è basato sulla capacità del glutine di rigonfiarsi a contatto con l’acido lattico influenzando la velocità di sedimentazione di una sospensione di farina in una soluzione di acido lattico. Maggiore è il contenuto in glutine e migliore è la qualità, più lenta è la sedimentazione e più elevato è l’indice di sedimentazione. Se tale valore è maggiore di 35 la qualità del glutine è buona. La qualità del glutine è discreta quando l’indice di sedimentazione è compreso tra 16 e 34, mentre un valore inferiore a 15 connota una qualità mediocre del glutine.
10 2.3 Gli agenti della lievitazione
Si definiscono “agenti lievitanti” le preparazioni che direttamente od indirettamente determinano il rigonfiamento degli impasti dei prodotti da forno: lievitazione. Questa avviene principalmente per effetto dell’anidride carbonica prodotta dagli agenti lievitanti. Un contributo, anche se secondario, al rigonfiamento del pane è imputabile alla formazione di vapore acqueo e all’espandersi, per effetto termico, dell’aria incorporata nella pasta (albumi montati a neve, pan di spagna, ecc..), effetti che tendono a divenire significativi nel corso delle fasi finali della cottura (Quaglia, 1984).
Si possono distinguere tre tipologie principali di agenti lievitanti:
- di tipo fisico, in cui la lievitazione è dovuta ad un’azione meccanica esercitata sul prodotto, come nel caso della chiara d’uovo montata a spuma che può essere successivamente incorporata nell’impasto che si desidera lievitare;
- di tipo chimico: reazioni chimiche in grado di sviluppare anidride carbonica (es. bicarbonato di sodio o di ammonio);
- di tipo biologico: preparazioni che producono anidride carbonica attraverso processi fermentativi.
Tra questi, quelli più diffusamente impiegati in panificazione, sono di tipo biologico (talvolta uniti a quelli di tipo chimico) composti da:
lievito di birra, essenzialmente costituito da ceppi selezionati di Saccharomyces cerevisiae;
impasti acidi, contenenti lieviti alcolici e batteri lattici.
2.3.1 Lievito naturale o madre acida
Per lievito naturale o “madre acida” si intende “l’impasto di farina ed acqua lasciato a temperatura ambiente per un tempo più o meno lungo”.
L’impasto acido è dunque costituito da acqua e farina e acidifica naturalmente a temperatura ambiente a seguito di fenomeni fermentativi dovuti allo sviluppo di microrganismi come lieviti e batteri lattici (Foschino et al.,1995). Durante la fase fermentativa, infatti, i microrganismi naturalmente presenti si moltiplicano fino ad originare un innesto spontaneo. La presenza nell’impasto acido di una microflora mista e diversificata determina, durante la fermentazione, l’avvio di complessi processi
11
metabolici che caratterizzeranno poi la qualità dei prodotti finiti. All’inizio di questo processo la popolazione microbica risulta molto eterogenea e certamente non idonea alla panificazione per la presenza di enterobatteri, micrococcacee, batteri sporigeni e anche dei batteri lattici, pur se nettamente minoritari. Non appena il pH tende ad abbassarsi, i batteri lattici prendono il sopravvento, diventano dominanti, e con il procedere della fermentazione vengono affiancati dai lieviti (Zambonelli et al., 2001). Se a questo punto all’interno dell’impasto si addizionano nuovamente acqua e farina, lo sviluppo dei batteri lattici e dei lieviti diventa esponenziale. Ripetendo più volte questa operazione ad ogni aggiunta di una miscela fresca di acqua e farina, si “rinfresca” più volte la madre acida, e i batteri lattici ed i lieviti assumono il ruolo di microrganismi predominanti, capaci di promuovere un significativo sviluppo sia della fermentazione lattica (batteri lattici) che di quella alcolica (lieviti) rendendo il mezzo di reazione non idoneo allo sviluppo della restante flora microbica indesiderata. In un impasto acido i batteri lattici oscillano tra 5x108 e 1x109 UFC/g di impasto, mentre i lieviti si aggirano intorno a 1x107 UFC/g di impasto (Loenner e Ahrne, 1995).
Queste popolazioni variano in accordo con le materie prime o le procedure di produzione scelte, inoltre la preparazione della madre acida si basa su aspetti tradizionali e locali, dipende dalle materie prime usate e si adattata alle richieste della produzione industriale. I “rinfreschi”, cioè le successive aggiunte di acqua e farina, servono a conservare e a rinnovare la madre tra una lavorazione e l’altra, ma il loro numero e la metodologia seguita nella realizzazione, variano in funzione del panificio e dell’operatore considerato.
2.3.1.1 La microflora della pasta acida
La pasta acida costituisce un sistema biologico in continua trasformazione, nel quale i fattori microbiologici interagiscono intimamente con quelli tecnologici.
Essa può essere considerata un microhabitat in cui lieviti e batteri lattici coesistono in un equilibrio dinamico (De Vuyst et al 2014), che consente la selezione di ceppi adatti a quel determinato ambiente. L’adattamento di determinate specie microbiche all’ambiente di una pasta acida può essere legato sia a fattori genetici (unico metabolismo e/o trasporto per specifici carboidrati della pasta acida, livello di acidotolleranza, produzione di composti antimicrobici ecc.) che a fattori tecnologici (condizioni di temperatura, potenziale di ossido-riduzione, attività dell’acqua che si
12
hanno nell’impasto), (De Vuyst et al., 2014) per cui ogni impasto acido è caratterizzato da specie microbiche specifiche.
I lieviti della pasta acida
Il principale ruolo esercitato dai lieviti in panificazione, è quello di produrre la CO2 necessaria per la lievitazione. I lieviti, inoltre, producono etanolo e sottoprodotti della fermentazione come il glicerolo e l’acido acetico, che contribuiscono a formare l’aroma del prodotto finito (Chavan and Chavan, 2011).
Le specie di lieviti più frequentemente presenti nella microflora di una madre acida sono (De Vuyst et al., 2014):
- Saccharomyces cerevisiae;
- Kazachstania exigua (precedentemente Saccharomyces exiguus, forma imperfetta di Candida holmii o Torulopsis holmii);
- Candida humilis (o C. milleri); - Candida krusei;
- Pichia kudriavzevii (forma imperfetta di Candida krusei, (Garofalo et al 2008). La rilevazione pressoché costante di Saccharomyces cerevisiae (lievito industriale) può essere attribuita alla sua presenza nell'ambiente del panificio (uso di lievito di birra, contaminazione dell'aria, ecc;), comunque talvolta sono stati riscontrati ceppi autoctoni di S. cerevisiae (De Vuyst et al., 2014).
I lieviti utilizzano gli zuccheri come fonte di carbonio e di energia. In ambito di panificazione, gli zuccheri riducenti sono presenti in minima quantità nella farina utilizzata per produrre l’impasto, mentre si formano in grande quantità a seguito dell’aggiunta di acqua, per azione degli enzimi (amilasi) che trasformano l’amido in destrine e in maltosio. I lieviti dell’impasto acido possono essere suddivisi in maltosio-negativi, cioè non in grado di metabolizzarlo, e in maltosio-positivi, dotati di maltasi e quindi in grado di metabolizzarlo. I primi usano il glucosio che si forma per l’azione svolta dai batteri lattici maltosio-positivi, che non viene utilizzato da questi, mentre i lieviti maltosio-positivi normalmente utilizzano i quattro principali carboidrati solubili della pasta acida (maltosio, saccarosio, glucosio e fruttosio) (De Vuyst et al., 2009). Successivamente, la conversione dei monosaccaridi può seguire vie metaboliche diverse in funzione della quantità di ossigeno disciolta nel mezzo di reazione (fermentazione alcolica e/o respirazione aerobia).
13
La metabolizzazione degli esosi presenti all’interno della cellula segue inizialmente la via della glicolisi (Fig. 2.6), che porta alla produzione di un numero di moli di acido piruvico ed ATP pari al doppio di quelle dell’esoso convertito.
14
In assenza di ossigeno, il piruvato viene, in gran parte, convertito ad etanolo ed anidride carbonica, che rappresentano i prodotti finali principali della fermentazione alcolica (Fig. 2.7).
Figura 2. 7: Fermentazione alcolica
Dalla decarbossilazione del piruvato, catalizzata dalla piruvato decarbossilasi si genera CO2 e acetaldeide, che viene poi ridotta ad etanolo.
Nel corso della conversione degli esosi infatti, si formano piridin nucleotidi ridotti che, in condizioni anaerobiche, vengono riossidati a spese dell’acetaldeide o, qualora questo intermedio sia presente in concentrazioni troppo limitate (es. fasi iniziali della fermentazione), del diidrossi-acetone-1-fosfato. Attraverso questa via metabolica il diidrossiacetone fosfato viene ridotto prima a glicerolo-3-fosfato e quindi idrolizzato a glicerolo (fermentazione gliceropiruvica, Fig. 2.8). Questo polialcol è un importante sottoprodotto della fermentazione alcolica, che tende ad accumularsi operando in situazioni di stress osmotico (Walker, 1998) per cui svolge un ruolo importante durante la lievitazione dei prodotti dolciari, che sono caratterizzati da una elevata pressione osmotica. Inoltre i piridin nucleotidi ridotti coinvolti nella via glicero-piruvica, non vengono utilizzati per la sintesi dell’etanolo, per cui si accumula un numero di moli di piruvato, analogo a quello della glicerina prodotta, da cui originano numerosi prodotti secondari (acido succinico, diacetile, butilen-glicole) corresponsabili delle caratteristiche organolettiche assunte dal prodotto finito.
15 H3PO4 Fruttosio-1,6-difosfato Diidrossiacetone fosfato Gliceraldeide-3-fosfato 1,3-Difosfoglicerato Piruvato Glicerolo-3-fosfato GLICEROLO Prodotti secondari chetoglutarato succinato butandiolo diacetile NAD+ NADH + H+ H20 H3PO4 2ADP 2ATP H20
16
I batteri lattici della pasta acida
I batteri lattici nella madre acida svolgono numerose funzioni: - produzione di acidi organici e conseguente riduzione del pH;
- produzione di componenti ad attività antimicrobica come l’acido acetico, che contribuisce all’aroma del prodotto finito e lo protegge da batteri e muffe contaminanti;
- produzione di amilasi, proteasi e batteriocine (Paramithiotis e Kalantzopoulos, 2001).
I batteri lattici più comunemente presenti nella microflora della madre acida sono (De Vuyst et al., 2007): - Lactobacillus sanfranciscensis - L. brevis - L. fermentum - L. plantarum - L. frumenti - L. panis - L. paralimentarius - L. pontis - L. reuteri
Nuove specie isolate recentemente sono: Lactobacillus hammesii, L. mindensis, L.
nantensis, L. spicheri, L. rossiae, L. zymae. Il genere Lactobacillus è il predominante tra
quelli riscontrati nelle paste acide sia di grano che di segale, ma anche le specie appartenenti ai generi Leuconostoc, Weisella, Lactococcus, Pediococcus e Enterococcus occasionalmente sono state rilevate (De Vuyst et al., 2014).
Dal punto di vista metabolico i batteri lattici possono essere classificati in tre gruppi: 1. omofermentanti obbligati, che fermentano gli esosi producendo esclusivamente
acido lattico, in ragione di 2 moli di acido lattico per ogni mole di carboidrato fermentato ma non possono fermentare i pentosi, e non sono gasogeni (Fig. 2.9). Tuttavia potrebbero sintetizzare piccole quantità di acetato, CO2 e acetoina provenienti da una parziale decarbossilazione del piruvato prodotto.
17
Figura 2. 9: Fermentazione omolattica
2. eterofermentanti facoltativi, che fermentano gli esosi producendo acido lattico come gli omofermentanti, ma se posti in determinate condizioni possono produrre anche acido acetico, acido formico e/o etanolo; sono inoltre in grado di fermentare i pentosi ad acido lattico e acido acetico (Fig. 2.10).
3. eterofermentanti obbligati, che fermentano gli esosi producendo acido lattico, CO2 e acido acetico e/o alcol etilico in quantità equimolari (1 mole di acido lattico, 1 mole di CO2 e 1 mole di acido acetico/alcol etilico per ogni mole di zucchero fermentata); inoltre sono capaci di fermentare i pentosi con produzione di acido lattico e acetico (Cesti, 2003) (Fig. 2.10).
18
Tra i disaccaridi il maltosio (Fig. 2.11) gioca un ruolo importante essendo impiegato come substrato nelle paste fermentate.
Figura 2. 11: Maltosio Glucosio Glucosio 6 P 6 fosfogluconato lattone 6 fosfogluconato Ribulosio 5 P Xilulosio 5 P Gliceraldeide 3 P Acetil fosfato Acetil CoA Acetaldeide ETANOLO Reazioni di Embden Meyerhof Piruvato LATTATO ACETATO ATP ADP NAD+ NADH + H+ H2O NAD+ NADH + H+ CO2 ATP ADP CoASH Pi NAD+ NADH + H+ CoASH NAD+ NADH + H+ NAD+ NADH + H+ Pi H2O
19
Il maltosio derivante dalla degradazione dei polisaccaridi più complessi (amilosio e amilopectina) è abbondantemente presente negli impasti acidi, quindi i microrganismi come L. sanfranciscensis, L. reuteri e L. fermentum, essendo in grado di metabolizzarlo, risultano avvantaggiati rispetto alle altre popolazioni della madre acida che fermentano preferibilmente il solo glucosio (Vogel et al., 1994).
Solitamente il consumo di glucosio da parte della microflora della madre acida supera la quantità generata dagli enzimi (amilasi) della farina, tuttavia l’idrolisi del maltosio a glucosio e glucosio-1-fosfato realizzata da L. sanfranciscensis porta ad un‘alta concentrazione di glucosio (Martinez-Anaya e Rouzaud, 1996).
Il glucosio accumulato nell’impasto ad opera del L. sanfranciscensis viene competitivamente utilizzato sia dai lieviti come S. cerevisiae sia dai lattobacilli omofermentanti, che, non metabolizzando il maltosio, lo lasciano a L. sanfranciscensis (Hammes et al., 1996).
Interazione tra lieviti e batteri lattici nella madre acida
I lieviti e i batteri lattici della madre acida sono caratterizzati da cinetiche di assorbimento dei composti chimici notevolmente diverse.
Per questo negli impasti acidi possono instaurarsi due tipi principali di associazione tra lieviti e batteri lattici: un’associazione mutualistica ed una di natura competitiva. Di conseguenza si distinguono due tipi di madri acide: la “madre ad associazione stretta” e la “madre ad associazione labile”.
Si definisce “madre ad associazione stretta” l’impasto acidificato da una popolazione microbica stabile e caratteristica, costituita ad esempio esclusivamente dal batterio
Lactobacillus sanfrancisciensis e dal lievito Kazachstania exigua (precedentemente
noto come Saccharomyces exiguus, forma imperfetta di Candida holmii), ossia da un lattobacillo che fermenta il maltosio e da un lievito che invece non è in grado di metabolizzarlo (De Vuyst et al, 2014). Non c’è competizione tra le fonti di carbonio e azoto perché il batterio metabolizza il maltosio che il lievito non è in grado di usare e lo scinde in due molecole di glucosio di cui una è liberata nel mezzo e resa disponibile per il lievito. Il lievito a sua volta rilascia amminoacidi essenziali per la crescita del batterio e metabolizza gli altri zuccheri dell’impasto (glucosio e fruttosio) producendo CO2 che stimola la crescita di Lactobacillus che richiede un periodo di adattamento prima di poter crescere su glucosio (Stolz et al., 1993). Il lievito invece è acidotollerante, resiste
20
ad elevate concentrazioni di acido acetico e alle sostanze antibiotiche rilasciate dai batteri lattici (Foschino et al., 1995).
Inoltre la crescita del batterio avviene solo in presenza di un peptide di peso molecolare di 1065 DA, trovato nell’estratto di lievito fresco e nelle cellule di S. exiguus, dalle quali si libera nel mezzo per autolisi delle stesse cellule (Foschino et al., 1995). In tal modo le due forme microbiche si sviluppano notevolmente: 109 UFC/g per i batteri e 107 UFC/g per i lieviti (Foschino et al., 1995); si mantiene inoltre costante il rapporto batteri/lieviti (circa 100:1; Ottogalli et al., 1996).
E’ definito “madre ad associazione labile” un impasto acidificato da una microflora di batteri lattici e lieviti, eterogeneo e di composizione variabile dove non si è instaurato alcun rapporto di tipo mutualistico. Tra i vari gruppi microbici si instaura competizione per le fonti di carbonio, azoto e vitamine: si verifica quindi una selezione a favore di questi ceppi con le caratteristiche fisiologiche più adatte alle condizioni di produzione e conservazione (temperatura ottimale di sviluppo, capacità fermentativa e acidoresistenza; Foschino et al., 1995). Fra i batteri lattici si sono trovate forme bastoncellari del genere Lactobacillus (omo/eterofermentanti obbligati e facoltativi) e forme cocciche dei generi Leuconostoc, Pediococcus, Enterococcus. Per quanto riguarda i lieviti le specie più frequenti appartengono ai generi Saccharomyces,
Candida, Hansenula, Pichia, Rhodotorula (Foschino et al., 1995). Il rapporto
batteri/lieviti si mantiene intorno a 10:1 (Ottogalli et al., 1996).
Nel tempo insieme alla microflora, variabile qualitativamente ma comunque preponderante nell’impasto (107
-109 UFC/g), si accompagna una seconda popolazione transitoria a concentrazione inferiore (103-104 UFC/g) costituita da batteri lattici ed in misura minore da micrococchi ed enterococchi. Questa popolazione ha la funzione di “riserva” per i microrganismi della popolazione principale: i ceppi che ne fanno parte, infatti, si adattano velocemente alle condizioni dell’impasto sostituendo quei microrganismi appartenenti alla microflora prevalente che risultino “stanchi” (Foschino
et al., 1995). Ad esempio, la popolazione principale dell’impasto acido usato in Puglia
cambia nell’arco di un mese facendo variare di conseguenza le caratteristiche del pane tradizionale da questo prodotto (Ottogalli et al., 1996).
21 2.4 Tecniche di panificazione con impasto acido
Le tecniche di panificazione con impasto acido possono essere suddivise in metodo diretto e metodo indiretto, a seconda delle modalità di lavorazione adottate.
1. La panificazione diretta ( Fig. 2.12) consiste in un’unica fase di lavorazione in cui tutti gli ingredienti (acqua, farina, madre acida ed eventualmente il sale e il panetto di lievito) vengono tra loro mescolati a costituire un impasto che viene lasciato riposare per circa 20 minuti (“puntatura”) per consentire una prima lievitazione prima di procedere al taglio e alla formazione dei pani . Segue poi una sosta più prolungata di circa 1 ora (“apretto”) per permettere una seconda lievitazione, durante la quale i pani vengono coperti con un telo.
Terminata la lievitazione una parte dell’impasto viene prelevata e conservata fino alla panificazione successiva, il resto viene inviato alla cottura (tempo 1 ora) per un tempo variabile in funzione della pezzatura delle forme, operando ad una temperatura compresa tra 250290°C e utilizzando un forno a legna o a gas.
22
La madre viene di solito conservata a temperatura ambiente in recipienti di coccio o di vetro, strettamente avvolta in un telo di stoffa, per mantenere, all’interno dell’impasto acido, condizioni favorevoli allo sviluppo dei batteri lattici.
2. La panificazione indiretta (Fig. 2.13) consiste in tre fasi (pre-impasto, fermentazione e successiva aggiunta di altri ingredienti). I principali metodi indiretti sono:
- metodo a biga (pre-impasto solido)
- metodo con poolish (pre-impasto semi-liquido)
- metodo con impasto acido o “madre acida” (pasta di riporto)
IMPASTO PER LA LIEVITAZIONE Riposo (fase di puntatura)
IMPASTO LIEVITATO
Breve impasto e avvio alla spezzatrice
IMPASTO SPEZZATO
IMPASTO MODELLATO
Breve lievitazione finale (fase di apretto)
IMPASTO PRONTO PER ENTRARE IN FORNO Entrata nel forno, cottura,
uscita dal forno
Farina Acqua Agente
lievitante Sale
PANE COTTO
23
La biga è un preimpasto ottenuto miscelando acqua, farina e lievito in proporzioni tali che esso risulti piuttosto asciutto. Richiede l'impiego di farine forti ed equilibrate, tempi brevi di miscelazione, temperatura finale non superiore a 21 °C e un periodo di fermentazione variabile da dieci a quarantotto ore a temperature sui 16/18 °C, per bighe fino a 24 ore, o 4 °C nella prima fase e 18 °C nelle ultime 24 ore, per bighe fino a 48 ore. Successivamente si aggiungono altri ingredienti in base al tipo di pane che si vuole ottenere.
Il poolish invece è un pre-impasto semi-liquido, costituito da farina, acqua e lievito compresso, che viene fatto lievitare, in modo da permettere la rapida moltiplicazione dei lieviti. Questo prefermento viene più volte addizionato di acqua, farina e sale, reimpastato e lasciato nuovamente lievitare. Il pane ottenuto in questo modo ha un sapore e profumi più intensi, un’alveolatura più ampia ed inoltre risulta più conservabile e digeribile.
Il metodo con impasto acido prevede che la madre acida venga rinnovata ovvero “rinfrescata” più volte a intervalli regolari, mediante l’aggiunta di acqua e farina al fine di mantenere vitali i microrganismi, in quantità proporzionali all’ammontare di pane che si desidera produrre. Con questa metodologia si ottiene una selezione della microflora naturalmente presente, e nel corso delle lavorazioni che si protraggono per lungo tempo si assiste alla selezione di pochi ceppi. Una parte della madre viene poi impiegata come agente lievitante per la produzione giornaliera del pane mentre la restante aliquota viene conservata per essere nuovamente ed analogamente utilizzata nei giorni successivi. L’impasto ottenuto addizionando questa frazione della madre ad acqua e farina costituisce la materia prima di partenza per produrre l’impasto del pane finale della giornata che verrà lavorato in modo del tutto analogo a quanto descritto in precedenza per la panificazione diretta.
24 2.5 Le diverse tipologie di madri acide utilizzate in panificazione
La madre acida può essere catalogata in diverse tipologie in funzione della tecnologia impiegata o dell’intensità del metabolismo microbico a questa associato.
Sulla base dell’intensità del metabolismo microbico si possono distinguere due tipi di madre acida:
1. con intenso metabolismo microbico e quindi ridotta shelf-life; questo tipo di madre acida richiede frequenti rinfreschi per mantenere l’attività dei microrganismi;
2. con metabolismo microbico di ridotta intensità, la cui produzione è ottenuta con l’addizione di sale o con la fermentazione a più basse temperature (Paramithiotis e Kalantzopoulos, 2001).
La preparazione della madre acida si basa sugli aspetti tradizionali di ogni stato, dipende dalle materie prime usate e viene adattata alla produzione industriale.
Vista la miriade di lavorazioni artigianali e regionali che coinvolgono la lievitazione naturale in Europa, e soprattutto in Italia, gli impasti acidi sono un’importante fonte di diverse specie e ceppi di batteri lattici metabolicamente attivi o riattivabili aggiungendo acqua e farina.
Alcuni di questi ceppi giocano un ruolo cruciale durante il processo di fermentazione della madre acida e possono essere usati come starter per gli impasti acidi.
La fermentazione con madre acida infatti migliora le proprietà dell’impasto, il volume, la consistenza, l’aroma e i valori nutrizionali del pane; ritarda il processo di
“Rinfresco” della madre acida
Impiegata per produrre l’impasto finale Un’ aliquota di pasta
viene conservata
La parte restante è sottoposta a successivi rinfreschi
25
raffermamento e protegge il pane dalle muffe e dall’ inquinamento microbico (De Vuyst e Neysens, 2005).
In base alle caratteristiche tecnologiche si possono distinguere quattro tipi diversi di madre acida:
1. Tipo I: impasti acidi tradizionali: sono caratterizzati da rinfreschi continui e giornalieri per mantenere i microrganismi in uno stato particolarmente attivo, che consente una sensibile produzione gassosa e quindi una lievitazione rilevante. Il processo è realizzato a temperatura ambiente (20-30°C) per raggiungere un valore di pH prossimo a 4.0.
Generalmente si tratta di un impasto di consistenza solida (DY=160), dove “DY” dall’inglese Dough Yeld è un parametro che mette in evidenza il rapporto tra acqua e farina come segue (Decock and Cappelle, 2005):
(quantità di farina + quantità di acqua) X 100
Esempi di prodotti ottenuti utilizzando questo tipo di impasto sono il Panettone, la Colomba,alcune brioches, il pane Sanfrancisco, quello Pugliese e anche il Toscano tipico.
Lactobacillus sanfranciscensis è considerata una delle più importanti specie riscontrate nelle paste acide di tipo I.
2. Tipo II: impasti acidi accelerati: si tratta di preparazioni semi-fluide, ottenute applicando temperature crescenti (›30°C) per velocizzare il processo, tempi più lunghi di fermentazione e maggiori aliquote di acqua, che vengono utilizzate soprattutto per le produzioni industriali su larga scala come acidificanti dell’impasto, poiché possiedono un alto contenuto in acidi ed un pH<3,5. I parametri di processo completamente diversi rispetto ai processi tradizionali conducono ad un diverso ecosistema microbico dal punto di vista della composizione e della dinamica di popolazione, i microrganismi infatti si trovano generalmente in tarda fase stazionaria e quindi esibiscono ristretta attività metabolica.
Gli impasti acidi accelerati comunque garantiscono maggiori produzioni, affidabilità e flessibilità, quindi si adattano bene alle esigenze delle produzioni industriali.
26
3. Tipo III: impasti acidi essiccati: si tratta di impasti in polvere, prodotti per essiccamento rapido, a partire da colture starter.
Vengono usati per incrementare l’acidità ed il profilo aromatico del prodotto finito.
Contengono soprattutto lattobacilli resistenti all’essiccamento e capaci di sopravvivere in quella forma, come gli eterofermentanti Lactobacillus brevis, gli eterofermentanti facoltativi P. pentosaceus e L. plantarum.
La loro forma essiccata (spray-drying o drum drying) comporta, ovviamente una maggiore resistenza nel tempo.
Le paste acide essiccate sono convenienti, semplici da utilizzare e portano a prodotti finali standardizzati.
27
Ogni tipo di madre acida è caratterizzata da una specifica microflora (Tab. 2.3).
Tabella 2. 3: Popolazioni microbiche più frequentemente isolate dai vari tipi di impasto acido (De Vuyst e Neysens, 2005)
Tipo I Tipo II Tipo III
Eterofermentanti obbligati Eterofermentanti obbligati Eterofermentanti obbligati
Lactobacillus brevis L. fermentum L. fructivorans L. pontis L. reuteri L. sanfranciscensis Weissella cibaria Lactobacillus brevis L. fermentum L. pontis L. panis L. reuteri L. sanfranciscensis Weissella confusa Lactobacillus brevis
Eterofermentanti facoltativi Eterofermentanti facoltativi Eterofermentanti facoltativi
L. alimentarius L. casei L. paralimentarius L. plantarum _ Lactobacillus plantarum Pediococcus pentosaceus
Omofermentanti obbligati Omofermentanti obbligati Omofermentanti obbligati
Lactobacillus acidophilus L. amylovorus L. delbruckii L. farciminis L. mindensis Lactobacillus acidophilus L. amylovorus L. farciminis L. johnsonii L. mindensis _
Lieviti Lieviti Lieviti
Candida humilis Saccharomyces exiguus Issatchenckia orientalis
28
4. Tipo IV: impasti acidi liofilizzati: recenti lavori hanno valutato la possibilità di produrre un quarto tipo di impasto acido ottenuto mediante la liofilizzazione della madre acida che consentirebbe di ridurre la variabilità del prodotto finale, e velocizzare e facilitare il processo di produzione. Realizzare lo stesso prodotto in panifici diversi con processi operativi più semplici rispetto al metodo tradizionale risulterebbe particolarmente interessante e applicabile anche alla produzione del pane Toscano DOP garantendo al consumatore lo stesso prodotto in località diverse.
2.6 Effetti dell’impasto acido sulle qualità del pane
L’utilizzo della madre acida come agente lievitante contribuisce a determinare la qualità del pane finito. Questa infatti rappresenta un chiaro esempio della stretta interazione che intercorre, negli alimenti fermentati, tra la tecnologia di produzione adottata (tempi, temperature e modalità con cui condurre i rinfreschi), lo sviluppo delle popolazioni microbiche interessate e le caratteristiche organolettiche del prodotto finito. Dal punto di vista tecnologico l’importanza della madre acida nel conferire unicità al prodotto finito, è imputabile non tanto ai lieviti e ai batteri lattici in essa presenti, quanto ai metaboliti da loro prodotti durante i processi fermentativi poiché le temperature di cottura raggiunte distruggono i microrganismi che popolano l’impasto. Il metabolismo dei lieviti e dei batteri lattici presenti nella madre acida tende infatti a migliorare il pane, non solo relativamente ai suoi aspetti organolettici quali aroma e gusto, ma anche per quanto riguarda i valori nutrizionali, la struttura, il volume finale raggiunto dal prodotto e la sua conservabilità. Le principali trasformazioni chimiche che decorrono all’interno dell’impasto nel corso della lievitazione sono la fermentazione alcolica e quella lattica, variabili in funzione delle popolazioni microbiche che si diversificano sostanzialmente per tipologia (tipo e numero di specie e/o di ceppi) e densità (numero di cellule in grado di replicarsi presenti nell’unità di peso del campione analizzato (UFC/g)). La distribuzione percentuale con cui le diverse popolazioni microbiche compaiono all’interno dell’impasto e quindi il corrispondente accumulo dei metaboliti da queste prodotti (alcool etilico, acido D/L, α-lattico, acido acetico), dipendono da molteplici fattori:
29
- le caratteristiche chimico-composizionali ed enzimatiche delle farine impiegate in panificazione,
- la tecnica di lavorazione adottata (modalità di conduzione e numero dei rinfreschi effettuati),
- le condizioni operative utilizzate (temperature, tenore idrico, efficacia nel promuovere un’efficiente omogeneizzazione dell’impasto, la conseguente diffusione dell’ossigeno dell’aria all’interno della massa, ecc.) (De Vuyst and Vancanneyt, 2007).
2.6.1 Effetti su gusto e aroma del pane
L’aroma, ossia la simultanea valutazione del gusto e degli odori percepiti per via retronasale al momento della deglutizione, è uno degli attributi sensoriali maggiormente apprezzati nel pane, una sensazione legata alla presenza di centinaia di sostanze volatili e non volatili, attribuibili sia agli ingredienti impiegati, che a quelli originati nel corso delle differenti fasi del processo di panificazione, come la fermentazione e la cottura (Fig. 2.14). Pasta acida impasto maturazione puntatura Ingredienti formatura maturazione COTTURA
PANIFICAZIONE FORMAZIONE AROMI
Acidi Aldeidi Chetoni Precursori aromatici FERMENTAZIONE Batteri lattici e lieviti
REAZIONI TERMICHE Reazione di Maillard Caramellizzazione Degradazione termica Pirazine Piridine Pirroli
Figura 2. 14: Formazione degli aromi del pane durante il processo di panificazione
30
In Tabella 2.4 vengono elencati i componenti aromatici più comuni, la loro ubicazione all’interno della forma di pane finito e le reazioni chimiche che ne hanno determinato la formazione (Maillard o successiva degradazione di Strecker, fermentazione alcolica e degradazione lipidica)
Tabella 2. 4: Alcuni dei più importanti aromi del pane, loro localizzazione (crosta e/o mollica) e origine (Katina K., 2005)
COMPOSTO ORIGINE
Mollica Crosta
Acido acetico M C Fermentazione
Diacetile M C Fermentazione
Acetaldeide M Fermentazione
Etanolo M Fermentazione
Metionale M C Cottura, degradazione Strecker
Fenilacetaldeide M C Cottura, degradazione Strecker 2-metilbutanale M C Cottura, degradazione Strecker 3-metilbutanale C Cottura, degradazione Strecker 3-metilbutanolo M C Cottura, degradazione Strecker
2-metilpropanolo M Degradazione Strecker
2-acetilpiridina C Cottura, reazione di Maillard 2-acetil1,4,5,6 tetraidropiridina C Cottura, reazione di Maillard 4-idrossi2,5dimetil3(2H)furanone C Cottura, reazione di Maillard 2-acetilpirrolina C Cottura, reazione di Maillard
(E)-2-nonenale M C Degradazione dei lipidi
(E,E)-2,4 decanale M Degradazione dei lipidi
1-otten-3-one M C Degradazione dei lipidi
4-(Z)-eptanale C Degradazione dei lipidi
LOCALIZZAZIONE
Le condizioni di processo sono importanti nel determinare l’aroma del pane, infatti un prolungato tempo di prefermentazione crea un profilo sensoriale più intenso e complesso (Molard, 1994) rispetto a linee di lavorazione che prevedono tempi di prefermentazione più brevi o inesistenti.
L’aroma della crosta, dovuto principalmente alla presenza di derivati di pirazine e pirroli, sembra dominare nell’aroma complessivo per l’intensità con cui si rileva nel pane fresco. Nessuno dei singoli composti aromatici può essere considerato peraltro come componente chiave nell’aroma del pane, poiché tutti interagiscono sinergicamente e in funzione sia della loro concentrazione, che deve necessariamente superare la soglia specifica di percezione, sia delle possibili mutue interazioni sensoriali.
31
L’aroma di pane si forma inizialmente quando la farina, che di per sé fornisce solo una piccola quantità di composti volatili e precursori dell’aroma, viene impastata con l’acqua e con la madre acida. Il contenuto di ceneri della farina utilizzata nel rinfresco della madre tende ad influenzare l’intensità del profilo sensoriale risultante. Infatti una maggiore quantità di ceneri nella farina stimola l’attività metabolica dei microrganismi (formazione di acidi, amminoacidi e composti volatili) e rafforza, quindi, le caratteristiche aromatiche (sapore e olfatto) del prodotto finito.
L’influenza della madre acida sull’aroma del pane può essere attribuito a tre fattori principali legati alla formazione:
1. dell’acidità
2. dei precursori aromatici come gli amminoacidi 3. dei composti volatili.
L’acidità produce effetti profondi sull’aroma del pane, infatti l’acido lattico e l’acido acetico sono dei costituenti aromatici fondamentali prodotti durante la fermentazione dell’impasto acido. Le caratteristiche della pasta acida quindi possono essere descritte dagli equivalenti acidi, che esprimono la quantità totale di acidi accumulati all’interno dell’impasto, e dal quoziente fermentativo, espresso dal rapporto molare esistente tra acido lattico e acetico.
Se l’acido lattico e/o l’acido acetico raggiungono concentrazioni troppo elevate, nel pane si può rilevare un aroma pungente e sgradevole, invece se la concentrazione del solo acido acetico è inferiore a 200 ppm l’aroma percepito del pane risulta migliorato (Molard et al., 1979).
La massima quantità di acidi tollerabile nel pane si aggira attorno allo 0,35% del peso della farina utilizzati, un valore che determina un valore di pH attorno a 4.9 mentre quello della acidità titolabile (TTA) dovrebbe aggirarsi attorno a 6.0 (Katina, 2005). Durante la fermentazione dell’impasto acido, promossa dai batteri lattici e dai lieviti, si formano acido acetico, acido lattico ed etanolo in quantità relativamente elevate, mentre altri prodotti metabolici, che agiscono come precursori aromatici o scompaiono durante la panificazione, vengono sintetizzati in quantità ridotte (Paramithiosis e Kalantzopoulos, 2001)
I più importanti precursori dei composti aromatici sono zuccheri e amminoacidi liberi, questi ultimi di particolare interesse insieme ai peptidi, prendono parte alla reazione di Maillard che si instaura in fase di cottura.
32
Un’elevata quantità di amminoacidi liberi nella pasta acida inoltre è stata correlata ad un aumento dell’intensità dell’aroma tipico del pane (Fig. 2.15).
Figura 2. 15: Liberazione di composti aromatici a partire da proteine, peptidi e AA liberi, promossa dai lieviti
La presenza di ornitina durante la fermentazione dell’impasto acido determina infatti un maggiore aroma di tostato, mentre la prolina, principale precursore della 2-acetil-1-pirrolina, risulta responsabile dell’aroma di crosta di pane (Thiele et al., 2002).
La fenilalanina e la leucina nell’impasto concorrono a determinare lo sviluppo delle note aromatiche caratteristiche della mollica.
Ogni tipo di metabolismo (lattico e alcolico) che si instaura durante la fase fermentativa promossa dalla madre acida, è correlabile a specifici “composti volatili marcatori” (Hansen e Hansen, 1995), tra cui i principali sono:
2-metil-1- propanolo e 2,3 metil-1-butanolo, principali composti volatili prodotti dalla fermentazione alcolica promossa dai lieviti;
diacetile, principale coprodotto, unitamente ad altri componenti di natura carbonilica, dei batteri lattici omofermentanti;
etilacetato, principale sottoprodotto, insieme ad alcuni alcoli e carbonili, dei batteri lattici eterofermentanti.
Mentre gli starter per l’impasto acido dove è operante l’associazione tra L.
sanfranciscensis e altri batteri lattici omo- ed etero- fermentanti e/o S. exiguus, sono
caratterizzati da un profilo aromatico bilanciato, quelli ottenuti utilizzando miscele di L.
sanfranciscensis e S. cerevisiae originano maggiori concentrazioni nei prodotti di
fermentazione derivanti dai lieviti (1-propanolo, 2-metil-1-propanolo e 3-metil-1-butanolo) rispetto a quelli di origine batterica (Gobbetti, 1998).
33
È stata inoltre osservata un’attivazione del metabolismo dei lieviti operando in presenza di batteri lattici omofermentanti, probabilmente dovuta alla combinazione di acidificazione batterica e proteolisi attribuibile a L. sanfranciscensis (Gobbetti, 1998). L’associazione di batteri lattici e lieviti conferisce al pane una più alta qualità aromatica, inoltre pani prodotti in presenza di L. plantarum o L. sanfranciscensis hanno un più alto contenuto di 2,3-metil-1-butanolo, acido 2,3-metil propanoico, acido-3-metilbutanoico e 2-fenil-etanolo (Paramithiosis e Kalantzopoulos, 2001).
Il pane a lievitazione naturale risulta maggiormente aromatico rispetto al pane acidificato chimicamente, infatti, oltre agli acidi organici, sono reperibili anche altri composti di fermentazione che svolgono un ruolo notevole nel determinarne il gusto (ad es. il diacetile, responsabile del sentore di burro), e la loro presenza e concentrazioni dipendono dal tipo di starter e di impasto prodotto, nonché dalla temperatura a cui è stata condotta la fermentazione (Paramithiosis e Kalantzopoulos, 2001).
Inoltre in pani lievitati chimicamente si rileva una più bassa concentrazione di 2-acetill-pirrolina, responsabile dell’aroma di tostato che caratterizza la crosta di pane (Schieberle, 1989).
La produzione di 2-acetil-1-pirrolina e 2-acetiltetraidropiridina, caratteristici aromi della crosta, infatti si formano sia all’interno che all’esterno della membrana cellulare di
Saccharomyces cerevisiae, nel momento in cui gli zuccheri e i prodotti di degradazione
degli amminoacidi reagiscono tra loro in accordo alla reazione di Maillard (Katina, 2005).
L’aroma “di lievito”, caratteristico del pane invece, sembra derivare non dai prodotti metabolici, ma dalla biomassa dei lieviti, che liberano tiamina e tiaminadifosfato (Loenner e Ahrne, 1995).
Durante la cottura, le reazioni termiche come la caramellizzazione e la reazione di Maillard portano alla comparsa del colore e dell’aroma della crosta, ma si verifica anche la perdita per volatilizzazione di vari composti, come ad esempio dell’etanolo.
La caramellizzazione ha inizio non prima dei 150°C circa e nel corso di questa reazione si formano numerosi e importanti composti aromatici, quali aldeidi, chetoni, dichetoni e sostanze amare alcune di struttura non nota.
La reazione di Maillard, responsabile dell’imbrunimento non enzimatico, diviene importante al di sopra dei 120°C, e vede la condensazione degli zuccheri riducenti (maltosio o glucosio) con composti amminici (ammine, amminoacidi, peptidi e proteine):
34
1°step: formazione ammino-glicoside
2° step: Si forma uno ione ammonio che isomerizza (riarrangiamento di Amadori) e si forma un composto chiamato chetosammina:
3° step: La chetosammina, può andare incontro a reazioni diverse, che in ambiente acido portano alla formazione di composti carbonilici insaturi molto reattivi (1), responsabili della formazione di polimeri bruni, come il 5-idrossimetil furfurale (2);
I composti α-dicarbonilici risultanti dalla decomposizione delle chetosammine possono reagire con un ammino-acido e, nelle condizioni di reazione (alte temperature), andare incontro alla degradazione di Strecker che, previa una decarbossilazione, porta alla formazione di un’aldeide ad un atomo di carbonio in meno dell’amminoacido iniziale e quindi alla formazione di nuovi composti carbonilici, derivanti dalla liberazione di NH3 (Cheftel e Cheftel, 1988).
35 2.6.2 Effetti su volume e consistenza
Il volume raggiunto dal pane nel corso della sua lavorazione ne influenza in modo sostanziale le caratteristiche organolettiche ed in particolare la consistenza. Infatti più il pane si presenta spugnoso e ripieno di gas e più risulterà morbido e soffice alla deglutizione. La consistenza dipende inoltre dalla forza e dall’intensità della maglia glutinica, che impedendo ai gas generati dalla fermentazione di lasciare l’impasto, conferirà al prodotto finito quelle caratteristiche di leggerezza e volume che ne determinano la morbidezza (Cauvain, 2003).
La concentrazione ed il tipo di cellule blastomicetiche presenti nell’impasto sono i maggiori fattori che, determinando il tasso di produzione di CO2, regolano la lievitazione.
Operando in condizioni analoghe, lo sviluppo di CO2 ottenuto con S. cerevisiae appare significativamente superiore rispetto a quello misurabile utilizzando altri lieviti generalmente presenti negli impasti acidi (es. S. exiguus) (Gobbetti, 1998).
Le proteine del glutine conferiscono all’impasto quelle caratteristiche di viscoelasticità che gli consentono di espandersi per effetto della CO2 durante la fermentazione, e allo stesso tempo di trattenerla in gran parte al suo interno. L’acido lattico, prodotto dai batteri lattici presenti nelle paste acide, incrementando l’elasticità della maglia glutinica, contribuisce a migliorarne la capacità di trattenere il gas, con una conseguente riduzione dei tempi di lievitazione (Katina, 2005).
Durante la fermentazione lattica il pH tende a diminuire gradualmente permettendo agli enzimi amilolitici e proteolitici, alle lipossigenasi, perossidasi, catalasi e polifenolo ossidasi, presenti nella farina e/o di origine microbica, di modificare i componenti dell’impasto così da renderlo più morbido ed elastico.
In questi impasti sono contenuti xantani e destrani in quantità variabili tra 0.1-2.0%, ma operando con la lievitazione naturale la quantità di esopolisaccaridi si incrementa notevolmente.
Alcuni batteri lattici infatti sono capaci di sintetizzare esopolisaccaridi che risultano in grado di influenzare la viscosità, quindi apportano conseguenze positive sul volume e sulla shelf-life del pane, sostituendosi agli idrocolloidi, associati a valori di attività dell’acqua talvolta elevati, ma spesso usati in panificazione per migliorare la
36
consistenza del prodotto finito. (Katina, 2005). Oltre a migliorare le proprietà strutturali rendendo la mollica più soffice e il volume specifico maggiore, alcuni esopolisaccardi prodotti dai batteri lattici incrementano il valore nutrizionale del prodotto finito poiché hanno mostrato attività prebiotica (Arendt and Moroni., 2013).
2.6.3 Effetti sulla shelf-life del pane
Il pane è un prodotto deperibile, con una shelf-life normalmente limitata dal suo deterioramento fisico-chimico, noto come raffermamento, che ne altera la consistenza rendendolo duro e friabile e ne determina la perdita dell’aroma di pane fresco.
La temperatura e l’umidità relativa nell’ambiente di stoccaggio, il contenuto in acqua nel pane fresco, i cambiamenti nella struttura del glutine ela migrazione dell’acqua dal glutine all’amido, sono i fattori principali che ne influenzano la conservabilità nel tempo (Cocchi et al., 2005).
La consistenza del pane tende ad aumentare soprattutto a causa dei cambiamenti fisico-chimici che si verificano nella mollica a carico delle proteine e dell’amido.
L’acqua svolge un ruolo fondamentale in questo processo degradativo, infatti migra dalle zone interne della massa del pane verso le zone più esterne e più secche, dove si assiste ad una sua parziale evaporazione attraverso la crosta, questo fenomeno riduce il contenuto idrico dell’amido e ne causa la retrogradazione.
Durante la retrogradazione dell’amido, l’amilopectina tende ad assumere uno stato più ordinato, la solubilità dell’amido diminuisce, la struttura dei granuli dell’amido diventa rigida e più stretta, mentre parte dell’amilopectina gelatinizzata cristallizza, così da rendere la mollica più dura, ruvida e friabile.
L’utilizzo di impasto acido nella produzione di pane sembra determinare un aumento nella shelf-life rispetto a quello prodotto con il solo lievito industriale: questo già dopo un giorno tende a diventare raffermo, mentre la maggiore acidità, conferita all’impasto dall’acido lattico, contribuisce a rallentare il trasferimento dell’acqua dall’interno verso la crosta e quindi rallentarne anche la retrogradazione (Paramithiosis and Kalantzopoulos, 2001).
Inoltre, in condizioni acide, si formano delle destrine a basso peso molecolare che interferiscono con la cristallizzazione dell’amido e ritardano il raffermamento del pane (Katina, 2005).
37
Nella pasta acida sono presenti alcuni ceppi di lattobacilli dotati di attività proteolitica, amilolitica (Corsetti et al., 2000), capaci di produrre esopolisaccaridi, efficaci nel rallentare l’invecchiamento del pane, e in grado di solubilizzare gli arabinoxilani, come i pentosani, che prevengono la formazione delle interazioni amido-glutine responsabili del raffermamento (Katina, 2005).
Il pane così prodotto mantiene più a lungo quelle caratteristiche di morbidezza e di elasticità apprezzate dal consumatore, che risultano particolarmente utili quando il pane veniva preparato in casa solo una volta ogni sette, otto giorni e doveva quindi conservarsi per l’intera settimana.
Inoltre la maggiore acidificazione induce anche ad una maggiore stabilità microbiologica, ostacolando lo sviluppo di muffe e di batteri sporigeni amilolitici, responsabili del cosiddetto “filante”, le cui spore sono in grado di resistere alla cottura (Zambonelli et al., 2001).
Dopo l’ammuffimento infatti, il filante è considerato il più importante deterioramento microbico del pane; è causato da Bacillus spp., soprattutto B. subtilis e B. licheniformis, che determinano lo sviluppo di uno spiacevole odore dolciastro, cui seguono modificazioni della mollica, inizialmente al livello del colore, e infine della struttura, che diviene appiccicosa e morbida (Fig. 2.16).
A B
Figura 2. 16: Deterioramento microbico del pane: pane filante (A) e ammuffimento (B)
I batteri lattici inoltre producono composti antimicrobici, le batteriocine, che hanno la capacità di inibire la germinazione e la crescita dei Bacillus spp., anche se nei pani a lievitazione naturale questo effetto non appare così evidente, data l’elevata attività antimicrobica dovuta alla maggiore acidità. (Katina, 2005).
38
coliformi rispetto a quello evidenziato dagli eterofermentanti.
Una miscela di acidi acetico, acido caproico, acido formico, acido propionico, acido butirrico e acido n-valerianico, che agiscono in maniera sinergica, è responsabile dell’attività antimicotica esercitata dal L. sanfranciscensis, che inibisce le muffe correlate al deterioramento del pane come Fusarium, Penicillium, Aspergillus e Monilia (Fig. 2.17., Gobbetti, 1998).
Figura 2. 17: Inibizione di Fusarium graminearum 623 ad opera di differenti miscele di acidi organici prodotti da Lactobacillus sanfranciscensis CB1 (Gobbetti, 1998)
La shelf life del pane è quindi influenzata principalmente da: 1. fattori chimico-fisici per il processo di raffermamento 2. fattori microbiologici per la crescita delle muffe
Ceppi amilolitici e ceppi antifungini presenti nella madre acida contribuiscono ad aumentare la shelf life del prodotto inibendo rispettivamente i fattori sopra citati.
2.6.4 Effetti sul valore nutritivo
L’ uso della madre acida incrementa il valore nutritivo del pane. E’ stato infatti dimostrato che incrementa composti bioattivi favorevoli e la loro disponibilità, contrastando così le deficienze di micronutrienti nel consumatore, agisce positivamente sul diabete alimentare abbassando la risposta glicemica (Arendt et al., 2013)
Visto che l’impiego della madre acida consente di utilizzare elevate quantità di farina meno raffinata e quindi più ricca di cellulosa, la quantità di fibre presente in questa tipologia di prodotti risulta di norma superiore a quella reperibile nel pane comune.
39
L’uso di pasta acida non porta alla formazione del cosiddetto “amido resistente”, una frazione scarsamente digeribile e quindi di ridotto valore nutrizionale.
La presenza di acido fitico tende ad inficiare il valore nutritivo legato a questo prodotto, data la sua tendenza a formare con i metalli allo stato di ossidazione 2 (Zn2+, Fe2+, Ca2+ e Mg2+) complessi altamente insolubili di difficile assimilazione.
Nelle cariossidi dei cereali gran parte del fosforo è presente come fitato, per essere quindi localizzato nei suoi strati più esterni.
Nel corso della panificazione commerciale l’acido fitico viene in parte trasformato ad opera della fitasi, enzima normalmente presente nella farina, a produrre fosforo inorganico e mio-inositolo (Fig. 2.18).
Figura 2. 18: Degradazione dell’acido fitico
Il pH acido dell’impasto tradizionale produce effetti positivi sulla degradazione dell’acido fitico, sia stimolando l’attività della fitasi che favorendo la solubilità dei suoi substrati (i diversi fitati).
I tempi di fermentazione prolungati legati alla produzione del pane a lievitazione naturale contribuiscono a promuovere la scomparsa dell’acido fitico.
La presenza nel pane degli acidi organici prodotti dal metabolismo microbico può inibire l’attività amilasica, riducendo così il tasso di assimilazione di amido a livello intestinale (Liljegberg et al., 1995).
I due differenti isomeri del lattato prodotti dai batteri lattici vengono assimilati dall’organismo umano in maniera diversa, in particolare il D-lattato viene metabolizzato molto più lentamente. Madre acida e pane a pasta acida contengono acido D-lattico in quantità variabili in funzione della loro componente microbica, ad esempio
40 Lactobacillus plantarum, un batterio lattico comunemente presente nell’impasto acido,
produce un’elevata quantità di acido D-lattico.
2.6.5 Il pane a pasta acida nell’alimentazione dei celiaci
La celiachia è una patologia infiammatoria dell’intestino tenue, correlata ad una predisposizione genetica che nel mondo occidentale colpisce circa una persona su 200, ed è dovuta all’intolleranza verso il glutine, componente di molti cereali.
Coloro che ne sono affetti sono costretti ad una dieta molto stretta e di difficile rispetto, sia perché il glutine è presente in tantissimi alimenti, sia perché gli alimenti “gluten free”, come il pane e la pasta, non evidenziano ancora una qualità organolettica soddisfacente.
Nell’intestino del celiaco sono presenti cellule linfocitarie che in presenza del glutine, ed in particolare di alcuni peptidi derivanti dalla gliadina e dalla glutenina, tendono a moltiplicarsi e a produrre sostanze ad attività infiammatoria.
Poiché i batteri lattici sintetizzano delle peptidasi attive contro questi peptidi tossici, la madre acida potrebbe assicurare condizioni adatte a neutralizzare la tossicità determinata dal glutine in questa patologia. È stato selezionato, infatti, un pool di lattobacilli che riescono a idrolizzare i peptidi in maniera sinergica, ma necessitano di lunghi tempi di fermentazione e risultano attivi solo se posti in mezzi semi liquidi (Gobbetti et al., 2007).
Sperimentazioni condotte su pazienti celiaci hanno evidenziato una buona tollerabilità verso i prodotti della madre acida, facendo così supporre che la fermentazione degli impasti eseguita in presenza di batteri lattici conduca alla completa idrolisi dei peptidi tossici delle gliadine così da ridurli notevolmente, pur non modificando significativamente le caratteristiche e la qualità dei prodotti trattati (Di Cagno et al., 2004).
2.7 DOP e IGP
L’’impasto acido viene tuttora utilizzato nella produzione di pani legati alle tradizioni delle diverse regioni italiane e non solo.
Le produzioni alimentari “tipiche del territorio” costituiscono un aspetto peculiare nella storia e nella tradizione di molti paesi europei e tra questi l’Italia svolge un ruolo non
41
certo marginale. Questi prodotti costituiscono una sorta di fondamentali “attivatori” dello sviluppo socioeconomico delle aree rurali di origine e il loro successo sul mercato, che nel tempo si è consolidato anche al di fuori del bacino territoriale di provenienza, è stato limitato e boicottato da prodotti di imitazione che tendono a sfruttarne il mercato sovrapponendosi ad essi anche nel nome e nell’aspetto commerciale.
Con il Regolamento (CE) 2081/1992 sostituito con il successivo Regolamento (CE) 510/2006 e abrogato e sostituito a sua volta dal Regolamento (UE) 1151/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio istitutivo della Denominazione di Origine Protetta (DOP) e dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP), l’Unione Europea ha inteso tutelare i prodotti tipici da quelli di imitazione, oltre a fornire un attestato di garanzia nei confronti del consumatore. I marchi DOP e IGP rappresentano quindi, uno strumento di tutela non solo per i produttori ma anche per i consumatori.
Secondo l’ art. 5 del Reg 1151/2012 si intende per Denominazione di Origine “…il nome che identifica un prodotto originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata.” La DOP quindi è destinata a prodotti strettamente associati alla specifica area di riferimento, che rispettino le seguenti condizioni:
1. le qualità, ovvero le caratteristiche del prodotto, devono essenzialmente, od esclusivamente, provenire dalle specificità ambientali del luogo d’origine. Dove le specificità ambientali vengono definite come caratteristiche umane (conoscenze ascrivibili alle popolazioni locali) e naturali, (clima, qualità del suolo, ecc.) legate a quella specifica località;
2. le fasi di produzione, ovvero per definizione produzione, trasformazione ed elaborazione, devono svolgersi nell’area geografica della zona specifica di produzione.
Deve, quindi, esercitarsi un collegamento strettissimo ed oggettivo tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica.
Secondo l’art. 5 del Reg. 1151/2012 si intende per Indicazione geografica: ” il nome che identifica un prodotto originario di un determinato luogo, regione o paese alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità, la reputazione o altre caratteristiche e la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata“.