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Introduzione Questo lavoro di tesi, soprattutto nella prima parte, rappresenta una rassegna dei principali studi compiuti sui Disturbi del Comportamento Alimentare. Negli ultimi anni, infatti,

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Introduzione

Questo lavoro di tesi, soprattutto nella prima parte, rappresenta una rassegna dei principali

studi compiuti sui Disturbi del Comportamento Alimentare. Negli ultimi anni, infatti,

molto è stato detto su questa patologia che ha attirato l’attenzione non solo di clinici e

specialisti ma anche dei mass media. Si tratta, purtroppo, di disturbi che si stanno

imponendo sempre di più nella società occidentale e che iniziano a comparire anche nelle

zone più povere del mondo. Come sarà possibile notare nel primo capitolo, dopo una

descrizione generale di queste patologie, descrivendone epidemiologia e eziopatogenesi,

l’elaborato si occupa dei disturbi specifici evidenziati dal DSM-5, redatto dall’American

Psychiatric Association, concentrandosi soprattutto sui due disturbi di principale interesse

in questa tesi: la Bulimia Nervosa e il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED).

Questi disturbi sono stati descritti singolarmente, e poi ne sono state analizzate le

caratteristiche cliniche e diagnostiche.

La seconda parte di questo lavoro di tesi, si occupa di fare una rassegna sui

principali studi in letteratura riguardanti un confronto tra BN e BED, evidenziandone

eventuali analogie e differenze. In particolare, si è partiti da una descrizione sulle

caratteristiche generali e sulle basi neurobiologiche, per poi concentrarsi sulle

caratteristiche di personalità di entrambi i disturbi. In particolare, ci si è concentrati su

caratteristiche come disregolazione emotiva e impulsività, insoddisfazione per il corpo e

perdita di autostima, reattività allo stress, evitamento del danno e sopravvalutazione del

peso. È stata osservata anche la comorbidità di questi disturbi con altre patologie, sia

fisiche che psichiche. Infine, spostando maggiormente l’attenzione sul BED, sono state

osservate le sue differenze con l’obesità, con cui spesso può essere confuso, e ne è stato

descritto il trattamento, che per molti aspetti può essere simile a quello utilizzato nei

(2)

pazienti con BN.

Nel terzo e ultimo capitolo di questa tesi, infine, verrà presentato uno studio

condotto presso il Centro Arianna di Pisa su un campione di pazienti con BN e BED.

L’obiettivo è quello di evidenziare eventuali differenze e analogie tra questi due disturbi,

utilizzando come strumento principale l’EDI-3, che va a osservare alcune delle

caratteristiche psicologiche che possono risultare alterate nei DCA. Anche se un po’ di

lavori hanno messo a confronto i fattori di rischio, la maggior parte degli studi che hanno

confrontato BED e BN si sono concentrati sulle caratteristiche comportamentali o

cognitive dei disturbi alimentari o di comorbidità psichiatrica associata. Invece, lo studio

di Declan et al. (2003) si propone di confrontare pazienti con bulimia nervosa (BN),

pazienti obesi con disturbo binge eating (BED), e pazienti non obesi con BED, su variabili

psicologiche che possono essere oggetto di vulnerabilità utilizzando come strumento

l’EDI (l’Eating Disorder Inventory). I tre gruppi differivano in modo significativo

soprattutto in due punti all’interno della scala legata al rischio di disturbo alimentare

(l’impulso alla magrezza e l'insoddisfazione per il corpo) e in tutte le scale di personalità

dell’EDI. Quando l'età e il livello di depressione venivano controllati, i risultati legati al

rischio di disturbo alimentare non cambiavano, mentre nella maggior parte delle scale

generali di personalità non vi erano più differenze significative. L’analisi post hoc, ha

rivelato che il gruppo con BN e il gruppo con BED non obesi avevano un punteggio

significativamente più alto di impulso alla magrezza rispetto al gruppo BED obesi. I

gruppi BED non obesi e obesi non differivano tra loro in nessun punto (a parte per

l’impulso alla magrezza), compresa l’insoddisfazione corporea. I gruppi BED obesi e non

obesi avevano caratteristiche di maturità significativamente più basse rispetto al gruppo

BN. I risultati suggeriscono che quando gli effetti dei livelli di età e di depressione sono

controllati, le donne in cerca di trattamento con BN e BED sono generalmente simili.

(3)

Alcune differenze che esistono tra le donne con BN e BED sono associate con lo stato di

obesità (impulso alla magrezza), mentre altri sono associati con la diagnosi

(insoddisfazione per il corpo, paura della maturità). Nel complesso, le persone con BED

sono diverse da quelle che non attuano abbuffate, e il BED sembra avere analogie

importanti e differenze con la BN (Grilo et al., 2009). Nello specifico, in primo luogo, i

risultati dello studio di Declan (2003) sostengono la teoria che la BN sia associata a

maggiori disturbi psicologici rispetto al BED. Nel complesso, i pazienti con BN avevano

maggiori punteggi di depressione e disturbi più elevati nelle scale psicologiche dell'EDI,

sebbene le prove post hoc abbiano rivelato che le differenze significative erano tra i gruppi

con BN e i soggetti BED obesi. Infatti, i gruppi con BN e i gruppi BED non obesi erano

piuttosto simili nella maggior parte delle scale. In secondo luogo, le analisi hanno rivelato

che il gruppo di soggetti BED obesi aveva un punteggio significativamente più basso

nell’impulso alla magrezza rispetto ai soggetti BED non obesi e al gruppo con BN, mentre

i soggetti con BN e BED non obesi non differivano significativamente l'uno dall'altro.

Questi dati sono stati poi confermati da risultati successivi, che suggeriscono che i

pazienti con BN hanno una restrizione dietetica superiore rispetto ai pazienti con BED e

che il livello di restrizione dietetica nei pazienti con il BED è associato all'obesità

(Masheb et al., 2011). Clinicamente, questa constatazione rafforza i suggerimenti che

intervengono dalla letteratura sul trattamento per la BN adattato ai pazienti con BED, che

devono mirare a strutturare e normalizzare il cibo durante tutto il giorno. Anzi, anche se

i trattamenti per il binge eating risultavano efficaci a livello psicologico, questi trattamenti

in generale non sono però riusciti a ridurre l'eccesso peso (Grilo et al., 2009). In terzo

luogo, i risultati suggeriscono che i livelli di disturbi correlati al peso nella BN e nel BED

sono paragonabili. Questo estende i risultati precedenti, secondo i quali entrambi i gruppi

di pazienti sono simili nella psicopatologia del disturbo alimentare (Wilfley et al., 2000).

(4)

Nello studio di Declan (2003), è stato scoperto che l'insoddisfazione per il corpo non

differiva tra pazienti obesi e non obesi con BED e che i loro livelli di insoddisfazione per

il corpo erano pressoché uguali a quelli dei pazienti con BN. Infine, è stato scoperto che

il gruppo BN aveva significativamente livelli più alti di paura della maturità rispetto ai

gruppi BED, anche dopo aver controllato gli effetti dell'età e della depressione.

Da questi studi si è sviluppata la nostra ricerca, per andare a confermare o meno i

risultati ottenuti in precedenza, sia di Declan che di altri autori.

(5)

CAPITOLO 1. I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

1.1 Descrizione generale e dati epidemiologici

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono patologie caratterizzate da

un’alterazione delle abitudini alimentari e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e

per le forme del corpo. Nei DCA l’alimentazione assume caratteristiche disordinate,

caotiche, ossessive e ritualistiche, tali da compromettere la possibilità di consumare un

normale pasto. Nello stesso tempo, le preoccupazioni per l’aspetto fisico diventano

insostenibili e pervasive, tanto da minare l’autostima e la socialità della persona che ne

soffre. L’American Psychiatric Association (APA) ha pubblicato nel maggio 2013 la

quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5),

frutto di un processo di revisione di 14 anni. Il DSM-5 ha introdotto numerose novità, per

cercare di migliorare la descrizione dei sintomi e dei comportamenti delle persone che

soffrono di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione nel corso della loro vita.

Il gruppo di lavoro che ha sviluppato i nuovi criteri del DSM-5, si è posto come

obiettivo primario quello di minimizzare l’uso della diagnosi vaga “disturbo

dell’alimentazione non altrimenti specificato”, per far sì che i pazienti ricevano una

diagnosi che descriva accuratamente i lori sintomi e comportamenti, per poi definire un

piano di trattamento. Il DSM-5 fornisce la seguente definizione dei disturbi della

nutrizione e dell’alimentazione: “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono

caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati

con l’alimentazione, che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che

danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale” (APA,

2013). Va ricordato che il DSM-IV-TR non forniva una definizione di disturbo

(6)

dell’alimentazione e questo aveva provocato numerosi problemi nello stabilire il confine

diagnostico dei disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati, che non avevano

criteri diagnostici positivi come l’Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa. Inoltre, un

altro cambiamento è dato dall’eliminazione del capitolo “Disturbi della Nutrizione

dell’Infanzia o della Prima Fanciullezza”, presente nel DSM-IV-TR (APA, 2000).

Conseguentemente, le due categorie diagnostiche “Disturbi della nutrizione” e “Disturbi

del Comportamento Alimentare” sono state integrate in un’unica categoria, definita

“Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione”. Al fine di creare una categoria singola

e coerente, le diagnosi precedentemente destinate ai bambini sono state riviste e

rielaborate in modo da poter essere utilizzate anche con gli adulti (Call et al., 2013). Il

DSM-5 include le seguenti categorie diagnostiche (le prime tre riguardano soprattutto i

disturbi della nutrizione nell’infanzia):

1.

Pica (consumo di sostanze non commestibili)

2.

Disturbo di ruminazione (continuo rigurgito delle sostanze ingerite)

3.

Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo

4.

Anoressia nervosa

5.

Bulimia nervosa

6.

Disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) o Binge Eating Disorder (BED)

7.

Altri disturbi specifici della nutrizione e dell’alimentazione, che comprende cinque

disturbi:

• anoressia atipica (sono soddisfatti tutti i criteri eccetto per il peso, che, nonostante

una significativa diminuzione, si mantiene dentro o sopra il range normale);

• bulimia nervosa con bassa frequenza e/o durata limitata (tutti i criteri per bulimia

(7)

compensatori inappropriati avvengono, di media, meno di una volta a settimana

e/o per meno di 3 mesi);

• DAI con bassa frequenza e/o durata limitata (tutti i criteri per il disturbo da

alimentazione incontrollata sono soddisfatti, ad eccezione che le crisi bulimiche

avvengono, di media, meno di una volta a settimana e/o per meno di 3 mesi);

• disturbo purgativo (presenza di condotte di eliminazione, adottate per influenzare

il peso o la forma corporea, senza restrizioni e/o abbuffate);

• disturbo da alimentazione notturna (ricorrenti episodi di alimentazione notturna

che si manifestano dopo il risveglio o con un eccessivo consumo di cibo dopo il

pasto serale).

8.

Disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati (caratteristiche simili a

quelle dei disturbi dell’alimentazione, che causano una significativa disfunzione,

ma non soddisfano i criteri per i disturbi specifici).

La scelta fatta nel DSM-5 di ampliare il numero delle categorie diagnostiche e dei criteri

necessari per porre diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare, si basa sulla

necessità di descrivere più dettagliatamente quei quadri patologici che non rientravano

nei criteri stretti dei disturbi principali (Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa), e pertanto

finivano tra i disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati, categoria residuale

che includeva forme molto diverse tra loro, non sempre meno gravi dei disturbi principali,

ma spesso sottovalutate e trattate superficialmente. Questa posizione non è esente da

rischi, in primis quello di moltiplicare eccessivamente le diagnosi e psichiatrizzare ogni

comportamento alimentare disordinato (Frances, 2013).

I comportamenti tipici di una persona che soffre di un Disturbo del

Comportamento Alimentare sono: digiuno, restrizione dell’alimentazione, crisi bulimiche

(l’ingestione di una notevole quantità di cibo in un breve lasso di tempo accompagnata

(8)

dalla sensazione di perdere il controllo, ovvero non riuscire a controllare cosa e quanto si

mangia), vomito autoindotto, assunzione impropria di lassativi e/o diuretici al fine di

contrastare l’aumento ponderale, intensa attività fisica finalizzata alla perdita di peso.

Alcune persone possono ricorrere ad uno o più di questi comportamenti, ma ciò non vuol

dire necessariamente che esse soffrano di un disturbo alimentare (Galeazzi & Meazzini,

2004). Come si vedrà più avanti, ci sono infatti dei criteri ben precisi che definiscono cosa

si intende per “disturbo del comportamento alimentare”.

I disturbi del comportamento alimentare sono spesso negati o nascosti da chi ne

soffre e questo rende gli studi epidemiologici difficili e costosi. Molti studi utilizzano i

dati provenienti dai servizi sanitari per valutare la numerosità di questi disturbi, ma i

risultati risultano solitamente sottostimati, poiché non tutti i pazienti si rivolgono a una

struttura medica. In alcuni casi si tratta di un’esigua minoranza. Infatti, solo una piccola

percentuale di persone che soffre di un disturbo alimentare chiede aiuto, quindi non è

facile dare un’indicazione precisa sull’incidenza e la prevalenza della patologia. I DCA

sono molto più diffusi di quanto si pensi: si tratta al giorno d'oggi di problemi ancora

parzialmente sommersi, dei quali i pazienti non parlano volentieri o non parlano affatto

(Galeazzi & Meazzini, 2004). Intendiamo per incidenza il numero totale di nuovi casi in

un periodo di tempo. Per i disturbi del comportamento alimentare, il tasso di incidenza è

comunemente espresso nel numero per 100.000 persone per anno. La prevalenza esprime

la proporzione della popolazione che soffre di un disturbo in un dato momento

(prevalenza punto), in un certo anno (prevalenza annuale) o nel corso della vita

(prevalenza lifetime). Una recente review (Smink et al., 2012) ha valutato l’epidemiologia

dei disturbi dell’alimentazione, anche alla luce dei nuovi criteri del DSM-5, che sono più

ampi dei precedenti. La prevalenza è maggiormente elevata nei Paesi Industrializzati

rispetto ai Paesi in via di sviluppo. L'incidenza è maggiore nelle fasce giovani della

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popolazione: adolescenti e giovani adulti sono i soggetti più a rischio. Nello specifico,

dall’esiguo numero di studi sull’incidenza risulta un tasso di 490 soggetti per 100.000 per

anno, relativo al gruppo a rischio delle giovani donne dai 15 ai 19 anni, per quanto

riguarda la versione allargata della diagnosi di anoressia, paragonabile alla diagnosi del

DSM-5 (Keski-Rahkonen et al., 2007). Paragonando questo dato ai criteri del DSM IV

riscontriamo un incremento dell’81,5% (sarebbero risultati 270 casi per 100.000 per

anno). Nello stesso studio, la prevalenza lifetime risultava del 4,2% (contro quella del

2,2% con i criteri DSM IV). Smink et al. (2012), sempre nel lavoro precedentemente

citato, riportano per la Bulimia Nervosa un’incidenza annuale di 300 casi su 100.000 con

i criteri del DSM-5 (con quelli del DSM IV si aveva il 50% in meno). La prevalenza

lifetime risulta del 2%, considerando il genere femminile (Stice et al., 2013;

Keski-Rakhonen et al., 2007). Per quanto riguarda il Disturbo da Alimentazione Incontrollata

(DAI), uno studio longitudinale di sette anni di follow-up, su un ampio gruppo di oltre

12.000 adolescenti americani (da 9 a 15 anni) riscontrò un tasso di incidenza di 1010 casi

su 100.000 tra le ragazze e di 660 su 100.000 tra i ragazzi (Field et al., 2008). La

prevalenza lifetime del DAI è stata valutata su ampie popolazioni negli Stati Uniti

(Kessler et al., 2013) e in Europa (Preti et al., 2009). Negli Stati Uniti, tra gli adulti, è

stata riscontrata una prevalenza lifetime del 3,5% per le donne e del 2,0% per gli uomini;

tra gli adolescenti (13-18 anni), del 2,3% per le ragazze e dello 0,8% tra i ragazzi. Nello

studio citato su sei Paesi europei, compresa l’Italia, in soggetti tra i 18 e i 25 anni, che

escludeva l’età a maggior rischio di insorgenza (9-18 anni) e quindi sottostimava il

numero dei casi di DCA, la prevalenza di AN, BN, BED, BED sotto-soglia e quadri misti

è stata rispettivamente dello 0,48%, 0,51%, 1,12%, 0,72% e 2,15% , con una prevalenza

complessiva di 4,98 casi per cento e sono stati 3-8 volte superiori nel sesso femminile,

infatti è risultata del 1,9% per le donne e dello 0,3% per gli uomini (Preti et al., 2009).

(10)

Inoltre, in Italia il BED ha una prevalenza variabile dal 7,5% al 12,1% (Ramacciotti et al.,

2000) tra i soggetti obesi. La prevalenza può risultare ancora più alta tra i soggetti che

richiedono un trattamento per l’obesità, fino al 18,1%, se si ricerca il disturbo non solo

nel presente, ma indagando la vita passata del paziente (disturbo lifetime). La percentuale

di pazienti affetti da questa patologia è risultata addirittura del 27% in una popolazione

mista, costituita cioè in parte da pazienti che si erano rivolti per trattamento ad un centro

medico ed in parte ad una clinica psichiatrica (Ramacciotti et al., 2008). Questo disturbo

tende ad avere un andamento cronico recidivante, con alternanza di periodi di relativo

benessere a periodi di riacutizzazione. A differenza degli altri disturbi alimentari, il BED

sembra essere solo moderatamente più frequente nel sesso femminile rispetto al maschile,

con un rapporto 3:2, ed è equamente distribuito tra i gruppi etnici. Questo dato non

stupisce se consideriamo che la spinta verso la magrezza, di natura culturale, e la

conseguente restrizione influisce solo in parte sulla genesi del disturbo. La riformulazione

della diagnosi di Disturbo da Alimentazione Incontrollata, con la riduzione delle crisi

bulimiche richieste da due a una alla settimana, non sembra aver modificato i dati

epidemiologici in quanto, secondo le osservazioni riportate (Smink et al., 2013), la

stragrande maggioranza dei pazienti che soffrono di questo disturbo presentano più di due

episodi a settimana. I Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati,

paradossalmente, sono risultati essere la diagnosi più formulata dai clinici ma anche

quella meno studiata dai ricercatori. Non ci sono pertanto chiare indicazioni di incidenza

e prevalenza (Smink et al., 2013). Per quanto riguarda i disturbi inseriti nella nuova

categoria “Altri Disturbi Specifici della Nutrizione o dell’Alimentazione”, ci sono pochi

studi epidemiologici: in uno studio di coorte piuttosto ampio su adolescenti americane si

riscontrava una prevalenza del disturbo purgativo del 2-2.5% (Field et al., 2008); in un

altro studio, sempre su adolescenti americane si ravvisava una prevalenza lifetime del

(11)

2.8% per l’anoressia nervosa atipica, del 4.4% per la bulimia sottosoglia e del 3.6% per

il DAI sottosoglia (Stice et al., 2013). In ogni caso, diversi studi confermano una ridotta

proporzione per la categoria residuale con i nuovi criteri del DSM-5 (Machado et al.,

2013). Ricapitolando, i disturbi alimentari sono diffusi soprattutto tra le donne: infatti, la

prevalenza nel corso della vita è dell’1% tra le femmine e meno dello 0,5% tra i maschi

per quanto riguarda l’anoressia, del 2% tra le donne e dello 0,5% tra gli uomini per la

bulimia, del 3,5% tra le femmine e del 2% tra i maschi per il Binge Eating Disorder (BED)

o disturbo da alimentazione incontrollata. Tra le persone che soffrono di un disturbo

alimentare, il 10% è affetto da anoressia, il 40% da bulimia e il 50% da BED o disturbi

dell’alimentazione non altrimenti specificati.

Inoltre, un dato epidemiologico importante è quello relativo alla mortalità

connessa ai disturbi del comportamento alimentare. In una importante meta-analisi

(Harris & Barraclough, 1998) l’Anoressia è stata associata al tasso più elevato di mortalità

tra tutti i disturbi psichiatrici. Il tasso di cruda mortalità è stato recentemente quantificato

in 5.1 decessi per anno su 1000 casi (Arcelus et al., 2011). Per quanto riguarda invece

Bulimia Nervosa e Binge Eating Disorder, sottoposti a terapia presentano percentuali di

guarigione simili ma più elevate: il 45% delle persone affette da Bulimia guarisce

totalmente, il 27% migliora considerevolmente mentre il 23% rimane cronico e uno

0,32% purtroppo muore; mentre circa il 50% di chi soffre di BED guarisce

completamente. Il rischio di ricadute per i Disturbi Alimentari è elevato (circa il 41%),

soprattutto nella prima fase successiva alla fine del trattamento (tra i 4 e i 9 mesi

successivi) e soprattutto per quanto riguarda l’Anoressia con Abbuffate / Condotte di

eliminazione.

Infine, un dato rilevante riscontrato negli ultimi anni riguarda l’anticipazione

dell’esordio. Uno studio inglese (Kurz et al., 2014) rivela che disturbi alimentari di tipo

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restrittivo sono comunemente riportati nel corso dell’infanzia, con una prevalenza del

3.2% per il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo. Questi dati confermano

le osservazioni di un precedente studio italiano che riportava una significativa

anticipazione dell’esordio di anoressia e bulimia nelle generazioni più giovani (Favaro et

al., 2009). Per quanto riguarda il BED, l’età di esordio è discussa, mentre quella dei

soggetti al momento della diagnosi varia tra i 30 e i 40 anni, quindi maggiore rispetto alle

pazienti bulimiche; i pazienti riferiscono l’insorgenza dei disordini alimentari attorno ai

20 anni e una storia di oscillazioni marcate del peso corporeo (> 10 kg) (Kurz et al., 2014).

Tra i soggetti sovrappeso la presenza del BED sembra associarsi ad una più precoce

insorgenza dell’obesità. Il BED, comunque, non è un sottotipo di obesità. Esso, infatti, è

stato raggruppato in famiglie indipendenti dalla presenza di obesità, e le persone con

storie familiari di BED sono a maggior rischio di obesità in età adulta, rispetto a quelli

con storie familiari di obesità e non BED. Individui con BED hanno anche dimostrato di

essere diversi dagli individui obesi senza BED, per quanto riguarda la quantità di cibo

consumato al di fuori delle abbuffate e la motivazione a mangiare in condizioni di stress.

Inoltre, gli individui con BED che sono obesi presentano una più grave psicopatologia di

quanto non facciano gli individui obesi senza BED, ma la psicopatologia non differisce

tra gli individui obesi e non obesi con BED (Kessler et al., 2013). I sintomi di BED

iniziano tipicamente durante l'adolescenza o l'età adulta: per quanto riguarda l'età di

insorgenza dei sintomi dei disturbi alimentari, è stato segnalato che nei soggetti BED si

presenta più tardi rispetto che in soggetti con BN o AN. Nell'anziano, le caratteristiche

del BED sono state segnalate essere simili a quelle osservate negli adulti più giovani.

Tuttavia, nei soggetti anziani, è stato riportato un esordio più tardivo e una più lunga

durata della malattia (Kessler et al., 2013).

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con i disturbi dell’asse I, soprattutto disturbi dell’umore o d’ansia (in particolare fobia

sociale) e disturbi da abuso o dipendenza da sostanze, e del 69% con i disturbi dell’asse

II, in particolare col Disturbo Borderline di personalità per la bulimia e per l’anoressia

con abbuffate e condotte di eliminazione, col Disturbo Evitante per tutti i disturbi

alimentari e soprattutto l’anoressia, col Disturbo Ossessivo-Compulsivo per l’anoressia e

il BED. Sottoposte a terapia individuale, le persone affette da Anoressia ottengono un

buon recupero nel 40% dei casi (con un 70% di riduzione dei sintomi) e un recupero

parziale nel 40% dei casi, mentre un 20% rimane cronico. Si tratta di patologie complesse,

determinate dalla stretta connessione di fattori biologici, psicologici, relazionali e

culturali. Patologie di lunga durata che, se non trattate adeguatamente, tendono ad avere

un andamento cronico con frequenti ricadute. I DCA necessitano di un trattamento

integrato multidisciplinare che coinvolge aspetti biomedici e psico-sociali, con la

necessità di un team di professionisti di diversa estrazione. Un trattamento di qualità è

generalmente molto complesso e impegnativo, costoso economicamente e dispendioso in

termini di tempo. Un mancato trattamento o un trattamento inadeguato può determinare

l’evoluzione verso la cronicità, l’invalidità e persino la morte. Il costo sociale di questa

patologia, sia diretto che indiretto, è molto rilevante (Simon et al., 2005).

1.2 Eziopatogenesi, caratteristiche cliniche generali e fattori di rischio

Oggi la comunità scientifica tende a proporre per i disturbi del comportamento alimentare

modelli multifattoriali che si rifanno ad un’ottica bio-psico-sociale (Garfinkel, 1982), ed

è concorde nell’affermare che non esiste una causa unica ma una concomitanza di fattori

che possono variamente e diversamente interagire tra loro nel favorirne la comparsa e il

perpetuarsi. Il nucleo patogenetico che caratterizza i DCA è determinato da un complesso

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insieme di fattori familiari, biologici, individuali, socioculturali e psicologici. Tra i fattori

familiari troviamo i conflitti con il partner, una condizione di solitudine o eventuali lutti;

tra i fattori biologici rientra invece la vulnerabilità genetica per patologie patologiche e

psicologiche; i fattori individuali corrispondono, ad esempio, a disturbi della percezione

o problemi di espressione emozionale; i fattori socioculturali fanno riferimento all’ideale

di magrezza, visibilità, autocontrollo, successo e bellezza; infine, ci possono essere

difficoltà psicologiche come bassa autostima (aumentata sensibilità alle critiche, pensieri

svalutativi), instabilità affettiva (fluttuazioni dell’umore, bassa tolleranza alle frustrazioni,

impulsività, ansia e depressione), orientamento al risultato, convinzioni sulla forma fisica

e sul fitness (Galeazzi & Meazzini, 2004). Più precisamente, per avere un’idea corretta

circa la dinamica di sviluppo dei DCA, bisogna tenere presente che questa lunga serie di

fattori ed eventi giocano un ruolo importante rispetto ad una vulnerabilità biologica e

psicologica al disturbo (fattori predisponenti), nel passaggio dalla vulnerabilità al disturbo

vero e proprio (fattori precipitanti) e, infine, nella formazione di un circolo vizioso che

sviluppa e mantiene la malattia (fattori di mantenimento).

• Tra i fattori predisponenti troviamo: predisposizione genetica; genere femminile;

familiarità per sovrappeso e obesità; obesità infantile; storia di ripetute diete e

oscillazioni ponderali; alcune patologie croniche (diabete mellito, fibrosi cistica);

gravidanza; tratti di personalità e problemi psicologici; caratteristiche familiari

(invischiamento, scarsa definizione dei ruoli); fattori socioculturali (mito della

magrezza, competizione).

• I fattori precipitanti sono riconducibili a: separazioni e perdite, malattie,

alterazioni dell’omeostasi familiare, menarca vissuto come traumatico, esperienze

sessuali, traumi e abusi sessuali, paura di perdere il controllo e la stima di sé, stress,

particolari attività sportive in cui la prestazione è correlata al basso peso corporeo

(15)

e/o alla non maturità sessuale, elevata competizione nel gruppo dei pari. In tale

ottica, risultano problematici alcuni momenti tradizionali di passaggio nella vita

dei giovani. Di fronte a queste situazioni problematiche e alle risultanti difficoltà

psicologiche, la persona cerca una soluzione attraverso la manipolazione del

proprio comportamento alimentare e, di conseguenza, del proprio peso corporeo.

È il controllo sull’alimentazione e la verifica dei rapidi progressi ottenuti in

termine di verifica del calo ponderale, a fornire un’illusoria sensazione di aver

ripreso il controllo della situazione.

• I fattori di mantenimento possono essere invece: guadagni secondari legati alla

malattia, posizione di potere in famiglia, evitamento di situazioni interpersonali

ansiogene, effetti del digiuno e della perdita di peso.

Questo sta a significare che nell’insorgenza di un Disturbo del Comportamento

Alimentare vengono ad interagire fattori che creano una sorta di predisposizione o

vulnerabilità (fattori genetici che interagiscono con fattori culturali), su cui agiscono altri

fattori scatenanti (un qualsivoglia trauma), che fanno precipitare la situazione, che

altrimenti poteva rimanere latente. Questa, a sua volta, crea i presupposti (fattori di

mantenimento) perché la patologia si autoperpetui.

Sul versante biologico, alcuni studi hanno mostrato come numerose complicazioni

ostetriche, tra cui anemia materna, diabete mellito, infarto di placenta, o problemi cardiaci

neonatali siano predittori indipendenti dello sviluppo di Anoressia Nervosa. Maggiore è

il numero di eventi neonatali avversi, più elevato risulta il rischio di sviluppare un disturbo

dell’alimentazione (Favaro et al., 2006). L’importanza della genetica nel determinare una

vulnerabilità è stata sottolineata da più studi (Culbert et al., 2009; Klump et al., 2010).

Diversi lavori segnalano che il tasso di concordanza per le gemelle monozigoti è

significativamente maggiore rispetto a quelle dizigoti, sottolineando il peso dei fattori

(16)

genetici. È plausibile che la loro influenza vada considerata nell’ambito di una complessa

interazione con fattori ambientali e psicologici (Portela de Santana et al., 2012). In ogni

caso, i fattori genetici potrebbero influire, al momento della pubertà, sulla produzione

degli ormoni ovarici, in particolare l’estradiolo, implicato nella trascrizione genetica di

neurotrasmettitori, quali la serotonina, che regolano l’umore e l’appetito (Klump et al,

2010). I dati empirici mostrano che il periodo della pubertà va considerato un fattore di

rischio rilevante ed enfatizzano l’associazione tra l’anticipazione dello sviluppo puberale

e un aumentato rischio di sviluppo di un disturbo alimentare (Klump, 2013). Una

ragazzina che va incontro ad uno sviluppo precoce, presenterebbe una condizione di

maggiore ansietà associata al cambiamento fisico (che porta al raddoppio della massa

grassa nel suo corpo e alla comparsa delle forme femminili), che non coincide con la

maturazione della sua identità (Tremblay & Lariviere, 2009). La nuova struttura corporea

determina un conflitto con gli ideali estetici dominanti e, in una condizione di turbolenza

emotiva, ansietà, impulsività, sottovalutazione dei rischi e desiderio di riacquisire il

controllo sul peso e il corpo, possono farsi strada comportamenti che conducono

all’instaurarsi di un disturbo dell’alimentazione. La tolleranza del distress, rappresenta un

altro elemento legato ad una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali.

Secondo Corstorphine et al. (2007), la tolleranza del distress è la capacità di resistere e

accettare un’emozione negativa, in modo da poter sviluppare un processo di problem

solving. Una carenza su questo piano comporta una maggiore vulnerabilità emotiva e una

incapacità di regolare le emozioni. Negli ultimi anni, si è sviluppata una rilevante mole

di ricerche che pongono l’alimentazione in relazione a un malfunzionamento del circuito

cerebrale della gratificazione, in particolare per quanto riguarda i disturbi che presentano

perdite di controllo con il cibo (BN e DAI). In quest’ottica, l’abuso di cibo appare un

metodo efficace per tenere a bada l’emotività negativa. Sebbene non sia chiaro se una

(17)

disfunzione a livello del circuito dopaminergico vada considerata una causa o una

conseguenza (o entrambe) del disturbo dell’alimentazione, la presenza di questo elemento

tra i fattori predisponenti o di mantenimento sembra confermata. Da non trascurare, la

presenza di un sovrappeso in età infantile e preadolescenziale è un fattore di rischio

rilevante per l’insoddisfazione corporea, la possibilità di essere esposti a critiche e prese

in giro e l’adozione di comportamenti inadeguati per la riduzione del peso (Tremblay &

Lariviere, 2009). Tra i fattori di mantenimento di tipo organico, il posto principale è

occupato dagli effetti del digiuno. La perdita di peso accentua la concentrazione sul cibo,

aggrava la distorsione dell’immagine corporea e dei segnali interni di regolazione di fame

e sazietà. Peggiora, inoltre, il tono dell’umore e accentua le ruminazioni ossessive e

l’isolamento sociale. Infine, l’abuso di lassativi e l’esercizio fisico esasperato, scatena

crisi bulimiche che aumentano l’ansia e il bisogno di controllo, fino all’adozione di

comportamenti compensativi come il vomito autoindotto.

Gli aspetti socio-culturali sono fattori di primaria importanza nello sviluppo dei

disturbi del comportamento alimentare, che non a caso sono stati definiti una “sindrome

culturale” (Gordon, 1991). Nella società globalizzata di oggi l'ideale estetico dominante,

trasversale ai diversi contesti sociali, economici e culturali, impone il valore del "corpo

magro" (Neumark-Sztainer et al., 2007; Field et al., 2008). A questo si affianca la

stigmatizzazione dell’obesità, che da un problema di salute finisce per diventare una

condizione riprovevole di cui vergognarsi, emblema di fallimento personale.

Paradossalmente, i media enfatizzano i messaggi sulla desiderabilità di un corpo sottile,

incoraggiano l’utilizzo delle più svariate e spesso irrealistiche strategie per perseguire

l’ideale di bellezza ma, nello stesso tempo, bombardano i ragazzi con immagini e

pubblicità di cibo attraente e desiderabile, ma malsano. In questo contesto, il processo di

formazione dell’immagine corporea risulta disturbato (Neumark-Sztainer et al., 2007).

(18)

Nello studio di Schooler & Trinh (2011) il tempo dedicato alla visione di programmi

televisivi (28 ore a settimana) è risultato il maggior predittore di insoddisfazione per

l’immagine del corpo. Becker (2002) ha avuto modo di studiare l’effetto dell’introduzione

dei programmi televisivi americani nelle isole Fiji, riscontrando in soli due anni il

passaggio da un’assenza di disturbi dell’alimentazione a livelli paragonabili ai paesi

occidentali.

Fra le caratteristiche psicologiche individuali prevalgono tratti ossessivi di

personalità, aspettative esasperate, perfezionismo patologico, grandi difficoltà nel

processo di separazione-individuazione, rifiuto del corpo adulto e della sessualità,

fissazione all’infanzia e a forme infantili di dipendenza e di controllo. Recenti studi hanno

posto l’attenzione sull’ansia per la propria accettabilità sociale (Levinson et al., 2013) e

la sfiducia nel rapporto interpersonale (Holland et al., 2013). Il perfezionismo sembra

essere un potente fattore di mantenimento del disturbo (Holland et al., 2013). Nella

Bulimia Nervosa sono frequenti i disturbi di personalità di tipo borderline, scarso

controllo degli impulsi, intolleranza delle frustrazioni, tendenza a bruschi cambiamenti di

umore, sessualità disordinata. Molti lavori, in differenti contesti culturali, suggeriscono

come fattore chiave la tendenza dell’individuo a internalizzare gli ideali estetici

dominanti (Stice et al., 2010; Jackson & Chen, 2008).

Per quanto riguarda i fattori familiari, è bene ricordare che in passato molte

teorizzazioni hanno erroneamente posto la famiglia (in particolare la madre) sul banco

degli imputati, stabilendo correlazioni causali lineari tra il comportamento dei genitori e

l’insorgenza del disturbo nei figli. Il risultato è stato quello di generare biasimo e inutili

sensi di colpa, che ancora oggi il clinico deve affrontare quando inizia a lavorare con il

nucleo familiare. Tuttavia ciò non deve portare a disconoscere l’influenza che l’ambiente

familiare può avere sull’andamento del disturbo alimentare, semmai ad articolare più

(19)

correttamente le conoscenze sui fattori di rischio. Famiglie con un membro affetto da

anoressia sono state spesso considerate iperprotettive e ipersensibili alle malattie fisiche:

Minuchin (1978) le ha descritte come “famiglie psicosomatiche”, caratterizzate da

iperprotettività, rigidità, invischiamento ed evitamento dei conflitti. Questi tratti, tuttavia,

possono essere considerati conseguenze piuttosto che cause della presenza di un disturbo,

analogamente a ciò che accade nelle famiglie in cui sono presenti malattie organiche

minacciose per la vita dei figli. Si è riscontrato come vivere con una persona sofferente

di un disturbo dell’alimentazione sia associato ad un rilevante stress psico-fisico e ad una

bassa qualità della vita (de La Rie et al., 2005; Treasure et al., 2001). È importante altresì

riconoscere che gli atteggiamenti descritti da Minuchin, una volta strutturatisi,

rappresentano un fattore importante di mantenimento del disturbo dell’alimentazione.

Relativamente a tratti presenti tra i familiari precedentemente all’esordio, Treasure (2008)

individua elementi di ansietà, compulsività e alimentazione disturbata. Le evidenze

suggeriscono che madri che hanno una storia di disturbo alimentare hanno maggiori

probabilità di avere figlie con gli stessi problemi (Micali et al., 2009; Allen et al., 2014).

A loro volta, le figlie in queste famiglie mostrano maggiori preoccupazioni relative al

cibo, al peso e alla forma del corpo (Stein et al., 2006). Sono frequenti inoltre la

soggezione al mito del successo, il bisogno di rispondere alle attese sociali e la dipendenza

dal consenso e dall’ammirazione degli altri (Cuzzolaro, 2014). Infine, va sottolineata la

rilevanza delle critiche e delle prese in giro per l’aspetto fisico, da parte di familiari e

coetanei (Neumark-Sztainer et al., 2007). Questi risultati sono coerenti con le teorie

socio-culturali che individuano l’internalizzazione dell’ideale di magrezza e la pressione

sociale ad essere magri come i fattori chiave per l’insoddisfazione corporea e la patologia

alimentare (Stice, 2002).

(20)

da una dieta ipocalorica volta a risolvere uno stato di obesità, seguita poi dalle abbuffate,

o se sono queste ultime a comparire per prime. Fairburn e coll. (1998) hanno indagato la

presenza di fattori di rischio per lo sviluppo del BED: i soggetti con il disturbo, rispetto

ai controlli sani, presentavano con maggior frequenza sentimenti di autosvalutazione,

familiarità per depressione, esperienze negative nel periodo infantile, ambiente familiare

che tendeva a sottolineare negativamente il peso o l’alimentazione del paziente e infine

gravidanze precedenti l’esordio della patologia. Sono emersi come fattori di vulnerabilità

specifici per il BED, l’obesità nel periodo infantile e la ripetuta esposizione ai commenti

negativi da parte dei familiari circa il peso, l’aspetto fisico e l’alimentazione. Per quanto

riguarda la familiarità, i soggetti con diagnosi di BED presentano una familiarità positiva

per abuso di sostanze con una frequenza più elevata rispetto ai pazienti obesi senza BED,

con valori di prevalenza (49%) maggiori persino di quelli dei familiari di pazienti con

Bulimia Nervosa (Marcus et al., 1995).

Di seguito, verranno descritti i principali disturbi di interesse di questa tesi, il

Binge-eating disorder (BED) e la Bulimia Nervosa (BN).

1.3 Bulimia Nervosa

La parola Bulimia deriva dal greco e significa letteralmente “fame da bue”. La metafora

animale, che è alle origini del termine bulimia riflette il modo in cui molte pazienti affette

da disturbi bulimici vivono il cibo: come una funzione inferiore e degradante, un bisogno

bestiale incontenibile e minaccioso. La BN, è descritta per la prima volta nel 1979 da

Gerald Russel come una “variante infausta” dell’AN (Russell, 1970) ed al contrario di

quest’ultima, le cui manifestazioni sono conclamate, ha una sintomatologia più subdola

e viene identificata più tardi poiché spesso le condotte eliminatorie sono tenute nascoste.

(21)

1.3.1 Criteri diagnostici.

I criteri diagnostici DSM-5 della bulimia nervosa sono i seguenti:

A: Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi

i seguenti aspetti:

- Mangiare, in un determinato periodo di tempo (per es., un periodo di due ore), una

quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli

individui mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili.

-Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire

a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).

B: Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso,

come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o

attività fisica eccessiva.

C: Le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano entrambe in

media almeno una volta alla settimana per 3 mesi.

D: I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo.

E: L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.

Specificare se:

-In remissione parziale: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri

per la bulimia nervosa, alcuni, ma non tutti, i criteri sono stati soddisfatti per un

consistente periodo di tempo.

-In remissione completa: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri

per la bulimia nervosa, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un consistente

periodo di tempo.

(22)

inappropriate. Il livello di gravità può essere aumentato per riflettere altri sintomi e il

grado di disabilità funzionale.

-Lieve: Una media di 1-3 episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana.

-Moderato: Una media di 4-7 episodi di condotte compensatorie inappropriate per

settimana.

-Grave: Una media di 8-13 episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana.

-Estremo: Una media di 14 o più episodi di condotte compensatorie inappropriate per

settimana.

1.3.2 Caratteristiche diagnostiche

Le manifestazioni essenziali della Bulimia Nervosa sono: presenza di abbuffate e di

inappropriati metodi compensatori per prevenire il conseguente aumento di peso. Inoltre,

i livelli di autostima sono, nei soggetti con Bulimia Nervosa, eccessivamente condizionati

dalla forma e dal peso corporeo. Per giustificare la diagnosi, il soggetto deve avere un

minimo di due episodi di abbuffate e di comportamenti compensatori inappropriati la

settimana per almeno tre mesi. Un’abbuffata, o crisi bulimica, è definita come l’ingestione

in un determinato periodo di tempo di una quantità di cibo più grande rispetto a quanto la

maggioranza degli individui assumerebbe in circostanze simili. Sebbene il tipo di cibo

ingerito durante l’abbuffata vari ampiamente, generalmente comprende dolci, ipercalorici,

come gelati o torte; comunque, ciò che sembra caratterizzare l’abbuffata è soprattutto

l’anomalia nella quantità del cibo, piuttosto che la compulsione verso un alimento

specifico.

I soggetti con Bulimia Nervosa, solitamente si vergognano delle loro abitudini

alimentari patologiche e tentano di nasconderle. Le crisi bulimiche avvengono in

(23)

solitudine, quanto più segretamente possibile; l’episodio può essere più o meno

pianificato, ed è di solito caratterizzato dalla rapidità di ingestione del cibo. Non c’è

piacere nell’abbuffarsi, c’è neutralità affettiva; solo in seguito, durante le “crisi”

emergono intense emozioni, quali il senso di colpa, la vergogna, l’angoscia, la rabbia e la

perdita di autocontrollo e di autostima. Solitamente, anche se non sempre, sono i

comportamenti compensatori che riescono a lenire una tale tempesta emotiva. Tra i

metodi tesi a neutralizzare gli effetti dell’abbuffata, quello più frequentemente utilizzato

è l’autoinduzione del vomito dopo la crisi bulimica. I soggetti affetti da Bulimia Nervosa

possono adoperare diversi stratagemmi per indurre il vomito, come l’uso delle dita o di

altri strumenti per scatenare il riflesso del vomito attraverso la stimolazione della faringe.

Altre condotte di eliminazione sono rappresentate dall’uso inappropriato di lassativi e

diuretici. Altre misure compensatorie per le abbuffate sono il digiuno nei giorni successivi

all’abbuffata o l’esercizio fisico eccessivo. I soggetti bulimici pongono un’inadeguata

enfasi sulla forma fisica e sul peso per la valutazione di sé, e questi fattori influenzano

decisamente i livelli di autostima (Fairburn & Harrison, 2003).

1.4 Binge Eating Disorder

Il termine binge eating, viene proposto per la prima volta da Stunkard in un lavoro del

1959 in cui, osservando il comportamento di un campione di soggetti obesi, descrive la

presenza di periodiche crisi alimentari durante le quali il paziente perde il controllo sul

cibo e si alimenta compulsivamente ingerendone grandi quantità.

Il Binge Eating Disorder è stato incluso nel DSM-5 come categoria distinta di

disturbo dell’alimentazione, mentre nel DSM-IV-TR era descritto nell’Appendice B nelle

categorie che necessitavano ulteriori studi ed era diagnosticabile solamente usando

(24)

l’ampia categoria diagnostica “disturbo dell’alimentazione non altrimenti specificato”. Il

BED è caratterizzato da episodi ricorrenti di eccessivo consumo di cibo con un'esperienza

di perdita di controllo e di disagio marcato, ma senza i comportamenti compensatori

inappropriati presenti nella Bulimia Nervosa. La sempre più crescente prevalenza della

sindrome, la stabilità e significato clinico, hanno indotto la sua inclusione come un

disturbo alimentare nel DSM-5.

1.4.1 Criteri diagnostici.

I criteri diagnostici DSM-5 del Binge Eating Disorder (BED) sono i seguenti:

A: Ricorrenti episodi di abbuffate. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi

gli aspetti seguenti:

-Mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., un periodo di due ore) una quantità

di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui

mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.

-Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire

a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).

B: Gli episodi di abbuffata sono associati a tre (o più) dei seguenti aspetti:

-Mangiare molto più rapidamente del normale.

-Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni.

-Mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati.

-Mangiare da soli perché a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando.

-Sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o assai in colpa dopo l’episodio.

C: È presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.

(25)

E: L’abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie

inappropriate come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso

di bulimia nervosa o anoressia nervosa.

Specificare se:

-In remissione parziale: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri

per il disturbo da binge-eating, gli episodi di abbuffata si verificano con una

frequenza media di meno di un episodio a settimana per un consistente periodo di

tempo.

-In remissione completa: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri

per il disturbo da binge-eating, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un

consistente periodo di tempo.

Il livello minimo di gravità si basa sulla frequenza degli episodi di abbuffata. Il livello di

gravità può essere aumentato per riflettere altri sintomi e il grado di disabilità funzionale.

-Lieve: Da 1 a 3 episodi di abbuffata a settimana.

-Moderato: Da 4 a 7 episodi di abbuffata a settimana.

-Grave: Da 8 a 13 episodi di abbuffata a settimana.

-Estremo: 14 o più episodi di abbuffata a settimana

1.4.2 Caratteristiche diagnostiche

Dal punto di vista clinico, l’aspetto peculiare del BED è rappresentato dall’abbuffata, che

a differenza della Bulimia Nervosa non si presenta sotto forma di singole crisi nel corso

della giornata, bensì il soggetto in alcuni giorni ingerisce grosse quantità di cibo durante

le ventiquattro ore, mentre in altri è presente un’alimentazione normale o addirittura

ristretta. I cibi che vengono ricercati durante queste abbuffate di tipo compulsivo sono

(26)

prevalentemente ad alto contenuto di grassi; anche i carboidrati sono presenti, ma non in

proporzioni eccessive rispetto alla loro normale assunzione durante gli altri pasti. In

genere, vengono preferiti proprio quegli alimenti che il soggetto di solito non si concede

perché li ritiene “pericolosi” da un punto di vista calorico. In media, si possono presentare

3-4 giorni “binge” nell’arco di una settimana. Gli eccessi alimentari non sono associati a

comportamenti compensatori, ma una parte dei pazienti può presentare sporadicamente

abuso di lassativi ed episodi di vomito autoindotto, mentre non è presente la tendenza ad

eccedere con l’attività fisica. Secondo Fairburn & Harrison (2003), le persone colpite dal

Binge Eating Disorder, a differenza dei soggetti bulimici, non ricorrono a diete ferree ed

a condotte di compenso, ma alternano fasi di diete a periodi di sovralimentazione anche

al di fuori dell’abbuffata. Spesso la storia di queste pazienti è caratterizzata da un elevato

numero di diete, anche se alla fine non riescono a dimagrire perché si arrendono

regolarmente; più la dieta è restrittiva e ipocalorica e più facilmente eccedono in abbuffate

compulsive con un circolo vizioso inarrestabile. Tale tipologia di pazienti vede solo gli

aspetti positivi del cibo introdotto a breve termine, e non gli effetti negativi a lungo

termine; si concentra solo sull’immediato e non sulle conseguenze.

Per poter fare una diagnosi di Binge Eating Disorder, il soggetto deve rispondere

a tre o più condizioni, quali: mangiare più velocemente del normale, introdurre cibo fino

a sentirsi spiacevolmente colmi, ingerire un’eccessiva quantità di cibo senza avere fame,

mangiare in solitudine oppressi dall’imbarazzo per la quantità esagerata di cibo assunta,

esperire depressione e sentimenti di colpa dopo le abbuffate. Il comportamento

compulsivo è caratterizzato dal vissuto di “perdita di controllo sul cibo”, adottato come

principale strumento di analisi differenziale tra abbuffata compulsiva, sovrabbondante

alimentazione e semplice indulgenza. I principali disturbi verso i quali va posta diagnosi

differenziale con BED, sono costituiti dall’obesità e dalla Bulimia Nervosa. Come è stato

(27)

rilevato nelle cliniche dimagranti, circa un terzo dei pazienti obesi presenta diagnosi di

BED. Tra obesi BED e non BED sono state osservate delle differenze negli esami di

laboratorio ed una maggiore frequenza di: depressione, ampie fluttuazioni del peso,

disturbi correlati all’eccesso di peso. Data la molteplicità delle manifestazioni cliniche

del BED, il suo trattamento richiede l’integrazione di diversi approcci terapeutici che

vanno ad agire sul disturbo della condotta alimentare e sull’obesità presente nella

maggioranza dei casi (Faccio, 2004).

(28)

CAPITOLO 2. ANALOGIE E DIFFERENZE TRA BULIMIA NERVOSA E

BINGE EATING DISORDER

2.1 Caratteristiche generali dei disturbi

Il comportamento caratteristico dei soggetti con Binge Eating Disorder (BED) si

distingue per la presenza di episodi ricorrenti di abbuffate con un'esperienza di perdita di

controllo e di disagio marcato, ma senza i comportamenti compensatori inappropriati

presenti nella Bulimia Nervosa (APA, 2013).

La Bulimia Nervosa ed il Binge Eating Disorder, infatti, hanno in comune

l’abbuffata compulsiva (bingeing), ma si differenziano perché il BED è associato ad

aumento del peso corporeo e obesità, assenti invece nella BN, e alla mancanza delle

condotte eliminatorie (purging). Infatti, le pazienti con BED al contrario delle bulimiche

sono sovrappeso o obese, anche se solo il 30% delle persone obese sono affette da un

DCA. L’abbuffata compulsiva, descritta nel dettaglio da Fairburn (2003) e comune ai due

quadri, è preceduta da ansia e agitazione motoria e si manifesta con la perdita del controllo

fino allo stato di trance, la rapidità nel mangiare quantità eccessive di cibo in assenza di

fame, la segretezza durante l’atto dell’abbuffata, la sensazione di sentirsi pieno fino a

scoppiare ed il disgusto verso sé stessi. L’abbuffata avviene in maniera automatica senza

alcuna consapevolezza e inizialmente si accompagna a comportamenti in cui non è

necessario pensare, ha quindi un significato adattivo nei riguardi dell’ansia e della disforia,

ma in seguito genera sentimenti di vergogna, colpa e depressione (Faiburn, 2003). Nelle

pazienti bulimiche, a differenza delle pazienti con BED, il bingeing è seguito a scopo

compensatorio dal vomito autoindotto e dall’utilizzo di purganti e diuretici. Il nucleo del

comportamento patologico in entrambi questi disturbi è l’abbuffata. Tale comportamento

(29)

è stato definito “abbuffata oggettiva” e si differenzia da altre forme molto frequenti di

alimentazione eccessiva (Fairburn et al., 1998). L’“abbuffata soggettiva”, ad esempio, è

simile a quella oggettiva ad eccezione della quantità di cibo assunta, che non è

oggettivamente elevata. Se, invece, non è presente la perdita di controllo, si parla di

“iperfagia”: “oggettiva” se la quantità di cibo assunta è elevata, “soggettiva” se è scarsa.

Tali modalità di alimentazione eccessiva non si escludono reciprocamente; numerosi studi

dimostrano, infatti, che i soggetti con BED possono avere abbuffate oggettive e soggettive,

come anche episodi di iperfagia oggettiva e soggettiva (Fairburn et al., 1998); per la

diagnosi è però necessaria la presenza di abbuffate oggettive.

Il BED sembra tuttavia caratterizzato, più che da singoli episodi di abbuffata più

o meno frequenti, da giorni “binge”, nei quali il soggetto ingerisce ingenti quantità di cibo

distribuite nell’arco delle 24 ore, alternati a giorni di alimentazione corretta o improntata

alla restrizione alimentare. Infatti, alcuni studi (Tracey et al., 2007; Masheb et al., 2011)

eseguiti in soggetti con BED, hanno dimostrato che le loro abbuffate non sono limitate ad

un certo periodo di tempo, ma che spesso continuano nell’arco di un’intera giornata.

Queste ricerche hanno anche evidenziato che le pazienti con BED hanno un’incapacità

generale di regolare la loro alimentazione sia durante che al di fuori delle abbuffate.

Inoltre, i pazienti con BED presentano una modalità di alimentarsi caotica, con un

discontrollo generale e un’incapacità di regolare la loro alimentazione. Essi, infatti, non

cercano di regolarizzare il loro introito di cibo né durante né dopo l’episodio, e mangiano

di più dei pazienti bulimici in entrambi i casi, sia durante i pasti normali che durante

l’episodio binge. Questo discontrollo influenza la regolazione del peso per cui, mentre

alcuni pazienti bulimici sono normopeso, i pazienti BED hanno problemi sia con il peso

sia con i disturbi ad esso correlati. Inoltre, è molto più probabile che i pazienti con Bulimia

Nervosa riportino l’influenza di variabili esterne come difficoltà lavorative, severità

(30)

eccessiva nella valutazione del proprio peso e della propria forma fisica e che riportino la

presenza di una storia di depressione, alcool, droga ed abuso sessuale (Tracey et al., 2007).

Mentre nella Bulimia Nervosa, nella maggior parte dei casi le abbuffate sono precedute e

seguite da comportamenti dietetici restrittivi, nel BED non si assiste a una riduzione

dell’introito calorico al di fuori delle abbuffate. Infatti, alcuni studi (Masheb et al., 2011)

hanno confermato che i soggetti con BED mangiano di più durante i pasti, e fuori pasto e

presentano livelli inferiori di restrizione alimentare (valutati con dei test specifici) rispetto

ai soggetti con lo stesso peso che non compiono abbuffate. Sembra, infine, che la durata

dei pasti dei soggetti obesi con BED sia significativamente maggiore di quella degli obesi

senza questo disturbo. In sintesi, i soggetti con BED, rispetto ai soggetti in sovrappeso od

obesi senza questo disturbo, mostrano un’alimentazione caotica con un elevato introito di

cibo sia durante i pasti che fuori pasto. Tutto ciò va collegato al fatto che i soggetti con

BED presentano una storia clinica caratterizzata da un elevato numero di diete. La

spiegazione più logica suggerisce che in questo disturbo possono alternarsi periodi di

dieta e lunghi periodi in cui le abbuffate non sono associate a nessun tipo di restrizione

alimentare. Le fasi di dieta, potrebbero rappresentare il tentativo di recuperare il controllo

sull’alimentazione e sul peso, controllo completamente perduto durante i periodi

caratterizzati dalla presenza di abbuffate (Masheb et al., 2011). Infatti, i soggetti con BED

hanno bassi livelli di restrizione alimentare, non solo inferiori a quelli osservati nella BN,

ma anche più bassi di quelli comunemente presenti nei soggetti normali. Nonostante le

loro ambiziose aspettative di controllo sul cibo, questi pazienti non riescono a limitarne

l’apporto (Marcus, 1997), vivendo perennemente in bilico tra propositi irrealistici di

elevati standard di perfezione nella dieta e frustrazione di fronte alla incapacità di

realizzarli, con rinvio dell’impresa a tempi migliori. A causa dell’inflessibilità di questi

schemi alimentari, ogni piccola trasgressione può portare ad una reazione del tipo “tutto

(31)

o nulla” aprendo la strada all’abbuffata. Questo pensiero dicotomico è una distorsione

cognitiva comune a tutti i DCA. Molto spesso, infatti, il senso di violazione del limite

autoimposto rappresenta in tutti i DCA lo stimolo per la perdita di controllo. Nel BED gli

eccessi alimentari non sono in genere seguiti da comportamenti di neutralizzazione come

vomito e abuso di lassativi, anche se i sentimenti di sconfitta e di colpa con calo

dell’autostima dopo l’abbuffata sono comuni, come accade nella BN (Byrne et al., 2002).

Anche se il BED è il disturbo alimentare più diffuso, è sottodiagnosticato e poco trattato.

Il BED può essere associato con patologie mediche (ad esempio, il diabete di tipo 2 e

sindrome metabolica) e psichiatriche (ad esempio, depressione e ansia) che, se non trattata,

può compromettere la qualità della vita e la funzionalità. I medici di base possono trovare

la diagnosi e il trattamento del BED impegnativo a causa della scarsa conoscenza dei suoi

nuovi criteri diagnostici e opzioni di trattamento disponibili. Inoltre, gli individui con

BED possono essere riluttanti a farsi curare a causa della vergogna, dell’imbarazzo, e

della mancanza di consapevolezza del disturbo (Kornstein et al., 2016).

La BN è di norma una patologia più severa rispetto alle altre, sia per le condotte

compensatorie sia perché è accompagnata da un corredo di comportamenti compulsivi

come cleptomania, abuso di sostanze, promiscuità sessuale, autolesionismo e shopping

compulsivo e si manifesta con forme ibride ed alternanti, ad esempio a fasi di anoressia,

ed in comorbidità con altri disturbi. Alcuni studi (Merli et al., 2013) hanno messo in

relazione la BN all’impulsività e allo scarso controllo del comportamento in un quadro di

disregolazione emotiva che avvicina questi pazienti a quelli con i disturbi di personalità,

tuttavia in altri casi prevarrebbero condotte ossessive con maggiore componente ansiosa

ed emotività trattenuta. Si sono così individuati due sottogruppi di bulimici: il primo

legato più ai disturbi d’ansia ed il secondo legato più al disturbo dell’umore. Il primo

gruppo si caratterizza per un profilo personologico più ossessivo-compulsivo o

(32)

depressivo caratterizzato da perfezionismo, meticolosità, ansia sociale ed introversione;

il secondo, correlato al disturbo dell’umore, in cui il comportamento avrebbe

caratteristiche ciclotimiche con disforia e rabbia alternate a depressione, modalità che

avvicinano questi pazienti a quelli bipolari o borderline. In questo gruppo di pazienti,

sono più frequenti le condotte di eliminazione e presenti altri comportamenti compulsivi

(Ramacciotti et al., 2008).

La relazione tra restrizione alimentare e abbuffate, ha un’importanza concettuale

e teoretica. Infatti, nella Bulimia Nervosa (BN) è accettata la stretta relazione tra

restrizione alimentare e abbuffate, nel senso che un regime marcatamente ipocalorico

predispone genericamente all’insorgenza di crisi bulimiche, quindi la restrizione

alimentare precede quasi sempre la comparsa di abbuffate. Al contrario, nel BED sembra

che l’insorgenza delle abbuffate sia precedente (49%) o contemporanea (13%)

all’adozione di un regime ipocalorico nella maggior parte dei soggetti, e che non sia

necessariamente associata ad una condizione di preesistente sovrappeso, quindi sembra

che più della metà dei soggetti abbia abbuffate prima di avere iniziato a restringere

l’alimentazione (Wilson et al., 1993). In uno studio di Mussel et al. (1995), la

maggioranza dei soggetti affetti da BED era obesa e l’inizio del disturbo si collocava

nell’adolescenza, periodo nel quale la maggior parte era normopeso. Inoltre, la dieta

ipocalorica non sembrava peggiorare i sintomi di questi pazienti, a differenza di quanto

avviene nelle pazienti bulimiche normopeso. Numerosi altri studi supportano questa tesi,

secondo la quale la restrizione calorica e la perdita di peso non sembrano esacerbare le

abbuffate nei pazienti con BED (Dalle Grave, 2003), anzi si è visto che con i programmi

di perdita di peso questi individui riducono le abbuffate e migliorano il tono dell’umore

(Marcus et al., 1995). Il decremento ponderale determina un miglioramento sia della

frequenza che della gravità delle abbuffate, anche in presenza di restrizione alimentare.

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Quindi, se una più elevata adiposità potrebbe costituire un fattore predisponente alle

abbuffate, una riduzione di questa sembra essere una tappa necessaria nel controllo del

disturbo (Dalle Grave, 2003). La presenza del BED nei soggetti obesi si associa a livelli

di disagio relativamente al peso e all’alimentazione maggiori rispetto ai soggetti

parimenti obesi senza il disturbo, ma sovrapponibili a quelli delle pazienti con BN

(Wilson et al., 1993); in particolare entrambi i gruppi di pazienti presentano una simile

gravità nelle abbuffate e nella preoccupazione per il peso, le forme corporee e il cibo

(Marcus et al., 1995).

Perché la dieta riduce il numero delle abbuffate nei pazienti con BED e le aumenta

in quelli con BN? Il BED può essere concettualizzato come una sindrome del discontrollo

generale nei confronti dell’alimentazione con associata una psicopatologia specifica dei

Disturbi dell’Alimentazione in individui che sono vulnerabili all’obesità e/o alla

depressione. Nella Bulimia Nervosa, invece, le abbuffate sembrano essere la diretta

conseguenza della dieta ferrea, che a sua volta è secondaria alla preoccupazione eccessiva

per il peso e le forme corporee, psicopatologia specifica e centrale di questo disturbo

(Marcus, 1997). Considerato che la risposta alimentare discontrollata è causata in questo

disturbo da emozioni (negative ma anche positive) e non dalla restrizione dietetica, il

mancato controllo di per sé e il peso elevato potrebbero costituire un potente stimolo o

emozione negativa che mantiene il circolo vizioso. Molti pazienti riferiscono che gli

episodi di discontrollo alimentare sono favoriti da stati d’animo come disforia, senso di

noia, tristezza o rabbia. Secondo vari clinici (Masheb et al., 2011), inoltre, nelle persone

obese con BED esiste una stretta associazione tra peggioramento del tono dell’umore e

aumento delle abbuffate. Riuscire ad interrompere il circolo vizioso, con una dieta

ipocalorica, può temporaneamente aiutare il soggetto affetto a chiudere la fase di acuzie,

anche se, in assenza di un trattamento mirato, è destinata a ripresentarsi successivamente.

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