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Negli ultimi anni, infatti, e soprattutto negli ultimi mesi, è notevolmente cresciuta l’attenzione per le problematiche dell’incertezza e del rischio.

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INTRODUZIONE

Incertezza e rischio hanno da sempre caratterizzato il mondo economico e quello bancario, ma mai come in questi ultimi tempi sono stati al centro di studi, di analisi e di dibattiti che coinvolgono tutte le categorie economiche.

Negli ultimi anni, infatti, e soprattutto negli ultimi mesi, è notevolmente cresciuta l’attenzione per le problematiche dell’incertezza e del rischio.

Essi, infatti, sono la ragione fondamentale dell’esistenza e dell’operatività delle banche, le quali devono garantire, in ogni momento, il valore nominale di una parte rilevante delle proprie passività

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Si è in condizioni di incertezza quando l’agente economico riconosce la casualità intrinseca dei fenomeni e delle scelte che è chiamato ad affrontare

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Si è invece in presenza di rischio quando, possibilità di conseguenze dannose o negative, a seguito di circostanze non sempre prevedibili, minano il contesto economico.

Una delle problematiche più complesse che riguardano l’attività imprenditoriale è quella, infatti, di riuscire a valutare in maniera tempestiva l’incertezza, il rischio di eventuali crisi e la possibilità che essi si manifestino.

Negli ultimi anni, a causa della crescente competitività del mercato internazionale e dell’avvento di nuove tecnologie, i casi d’insolvenza a livello mondiale sono notevolmente aumentati.

A fronte di questa maggiore rischiosità il sistema si è mosso cercando da un lato di valutare in maniera più oggettiva e di qualificare meglio l’attività di selezione e controllo delle banche, dall’altro di rendere il sistema bancario internazionale più stabile e più competitivo.

Recenti innovazioni regolamentari, infatti, già a partire dal 2004 interessano il sistema delle imprese italiane e, più in generale, il sistema economico nel suo complesso.

1 Rainer Masera, “Rischio, banche, imprese. I nuovi standard di Basilea”, Il sole 24 ore, 2005.

2 Definizione di Incertezza apportata da Knight.

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Il nuovo diritto societario, il nuovo regime di tassazione delle imprese, gli innovativi principi contabili internazionali (IAS), il recente progetto di riforma della complessa legge fallimentare e, infine, il nuovo Accordo di Basilea, sono soltanto alcune delle riforme che stanno modificando l’intero ambiente di riferimento, al fine di renderlo, come si è detto prima, maggiormente solido e competitivo.

Tali riforme coinvolgono, direttamente o indirettamente, diversi aspetti della vita aziendale, come per esempio le modalità di governo e di controllo, i principi di redazione e i contenuti del bilancio, gli strumenti di finanziamento, il processo di affidamento da parte delle banche, ecc.

Tra gli ambiti che risultano maggiormente influenzati dalle nuove norme, un particolare approfondimento deve essere rivolto al processo bancario di valutazione del merito creditizio delle imprese, inteso come momento cruciale della relazione banca-impresa.

Le nuove norme, infatti, modificano profondamente tale processo nei suoi aspetti formali e sostanziali implicando, per le banche, un set-informativo delle imprese- clienti sempre più preciso e personalizzato.

Inevitabile, come si intuisce, il rapporto tra istituti bancarie e imprese, soprattutto per le imprese di più piccole dimensioni, per le quali la banca rappresenta quasi l’unico mezzo disponibile per ottenere i finanziamenti necessari per la loro attività.

Secondo la teoria economica le banche sono imprese la cui attività tipica è relativa alla valutazione del merito di credito e alla gestione degli affidamenti, il che le mette spesso in condizione di svolgere un ruolo quasi unico nella selezione e nell’allocazione delle risorse nel mercato del credito.

Nelle politiche del sistema creditizio, nazionale e internazionale, il capitale assume un ruolo centrale.

La disponibilità di capitale è fondamentale non solo per far fronte ad eventuali

crisi ma anche perché fornisce alle banche un certo livello di flessibilità

finanziaria che consente loro di sfruttare al meglio eventuali opportunità di

crescita.

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Un sistema bancario adeguatamente capitalizzato, infatti, è in grado di fornire credito alle imprese e finanziare opportunità d’investimento che incoraggiano la crescita, l’aumento dell’occupazione e contribuiscono a rendere più solida l’intera economia.

Uno dei fattori fondamentali per l’esercizio dell’attività economica è, quindi, il capitale, che, insieme al lavoro, consente ad ogni impresa, dalla più piccola alla più grande, di andare avanti nello svolgere le proprie operazioni.

Il capitale è, dunque, una risorsa fondamentale per lo sviluppo aziendale, allo stesso tempo è però anche una risorsa critica nel suo reperimento e nella sua disponibilità

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È necessario, pertanto, che l’azienda abbia a disposizione il capitale giusto, al momento e nella forma giusta.

La scelta della fonte di approvvigionamento non è però solo a discrezione dell’azienda, ma è anche influenzata da interlocutori esterni che fungono da finanziatori.

Particolare attenzione va quindi posta alle fonti di finanziamento, ovvero ai canali attraverso cui l’azienda può reperire i capitali di cui necessita.

Le fonti di finanziamento si distinguono in due grandi categorie:

- fonti esterne;

- fonti interne.

Le fonti esterne sono le forme di raccolta di capitali che consentono di ottenere disponibilità liquide al di fuori dell’azienda.

Tra queste si distinguono:

- i capitali di rischio, intesi come capitali forniti dal titolare dell’azienda o dai soci;

- i capitali di prestito, intesi come capitali forniti da persone o da enti al di fuori dell’azienda;

- capitali d’uso, intesi come capitali forniti da società esercitanti la cosiddetta locazione finanziaria o leasing ed immessi in azienda sotto forma di beni strumentali, impianti, macchinari.

3 Dessy A. e Vender J. ,“Capitale di rischio e sviluppo dell’impresa”, EGEA, Milano 1996.

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Le fonti interne sono, al contrario, forme di raccolta di capitali realizzate ricorrendo alle risorse dell’azienda stessa.

Esse si sostanziano in autofinanziamento, considerato come:

- eccedenza di utili rispetto a quelli distribuiti che possono essere reimpiegati in azienda;

- eccedenza di ammortamenti.

Qualora, infatti, l’ammortamento venga effettuato secondo una procedura accelerata e non ordinaria si vengono a creare degli accumuli di fondi di importo superiore al necessario che possono essere utilizzati come autofinanziamento;

- eccedenza di accantonamenti.

Anche in questo caso, se gli accantonamenti effettuati per fronteggiare eventi negativi od esborsi futuri eccedono le effettive necessità possono costituire, così come per gli ammortamenti, una forma di autofinanziamento.

Le fonti interne sono quelle preferite dall’azienda perché per esse non è previsto il rimborso e quindi il costo sostenuto è nullo.

Di contro però non è sempre possibile incorrere in esercizi che presentano eccedenze di utili.

Queste sono molto spesso situazioni temporanee su cui è impossibile fare affidamento per l’implementazione di piani futuri.

In questi casi l’azienda deve allora necessariamente ricorrere a fonti di finanziamento esterne.

Tra le fonti esterne l’alternativa è fra il capitale di rischio ed il capitale di prestito.

La scelta ottimale dovrebbe considerare al tempo stesso sia le caratteristiche aziendali sia la struttura finanziaria dell’impresa.

Anche in questo caso molte volte la scelta è però obbligata.

Infatti, non sempre l’imprenditore e/o i soci si trovano in una situazione tale da

emettere nuovo capitale di rischio e quindi è necessario richiedere il supporto di

soggetti terzi, esterni all’azienda.

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Tra le fonti di prestito un’alternativa è data proprio dal ricorso al canale bancario

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Ecco quindi perché il rapporto tra banca e impresa risulta particolarmente importante.

L’ esistenza di eventuali asimmetrie informative

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tra banche e imprese può però portare al fallimento del mercato.

Questo per l’effetto di una selezione avversa, detta anche “adverse selection”, degli affidamenti, cioè l’impossibilità di valutare la qualità effettiva degli strumenti trattati

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, ma anche maggiori rischi derivanti da comportamenti opportunistici, comunemente chiamati “moral hazard”, da parte dell’affidato nel corso della vita del prestito stesso.

Fattispecie, queste appena viste, che da un lato sono viste come ostacoli al libero estrinsecarsi dei meccanismi di mercato, ma dall’altro anche come giustificazioni dell’esistenza e dell’operare degli intermediari e quindi delle banche stesse.

L’attuale contesto competitivo evidenzia, inoltre, una nuova complessità dei rischi che sono, effettivamente, sempre più difficili da diversificare e controllare e questo ha creato la necessità di evolvere le difese a tutela del sistema monetario e finanziario.

Le banche hanno, infatti, considerato con interesse crescente alcuni studi che propongono l’utilizzo di modelli quantitativi al fine di identificare tempestivamente il rischio d’insolvenza.

Ecco, quindi, che l’operatività delle banche viene vincolata al rispetto di precisi rapporti tra i rischi assunti e le rispettive dotazioni patrimoniali.

4 Le altre alternative riguardano l’emissione di obbligazioni, il ricorso al mercato e le partecipazione in azienda di altri finanziatori esterni che apportano capitale di rischio, i cosiddetti “venture capitalist” e

“business angel”.

5 Le banche sono finanziatori che possiedono capacità e incentivi per raccogliere un gran numero di informazioni sui suoi clienti debitori e possono, talvolta risolvere il problema dell’asimmetria informativa.

6 In sostanza si accordano crediti a condizioni non proporzionate al rischio a cui ci si espone: in presenza di condizioni troppo restrittive rispetto a tassi di credito eccessivamente alti, la banca corre il serio pericolo di cedere i rischi più contenuti alla concorrenza più a buon mercato (perdita di clienti), innalzando automaticamente il peso dei gravi rischi insiti nel portafoglio crediti. Viceversa, se i tassi di credito sono troppo modesti la banca appare appetibile agli occhi dei debitori della fascia di solvibilità più bassa ( clienti in perdita), con l’effetto di deteriorare ulteriormente la struttura del portafoglio.

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Il primo orientamento in tal senso fu formalizzato nel 1988 col Primo Accordo di Basilea, noto anche come Basilea 1.

L’evoluzione sopra citata è consistita nel perfezionare la formulazione del 1988, ritenuta troppo approssimativa rispetto alla necessità di rapportare i requisiti patrimoniali alla rischiosità effettiva della banca, resa possibile grazie alla nuova formulazione denominata Basilea 2, finalizzata all’aggiornamento della normativa internazionale precedente riguardante i requisiti patrimoniali delle banche.

Le banche dunque hanno sentito l’esigenza di adottare modelli di analisi quantitativi e qualitativi, in modo da rilevare e valutare le posizioni a rischio in maniera più rapida e oggettiva.

Scopo di questa tesi è proprio l’analisi dell’evoluzione che da Basilea 1 ha

portato a Basilea 2.

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