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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ………...4

PRIMA PARTE ORIGINE E STORIA DEL PENSIERO FEMMINISTA ………...7

CAPITOLO I Il movimento femminista: caratteri generali e finalità 1.1 La prima ondata del femminismo ………...8

1.1.1 La corrente liberale ………13

1.1.2 La corrente socialista ……….20

1.2 Il periodo di riflusso ………..26

1.3 La seconda ondata del femminismo ………..30

CAPITOLO II Sistema sex-gender: riflessioni del femminismo radicale sull’origine della disuguaglianza sociale e culturale della donna 2.1 Sistema sex-gender: riflessioni teoriche sulla disuguaglianza femminile ………...36

2.2 L’accademizzazione del pensiero femminista e nuove riflessioni: Women’s e Gender Studies ………...44

2.3 Gli studi queer: Judith Butler e il ripensamento del genere ……….50

SECONDA PARTE IL GENERE COME DIFFERENZA NELLA PRATICA MEDICA ……….56

CAPITOLO I Tra condizione biologica (sex) e costruzione culturale (gender) 1.1 La biologia del sesso come determinante biologica ……….57

(2)

2 1.3 La specificità di genere nell’assistenza sanitaria

e negli aspetti diagnostici e terapeutici della malattia ………65

1.4 La medicina di genere ………...69

1.5 Medicalizzazione e patologizzazione del corpo femminile ………..75

1.6 Fisiologia differente per genere ………79

CAPITOLO II Il volto maschile della sperimentazione clinica e farmacologica 2.1 Osteoporosi ………...84

2.2 Le malattie cardiovascolari nelle donne ………...88

2.3 Farmacologia orientata al genere ………..92

2.4 Differenza di genere nelle sperimentazioni cliniche ……….95

2.5 Il metabolismo come fattore determinante nelle risposte farmacologiche e differenze di genere nel consumo e reazioni ai farmaci ……….……….100

2.6 Squilibrio nell’accesso alla professione medica e all’assistenza sanitaria ………104

TERZA PARTE APPROCCIO FEMMINISTA ALLA BIOETICA ………..109

CAPITOLO I Riflessioni bioetiche al femminile 1.1 Il contributo del femminismo alla bioetica ……….110

1.2 La bioetica e il pensiero della cura ……….115

1.3 Bioetica femminista e critica del principialismo ………120

1.4 Bioetica femminista: riflessioni teoriche sul concetto di paternalismo ………...123

(3)

3 1.5 Il ruolo del professionista sanitario nella

pratica medica ………...128

1.6 La costruzione medica del corpo femminile e della sessualità in generale ………131

CAPITOLO II Capacità ed esercizio dell’autonomia 2.1 Riflessioni sul principio di autonomia e suo ripensamento teorico nella posizione della bioetica femminista ……….136

2.2 Il concetto di autonomia: modello relazionale e modello procedurale ……….140

2.3 L’assistenza medica e lo sviluppo della competenza di autonomia nella posizione di Diana Meyers ……….143

2.4 Interpretazione dell’autonomia nel sistema sanitario attraverso la posizione di Susan Sherwin ……….147

2.5 Femminismo radicale: riflessioni teoriche sulle tecnologie riproduttive ………..152

2.6 Le tecnologie riproduttive: autonomia, libertà di scelta e implicazioni morali e sociali per il femminismo liberale ……….156

CONCLUSIONE ……….161

BIBLIOGRAFIA …..………..163

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4 INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di analizzare il contributo del pensiero femminista (in particolare quello angloamericano) alla bioetica, esaminando la specificità di tale approccio teorico.

Inizialmente, la nostra attenzione si rivolgerà alla formazione delle linee teoriche del femminismo a partire da quello ottocentesco.

Il primo capitolo relativo alla prima parte, si concentrerà nell’esaminare il femminismo sia come percorso storico e politico, sia attraverso l’individuazione delle linee teoriche e degli orientamenti applicativi del pensiero femminista, relativamente alla possibilità per le donne di conquistare oltre che un ruolo sociale anche la capacità di decidere autonomamente sulla propria esperienza riproduttiva.

All’interno del primo capitolo introdurremo quindi, una dettagliata disamina del femminismo di ‘prima ondata’ assumendo la distinzione teorica tra corrente liberale e corrente socialista; in seguito ci soffermeremo sul periodo di riflusso per poi concludere esaminando la ‘seconda ondata’ del femminismo. Nel secondo capitolo affronteremo invece la tematica del sex-gender con riferimento specifico alle riflessioni teoriche del femminismo radicale, per poi concentrarci sullo sviluppo di nuovi ambiti di ricerca relativi agli studi di genere e delle donne e agli studi queer, questi ultimi esaminati prevalentemente attraverso la posizione della femminista Judith Butler.

La seconda parte del presente lavoro sarà invece incentrata sul “genere” come differenza nella pratica medica. In proposito tratteremo la differenza tra donne e uomini a livello diagnostico e terapeutico in ambito sanitario, con particolare riferimento alla medicalizzazione e patologizzazione del corpo femminile.

Il primo capitolo riguarderà specificatamente la differenza di genere negli aspetti diagnostici e terapeutici, tematica strettamente correlata alla medicina di genere. Nel secondo capitolo rivolgeremo uno sguardo approfondito alla sperimentazione clinica e farmacologica come ambito dove sono più evidenti le discriminazioni di genere che si esprimono sia nel minore accesso delle donne ai

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5

trial clinici che negli studi e nella professione medica. In questo senso

analizzeremo le discriminazioni più marcate, con riferimento agli studi clinici che sono più orientati ad includere soggetti di sesso maschile e dove difficilmente le variabili farmacologiche considerate vengono adattate alla fisiologia femminile. Inoltre, sarà approfondita la disamina del peso della differenza di genere in fase diagnostica che porta, ad esempio, ad associare alcune malattie, come quelle cardiovascolari, presenti anche nelle donne, maggiormente con il sesso maschile.

Tale analisi verrà estesa nella terza e conclusiva parte e che si concentrerà sulla riflessione critica operata dalla bioetica femminista rispetto alle pratiche mediche canoniche che possono portare ad una esclusione del soggetto femminile in merito alle decisioni sul proprio stato di salute.

Già le correnti del femminismo storico avevano contribuito alla nascita dei movimenti per la ‘salute della donna’ soprattutto tra gli anni Settanta e Ottanta negli anni cioè in cui emergevano le nuove problematiche incentrate sia sul ruolo che le donne hanno in ambito assistenziale, sia sulla loro posizione come pazienti e dunque bisognose di trattamenti medici specifici e adeguati.

Attualmente le linee teoriche della bioetica femminista mettono in luce come le pratiche dell’organizzazione medica siano oppressive nei confronti delle donne, soprattutto perché ostacolano la loro capacità di controllo e di autonomia. In tal senso, il primo capitolo della terza parte verterà sulle riflessioni teoriche della bioetica femminista, le quali mettono in evidenza la possibilità di istaurare una diversa relazione tra medico e paziente, soprattutto se questi è una donna, una relazione sostanziata di un livello comunicativo aperto alla comprensione delle fragilità interiori e dell’aspetto contestuale complessivo, oltre che incentrato ad analizzare lo stato della malattia.

All’interno di questo contesto, si inserisce il “pensiero della cura” la cui analisi sarà fondamentale al fine di comprendere meglio il rinnovamento relazionale medico-paziente auspicato dalle femministe, in contrasto col paternalismo ravvisato in molta parte della pratica medica. In tal modo, analizzeremo il concetto di cura all’interno della relazione medica, e in particolare, attraverso una disamina del pensiero delle autrici (ad esempio Virginia Held e Nel Noddings) che si sono concentrate a definire tale relazione

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6 attraverso il binomio care giving e care receiving, ovvero sul ruolo del medico che offre la sua disponibilità a curare e del paziente che riceve tale cura. Vedremo quindi come la relazione di cura diventa uno dei punti focali su cui si concentra la riflessione femminista, la quale mette in luce non solo gli aspetti caratterizzanti e costitutivi di tale relazione, ma anche le finalità pratiche dell’etica della cura nel campo della bioetica.

Come ultima analisi, approfondiremo nel secondo capitolo il concetto di autonomia per come è stato definito dalla Bioetica canonica, facendo attenzione alla diversa concettualizzazione dell’autonomia da parte della bioetica femminista. In tale prospettiva, vedremo come la bioetica femminista si rivolga verso una ridefinizione del concetto di autonomia individuata come competenza di autonomia, ovvero come capacità di prendere decisioni mediche autonome in corrispondenza alla possibilità di creare una relazione di cura attiva e comunicativa con il medico o l’operatore sanitario. A questo discorso si aggiunge l’analisi che la bioetica femminista affronta sul ripensamento della nozione di autonomia che viene individuata, invece, come modello relazionale e modello procedurale. Pertanto, sarà fondamentale estendere la nostra attenzione alle prospettive teoriche sulla ridefinizione del modello di autonomia e della sua applicazione nel contesto ospedaliero, attraverso le posizioni delle femministe Diana Meyers e Susan Sherwin.

Concluderemo esaminando la riflessione femminista sull’uso positivo e negativo delle tecnologie riproduttive, in merito alle motivazioni personali delle donne che decidono di adoperarle.

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7 PRIMA PARTE

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8 CAPITOLO I

Il movimento femminista: caratteri generali e finalità

In questa prima parte esamineremo complessivamente le tematiche e gli interessanti approcci teorici del pensiero femminista, attraverso il suo percorso storico che ebbe inizio verso la metà dell’Ottocento negli Stati Uniti e in Inghilterra. Data la ricchezza delle rivendicazioni e delle problematiche affrontate dal movimento femminista, è necessario distinguere il femminismo ottocentesco, cioè quello della prima ondata (femminismo liberale e socialista) dal femminismo di seconda ondata, proprio della seconda metà del Novecento e che sarà caratterizzato da posizioni innovative e radicali1.

1.1 La prima ondata del femminismo

Per prima ondata si intende il grande movimento sociale, economico e politico che esplose in Gran Bretagna e negli Stati Uniti2. Il movimento è riferito al periodo storico che va dal 1850 alla prima Guerra Mondiale, anche se tali sconvolgimenti iniziarono già intorno al 1848 e al 1871 in Francia3. La prima

1

Cfr., C. Botti, Prospettive femministe. Morale, bioetica e vita quotidiana, Torino, Espress, 2012, p. 25.

2

<<Il movimento delle donne, e la fondazione teorica del suo emergere e del suo differenziarsi, si collocano in una situazione economica, sociale, culturale, senza precedenti nella storia dell’umanità che vede cioè, in pochi decenni, le principali trasformazioni tecniche, industriali e di costume, nella vita delle donne e degli uomini nei paesi più avanzati dell’Occidente. Esse andranno a disegnare in poco più di un secolo un panorama che cent’anni prima sarebbe apparso utopistico e visionario. […] La scoperta di energia “artificiale”, delle macchine che “lavorano” […] Conseguenze rivoluzionarie nel modo di vivere delle donne e degli uomini deriveranno da queste scoperte […] I telai meccanici, per esempio, eliminano il lavoro artigianale casalingo (svolto in genere dalle donne) e mettono in concorrenza donne e uomini nel mercato del lavoro produttivo di oggetti>>. A. Cavarero - F. Restaino, Le filosofie femministe, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p. 8.

3

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9 ondata del femminismo coinvolse <<decine di migliaia di donne, le quali riusciranno per la prima volta nella storia a far sentire non solo la loro voce, ma anche il loro peso politico e la forza delle idee e delle proposte>>4. In quegli stessi anni, la scrittrice inglese Mary Wollstonecraft, nell’opera Rivendicazione

dei diritti della donna del 1792, proponeva di effettuare un cambiamento

radicale nei modi di vivere delle donne.

Fondamentale nella riflessione della Wollstonecraft era dimostrare che l’assoggettamento sociale a cui erano sottoposte le donne dipendeva dall’educazione5

. L’accento posto sull’educazione è interessante, dato che l’autrice attribuiva a tale argomento un significato molto più ampio. In tale discorso rientrava la necessità da parte delle donne di attuare una revisione radicale <<del proprio ruolo fissato e imposto dagli uomini>>6. Le donne potevano, secondo l’autrice, conquistare i propri diritti autonomamente, ma solo attraverso un volontario ed attivo impegno di cambiamento che doveva avvenire già in loro stesse7.

La riflessione della Wollstonecraft, incentrata sul diritto di rivendicare la partecipazione delle donne alla vita pubblica, puntava al raggiungimento di un nuovo modello educativo femminile che consentisse ad esse di godere degli stessi diritti degli uomini.

L’autrice riteneva, infatti, che il compito principale delle donne era superare lo svantaggio culturale (di stampo maschile) che aveva contribuito a perpetuare una loro immagine di soggetti fragili e subordinati agli uomini, attraverso un nuovo modello educativo slegato dal tradizionale ‘sentimentalismo’ e servilismo femminile e principalmente rivolto all’acquisizione e allo sviluppo della ragione. La Wollstonecraft sosteneva la <<necessità di una diversa educazione delle donne, perché esse possano poi

partecipare al miglioramento della società. La sua tesi è dunque che le donne

4 Ibidem. 5 Cfr., p. 6. 6 Ibidem. 7 Cfr.,ibidem.

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10 possano sviluppare le stesse capacità razionali degli uomini, e che è il solo modo in cui sono trattate, e soprattutto educate, che le rende incapaci da questo punto di vista>>8. In tal senso, solo emancipando le donne dall’esclusione dall’educazione e dalla soggezione del matrimonio, si compirà davvero la loro parificazione sociale. Secondo questo approccio teorico, <<in order to liberate herself from the oppressive roles of emotional cripple, […] and narcisistic sex object, a woman must obey the commands of reason and discharge her wifely and motherly duties faithfully>>9.

Al centro di questa rivendicazione emergeva infatti l’esigenza di un riconoscimento sociale, per l’affermazione dell’uguale diritto per le donne di essere educate alla ragione e, in tal modo, di poter accedere, come gli uomini, alla vita pubblica e alla cittadinanza10. Da tali riflessioni seguirono trasformazioni radicali nelle condizioni di vita delle grandi masse e soprattutto le donne iniziarono ad unirsi formando movimenti di rivendicazione del diritto di voto, di accesso all’educazione scolastica e alle libere professioni. La prima ondata della riflessione femminista muoveva, infatti, dall’esigenza di includere

in maniera attiva le donne nel contesto politico e culturale maschile. Tale obiettivo teorico caratterizzava, in particolare, la corrente liberale. L’idea di

base di questa corrente era quella di determinare le condizioni per una sostanziale uguaglianza tra uomini e donne. Per poter operare il cambiamento,

8

C. Botti, Prospettive femministe. Morale, bioetica e vita quotidiana, cit., p. 26.

9

R. Tong, Feminist thought. A more comprehensive introduction, Colorado, Westview Press, 2009, p. 16.

10 A tale riguardo si rimanda all’opera della femminista Olympe de Gouge, che nella sua

Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina scritta nel 1791, non si concentra

<<sull’uguaglianza di donne e uomini, ma sul loro uguale potere di dare forma alla società e alle istituzioni. Non solo De Gouge rivendica diritti civili e politici simili per gli uomini e per le donne, […] ma soprattutto rivendica la possibilità per le donne di contribuire a determinarli e di farlo proprio a partire dalla loro differenza. Le nazioni, la sovranità popolare e la legge si devono fondare sulla volontà di uomini e donne, nella loro differenza (uomini e donne che hanno quindi diritto entrambi non solo di votare ma anche di essere eletti e di sedere nell’Assemblea nazionale). Le donne secondo de Gouge […] prendono parte alla fondazione della società a pari titolo degli uomini, ma in quanto soggetti differenti>>. C. Botti, Prospettive femministe. Morale, bioetica e vita

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11

era necessario, però, partire dall’esaminare la reale situazione femminile soggetta ad uno stato di subordinazione tale da impedirne l’accesso

alle stesse possibilità offerte agli uomini, grazie al lavoro e all’istruzione. La problematica femminile, trovò attenzione anche nella corrente socialista, che aveva obiettivi distinti dalla liberale e dalla quale si discostava per gli approcci teorici. Soprattutto, dalla metà dell’Ottocento, le discussioni in merito alla condizione di subordinazione femminile, sul piano teorico, pratico e politico, si configura quindi come impegno dei due orientamenti dominanti (liberale e socialista), le cui riflessioni avranno dei punti in comune, ma anche presupposti teorici differenti11.

Per l’orientamento socialista l’emancipazione e liberazione della donna poteva determinare un cambiamento relativo sia alle condizioni materiali ed economiche che a livello sociale e culturale.

Affinché la situazione di assoggettamento lavorativo, culturale e sociale, potesse davvero cambiare, non solo formalmente, per la corrente socialista era necessario orientarsi verso un obiettivo comune, la difesa degli interessi sia delle donne che di tutte le persone nel senso della liberazione da un sistema standardizzato come quello capitalista, fondato sulla concessione della forza-lavoro da parte dei proletari-operai12. Nell’Ottocento le donne entrarono nel mondo del lavoro occupando il livello più basso del sistema produttivo. In questo senso, la corrente socialista, congiuntamente al filone del femminismo marxista, si innesta nella riflessione teorica di Marx ed Engels, in relazione all’oppressione della classe operaia13

.

Successivamente, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, si affermò

11

Cfr., A. Cavarero - F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 10.

12

Cfr., p. 15.

13

Al riguardo, Marx e Engels avevano indicato lo stato di soggezione economica e materiale, a cui erano costrette le donne. In particolare, secondo Engels la proprietà privata (con riguardo il ruolo del capofamiglia di stampo patriarcale), è alla base della schiavitù della donna. Nella società originata dalla proprietà privata, gli uomini non sono né schiavi né proletari, a differenza delle donne che, secondo l’analisi di Engels, vengono da sempre determinate socialmente in una relazione di sottomissione rispetto alle figure maschili della famiglia. Cfr., p. 17.

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12 ulteriormente la necessità di discutere della sessualità femminile, grazie ai contributi teorici della corrente liberale e socialista. Difatti, il pensiero femminista si caratterizzò, per l’attenzione rivolta sia alle questioni relative alla riproduzione che a quelle relative in generale alla sessualità.

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13 1.1.1 La corrente liberale

Il dibattito politico nell’Ottocento fu condizionato dalle trasformazioni tecniche, economiche e sociali, e ciò ebbe come conseguenza l’emergere di imponenti mobilitazioni di grandi masse.

Anche la condizione di subordinazione femminile inizia ad essere esaminata e considerata non più come un fatto naturale, ma come condizionamento storico derivante dal percorso educativo. Pertanto, obiettivo comune delle produzioni letterarie che emersero durante la fase della cosiddetta corrente liberale, era proprio il confutare la tesi della pretesa inferiorità naturale della donna.

Si attribuisce a due autori, Harriet Taylor e John Stuart Mill, l’individuazione dei modi per superare il ruolo di subordinazione in cui versava la donna in una società di stampo maschile. La loro riflessione si sviluppò nell’ambito della posizione progressista e politica liberale14

. Entrambi <<individuavano non nella natura ma nelle vicende storiche e nel dominio esercitato dagli uomini la fonte dell’asservimento delle donne e del loro stato di inferiorità>>15. L’assunto di base della riflessione teorica dei due autori è la razionalità, intesa sia come decisionalità autonoma che come <<auto-soddisfacimento o uso della propria testa>>16.

In tal senso tale definizione di autonomia si discosta radicalmente dal tradizionale ruolo femminile assunto all’interno dell’ambito familiare, identificato nel ruolo di moglie e madre. In particolare, Harriet Taylor sentì il problema dell’emancipazione femminile in prima persona, data la sua personale

condizione di moglie e madre17. L’autrice esaminò il problema dell’emancipazione femminile, affermando che esso doveva cominciare con

lo sradicamento del ruolo della donna dagli obblighi familiari che gravavano

14

Cfr., A. Cavarero - F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 11

15

Ibidem.

16

R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, Milano, Silloge, 2006, p. 19.

17

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14 esclusivamente su di lei. Anche la capacità riproduttiva costituiva un condizionamento culturale. Durante tutto l’Ottocento, la donna veniva spinta ad assumere nella società un ruolo specifico, quello di garante della famiglia e della casa, della cura e custodia dei figli. La Taylor <<did contest traditional assumptions about women’s supposed preference for marriage and mother-hood over a career or occupation […] Taylor argued that women needed to do more than read books and cast ballots; they also needed to be partners with men “in the labors and gains, risks and remunerations of productive industry”>>18. Nello specifico, secondo la riflessione teorica liberale, quando si pensa alla riproduzione come momento esclusivo della vita biologica di una donna, non si tende a considerare che tale fase biologica e naturale caratterizza invece la maggior parte delle specie animali, a differenza della capacità di ragionamento e di immaginazione che costituiscono lo specifico nell’essere umano19.

In tal senso, secondo questa linea teorica, le attività del corpo come mangiare, bere, dormire e riprodursi non sono <<attività umane quintessenziali perché caratterizzano anche i membri della maggior parte delle altre specie animali; quello che invece separa gli esseri umani dal resto del creato animale è la loro capacità di interrogarsi, immaginare, comprendere>>20.

Allison Jaggar, ad esempio, ha osservato come la linea teorica liberale abbia maggiormente enfatizzato le attività e le funzioni mentali rispetto a

quelle corporee21. Il conseguimento dell’uguaglianza femminile doveva iniziare

18

R. Tong, Feminist thought. A more comprehensive introduction, cit., p. 17.

19

Cfr., R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, cit., p. 41.

20

Ibidem.

21

Jaggar osserva che le femministe liberali <<erano delle cosiddette dualiste normative, ossia pensatrici aderenti alla visione secondo cui le funzioni e le attività della mente sono in qualche modo migliori di quelle del corpo. […] Data la sua distanza dalla natura, e dati i suoi ruoli riproduttivi e domestici tutt’altro che ardui e la quantità di tempo che conseguentemente era in grado di impiegare coltivando la vita della mente, l’uomo tendeva a svalutare il corpo, guardando ad esso come a un guscio protettivo […] All’opposto, a causa dei suoi stretti legami con la natura, i suoi ruoli riproduttivi e domestici pesanti e la conseguente quantità di tempo che doveva impiegare prendendosi cura dei corpi, la donna tendeva a valutare il corpo, vedendolo come essenziale alla sua identità personale>>. Ivi, pp. 41-42.

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15 garantendo alle donne opportunità sociali e culturali come l’educazione universitaria; l’accesso alle professioni ed istituzioni mediche; la partecipazione alle strutture politiche e amministrative. Riflettendo inoltre sul matrimonio e la riproduzione, individuati come obblighi familiari, le femministe liberali puntavano ad insistere maggiormente su un riconoscimento dell’autonomia personale. In tal senso, l’obiettivo principale della corrente liberale era affermare analoga parità di ruolo sociale ed economico a tutte le donne e l’uguaglianza nei diritti e nell’accesso alla cittadinanza.

Questo discorso si collega ad un importante evento storico per il percorso di emancipazione femminile: nel luglio 1848 a Seneca Falls vicino New York la femminista statunitense Elizabeth Cady Stanton, di fronte a circa trecento donne proclamò la prima assemblea di rivendicazione dei diritti, la Women’s Rights

Convention, diritti che riguardavano l’uguaglianza, la libertà e il rispetto per il

raggiungimento della felicità personale22.

Le femministe liberali auspicavano il raggiungimento delle stesse possibilità e competenze che spettavano agli uomini, accedendo al mondo del lavoro e all’istruzione e, quindi, ricavando maggiori benefici all’interno della società. Da questo punto di vista, le donne per essere considerate socialmente, avevano bisogno di raggiungere adeguate possibilità economiche in modo da rendersi indipendenti, oltre che di libertà civili.

Tuttavia, anche se l’affermazione dell’uguaglianza e dell’emancipazione femminile costituiva un obiettivo fondamentale per l’orientamento liberale, gradualmente queste posizioni teoriche porteranno a dei ripensamenti e ad alcune critiche. Jean Bethke Elshtain, ad esempio, ha avanzato delle critiche al femminismo liberale. Secondo Elshtain, l’errore principale commesso dalle femministe liberali è quello di rifiutare la possibilità che le differenze sessuali siano <<biologically determined>>23. Il motivo di tale rifiuto va ricondotto al timore che un eventuale riconoscimento di tali differenze possa essere

22

Cfr., M. S. Sapegno, Identità e differenze. Introduzione agli studi delle donne e di

genere, Milano, Mondadori, 2011, p. 29.

23

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16 adoperato per avallare idee discriminatorie contro le donne. Per questa ragione, la Elshtain sostiene che molte femministe liberali sono diventate <<excessive environmentalists, people who believe that gender identities are the nearly exclusive product of socialization, changeable at society’s will […] we cannot hope, said Elshtain, to eliminate gender differences between men and women in just a few generations. In sum, women cannot be like men>>24.

Le critiche nei confronti dell’uguaglianza liberale poggiano, quindi, su alcuni inconvenienti dell’ideale di emancipazione e delle strategie per concretizzarlo. Secondo Elizabeth Grosz, ad esempio, il progetto del femminismo egualitario si fondava su una base prettamente maschile dei valori professionali e di successo25.

L’uguaglianza come teorizzata dalle femministe liberali rimaneva infatti applicabile per lo più all’ambito lavorativo e alla sfera pubblica ad esclusione di altri ambiti quali la vita domestica, la riproduzione e la gravidanza26. Il motivo di ciò si collega agli aspetti teorici iniziali del femminismo liberale che, in particolare durante l’Ottocento e la prima metà del Novecento, <<aveva lottato per l’uguaglianza di diritti per le donne e il loro uguale accesso alle professioni e alla partecipazione politica. Queste pretese riposavano sulla lungamente argomentata uguale capacità delle donne di occuparsi di queste attività, così come sulla loro natura ugualmente razionale e ragionevole>>27. Infatti, per le femministe liberali il fatto che le donne abbiano una relazione biologica specifica con la procreazione, la gestazione e la maternità, non è qualcosa che possa ostacolare la loro scelta o minare la loro autonomia28. A tale riguardo, è interessante la riflessione di Betty Friedan esposta in La mistica femminile

24

Ibidem.

25

Cfr., D. M. Taramundi, Il dilemma della differenza nella teoria femminista del diritto, Fano, Aras, 2004, p. 34. 26 Ibidem. 27 Ivi, pp. 28-29. 28

Cfr., S. Dodds, Scelta e controllo nella bioetica femminista, AA.VV., in Nuove

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17 pubblicato nel 1963, un testo significativo in cui l’autrice affronta il problema della condizione femminile e che si collega al pensiero femminista liberale del Novecento. Le donne descritte dalla Friedan erano eterosessuali, bianche, istruite e appartenenti alla classe media americana, le quali iniziavano a sentirsi limitate nei tradizionali ruoli di moglie e madre. La posizione della Friedan dunque, si collega al punto di vista teorico liberale ma con una differenza. A suo avviso, le donne potevano scegliere sia il matrimonio che una professione. Friedan puntualizza infatti che le donne, per essere gratificate, non devono necessariamente sacrificare il matrimonio e la maternità in favore di una possibile carriera di successo; semplicemente, entrambi gli aspetti possono coesistere insieme29.

In tal senso, il fattore principale che si sovrappone ad una realizzazione economica e professionale delle donne non dipende dal valore personale che esse attribuiscono al matrimonio e alla maternità, ma nel fatto di individuarli come unica via per la concretizzazione di bisogni e desideri30.

L’autrice osserva che, nelle donne che dovrebbero sentirsi gratificate e soddisfatte unicamente dalla cura della casa, del marito e dei figli, corrisponde invece un sentimento di incompletezza, analogo ad un sentirsi come <<prive di “identità”>>31

. Nell’analisi affrontata dalla Friedan emerge altresì che nella maggior parte delle redazioni giornalistiche e di riviste femminili le decisioni sulla linea editoriale vengono prese esclusivamente da direttori e redattori maschi, i quali contribuiscono ad aumentare l’esclusione femminile da

29

Cfr., R. Tong, Feminist thought. A more comprehensive introduction, cit., p. 28.

30

La Friedan <<descrive con grande efficacia e con ricchezza di documentazione (soprattutto interviste) <<il problema che non ha nome>>: il problema, cioè, rappresentato dal malessere diffuso fra le moltissime donne, di classe media e di media cultura, che hanno scelto la famiglia abbandonando le possibilità di realizzarsi nel mondo del lavoro>>. A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 140. Riflessioni analoghe si trovano in Mary MacCarthy, che nel romanzo Il gruppo del 1964 mise in luce <<le responsabilità degli uomini nei fallimenti e nei disastri di alcuni “destini” di donne colte […] intrappolate […] a causa dell’accettazione della mistica della femminilità, nella <<gabbia>> (il termine è di Friedan) del matrimonio>>. Ivi, p. 29.

31

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18 argomenti come la politica, l’economia e la società. Questo problema che coinvolge molti ambiti e non solo la cultura e la società è, quindi, il risultato di un inganno che l’autrice chiama ‘mistica della femminilità’. Inoltre, l’appartenenza di Friedan alle femministe liberali, emerge dal fatto di esser stata, nel 1996, tra le principali promotrici del National Organization of Women (NOW), il primo movimento di donne negli Stati Uniti di orientamento liberale, promotore di importanti iniziative volte a modificare la legislazione americana per eliminare le disuguaglianze relative alla differenza sessuale32.

Si osserva che nella riflessione di Friedan e, in genere, per le femministe liberali, al fine di concretizzare l’emancipazione delle donne bisogna giungere ad un riconoscimento dell’importanza del genere femminile, sottraendolo dagli stereotipi della fragilità, debolezza o inferiorità fisica e affermando un suo riconoscimento in ruoli e competenze professionali33. In una società di stampo patriarcale che valuta, per le donne, i ruoli di moglie e madre come maggiormente appropriati, invece le femministe liberali <<vogliono liberare le donne dai ruoli di genere oppressivi, cioè da quei ruoli usati come scuse o giustificazioni perché le donne siano messe in posizioni inferiori, o in nessuna posizione affatto, nel mondo accademico, in quello giudiziario e nel mercato del lavoro>>34.

Grazie agli approcci teorici appena esaminati, si è osservato, quindi, come il femminismo liberale rimanga interessante ed attuale. Esso ha, infatti, percorso <<il tentativo di superare la differenza in nome di una visione di soggetti o

individui ricondotti unicamente alla loro capacità di scegliere>>35. Si può affermare, altresì, che il fatto di mettere in discussione la specifica

biologia femminile e il rapporto esclusivo che le donne hanno con la riproduzione e la maternità, ha consentito all’orientamento liberale di uscire dalla logica binaria che considera <<il differente solo come mancanza o

32

Cfr., ibidem.

33

Cfr., R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, cit., p. 36.

34

Ibidem.

35

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19 devianza>>36, ponendolo in connessione alla loro capacità di scegliere autonomamente. Attualmente, questo discorso si innesta nella riflessione affrontata dalle femministe liberali con riguardo alla capacità riproduttiva delle donne, nel senso che esse <<negano che una “mera” differenza biologica sia moralmente significativa ed enfatizzano l’importanza dell’espressione dell’autonomia attraverso la scelta>>37

.

36

Ivi, p. 106.

37

(20)

20 1.1.2 La corrente socialista

Tematiche relative alla condizione di subordinazione femminile furono affrontate anche dalla corrente socialista. Le riflessioni teoriche di questa corrente si concentrarono soprattutto su due ambiti rispettivamente legati tra loro: la monogamia e la proprietà privata38.

Secondo questa linea di pensiero, furono i cambiamenti relativi alle condizioni materiali ad influire sui rapporti familiari nella società greca e romana. Il matrimonio monogamico divenne, pertanto, un’istituzione sociale tesa ad escludere i sentimenti tra due persone ed esclusivamente rivolta alla proprietà privata. Difatti, per l’orientamento socialista, le donne per emanciparsi socialmente dovevano prima di tutto emanciparsi dal ruolo di moglie e madre, rendendosi economicamente indipendenti dagli uomini.

In tal senso, il socialismo, nella forma del femminismo marxista sosteneva che l’origine della proprietà privata si fondava sulla condizione di soggezione femminile; per cui, il disgregarsi della proprietà privata poteva provocare sia la fine della schiavitù proletaria sia di quella femminile39. Secondo Engels, la schiavitù domestica delle donne è stata determinata all’interno della struttura del matrimonio monogamico, definita nell’imposizione del ruolo di madre e perpetrata mediante un attivo controllo maschile sulla riproduzione. Inoltre

l’emergere della proprietà privata e il costituirsi del patrilignaggio, spiegano il

38

Da notare che la riflessione delle donne per la loro liberazione da uno stato di sottomissione rispetto agli uomini, è costante nel corso dell’Ottocento sia nei teorici utopisti come Robert Owen e Charles Fourier che in donne impegnate nelle lotte del ‘48 parigino e della Comune del 1871. Al riguardo si rimanda anche al saggio engelsiano del 1884, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, dove l’autore pone in esame la famiglia monogamica della civiltà greca e romana. La famiglia come istituzione principale della società fondata sulla proprietà privata, simboleggia l’istituzione maschile per eccellenza, quella del capofamiglia e dei suoi beni: la proprietà, il bestiame, gli schiavi, la moglie. Cfr., A. Cavarero - F. Restaino, Le filosofie

femministe, cit., pp. 15-16-17.

39

Al riguardo rimandiamo a Restaino per il quale la monogamia come possesso del marito sulla moglie ha influito negativamente anche sul proletariato, <<giacché mentre sul mercato del lavoro donne e uomini sono uguali, dentro la famiglia anche il marito proletario si comporta come il proprietario della moglie>>. Ivi, p. 17.

(21)

21 passaggio di transizione nella formazione della famiglia monogamica in quanto <<l’uomo assunse il controllo della casa, riducendo la donna a […] “mero strumento della produzione dei suoi figli”>>40. Dunque, fu il benessere socio-economico che rese gli uomini padroni di un controllo sia esterno che interno alla casa41. Altresì, con l’aumentare del lavoro e della produzione maschile, gradualmente andò diminuendo il valore del lavoro delle donne ma soprattutto il loro status sociale. In tal senso, l’origine della famiglia è di natura esclusivamente economica42. Di fatto, lo scopo principale della famiglia monogamica fu quello di trasformarsi nella struttura principale per la creazione della proprietà privata. Il dominio maschile (nella forma del patriarcato e del patrilignaggio) altro non era che il risultato della divisione di classe tra l’uomo-proprietario e la donna43

.

Secondo questa linea di pensiero, dunque, la famiglia monogamica, insieme all’istituzione dell’eterosessualità, è il principale fattore di sviluppo <<di giochi di potere ed esigenze economiche>>44. In particolare, la norma eterosessuale viene considerata la principale responsabile dell’oppressione culturale e sociale delle donne, le quali vengono limitate dal proprio ruolo riproduttivo all’interno del contesto familiare.

Detto ciò, un programma per la liberazione della donna che includa un effettivo distacco da un ruolo di subordinazione fisso e prestabilito in ambito privato, deve dapprima cominciare con il contestare l’espressione dell’eterosessualità, in quanto è <<l’istituzione dell’eterosessualità, e non solo quella della proprietà privata, a dover essere sfidata>>45.

In tal senso, in linea con il femminismo liberale, anche per il femminismo socialista il matrimonio e la riproduzione diventano obblighi, non unicamente

40

R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, cit., p. 101.

41

Cfr., A. Cavarero - F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 16.

42

Cfr., A. Nye, Feminist theory and the philosophies of man, London, Routledge, 1988, p. 38.

43

Cfr., R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, cit., p. 101.

44

Ibidem.

45

(22)

22 riconducibili a costrizioni culturali ed educative, ma derivanti dal benessere e dall’accumulo di ricchezza il cui monopolio è controllato dagli uomini46. Come osserva Tong <<man mano che la produzione esterna alla casa cominciò a prevalere sulla produzione interna, la tradizionale divisione sessuale del lavoro tra uomini e donne, che aveva presumibilmente avuto origine dalle differenze sessuali fisiologiche tra i sessi […] assunse nuovi significati sociali>>47.

L’indagine e la critica della società ricondotta alla problematica dell’oppressione femminile e, in generale, all’oppressione del proletariato, venne inizialmente affrontata dal femminismo marxista, maggiormente rivolto ad esaminare i problemi legati al lavoro delle donne e alla sua condizione in ambito monogamico, rispetto al filone teorico socialista formatosi come sviluppo ulteriore nell’analisi estesa di argomenti come sessualità e riproduzione femminile, che in connessione a determinate strutture sociali ed economiche spiegano il permanere di tale oppressione48.

Tali riflessioni furono fondamentali nel femminismo socialista, nel quale emerse la necessità di estendere il discorso sulla subordinazione femminile dalla problematica matrimoniale e familiare a quella sessuale. Nel femminismo socialista, per avviare un percorso di liberazione femminile dai meccanismi di potere maschili che dal privato incorporano quello sociale ed economico, si deve

46

A tale riguardo A. Nye scrive che <<the family as we know it, comes into existence with private property which also brings about “the world historical defeat of the female sex”. Given the power which this property confers on the men who own it, given the fact that men wish to pass property on to their sons, mother-right is defeated. After that “overthrow of the female race”, “Men took command in the home also; the woman was degraded and reduced to servitude; she became the slave of his lust and a mere instrument for the production of children”>>. A. Nye, Feminist theory and the

philosophies of man, cit., p. 38.

47

R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, cit., p. 100.

48

In merito si consideri nuovamente Tong la quale ammette una differenziazione tra femminismo marxista e femminismo socialista. La Tong osserva che mentre le femministe marxiste si riferiscono direttamente a Marx ed Engels e, identificano i motivi dell’oppressione femminile nei rapporti di potere familiare, nel maschilismo e nel classismo, le femministe socialiste invece sostengono che la causa principale di tale situazione dipende da un’interazione tra capitalismo e patriarcato. Cfr., p. 93.

(23)

23 cominciare con l’esaminare l’azione che tale controllo ha, in primo luogo, sulla sessualità e sulla capacità riproduttiva delle donne. Particolarmente interessante risulta, a questo proposito, il pensiero di Juliet Mitchell che nel suo libro La

condizione della donna del 1971, propone una spiegazione economica del

capitalismo congiuntamente ad una spiegazione ideologica del patriarcato49. Secondo Mitchell, lo status femminile è determinato socialmente dal suo rapporto specifico con la sessualità, la riproduzione e l’integrazione sociale dei bambini. L’autrice, infatti, riflette sul fatto che l’ideologia patriarcale ha da sempre ricondotto il ruolo femminile a figure ben definite come quelle di moglie e madre, piuttosto che come lavoratrice.

Per tale ragione, le donne sarebbero già durante l’infanzia e, successivamente nell’età adulta, determinate nella loro condizione di inferiorità, sia con riguardo la riproduzione e la procreazione sia rispetto ad altre strutture economiche e sociali quali il lavoro domestico ed extradomestico, la sessualità e la socializzazione dei figli50. In tal senso, secondo Mitchell, la liberazione femminile può avvenire attraverso una rivoluzione socialista che conduca all’eliminazione della proprietà privata e alla liberazione della sessualità dalla procreazione, conseguenza non sempre desiderata e considerata come obbligo matrimoniale51. La sessualità deve infatti liberarsi da quelle norme come l’eterosessualità e il matrimonio a fini procreativi, che lo regolano da tempo immemorabile.

Infine, anche la socializzazione dei figli non deve più essere una funzione esclusiva della madre, ma può essere realizzata sia con il contributo paterno che con l’ampliamento dei servizi sociali52

. Riflettendo inoltre sull’importanza dell’ideologia patriarcale nel determinare ruoli e funzioni sociali, Mitchell osserva anche che negli anni Settanta le donne non avevano fatto molti progressi

relativi alla riproduzione. Infatti, nonostante la disponibilità e l’efficacia di

49

Cfr., p. 116.

50

Cfr., A. Cavarero - F. Restaino, Le filosofie femministe, p. 30.

51

Cfr., ibidem.

52

(24)

24 tecniche atte ad un controllo della capacità riproduttiva, le donne non dimostravano interesse nell’adoperarle essendo orientate culturalmente a ricoprire i ruoli tradizionali all’interno del contesto familiare. Il risultato di ciò era che <<la catena causale maternità – famiglia – assenza dalla produzione e dalla vita pubblica – disuguaglianza sessuale continuava a tenere le donne legate al loro status subordinato>>53.

Maternità e sessualità vengono, quindi, considerate esperienze limitanti ed oppressive per lo status femminile: <<una donna è alienata dal prodotto dei suoi travagli riproduttivi quando ad esempio non è lei, ma qualcun altro che decide quanti figli debba avere>>54. All’interno dell’ambito familiare e matrimoniale, si instaura un controllo attivo dell’uomo sulla donna che ha il suo apice nella <<divisione di lavoro per la riproduzione>>55. In tal modo, emerge una fisionomia femminile alquanto riduttiva che pone la donna esclusivamente all’interno del processo riproduttivo.

Il pensiero femminista marxista-socialista contemporaneo, si collega in particolare ad Iris Young e Alison Jaggar, le quali hanno affrontato il discorso sul rapporto tra oppressione, patriarcato, sistema capitalistico, arrivando a ulteriori conclusioni. Secondo Iris Young <<solo una categoria che-riconosce-il-genere come quella della “divisione del lavoro” ha il potere concettuale di trasformare la teoria marxista in una teoria femminista socialista in grado di esaminare l’intera condizione delle donne, cioè la loro posizione sia nella famiglia che nel mondo del lavoro, e i loro ruoli sia riproduttivi e sessuali che produttivi>>56.

Analogamente, Alison Jaggar che si è maggiormente concentrata sulla problematica tra alienazione e ruolo femminile frammentato tra maternità e intellettualità, sostiene che come una persona <<che percepisce un salario è alienata, o separata, dal prodotto/dai prodotti sui quali lavora, una donna è

53

R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, cit., p. 117.

54

Ivi, p. 121.

55

A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 37.

56

(25)

25 alienata dal prodotto sul quale lavora, ossia il suo corpo […] proprio come un salariato è in competizione con altri salariati per la paga più alta, una donna è in competizione con altre donne per lo “sguardo maschile”, per l’approvazione e l’apprezzamento maschile>>57

.

Dalle riflessioni teoriche precedentemente esaminate, possiamo quindi concludere che il femminismo di matrice marxista e socialista fu uno stimolo importante nell’affrontare la problematica della subordinazione femminile in rapporto ad un condizionamento oppressivo non limitato al privato, ma esteso a livello economico e professionale oltre che sociale e culturale.

57

(26)

26 1.2 Il periodo di riflusso

Dopo la fine della prima Guerra Mondiale e prima delle contestazioni femministe degli anni Sessanta, il pensiero femminista attraversò una fase di ripensamento teorico58. In questo periodo alcune pensatrici, non necessariamente identificabili come femministe liberali o socialiste, iniziarono a porsi degli interrogativi, riflettendo su ciò che le donne erano riuscite ad ottenere con riguardo all’eguaglianza di diritti e alle condizioni materiali ed economiche. Tali interrogativi portarono ad individuare un nuovo percorso di indagine, teso ad evidenziare la differenza fra donne e uomini rispetto ad una società che avrebbe dovuto, comunque, garantire analoghi diritti e benessere economico ad ogni individuo indipendentemente dalle differenze sessuali59.

Il periodo di riflusso si caratterizzò, quindi, come momento di rifondazione teorica del pensiero femminista.

Le esponenti di spicco di questa nuova fase furono le scrittrici Virginia Woolf e Simone De Beauvoir. La prima si interessò notevolmente alla situazione di esclusione femminile dal settore della cultura e della letteratura60. La De Beauvoir costituiva invece una situazione a parte rispetto alle donne della sua epoca; ella infatti godeva sia di indipendenza economica che di riconoscimento sociale e culturale come scrittrice. Nell’opera Il secondo sesso pubblicata nel 1949, l’autrice contribuì a mettere in luce la condizione di subordinazione femminile, considerandola a partire dai pregiudizi che sono alla base delle conoscenze storiche, biologiche e antropologiche. Il suo ragionamento ruota

58

Cfr., A. Cavarero - F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 19

59

Cfr., ibidem.

60

<<La riflessione sui rapporti tra i generi, sulla storia delle donne e sulla loro condizione presente pervade tutte le opere di Virginia Woolf, dai primi racconti (come

Phyllis e Rosamond e Il diario di Joan Martyn, entrambi del 1906) ai grandi romanzi

sperimentali (come Mrs Dalloway del 1925 e Al faro del 1927), fino alla scrittura ‘privata’ del diario e delle lettere. È però in due lunghi saggi che essa raggiunge la sua massima sistematicità e condensazione, due testi che sono diventati veri e propri ‘classici’ del pensiero femminista: Una stanza tutta per sé (A Room of One’s Own) e Le

tre ghinee (Three Guineas)>>. M. S. Sapegno, Identità e differenze. Introduzione agli studi delle donne e di genere, cit., p. 96.

(27)

27 intorno al problema culturale e politico del senso profondo insito nella differenza tra donne e uomini, per la quale sono state date solo spiegazioni insufficienti o errate61. Nella fase di riflusso, descrizioni ed assunti relativi al genere femminile cominciano, in tal modo, ad essere messi in discussione dalla riflessione femminista.

De Beauvoir affronta, quindi, il tema della condizione di subordinazione femminile contestualizzandolo agli aspetti teorici, culturali e storici62. L’analisi di De Beauvoir, mette in luce come la differenza biologica delle donne non è una dimostrazione della loro fragilità o debolezza, una conferma di esse come <<secondo sesso>>63. La differenza tra maschile e femminile non è altro che una costruzione sociale <<appoggiata su differenze anatomiche di per sé ininfluenti>>64. Le spiegazioni biologiche sono, infatti, alquanto riduttive e limitate ad una differenziazione tra uomini e donne, a livello dei rispettivi ruoli riproduttivi65.

Altresì, osserva De Beauvoir, la biologia fornisce alla società descrizioni e differenziazioni anatomiche, fisiologiche e riproduttive dei sessi, che poi la società interpreta strumentalmente per adattarli ai propri fini66. Le differenze biologiche e sessuali costituiscono, quindi, un supporto alle categorie culturali tese a sfavorire il ruolo sociale delle donne.

Per quanto riguarda la riproduzione, l’autrice sostiene che essa <<è la sola che non è essenziale alla sopravvivenza dell’individuo, ed è la sola a essere significativamente diversa negli uomini e nelle donne>>67. Da questo punto di vista, l’attività riproduttiva <<è centrale per il significato del genere sessuale e ha un ruolo essenziale nella reificazione della donna come “secondo sesso”

61

Cfr., p. 125.

62

Cfr., A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 24.

63

C. Botti, Prospettive femministe. Morale, bioetica e vita quotidiana, cit., p. 27.

64

Ibidem.

65

Cfr., A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 24.

66

Cfr., R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, cit., p. 171.

67

A. Donchin, Prospettive che convergono: le critiche femministe alla riproduzione

assistita, AA.VV., in Nuove Maternità. Riflessioni bioetiche al femminile, Reggio

(28)

28 visto attraverso la coscienza maschile>>68. Pertanto, la donna crede di compiere scelte autonomamente, ma tali scelte sono invece il risultato di costrizioni e codici culturali e sociali che, certamente influiscono sulle sue decisioni personali.

Questa costruzione sociale, secondo De Beauvoir, irrigidisce le donne, le orienta e le definisce in corrispondenza di funzioni sociali generalmente accettabili. La donna agisce e decide all’interno di circostanze già definite, per cui, il suo <<dramma>>69 si concretizza in un mondo costruito dagli uomini che impongono ad essa un ruolo, nel senso che pretendono di ridurla in una <<funzione di oggetto>>70.

A tale riguardo, l’autrice evidenzia come il sesso femminile sia stato ricondotto dall’uomo a determinati atteggiamenti e caratteri estetici, a cui le donne tendono ad omologarsi finendo per essere incatenate al bisogno di soddisfare i desideri maschili e i gusti della società71. Considerata tale riflessione, le donne determinate e strette all’interno di ruoli e codici culturali già definiti possono, invece, superare questa situazione attraverso una scelta libera e individuale e con l’indipendenza economica.

Nelle pagine finali dell’opera Il secondo sesso, l’analisi della problematica femminile viene estesa in merito al recupero di tematiche più tradizionali. De Beauvoir evidenzia l’orientamento teorico marxista tradizionale, in quanto più idoneo nel realizzare il progetto di emancipazione femminile. Pertanto, condizione preliminare al percorso di liberazione femminile è, in primo luogo, giungere all’indipendenza economica attraverso il lavoro72

. Altresì, il percorso di emancipazione non deve rimanere isolato o privato, ma farsi collettivo, perché al fine del raggiungimento di tale obiettivo, è fondamentale che anche gli uomini siano partecipi nelle lotte contro l’oppressione sociale ed

68

Ibidem.

69

A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 25.

70

Ibidem.

71

Cfr., R. Tong, Introduzione al pensiero femminista, cit., p. 176.

72

(29)

29 economica delle donne. La riflessione della De Beauvoir, ebbe larga diffusione tra le donne della classe media europea e americana la cui condizione sociale, in particolare nei decenni tra le due guerre mondiali, subisce notevoli cambiamenti. Durante la prima Guerra Mondiale, ad esempio, si assiste ad un complessivo avanzamento della condizione delle donne, le quali entrano in modo massiccio a lavorare nelle industrie belliche. Un elevato numero di donne viene anche impiegato negli uffici postali e amministrativi, nelle banche, nel commercio e nei trasporti. Per la prima volta le donne si confrontano con mansioni ritenute esclusivamente maschili, assumendo consapevolezza delle proprie potenzialità e capacità. Tuttavia, la guerra presenta dei risvolti meno positivi. Accadde, infatti, che le donne entrate in massa nel processo lavorativo per sostituire gli uomini impegnati al fronte, con il ritorno di questi, furono nuovamente mandate a casa ad occuparsi del marito e dei figli.

Il ruolo attivo delle donne lavoratrici e soprattutto delle operaie durante il conflitto, suscita timori legati allo sconvolgimento simbolico della nuova realtà del lavoro pesante in fabbrica, a scapito del carattere prettamente femminile della maternità e dell’accudimento dei figli. Pertanto, sia nei giornali che nella pubblicistica bellica si tende a sottolineare il ruolo esclusivamente transitorio del coinvolgimento femminile nel lavoro di fabbrica. Le donne sono quindi percepite solo come sostitute degli uomini a cui dovranno restituire il loro ruolo al termine della guerra73. Osserviamo, dunque, come la riflessione teorica sviluppata in questo periodo si concentra attorno alla problematicità culturale e sociale della differenza femminile anche in ambito professionale: tale mobilità sarà un tratto distintivo del pensiero femminista di seconda ondata.

73

Cfr., M. S. Sapegno, Identità e differenze. Introduzione agli studi delle donne e di

(30)

30 1.3 La seconda ondata del femminismo

La fine degli anni Sessanta è caratterizzata da una ripresa dei temi di uguaglianza giuridica e dall’emergere di nuove azioni e manifestazioni da parte di donne che premevano per un riconoscimento dei diritti civili. Questo movimento insieme al movimento studentesco e pacifista americano, diede luogo al nuovo movimento di liberazione femminile e i cui membri erano studentesse universitarie che avevano partecipato ai movimenti progressisti a partire dal 1963 circa74.

Nello specifico, definiamo il 1968 come la data principale della nascita della seconda ondata del femminismo, fase caratterizzata per la variegata riflessione teorica interna e da tematiche differenti rispetto alle correnti della prima ondata75. È necessario, infatti, evidenziare che la seconda ondata del pensiero femminista emerse dai notevoli cambiamenti sociali, culturali ed altresì, stimolata dalle riflessioni teoriche successive alla seconda Guerra Mondiale, fase storica in cui la partecipazione delle donne lavoratrici nelle fabbriche per sostituire gli uomini impegnati in guerra, fu decisamente importante. Successivamente gli anni Cinquanta e Sessanta sono caratterizzati da una rappresentazione della donna come angelo della casa. Le giovani erano, infatti, sollecitate ad abbandonare gli studi e a trovare sicurezza unicamente nel

74

Questi movimenti di protesta, inizialmente nati negli Stati Uniti e poi diffusi in Europa, erano caratterizzati dal fatto di essere prevalentemente movimenti studenteschi, grazie ad una diffusione delle discussioni politiche nelle università. Si unirono anche movimenti antirazzisti, la cui formazione venne sollecitata già nel 1963, quando negli Stati Uniti ci fu la grande marcia storica fatta contro la discriminazione razziale e alla quale parteciparono più di un milione di persone guidate da Martin Luther King. Altresì, si aggiunsero movimenti formati da renitenti alla leva in opposizione alla guerra in Vietnam. Cfr., A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 31.

75 <<Il 1968 è l’anno in cui […] giovani donne con un notevole bagaglio di esperienza

politica, culturale e filosofica, prima negli Stati Uniti, quindi in Inghilterra e nell’Europa continentale […] decidono di dire “basta” al ruolo subordinato riservato loro […] La nuova generazione di donne che danno vita al nuovo femminismo, quello della cosiddetta “seconda ondata”, è composta in misura prevalente da studentesse e laureate che si domandano perché permane immutata, nonostante il riconoscimento ufficiale della parità in ampi settori della vita sociale, la loro condizione di sostanziale subordinazione rispetto agli uomini>>. Ivi, p. 32.

(31)

31 matrimonio. In questo periodo il nuovo movimento femminista si pone, dunque, in netto contrasto rispetto al modello della moglie e madre perfetta, imposto alle donne americane nel periodo post-bellico. Da angelo del focolare che svolgeva i propri compiti all’interno delle mura domestiche, la donna cominciò invece a rifiutare questo ruolo favorita anche dalla situazione storica e politica. Gruppi di giovani donne colsero invece da questa situazione l’opportunità di proporre la tematica della liberazione femminile ponendola come obiettivo principale della loro lotta.

Le donne iniziavano a volersi adeguare alla modernità dei dibattiti e messaggi culturali della ‘donna in carriera’, la quale aveva la capacità di intervenire socialmente portando il personale bagaglio di esperienze e conoscenze. In tal senso, la riflessione teorica femminista inizia ad arricchirsi notevolmente, grazie alla modernità dei tempi e dei nuovi approcci teorici. Dai primi anni Sessanta negli Stati Uniti, la seconda ondata del pensiero femminista si caratterizza sia per il legame politico con il movimento per la rivendicazione dei diritti civili e per l’abolizione dello schiavismo, sia per una messa in discussione relativa all’organizzazione interna dei movimenti rivoluzionari sviluppati in questo periodo76. Difatti, le donne attive sia nella sinistra americana che nel coordinamento dei movimenti studenteschi, cominciano a criticare il loro ruolo subalterno all’interno dei movimenti rivoluzionari, causato da un atteggiamento paternalistico condiscendente nei loro confronti.

Le donne si rendono conto come anche all’interno di tali organizzazioni, la gerarchia uomo-donna e quindi i ruoli di genere permangono immutati77. Infatti, questa nuova generazione di donne si concentrò sul fatto che tale subordinazione fosse causata da un evidente controllo maschile sulla donna, non soltanto a livello culturale e sociale ma esteso notevolmente sulla sua sessualità e capacità riproduttiva. Una delle correnti femministe che interpretò maggiormente le

76

Cfr., M. S. Sapegno, Identità e differenze. Introduzione agli studi delle donne e di

genere, cit., p. 135.

77

(32)

32 esigenze di rivendicazione femminile fu il movimento radicale diffuso negli Stati Uniti a partire dagli anni Settanta. Le femministe radicali iniziarono con l’esaminare l’oppressione patriarcale rispetto al controllo che esso esplica, in particolare, sulla sfera della sessualità e sulla riproduzione78. Secondo questa linea di pensiero, alle radici della subordinazione femminile non vi è né lo sfruttamento economico né l’esclusione dai diritti civili e politici, bensì un controllo maschile diretto sulla capacità riproduttiva delle donne79. In generale, queste femministe lottavano per liberare le donne dalla maternità ritenuta scelta obbligata, in quanto corrispondente ad un ruolo definito socialmente e culturalmente.

Susan Dodds, ad esempio, ha osservato che l’approccio femminista radicale ha enfatizzato il ruolo del patriarcato connesso al condizionamento delle donne in merito alle scelte sul matrimonio, la famiglia e soprattutto la procreazione, in quanto causa principale della loro subordinazione sociale80. Considerata tale linea teorica, l’identità della donna è irrigidita all’interno di codici culturali e

patriarcali ed esclusivamente ricondotta alla sua capacità riproduttiva. Ne consegue che le scelte <<che le donne compiono riguardo alla procreazione

non sono realmente scelte autonome, perché il contesto di queste scelte è costituito dal patriarcato>>81.

Una delle femministe appartenenti alla corrente radicale fu Kate Millett. Nel libro La politica del sesso del 1970, l’autrice sostiene che il sesso è politico in quanto la relazione maschio-femmina è la struttura portante delle relazioni di potere nella società. La politica sessuale, secondo Millett, ottiene il consenso

generale in entrambi i sessi mediante l’educazione e la socializzazione. Altresì, l’ideologia patriarcale tende ad enfatizzare le differenze biologiche. Ne consegue che, agli uomini vengono garantiti sempre ruoli sociali e

professionali principali, mentre le donne sono condizionate dai tradizionali

78

Cfr., A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 32.

79

Cfr., ibidem.

80

Cfr., S. Dodds, Scelta e controllo nella bioetica femminista, cit., p. 42.

81

(33)

33 stereotipi femminili. Ciò determina un consenso diffuso per lo status maschile, avendo come conseguenza l’interiorizzazione nelle donne di una loro inferiorità naturale. La principale causa dell’oppressione femminile, viene così individuata da Millet <<nel dominio sessuale dell’uomo sulla donna, dominio che precede quello economico, di “classe”, e che quindi va combattuto prima di quest’ultimo>>82

.

Il patriarcato si presenta, quindi, come forma istituzionalizzata dell’oppressione sessuale di tutte le donne da parte degli uomini. In tal senso, esso è un’istituzione politica con definite implicazioni politiche e sociali, la cui forma di controllo si esplica in ulteriori forme di oppressione razziale ed economica83. Si può concludere quindi <<that sexual politics, while connected to economics and other tangibles of social organization, is, like racism, or certain aspects of caste, primarily an ideology, a way of life, with influence over every other psychological and emotional facet of existence>>84. Millett evidenzia dunque, il <<patriarcalismo>>85 come ideologia pervasiva culturalmente e socialmente, che incontra la complicità delle donne stesse, le quali criticano chi tra di loro è impegnata professionalmente o che, semplicemente, prende decisioni di vita differenti rispetto alla scelta matrimoniale.

L’ideologia patriarcale si estende, altresì, in una falsa rappresentazione pubblicitaria contro le donne che ne sono vittime86. Nelle riviste pubblicitarie vengono infatti proposti corpi perfettamente snelli di modelle e questo canone diventa uno standard per tutte le donne87. Anche per Shulamith Firestone, il

82

A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 143.

83

Cfr., S. Gamble, The routledge companion to feminism and postfeminism, London and New York, Routledge, 2001, p. 31.

84

Ibidem.

85

A. Cavarero – F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 143.

86

Cfr., S. Gamble, The routledge companion to feminism and postfeminism, cit., p. 31.

87

A tale riguardo, Susan Sherwin osserva che la cultura e la società orientano in

direzione del raggiungimento del modello della magrezza e bellezza perfetta. Ad esempio, essere grassi o presentare difetti fisici, non solo è considerato un fallimento

sociale, ma una malattia che va curata. Cfr., S. Sherwin, No longer patient. Feminist,

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