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CAPITOLO II La restituzione museale II.1 Perché? Motivazioni della restituzione museale proposta

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CAPITOLO II La restituzione museale II.1 Perché?

Motivazioni della restituzione museale proposta

Un museo nasce nel momento in cui “il responsabile che custodisce un insieme di oggetti si rende conto che essi, nel loro mutuo interscambio, raccontano una storia”1 ed è questo indubbiamente il caso del contesto venuto recentemente alla luce nell’area degli ex laboratori Gentili. La storia da esso raccontata è in primo luogo quella del quartiere di Chinzica e del suo rapido incremento nel corso del XII secolo, che segna l’ingresso di questa villa nella civitas pisana, con particolare riguardo al distretto occidentale compreso tra Santa Cristina e San Paolo a Ripa d’Arno, che - fino ai rinvenimenti effettuati presso gli ex laboratori Gentili - si riteneva avesse conosciuto un’urbanizzazione più tarda. Esso dunque permette di riconsiderare le tappe dell’occupazione di questo settore della città, arricchendo con una nuova tessera il mosaico di informazioni emerse per il quartiere di Chinzica in età medievale, dove l’attenzione degli archeologi si è appuntata in anni recenti a partire dagli scavi stratigrafici condotti in via Toselli e via delle Belle Donne dal prof. M. Milanese2.

Ma la storia raccontata è anche quella più ampia della città di Pisa nei secoli fra la metà del XII e gli inizi del XV secolo: i dati archeologici presentati nel progetto di restituzione museale attestano infatti l’esistenza nell’area degli ex laboratori Gentili di un importante bacino economico, forse da mettere in relazione all’espansione imprenditoriale di nobili famiglie pisane come i Gualandi ed i Gambacorti, attivo nella manifattura delle leghe di rame e del vetro e probabilmente legato alle lavorazioni delle pelli effettuate nella vicina via delle Conce. Si tratta dunque di un comparto artigianale di ampio respiro in funzione nel momento di massimo splendore della Repubblica Pisana, quando quest’ultima è fra le dominatrici del Mediterraneo ed intesse una fittissima rete di relazioni commerciali, delle quali un riflesso si può cogliere anche nelle stratigrafie indagate grazie alla presenza di ingenti quantità di ceramiche di importazione. Dunque la storia narrata dal contesto in

1 BERUCCI 2007, p. 17.

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esame supera i confini urbani e diventa parte della storia dei commerci nazionali e mediterranei in epoca medievale, che può essere ripercorsa in alcuni suoi tratti marginali seguendo da un lato il tragitto compiuto dalle materie prime per arrivare alle nostre botteghe, dall’altro quello dei prodotti - anche di pregio - che da esse uscivano e che solo in parte dovevano essere destinati ai mercati locali o regionali3.

Il contesto oggetto della proposta di musealizzazione narra infine dei processi produttivi di bronzo e vetro in epoca medievale in tutte le loro fasi, restituendo un quadro ricco di dettagli preziosi: gli scavi hanno infatti permesso di identificare e recuperare quasi tutta la gamma degli indicatori di produzione relativi ai due processi, dalle materie prime agli apprestamenti funzionali alla lavorazione, agli strumenti utilizzati, agli scarti ed ai rifiuti, ai prodotti finiti fino all’articolazione spaziale e funzionale delle aree di lavoro. I dati rappresentano un’assoluta novità negli studi innanzi tutto per quanto attiene alla manifattura del bronzo, della quale quasi nulla si conosce riguardo ai forni di colatura ed alla forgiatura, ad eccezione di qualche contesto rurale relativo a limitate produzioni locali4; gli stampi rinvenuti, inoltre, trovano un solo confronto per il Medioevo - per altro proveniente da contesti inglesi5 - e sono gli unici noti per l’epoca modellati nell’argilla anziché scolpiti nella pietra. Per la città di Pisa, infine, se le attività dei fabbri sono conosciute dalle fonti documentarie, esse non hanno un adeguato riscontro nelle evidenze archeologiche ad oggi emerse in area urbana6. La presenza di fabbri specializzati nella produzione di fibbie (detti nelle fonti fibbiari) è attestata, infatti, dallo Statuto dell’Arte dei Fabbri del Comune di Pisa risalente al 13057, ma la prima testimonianza su quest’Arte si rintraccia in un documento molto più antico, conservato nell’Archivio Arcivescovile, che si data al 1095. I fabbri sono poi menzionati in un documento del 1129, nel quale si legge che per quell’anno essi sono esentati dal pagamento di ogni gabella, mentre i Consules Artis

Fabrorum sono attestati solo a partire dal 1236, in un documento su una sentenza relativa

al processo di due fabbri, che indirettamente attesta come a Pisa il loro statuto fosse in

3 Questa è a dire il vero una storia in corso di scrittura: i rinvenimenti ceramici e le produzioni in bronzo e vetro degli ex laboratori Gentili sono oggetto di tre distinti progetti di dottorato dell’Università degli Studi di Pisa, i cui risultati arricchiranno grandemente il panorama delle conoscenze, ancora preliminari, sul sito; v. supra cap. I, note 12, 25 e 29.

4 Per il ciclo produttivo delle leghe di rame i confronti rintracciabili in letteratura sono esigui e poco noti nel dettaglio el’attenzione degli studiosi, inoltre, si è concentrata soprattutto sulla riduzione della materia prima; cfr. GIARDINO 2010,ZAGARI 2005.

5 V. supra cap. I, nota 24.

6 Un contesto produttivo è stato identificato in via Consoli del Mare; cfr. GATTIGLIA -GIORGIO 2008. 7 Cfr. BONAINI 1854-1870, pp. 859 - 898.

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vigore prima del 1236. Dal catasto del 1428-1429 non si rinviene la presenza di botteghe di fabbri, generici o specializzati, nell’area interessata dalle indagini archeologiche8; ciò conferma il dato emerso dagli scavi che a seguito della presa fiorentina del 1406 il nucleo produttivo venne defunzionalizzato e adibito ad area residenziale.

Della produzione del vetro a Pisa in età medievale, poi, si conosce pochissimo sia dal punto di vista archeologico, poiché l’area degli ex laboratori Gentili rappresenta al momento l’unico sito di produzione indagato9, sia dal punto di vista delle fonti documentarie. Di queste il Breve dei Consoli della Corte dell’Ordine de’ Mercanti, redatto dal Comune di Pisa nel 1321, rappresenta la prima attestazione dell’esistenza di un’arte vetraria a Pisa; nel documento si fa riferimento ad artigiani che producevano specchi e bicchieri, inseriti in un’apposita corporazione e pertanto obbligati a prestar giuramento, ma la sua data di redazione corrisponde ad un momento molto avanzato della produzione attestata presso gli ex laboratori Gentili, iniziata probabilmente già alla metà del XII secolo10. Al medesimo anno risale una provvisione del Consiglio Pisano che proibisce l’installazione di fornaci a meno di 10 miglia dalla città; è probabile, tuttavia, che la nostra vetreria sia rimasta attiva fino alla fine del secolo ed ai primissimi anni del successivo. Ciò potrebbe significare che la provvisione non entrò mai in vigore o che il divieto si riferisse solo a nuove installazioni. Per il XIII ed il XIV secolo, inoltre, i vetrai pisani non figurano tra i contribuenti catastati, tra i quali si annoverano altre categorie abilitate alla produzione di manufatti vitrei o sotto cui potevano ricadere gli stessi vetrai, e le uniche informazioni si possono dedurre da fonti indirette11.

Il contesto di scavo permette, infine, di seguire il racconto fino al suo tragico epilogo, ben noto dalle fonti storiche e documentarie e qui riflesso nella sua drammatica concretezza, ovvero la conquista della città di Pisa da parte dei Fiorentini nel 1406. Quest’ultima ebbe durissime ripercussioni sull’economia cittadina, accompagnandosi alla drastica riduzione del numero degli abitanti, segnati prima dall’assedio ed in seguito dalle violente demolizioni di case ed edifici pubblici portate a compimento nei primi anni della

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Cfr. MEOLI 2002-2003, p. 66-72.

9 È noto un unico contesto produttivo, di epoca rinascimentale, in via Palestro; cfr. REDI 1994. 10 Sulla produzione vetraria a Pisa tra XIV e XV secolo cfr. ANTONI 1982.

11 In primis il partitario maiorchino del lodo dei Pisani degli anni 1353-1355, che testimonia dell’importazione da Maiorca a Pisa del tartato, una delle componenti del vetro medievale, e viceversa dell’esportazione nelle Baleari di vetri di produzione pisana; cfr. ANTONI 1977. Ad esso si affianca il libro

contabile di un’officina vetraria, genericamente ubicata nel quartiere di Chinzica, datato però agli anni fra il 1426 ed il 1429; cfr. ANTONI 1982, pp. 299-305.

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dominazione di Firenze, e non è un caso che le attività artigianali degli ex laboratori Gentili cessino bruscamente proprio agli inizi del XV secolo. Una traccia concreta di tale politica è forse ravvisabile nel rinvenimento di strumenti da lavoro resi intenzionalmente inservibili e gettati, al fine di impedire la ripresa a breve termine delle attività di produzione, delle quali non si hanno più testimonianze archeologiche dopo gli inizi del Quattrocento.

La restituzione museale proposta in questa sede è in grado di narrare dunque della storia di un luogo posto nel cuore della città di Pisa e proprio nell’intento di collegarsi strettamente all’ambito territoriale di pertinenza, che è anche ambito sociale, economico e culturale, trova la principale ragion d’essere, inserendosi nel solco della tendenza mostrata dalle forme-museo attuali, sempre più incentrate sulla rappresentazione di una comunità e di un territorio a sé stessi, come strumento di creazione delle identità culturali della collettività e luogo di autoidentificazione12.

Per quanto attiene al contesto archeologico oggetto del presente studio, il meccanismo di autoidentificazione che la restituzione museale proposta intende suscitare può essere favorito ed incentivato dal particolare legame affettivo che a tutt’oggi i cittadini di Pisa mostrano di nutrire nei confronti del glorioso periodo della Repubblica, al quale si ascrivono gli oggetti esposti che ne attestano l’eccellenza anche nel campo delle produzioni artigianali. Lungi dall’essere avvertito come qualcosa di lontano ed estraneo, questo momento della storia locale costituisce ancora motivo di orgoglio e di vanto, alla base del senso di appartenenza alla città. Pisa Repubblica marinara, forza politica e potenza commerciale del Mediterraneo di età medievale, è tutt’ora viva e presente nel sentire dei suoi abitanti che ne celebrano i fasti tramite numerose manifestazioni tradizionali, dalla regata delle Repubbliche marinare, che vede Pisa affrontare le nemiche di allora Venezia, Genova ed Amalfi, al palio di San Ranieri, disputato da equipaggi in rappresentanza dei quattro quartieri storici eredi della divisione in quadranti del tessuto urbano delineatasi nel corso del XII secolo, dal Gioco del Ponte, evoluzione del più violento Mazzascudo, alle celebrazioni in occasione del giorno di San Sisto, che ricordano le vittorie navali di Pisa a partire da quella riportata il 6 agosto del 1003 nelle acque di Civitavecchia contro i Saraceni. Prova ne è il successo riscosso in anni recenti dalla mostra

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“Pisa e il Mediterraneo. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici”13, nella quale, sulla scia del ritrovamento effettuato nel 1998 dell’antico porto urbano di Pisa, si raccontava del rapporto millenario tra la città ed i diversi paesi del Mediterraneo attraverso oggetti e opere d’arte dall’età tardo-etrusca al XVIII secolo, esaltando in particolare il ruolo centrale giocato da Pisa nel bacino del Mare Nostrum all’epoca della Repubblica .

La storia raccontata dal contesto archeologico in esame è storia locale non solo per i motivi sopra esposti, ma anche nel senso più circoscritto di storia di un’area che ha costituito un elemento importante della geografia urbana del XX secolo, poiché sede di una delle attività di spicco dell’economia pisana del Novecento, i laboratori farmaceutici Gentili, ed in questo legame con il territorio, meno diretto ma più recente, trova un valore aggiunto.

Sin dai primi anni del XX secolo il settore farmaceutico è stato, infatti, uno dei comparti di punta dell’imprenditoria pisana; sviluppatosi a partire da modeste produzioni galeniche realizzate nei retrobottega delle farmacie, è ben presto diventato protagonista della vita economica cittadina, ricevendo un importante impulso dal mercato con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e la conseguente chiusura dei commerci con la Germania, allora leader indiscusso del settore chimico-farmaceutico, in una fase nella quale la domanda di specialità medicinali è in vertiginoso aumento. La presenza di un prestigioso ateneo, nel quale sono attivi centri di ricerca di eccellenza14, e l’ampliamento, negli anni a cavallo fra le due guerre, delle strutture ospedaliere locali contribuiscono indubbiamente alla nascita ed allo sviluppo del comparto farmaceutico pisano e fra i nomi di spicco si annovera, accanto ai laboratori Guidotti e Baldacci, quello dell’Istituto Galenico fondato nel 1917 da Alfredo Gentili. L’attività di questa struttura, che solo nel 1962 assumerà la denominazione di Istituto Gentili S.p.A., rappresenta una delle eccellenze dell’imprenditoria non solo a livello toscano, ma anche nazionale, capace di risollevarsi dopo la distruzione subita a seguito dei bombardamenti alleati nel 1943 e di proseguire

13 L’esposizione, curata da M. Tangheroni, si è tenuta dal 13 settembre al 9 dicembre 2003 presso gli Arsenali Medicei, attualmente in corso di ristrutturazione per ospitare il futuro Museo delle Navi Antiche, sul quale v. infra p. 35.

14 Le iniziative imprenditoriali in questo settore sono, infatti, legate a rapporti di collaborazione con docenti e ricercatori universitari e non è un caso che le loro sedi sorgano nel centro cittadino, vicino alle strutture universitarie; sulla storia del settore farmaceutico pisano cfr. BIANCHI 2008; sull’Istituto Gentili si vedano in particolare le pp. 29-37.

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solida e fiorente fino ai giorni nostri15. La sede iniziale, situata nel cuore della città di Pisa fra le via Sant’Antonio, A. Mario e G. Mazzini, per circa settant’anni ha dunque rappresentato un elemento di rilievo della geografia urbana e la sua ristrutturazione dopo anni di abbandono rappresenta una delle azioni di spicco nell’ambito della politica di recupero delle porzioni degradate del tessuto cittadino, messa in atto dall’amministrazione comunale. Le evidenze materiali che stanno emergendo da questo recupero raccontano un’importante frammento di storia locale, che è anche storia di un luogo simbolo dell’economia pisana nel XX secolo, e questo costituisce una delle attrattive che la loro restituzione museale può esercitare sulla cittadinanza, alla quale questa porzione del tessuto urbano viene restituita sotto forma di racconto di una parte del proprio passato.

La ristrutturazione urbanistica dell’isolato occupato dall’Istituti Gentili è al contempo esempio dell’importanza delle azioni di tutela esercitate dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Pisa e Livorno nei confronti del patrimonio culturale cittadino e la fruizione e valorizzazione dei risultati tangibili di tali azioni di tutela può contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica, rendendola partecipe ed insieme responsabile della gestione del proprio territorio, in una fase che segna per la città di Pisa l’avvio di numerosi cantieri edili.

Molto sentita è, infatti, la questione delle evidenze archeologiche emergenti in corso d’opera, portata alla ribalta, fra le altre, dalle recenti vicende legate alla costruzione del parcheggio interrato in piazza Vittorio Emanuele II, e la necessità di conciliare le esigenze della tutela e della ricerca con la vita quotidiana della città e la sua riqualificazione è per Pisa argomento di “scottante” attualità, alla luce dei progetti PIUSS (Piani Integrati di Sviluppo Urbano Sostenibile) che coinvolgono zone sensibili dal punto di vista archeologico e monumentale16. Il messaggio veicolato dalla restituzione museale presentata in questo lavoro si inserisce dunque in un contesto locale che appare più che in passato segnato dal rapporto conflittuale città/archeologia e che nell’ostensione dei risultati che quest’ultima consegue anche - e soprattutto - a vantaggio della prima può

15 Nel 1997 l’Istituto Gentili viene acquisito da una multinazionale statunitense e parte dei suoi asset trasferiti ad una società di nuova costituzione, la Abiogen Pharma S.p.A., alla cui guida siede il bisnipote di Alfredo Gentili.

16 Si veda a titolo esemplificativo l’intervento di sostituzione dei sottoservizi in Corso Italia, preliminare al rifacimento della pavimentazione stradale, che ha portato alla luce lacerti della pavimentazione medievale (cfr. supra cap. I, nota 43) o i recentissimi rinvenimenti effettuati in piazza dei Cavalieri durante analoghi interventi di riqualificazione urbana.

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trovare nuovo impulso alla ricerca di una conciliazione fra le forme della vita presente (e futura) e le tracce di quella passata.

Proprio perché tracce, spesso labili e sfuggenti, i segni di questa vita passata devono essere affidati alle capacità di riconoscimento sul terreno, di documentazione e di interpretazione proprie della figura professionale deputata al loro recupero, quella dell’archeologo, ed il contesto produttivo venuto alla luce presso gli ex laboratori Gentili si presta ottimamente ad esemplificare la complessità e - perché no? - la difficoltà di una disciplina talvolta fraintesa e considerata un futile esercizio intellettuale dalle scarse ricadute sociali, mettendo in mostra le modalità e le fasi di un intervento archeologico, i risultati ottenuti e come questi possano (e debbano!) diventare patrimonio di conoscenza della collettività.

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II.2 Che cosa? A chi?

Messaggio e destinatari della restituzione museale

I contenuti che la restituzione museale proposta in questa sede si propone di veicolare discendono strettamente dalle motivazioni esposte precedentemente, venendo innanzi tutto a coincidere con la storia raccontata dagli oggetti rinvenuti durante le indagini archeologiche, nella forma in cui essa è stata compresa ed interpretata da coloro che le hanno compiute.

Il messaggio che dovrà essere trasmesso dall’allestimento ha, dunque, un primo livello di lettura, proponendosi di illustrare al visitatore l’articolazione e le modalità di funzionamento di un’area produttiva in attività fra la fine del XII e gli inizi del XV secolo, attraverso la ricostruzione, basata sui reperti di scavo, delle distinte fasi dei processi di lavorazione dei metalli e del vetro che in essa si svolgevano. Proprio tali fasi produttive offrono il palinsesto della narrazione museale, da tradurre nell’allestimento secondo gli schemi riportati al capitolo successivo, nei quali a ciascuno stadio del ciclo di lavorazione sono assegnati i reperti mobili e le strutture ad esso pertinenti. Nella ricostruzione dell’area produttiva in funzione si darà risalto alla stretta connessione esistente fra fabbri e vetrai ed alle questioni ancora irrisolte riguardanti lo status giuridico di questi ultimi e la loro eventuale dipendenza dai bronzisti; parimenti si metterà in rilievo l’esistenza di un’embrionale filiera produttiva nella quale giocavano un ruolo non secondario le concerie limitrofe all’area degli ex laboratori Gentili. Il quadro delle attività produttive sarà completato dall’illustrazione dei manufatti finiti, della loro destinazione ed uso, con particolare riguardo all’oggettistica in bronzo, e dei loro acquirenti.

Questo primo livello di lettura sarà arricchito dalla contestualizzazione delle botteghe così ricostruite sia dal punto di vista topografico sia da quello storico, in modo da fornire le indispensabili coordinate per collocare correttamente il contesto del quale si offre una proposta di restituzione museale nel quadro del contemporaneo sviluppo del quartiere Chinzica e della città di Pisa e del suo successivo violento tracollo, determinato dalla conquista fiorentina. Le direttrici di commercializzazione dei manufatti prodotti presso le officine degli ex laboratori Gentili, infine, consentiranno di ampliare lo sguardo oltre i confini cittadini, illustrando il ruolo giocato dalla città nell’ambito dei commerci mediterranei nei secoli compresi fra la fine del XII e gli inizi del XV. Come si vedrà più

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nel dettaglio nel capitolo dedicato all’allestimento, tali contenuti saranno in questa sede forzatamente accennati: trattandosi, infatti, di una proposta di restituzione museale concepita negli stretti limiti dell’esposizione di un contesto autonomo, essi non troveranno lo spazio che potrebbero avere nell’ambito di una narrazione museale di più ampio respiro, incentrata ad esempio sulla città di Pisa e sulla sua storia in epoca medievale; in tale ambito il potenziale informativo emerso dalle indagini svolte presso gli ex laboratori Gentili troverebbe pieno sviluppo, intrecciandosi e completando i dati noti da altri scavi urbani, così come da studi storici ed archivistici. L’ipotesi - e l’auspicio - è infatti che la restituzione museale proposta in questa sede, integrata con i dati riguardanti il complesso delle ceramiche di produzione locale e di importazione rinvenute e con quelli che sicuramente saranno emersi una volta concluse le indagini, possa in futuro costituire una sezione di un costruendo museo archeologico cittadino.

Accanto a questa contestualizzazione che si potrebbe definire sincronica, si affiancherà quella diacronica: seguendo il fil rouge rappresentato dalle vicende, brevemente tratteggiate, dell’isolato compreso fra le vie Sant’Antonio, A. Mario e G. Mazzini all’indomani della conquista della città da parte di Firenze la storia passata, che costituisce il nucleo fondante dell’esposizione, verrà saldata a quella recentissima ed attuale del recupero degli spazi degli ex laboratori Gentili e delle concomitanti indagini archeologiche, alle quali si darà risalto anche tramite il secondo livello di lettura del messaggio veicolato dalla restituzione museale proposta.

La ricostruzione dell’articolazione e del funzionamento delle officine consentirà, infatti, di comunicare contestualmente la specificità e la complessità delle modalità operative della disciplina archeologica; il tipo di reperti rinvenuti - per la maggior parte indicatori di produzione rappresentati soprattutto da scarti e scorie di lavorazione - e la loro frammentarietà, nonché le tracce sul terreno lasciate dai processi produttivi ed i pochi lacerti riconducibili alle strutture ad essi funzionali, si prestano ottimamente, attraverso opportune scelte allestitive che consentano il continuo raffronto tra il dato archeologico grezzo e le informazioni che da esso si ricavano, a mettere in evidenza come da labili tracce di difficoltosa individuazione ed identificazione sia possibile procedere alla ricostruzione di un quadro complesso ed articolato. L’intervento si legge anche nel quadro delle azioni di tutela esercitate dalle competenti Soprintendenze nei confronti del patrimonio culturale, tese ad impedirne la distruzione e la dispersione, azioni fra le quali

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quelle attuate in occasione della riconversione funzionale degli ex laboratori Gentili costituiscono un brillante esempio.

Da quanto sopra esposto risulta evidente che il destinatario al quale la restituzione museale qui proposta si rivolge è rappresentato principalmente dalla cittadinanza pisana, comprendendo con tale espressione l’insieme della comunità che, incuriosita ed attratta dall’esposizione per le motivazioni esposte precedentemente, in essa possa trovare uno strumento di conoscenza della storia del proprio tessuto abitativo e di costruzione della propria identità culturale17. In particolare il target privilegiato di riferimento può essere individuato nel pubblico della fascia scolare, per il quale è ideato un percorso espositivo che, facendo leva sulla curiosità sia verso le modalità di funzionamento dei cicli produttivi in antico sia verso la pratica sul campo dell’archeologia, stimoli l’apprendimento dei contenuti da esso veicolati. A tale riguardo, come si vedrà, di particolare utilità potrebbe risultare l’integrazione dell’allestimento con attività di archeologia sperimentale, volte a far rivivere in prima persona le modalità di produzione di piccoli oggetti in bronzo e vetro, da proporre anche occasionalmente in appositi spazi all’aperto contigui all’esposizione, coinvolgendo inoltre artigiani locali che possano sottolineare elementi di continuità e di innovazione fra i processi produttivi medievali e quelli contemporanei.

Per quanto l’esposizione di un contesto limitato per estensione cronologica e topografica non consenta la rappresentazione esaustiva della comunità e del territorio al quale appartiene e di cui è espressione, anche il pubblico dei turisti - italiani e stranieri - può trovare motivo di interesse nella sua restituzione museale. Quest’ultima, infatti, mette in mostra un aspetto minore - quello produttivo ed artigianale - di un’epoca alla quale risalgono buona parte dei monumenti cittadini di maggior pregio e delle opere d’arte esposte nel Museo Nazionale di San Matteo, inserendosi così in un ideale percorso di visita attraverso la città. L’esposizione, inoltre, pur partendo da una realtà locale, è incentrata sulla ricostruzione di processi produttivi che non sono esclusivi di Pisa - si pensi in particolare all’arte vetraria - e può dunque catturare l’attenzione anche di quanti scelgono come meta questa città d’arte.

La presentazione di un contesto ad oggi inedito e di una certa rilevanza nell’ambito delle ricerche archeologiche su Pisa in età medievale, infine, non mancherà di attrarre il

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pubblico degli addetti ai lavori, per il quale anche le ricostruzioni proposte potranno essere spunto di discussione e stimolo a nuove ipotesi di lavoro.

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II.3 Dove?

Forme di musealizzazione possibili nel sistema museale pisano

Contrariamente alla tendenza mostrata negli ultimi anni, anche nelle esperienze museali italiane, verso l’avvicinamento o addirittura la fusione tra i due poli antagonisti rappresentati dal museo e dallo scavo archeologico18, per il contesto emerso agli ex laboratori Gentili vi è l’impossibilità e la non opportunità di una musealizzazione in situ. L’area, infatti, è di proprietà privata ed è attualmente sottoposta a restauro edilizio e la maggior parte delle attestazioni sono emerse nei livelli sottopavimentali di ambienti che saranno adibiti a residenze o ad attività commerciali oppure nello spazio destinato al parcheggio interrato, attualmente in fase di realizzazione. Le evidenze venute alla luce, inoltre, non si prestano alla fruizione museale, essendo rappresentate da modesti resti strutturali: lacerti pavimentali e strutture rasate di scarsissimo impatto visivo e poco “appeal”; l’unica eccezione è rappresentata dal forno destinato alla cottura degli stampi fittili, che è stato infatti protetto da un camicia in gesso e rimosso, mentre gli altri resti sono stati ricoperti al termine delle indagini, consentendo in tal modo la prosecuzione dell’intervento di recupero degli stabili. A ciò si unisce la particolare natura dei reperti mobili da musealizzare, che più di altri richiedono di essere contestualizzati e spiegati per poter dialogare proficuamente con il visitatore, implicando la necessità di un allestimento maggiormente articolato e che si avvalga di più strumenti di comunicazione rispetto all’impianto tradizionale rappresentato dall’espositore e dai supporti testuali, quindi di uno spazio fisico più ampio di quello che potrebbe offrire un ambiente all’interno degli edifici degli ex laboratori Gentili, come è risultato evidente in occasione della ridottissima esposizione di alcuni dei reperti mobili, qui organizzata nel giugno del 2009 dalla scrivente e dai colleghi della Giano S.n.c.

In occasione dell’inaugurazione dell’ufficio vendite della società proprietaria dell’area, infatti, sono state allestite in uno spazio attiguo al cantiere tre semplici vetrine (fig. 4), contenenti alcuni oggetti particolarmente rappresentativi ed accompagnate da un pannello esplicativo; l’esposizione, pensata in funzione della volontà della committenza di

18 Sia nel senso di un avvicinamento geografico del museo al territorio di pertinenza sia nel senso della trasformazione dell’area archeologica in museo di sé stessa nella forma del parco archeologico, fino alla costruzione di musei direttamente sopra lo scavo, come nel caso delle Domus dell’Ortaglia a Brescia; cfr. DONATI 2007.

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aumentare il prestigio degli immobili in vendita, senza alcuna valenza didattica, era visibile soltanto ai potenziali acquirenti di questi ultimi ed è stata successivamente smantellata.

fig. 4 - le vetrine allestite presso l’ufficio vendite attiguo al cantiere degli ex laboratori Gentili nel giugno del 2009

Una vetrina è stata allestita anche in occasione della giornata di studi “Sotto la superficie. Archeologia urbana a Pisa”, svoltasi il 3 giugno 2011 presso il Centro espositivo di San Michele degli Scalzi; in essa - pur nei limiti ridottissimi dello spazio espositivo a disposizione e dell’impiego di poche didascalie ed immagini - si è cercato di rappresentare con maggior accuratezza le fasi dei cicli produttivi del bronzo e del vetro (figg. 5-6).

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figg. 5e 6 - due momenti della giornata “Sotto la superficie. Archeologia urbana a Pisa”: allestimento della vetrina (sopra) e visita del pubblico all’esposizione (sotto)

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Se si volge lo sguardo all’offerta museale di Pisa19, al momento non è facile individuare una sede idonea ed idealmente preposta ad ospitare questo progetto di allestimento, poiché la città manca ancora di un museo archeologico che possa accoglierne anche solo l’esposizione temporanea. Tuttavia all’interno dei tre sistemi museali attivi in ambito urbano, ai quali si aggiungono i centri espositivi, privati e pubblici, anche di recentissima realizzazione20, è possibile indicare alcune sedi che si potrebbero prestare ad accogliere la restituzione museale proposta.

Dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici (BAPPSAE) per le province di Pisa e Livorno dipendono i due musei nazionali di San Matteo e di Palazzo Reale, nei quali sono afferite le collezioni del Museo Civico istituito sullo scorcio del XIX secolo21, successivamente incrementate da donazioni di privati cittadini e, per quanto riguarda il primo, dal deposito dei reperti venuti alla luce durante alcuni degli scavi archeologici effettuati nel perimetro urbano22. Il Museo Nazionale di San Matteo, infatti, oltre ad ospitare opere di scultura e pittura di scuola toscana dal XII al XIV secolo, accoglie un ricco nucleo di ceramiche medievali sia di importazione, come la collezione di bacini islamici, sia di produzione locale, recuperate durante interventi archeologici in area urbana. In assenza di un museo archeologico cittadino, pur permanendo alcune perplessità in ordine al carattere spiccatamente storico - artistico del museo, nel quale la restituzione di un contesto produttivo non risulterebbe perfettamente integrata, esso potrebbe configurarsi come il naturale contenitore dell’esposizione qui proposta, in considerazione sia della notevole quantità di ceramiche restituite dallo scavo, coerenti con le raccolte esposte nelle sue sale, sia del fatto che un segmento della produzione rinvenuta era costituito da vetri policromi, probabilmente destinati agli edifici ecclesiastici dai quali proviene buona parte delle opere in mostra;

19 Sui musei e gli spazi espositivi di Pisa si vedano la Guida ai musei della Provincia di Pisa e BRACALONI -DRINGOLI 2010; in particolare sui musei universitari Arte e scienza nei musei dell'Università di Pisa e CIRANNI

1999.

20 Si tratta di Palazzo Blu, sede di mostre temporanee di grande richiamo a livello nazionale, dedicate soprattutto ad artisti del Novecento, e del Centro espositivo di San Michele degli Scalzi, nato come polo espositivo di arte moderna e contemporanea.

21 Al Museo Nazionale di Palazzo Reale, aperto nel 1989, è stata destinata quella parte delle raccolte dell’ex Museo Civico legate alla vita civile ed al collezionismo pubblico e privato, mentre al San Matteo sono rimaste le opere provenienti dalle chiese e dai conventi.

22 Dal punto di vista delle competenze, infatti, il materiale archeologico di epoca medievale è di pertinenza della BAPPSAE.

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attualmente, tuttavia, la sede non offre spazi sufficienti per mostre temporanee od esposizioni permanenti23.

Al secondo polo dei sistemi museali pisani appartengono i musei e le collezioni di proprietà dell’Università di Pisa, accomunati dai fini didattici e di ricerca che ne hanno determinato la nascita, ma assolutamente diversi per contenuti, gestione, possibilità di fruizione pubblica e sede; per quanto attiene alla disciplina archeologica, accanto alla Gipsoteca ospitata nella chiesa di San Paolo all’Orto, si segnalano le collezioni di archeologia dell’Antiquarium, quelle egittologiche ospitate nel museo allestito presso il Palazzo Aulla ed infine le collezioni di paletnologia conservate presso la sede del Dipartimento di Scienze Archeologiche al civico 53 di via Santa Maria. All’interno di tale sistema, così come in quello costituito dai Musei dell’Opera della Primaziale, incentrati sulle manifestazioni artistiche legate ai monumenti di piazza dei Miracoli, la carenza di spazi nel primo caso e la natura delle raccolte nel secondo sembrano escludere la possibilità di accostare il nostro contesto alle collezioni esposte nelle loro sedi.

L’offerta museale di Pisa, infine, è in procinto di arricchirsi di un nuovo polo, rappresentato dal Museo delle Navi Antiche di Pisa, in corso di allestimento presso gli Arsenali Medicei, la cui apertura, prevista per la fine del 2014, verrà a completare il progetto di un sistema museale pisano sviluppato sui Lungarni già concepito da Sanpaolesi alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, in occasione della scelta del complesso monumentale di San Matteo quale sede per le raccolte civiche. L’auspicio è che tale museo, dedicato alla documentazione ed alla valorizzazione dell’antico porto urbano di Pisa, ampli nel tempo i propri orizzonti cronologici e topografici, attraendo a sé la ricchissima messe di contesti archeologici restituiti dalla città ed offrendo al pubblico un quadro più ampio ed esaustivo della storia locale, nel quale il contesto degli ex laboratori Gentili troverebbe la sua collocazione ideale, in un muto ma costante dialogo con gli altri frammenti del passato cittadino.

23 La questione della sistemazione dell’abbondante materiale, anche archeologico, conservato nei suoi depositi forse potrà essere in parte risolta grazie all’acquisizione di nuovi spazi per il museo, recuperati con il recentissimo trasferimento del Dipartimento di Storia dell’Arte presso la vecchia sede degli Istituti Farmaceutici Guidotti. Anche per il Museo Nazionale di Palazzo Reale si configura la possibilità di incrementare la superficie espositiva con il progetto di recupero degli “Uffizi pisani”, ovvero l’ampliamento della sede museale all’adiacente ex convento, ora occupato dalla Conservatoria dei registri immobiliari dell’Agenzia del Territorio, ed il ripristino del percorso granducale che collegava il Palazzo Reale al Teatro Rossi attraverso una serie di passaggi aerei. Nell’ambito di tale progetto è stata inoltre ventilata l’idea di ricostruire la passerella pedonale che collegava via Santa Maria alla chiesa della Spina, sulla sponda opposta dell’Arno.

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Per quanto attiene, invece, alle sedi espositive nelle quali il progetto di allestimento può trovare collocazione temporanea, due sono i centri che è possibile individuare nel panorama pisano, il primo dei quali è rappresentato dalla chiesa di San Zeno. L’impianto originario dell’edificio, sconsacrato agli inizi dell’Ottocento ed attualmente utilizzato per mostre ed altri eventi culturali, risale al X-XII secolo ed il suo interno a nudi filari di mattoni costituirebbe una quinta scenografica di grande suggestione per l’allestimento proposto; la ripartizione in tre navate, tuttavia, rende i suoi spazi poco plasmabili e non particolarmente adatti ad ospitare la ricostruzione delle botteghe artigianali, così come è stata ideata nella nostra restituzione museale.

Quest’ultima trova una sede più confacente nella limonaia di Palazzo Ruschi, adibita dalla Provincia di Pisa, che ne detiene la proprietà, a spazio per mostre, convegni ed altre attività culturali; l’interno, privo di connotazioni architettoniche particolari a differenza della chiesa di San Zeno, ed il giardino retrostante, sfruttabile per eventuali attività di archeologia sperimentale, ne fanno la scelta ideale qualora l’allestimento proposto non trovasse collocazione come esposizione permanente all’interno dei musei sopra indicati.

Figura

fig. 4 - le vetrine allestite presso l’ufficio vendite attiguo al cantiere degli ex laboratori Gentili nel giugno  del 2009

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