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Capitolo 5

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Academic year: 2021

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Capitolo 5

Interpretazione dei risultati

In questo capitolo si è cercato di interpretare, alla luce dei dati emersi durante l’analisi tecnologica, il significato delle diverse tracce presenti sui manufatti ed a quali processi della catena operativa esse si riferiscono. L’analisi tecnologica è servita in alcuni casi per determinare i modelli di sospensione dei manufatti e ad identificarne l’effettiva funzione, talvolta diversa da quella ornamentale. Inoltre per alcuni elementi, come ad esempio l’anellino in Glycymeris proveniente da Ripoli ed il frammento di bracciale in Triton proveniente dalla Grotta S. Angelo, è stato possibile ricreare l’intera catena operativa che dalla conchiglia ha portato all’oggetto finito.

La descrizione delle interpretazioni mantiene l’ordine del capitolo precedente (capitolo 4).

5.1. Neolitico Antico- Cultura della Ceramica Impressa

Colle Santo Stefano: è il sito che ha restituito il maggior numero di oggetti

ornamentali fabbricati con varie materie prime: conchiglia, dente, osso e pietra. Tutto il materiale è stato oggetto di studio.

Le conchiglie utilizzate sono il Glycymeris sp, il Cardium, la Columbella rustica ed il Dentalium sp..

I Glycymeris sp. presentano tutti il tipico foro sull’umbone ottenuto tramite tecnica abrasiva, ad eccezione di un esemplare che presenta un foro sopra l’umbone ottenuto tramite percussione.

Anche i Cardium presentano il tipico foro all’umbone ottenuto tramite tecnica abrasiva, dimostrando, come nel caso dei Glycymeris sp., uno standard di lavorazione che permette di ottenere il risultato desiderato nel minor tempo e con il metodo più semplice.

Le Columbelle sono state forate tramite percussione in opposizione all’apertura naturale tranne due esemplari che presentano un’abrasione omogenea dell’ultima spira. Per gli elementi privi di apice si può supporre una sospensione che

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consisteva nell’inserire le conchiglie una dentro l’altra (Bisconti, comunicazione personale). Tale modello potrebbe essere applicato anche ai due casi di Columbelle abrase, operazione che ha ridotto fortemente lo spessore e l’ampiezza dell’ultimo giro di spira e prodotto dei fori di forma irregolare, i quali sembrano essere più una conseguenza incidentale della prolungata abrasione che funzionali ad un passaggio del filo.

I Dentalium sp. sono stati spezzati per ottenere un’apertura più comoda al passaggio del filo e probabilmente per ottenere una particolare sospensione che consiste nell’inserire un Dentalium sp. dentro l’altro, come testimoniano gli esemplari rinvenuti nel settore P 18 t. 8 e come è stato ipotizzato per le Columbelle.

In conchiglia sono state fabbricate anche tre perline tutte della stessa forma e delle stesse dimensioni per le quali è ipotizzabile una lavorazione in serie che ha ottenuto il risultato di uno standard dimensionale e tipologico. Su una perlina sono conservate alcune crenulature che permettono di risalire al genere di conchiglia da cui è stata ricavata: un Cardium.

I denti utilizzati sono i canini di piccolo carnivoro e le zanne di Sus.

I canini di carnivoro sono stati scelti appositamente per la loro forma affilata e forati sulla radice per essere utilizzati come pendaglio.

Le zanne di Sus sono state lavorate in modo da mutarne la forma di partenza ed essere trasformate in pendaglio. Per le 7 zanne di Sus frammentarie lavorate ma prive di foro è difficile stabilire se siano state utilizzate come oggetto ornamentale o se siano state utilizzate come utensili.

In osso sono presenti due frammenti di pendaglio a sezione sottile ed una perlina discoide di dimensione pressoché uguale alle perline prodotte in conchiglia.

Sempre in osso è stato confezionato l’oggetto di forma subcircolare con due estremità divergenti appuntite che è stato interpretato precedentemente come oggetto ornamentale (Radi 2002). Per questo manufatto, unico rinvenimento in Italia, è proponibile un’ipotesi diversa sulla sua funzione, cioè che sia un amo da pesca bifido (Graniti 2008). Si potrebbe anche ipotizzare il montaggio del supporto con il filo, che oltre a passare per il foro al centro della zona subcircolare

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compisse un ulteriore giro attorno alle concavità localizzate sui margini in asse con l’apertura. Il foro del manufatto, di forma biconica, è stato effettuato tramite tecnica rotativa.

Il metodo per l’ottenimento del foro, sia nel caso dei canini di carnivoro e delle zanne di Sus che nel caso dei pendagli in osso, è la tecnica rotativa, ossia quella che permette un’apertura regolare e di dimensioni volute. Le tipiche strie concentriche indicative di questa tecnica non sono visibili in alcune esemplari, probabilmente a causa di una successiva regolarizzazione del foro o di una prolungata sospensione. La sezione dei fori è in prevalenza biconica indicando che la perforazione è avvenuta a partire da entrambe le facce, tuttavia sono presenti anche casi di fori a sezione cilindrica che attestano una regolarizzazione o un’usura successive alla perforazione avvenuta a partire da entrambe le facce, e di fori a sezione conica che attestano la perforazione avvenuta a partire da una sola faccia. La perlina presenta un foro cilindrico al cui interno non si osservano tracce di lavorazione, lasciando pensare che sia stata ricavata dal taglio di un osso cavo.

L’unico manufatto prodotto in pietra è l’accetta pendaglio che presenta un abbozzo di foro biconico effettuato tramite tecnica rotativa. Per questo particolare oggetto si possono formulare almeno quattro ipotesi in merito alla sua funzione (Polloni 2005-2008):

- in origine poteva avere uno scopo utilitario e successivamente è stato riciclato come pendaglio, in questo caso il margine tagliente è visibilmente usurato;

- poteva avere allo stesso tempo la valenza di oggetto utilitario e di oggetto ornamentale. In questo caso potrebbero non presentarsi tracce di usura sul margine tagliente in quanto cancellate dalle lavorazioni utili a trasformarlo in oggetto ornamentale.

- poteva essere un vero e proprio utensile che immanicato acquista maggiore funzionalità. L’assenza di tracce di usura non escluderebbe questa ipotesi nei casi in cui l’oggetto sia stato adibito alla lavorazione delle materie organiche (Plisson, in Polloni 2005-08);

- l’oggetto può avere una funzione votiva ed in questo caso non mostra alcuna traccia di usura.

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Per il nostro esemplare (non terminato e con il margine tagliente non usurato) possiamo soltanto limitarci ad escludere la prima ipotesi sopra citata.

Grotta Continenza: il sito ha restituito pochi oggetti ornamentali, soprattutto se

correlati all’abbondanza di questi elementi nei livelli paleolitici e mesolitici della grotta. Tutti gli oggetti sono stati analizzati ad eccezione della Cyclope neritea forata.

In conchiglia è presente il frammento di Glycymeris sp., del quale si conserva la parte di valva vicina al margine opposto all’umbone priva di tracce di lavorazione. Se consideriamo che alcuni Glycymeris sp. dei livelli paleolitici della grotta hanno subito l’asportazione del margine più esterno per essere levigato e trasformato in lunule (Astuti et al. 2006) non è da escludere che il nostro esemplare sia un frammento asportato per tale scopo.

In dente è presente un canino forato mal conservato di piccolo carnivoro che dimostra un’affinità con la comunità di Santo Stefano.

In osso è presente il pendaglio rettangolare appuntito ad un’estremità e recante un foro dall’altra.

Entrambi gli oggetti presentano un foro biconico effettuato tramite tecnica rotativa e sono ovviamente interpretabili come pendagli.

Grotta dei Piccioni: gli oggetti analizzati comprendono due Monodonta

turbinata, una lamina rettangolare in osso forata ad un’estremità ed un disco in

calcare con due tacche speculari sui margini. I Glycymeris, le zanne di Sus, il ciottolo in pietra con solcatura mediana ed un disco in calcare pressoché uguale all’elemento analizzato non sono stati oggetto di studio.

Un esemplare di Monodonta turbinata non presenta alcuna traccia di lavorazione. Il secondo esemplare presenta un’abrasione sull’ultima spira che potrebbe riferirsi ad una fase iniziale di foratura della conchiglia.

In osso è presente una lamina rettangolare ricavata da diafisi di osso lungo rotta ad un’estremità. Il manufatto è stato interamente levigato e presenta un foro

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biconico effettuato tramite tecnica rotativa; per questo oggetto non è da escludere una funzione diversa da quella ornamentale.

In pietra è presente il disco in calcare ben levigato e con due tacche

speculari sui margini. Le tacche sembrano funzionali al passaggio del filo che compiendo un giro intorno ad esse avrebbe sospeso il manufatto in posizione stabile. Per questo oggetto non è da escludere la funzione di fusaiola.

Grotta S. Angelo: il materiale proveniente dalla grotta è fabbricato in conchiglia

(un Glycymeris forato), in dente (una zanna di Sus) ed in osso. Il materiale oggetto di studio è stato soltanto quello in osso.

Il primo manufatto è il cilindretto cavo ricavato da diafisi di osso lungo tagliata e levigata alle due estremità per il quale si può supporre una sospensione orizzontale in riferimento alla morfologia dell’oggetto.

Il secondo manufatto è l’imitazione di canino atrofico di cervo rotto al livello del foro e levigato sulla faccia anteriore. La presenza dell’imitazione di canino atrofico, oltre ad attestare una tradizione paleo-mesolitica, lascia pensare alla sua effettiva funzione, ovvero se sia l’imitazione di un oggetto raro o completamente irreperibile o se rimpiazzi un oggetto che viene a mancare improvvisamente all’interno di una parure composita (Polloni 2005-08). Considerando che nella grotta sono assenti resti di pasto attribuibili al cervo e che il numero di oggetti ornamentali è molto scarso, per il nostro caso la prima ipotesi sembra la più verosimile.

Villaggio Rossi: a Marcianese sono stati analizzati i manufatti in conchiglia ed un

pendaglio in osso quadrangolare. Non sono stati oggetto di studio un pendaglio ricavato da diafisi di osso lungo e i due vaghi cilindrici in pietra levigata.

Il materiale in conchiglia consiste in un Glycymeris sp. privo di tracce di lavorazione ed in un frammento di probabile pendaglio. Il pendaglio, interamente avvolto da profonde solcature, è stato ricavato dal peristoma di un grande gasteropode. L’estremità prossimale del pendaglio presenta delle tacche

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trasversali incise all’interno di una zona recisa. Si può ipotizzare che le tacche fossero utili all’avvolgimento del filo per mantenere il pendaglio in posizione verticale.

In osso è presente il pendaglio di forma quadrangolare fratturato all’estremità distale ed interamente levigato. Il manufatto presenta sulla faccia posteriore quattro solcature che dalla parte mesiale dell’oggetto arrivano fino al foro. Queste solcature potrebbero essere riferibili ad una fase preparatoria del foro biconico che è stato definitivamente aperto tramite tecnica rotativa.

Capo d’Acqua: da questo sito proviene il frammento di peristoma di Luria

Lurida che non presenta alcuna traccia di lavorazione.

Dallo studio complessivo dei dati si osserva che la scelta della tecnica di perforazione del manufatto cambia a secondo della materia prima con la quale esso viene fabbricato. I Bivalvi sono tutti forati tramite abrasione tranne un caso che attesta l’utilizzo della percussione, mentre i Gasteropodi testimoniano l’utilizzo di entrambe le tecniche (Tabella 1a). I manufatti in osso, in dente ed in pietra sono stati perforati esclusivamente tramite tecnica rotativa. La tecnica rotativa è stata effettuata quasi in tutti i casi a partire da entrambe le facce, come attestano i fori biconici presenti sui manufatti.

5.2. Neolitico medio- Cultura di Catignano

Catignano: il sito ha restituito oggetti di grande interesse in quanto si attesta per

la prima volta l’utilizzo di nuove materie prime per fabbricare oggetti d’ornamento come lo Spondylus e la steatite, e la comparsa di un nuovo tipo di manufatti come i bracciali/anelloni. Si ricorda che non tutto il materiale è stato analizzato e che, oltre agli oggetti elencati nel catalogo, sono stati rinvenuti durante i recenti scavi nuovi elementi d’ornamento in corso di studio.

Il frammento di bracciale in Spondylus g. mostra le superfici interamente levigate che non permettono di rilevare tracce delle tecniche utilizzate in precedenza. Tuttavia il processo di fabbricazione dei bracciali in Spondylus g. è noto grazie ai rinvenimenti di valve riferibili alle diverse fasi della catena operativa provenienti

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dalle Arene Candide nei livelli attribuibili al Neolitico Medio (Borrello, Rossi 2005). La catena operativa consiste nell’abradere la valva fino a creare un grande foro centrale che viene successivamente allargato tramite percussione, dopodiché la valva viene regolarizzata e lisciata. L’ultima operazione consiste nel rifinire l’oggetto in modo da eliminare le irregolarità rimaste.

In steatite sono stati rinvenuti un oggetto cilindrico cavo fratturato longitudinalmente e decorato, ed un piccolo frammento di anellone per il quale si suppone l’appartenenza al tipo A-B secondo la tipologia Tanda.

Il frammento di cilindro in steatite presenta una parte del margine fratturato levigata che suggerisce un probabile intento di riutilizzare l’oggetto in seguito ad una rottura ab antiquo. La decorazione del manufatto, che consiste in due incisioni divergenti riempite di ocra, lascia pensare che si tratti di un oggetto molto pregiato ed al quale sia stata riservata particolare attenzione come conferma il successivo tentativo di restauro.

Del piccolo frammento di anellone è stato possibile individuare soltanto la sezione, ma considerando la rarità di manufatti fabbricati in steatite doveva trattarsi di un oggetto molto pregiato.

Villa Badessa: Tutto il materiale ornamentale è stato oggetto di studio: quattro

Glycymeris forati all’umbone ed uno senza alcuna traccia di lavorazione, un

frammento di bracciale in Spondylus g (alterato) ed un frammento di bracciale in calcare (tipo 1 secondo la tipologia Courtin, Gutherz) che confermano l’utilizzo durante il Neolitico medio di nuovi tipi di manufatto.

Per quanto riguarda i Glycymeris, due sono stati forati tramite abrasione dimostrando che questa tecnica resta utilizzata anche durante il Neolitico medio mentre un esemplare sembra presentare una foratura dovuta allo spiaggiamento. Infine, un esemplare mostra strie concentriche all’interno del foro che dimostrano l’utilizzo della tecnica rotativa. Tale tecnica, almeno per le conchiglie forate analizzate in questo lavoro, non è mai stata utilizzata per gli esemplari appartenenti alla Ceramica Impressa ed è attestata per la cultura di Catignano unicamente in questo sito.

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Il frammento di bracciale in Spondylus ha dimensioni e forma pressoché identiche a quello di Catignano anche se la forte alterazione delle superfici non ha permesso di rilevare alcuna traccia utile all’indagine tecnologica. Tuttavia, in base alla morfologia del frammento, la fabbricazione di questo manufatto segue i processi già descritti per l’esemplare proveniente da Catignano.

Il frammento di bracciale in calcare appartiene al tipo 1 secondo la tipologia Courtin e Gutherz. In base al livello di curvatura del frammento è stato possibile ricostruire la circonferenza originale dell’anellone, il cui diametro interno misurava circa 5,2 cm.. Sulla base delle osservazioni fatte da Tanda (Tanda 1977), l’anellone ha un diametro che permette di inserirlo nella categoria dei bracciali che solitamente venivano portati al braccio, all’avambraccio o alla caviglia.

Grotta S. Angelo: tutto il materiale proveniente da questo sito è stato analizzato

ad eccezione dell’oggetto cilindrico in osso con solcatura mediana trasversale. In conchiglia è presente un Glycymeris senza alcuna traccia di lavorazione ma con tracce di ocra all’interno. Per questo esemplare si può ipotizzare che avesse una funzione di contenitore della sostanza colorante (Borrello, Rossi 2005).

In dente è presente un frammento di zanna di Sus ben levigato a contorno sub rettangolare per il quale si può ipotizzare la funzione di oggetto ornamentale nonostante l’assenza del foro.

In pietra sono presenti due ciottoli, uno di forma ovoidale e schiacciato con abbozzo di foro ed uno, ad erosione differenziata, con incisioni trasversali e tracce di sostanza rossastra sul restringimento. Per il primo ciottolo è possibile ipotizzare una funzione di pendaglio qualora il foro fosse stato portato a termine, mentre il secondo ciottolo, che per la sua forma curiosa è stato raccolto e portato in grotta, potrebbe avere la funzione di pendaglio qualora fosse stato sospeso mediante legatura sul restringimento naturale.

Nonostante il numero dei siti e di oggetti ornamentali sia esiguo rispetto a quello della Ceramica Impressa, il Neolitico Medio apporta rilevanti novità che sottintendono un’evoluzione tecnologica e culturale:

- nuove materie prime utilizzate (Spondylus, steatite) - comparsa di nuovi oggetti (bracciali/anelloni)

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- Glycymeris forato tramite tecnica rotativa.

Rispetto alla ceramica impressa si osserva che per perforare le conchiglie si sceglie ancora l’abrasione e compare per la prima volta la tecnica rotativa, mentre la percussione è assente (Tabella 1b). Tuttavia si deve considerare che il numero di conchiglie con semplice foro analizzate è molto basso rispetto alla cultura precedente. Inoltre, si accenna che (questo aspetto sarà affrontato in maniera più dettagliata nel capitolo successivo) il rinvenimento di nuove materie prime e di un nuovo tipo di oggetto utilizzati nella fabbricazione di parure può testimoniare un contatto con popolazioni appartenenti a cerchie culturali diverse.

5.2. Neolitico medio- Cultura di Ripoli

Ripoli: gli oggetti analizzati si riferiscono alle fasi classiche di Ripoli (I e II) e

rappresentano soltanto una piccola parte degli oggetti rinvenuti complessivamente nel villaggio (v. cap. 2.1.2.)

Le conchiglie forate analizzate sono tre Glycymeris, un Cardium ed un Arca n.. Infine sempre in conchiglia è stato rinvenuto un frammento di anello in

Glycymeris.

Due Glycymeris, il Cardium e l’Arca presentano il foro all’umbone: in un

Glycymeris e nell’Arca il foro è effettuato tramite abrasione mentre nel secondo Glycymeris il foro è effettuato tramite percussione. Il Cardium presenta un foro

circolare molto preciso e largo che attesta un’accurata regolarizzazione dell’apertura. La regolarizzazione ha impedito di individuare tracce utili al riconoscimento della tecnica di perforazione. Questi esemplari confermano che l’abrasione resta un metodo valido e sicuro per la foratura delle valve.

Il Glycymeris con grande apertura sul dorso della valva effettuata tramite abrasione è collegato con il frammento di anello in Glycymeris e si riferisce ad una prima fase della catena operativa per la fabbricazione degli anelli. Questi due elementi permettono di intuire che tutta la catena operativa è pressoché identica a quella dei bracciali fabbricati in Spondylus g. (Borrello, Rossi 2005) rinvenuti a Catignano e Villa Badessa. G. Cremonesi (Cremonesi 1965) definisce frequenti i ritrovamenti di anelli e valve con grande apertura sul dorso di Glycymeris, dunque

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si può ipotizzare che a Ripoli la fabbricazione di questi manufatti avvenisse in situ e che nel villaggio esistesse un atelier per la produzione di anelli.

In dente è presente il canino di lupo che è stato fortemente abraso alla radice. L’abrasione ha provocato una grande apertura soltanto su una faccia della radice che sembra troppo grande per riferirsi ad una prima fase di foratura. Pertanto o l’oggetto non è stato portato a termine per un errore di fabbricazione, oppure la cavità era predisposta per l’inserimento al suo interno di un sostegno simile ad una bacchetta.

In osso sono presenti due pendagli dei quali soltanto uno è integro:

- il pendaglio a sezione sottile fratturato all’estremità distale, lungo un margine e in corrispondenza del foro, poteva avere una forma rettangolare. L’oggetto mostra alcune strie parallele trasversali tra il foro e l’estremità distale che suggeriscono un decoro.

- pendaglio curvo a sezione sottile con estremità distale arrotondata ed interamente levigato presenta una forma che ricorda le lunule di Glycymeris.

In pietra è stato rinvenuto un frammento di anellone in calcare appartenente al tipo 1 secondo la tipologia Courtin e Gutherz. In base al livello di curvatura del frammento è stato possibile ricostruire la circonferenza originale dell’anellone, il cui diametro interno misurava circa 3,6 cm.. Sulla base delle osservazioni fatte da Tanda nel suo lavoro (Tanda 1977), l’anellone non ha un diametro abbastanza esteso per essere inserito all’interno della categoria dei bracciali, pertanto doveva trattarsi di un pendaglio o di un oggetto con funzioni diverse da quelle ornamentali. Tuttavia non è da escludere, in merito alle tracce di martellinatura ancora presenti sul manufatto, che l’oggetto non sia stato terminato e che sia stato rotto durante la lavorazione.

Grotta S. Angelo: il sito ha restituito manufatti in conchiglia, in dente ed in

pietra. Tutto il materiale ornamentale documentato è stato oggetto di studio.

In conchiglia sono stati rinvenuti due Glycymeris dei quali uno forato tramite percussione diretta ed uno per il quale non è stato possibile individuare la tecnica di foratura a causa della non buona conservazione dell’umbone. Gli altri elementi consistono in tre frammenti di Triton nodiferum. Questa specie di conchiglia è

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attestata per la prima volta all’interno della regione come materia prima utilizzata per la fabbricazione degli oggetti ornamentali.

Il primo frammento presenta due margini tagliati, successivamente appiattiti e levigati e due margini fratturati.

Il secondo frammento presenta un margine appiattito e levigato e gli altri due margini fratturati. Uno di questi due margini che coincide con un margine fratturato del primo frammento è stato arrotondato probabilmente per essere riciclato. Unendo i due elementi si intuisce che costituiscono circa la metà di un bracciale che da integro aveva un diametro di circa 7,5 cm.. Dall’osservazione dei due frammenti si comprende come il manufatto è stato costruito: in fase di débitage si è asportato l’apice e l’apertura naturale della conchiglia in modo da sfruttare l’ampiezza dell’ultimo giro di spira, mentre le operazioni di façonnage sono consistite esclusivamente nell’appiattire e levigare i margini tagliati. L’ultima operazione è consistita nella politura finale.

L’ultimo frammento di Triton nodiferum è rettangolare allungato e fratturato ai lati corti. Il manufatto presenta un margine tagliato, un margine che coincide con l’apertura naturale della conchiglia ed un foro conico ad una estremità decentrato verso quest’ultimo margine. Questa placchetta poteva essere legata con altri elementi tramite il foro e formare un bracciale composito.

In dente è la zanna di Sus fratturata ad un’estremità, tagliata longitudinalmente e levigata, che mostra un particolare lustro sulla faccia anteriore. Ipotizzando la presenza di un foro sulla parte mancante di zanna si potrebbe affermare la sicura funzione di pendaglio, in caso contrario sarebbe allo stesso modo attribuibile al manufatto la funzione di oggetto ornamentale come elemento di una parure composita, tenuta insieme da materiali deperibili (Fiore et al. 2006).

In pietra levigata è stato rinvenuto un frammento di vago in calcare con ampio foro che, in base alla superficie conservata, lascia supporre una originaria forma a botte.

Grotta dei Piccioni: il materiale in conchiglia analizzato che ha mostrato tracce

di lavorazione consiste in 21 Glycymeris forati all’umbone. Questi elementi non saranno oggetto di discussione, in quanto privi di riferimento stratigrafico

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potrebbero essere stati utilizzati in un arco di tempo che dal Neolitico Antico arriva fino all’età del Bronzo. Un canino di volpe forato è l’unico elemento analizzato di tutti i restanti ornamenti presenti nella grotta.

In dente è presente il canino di volpe con foro biconico effettuato tramite tecnica rotativa. Esso mostra una particolare lucidatura che potrebbe essere stata causata dal prolungato contatto con la pelle e/o con le vesti.

Come per la cultura di Catignano non sono molti i siti appartenenti alla cultura di Ripoli che hanno restituito oggetti ornamentali. Tuttavia la qualità e la varietà degli oggetti ha permesso di effettuare alcune considerazioni.

L’analisi utile ad interpretare le tecniche di foratura delle valve ha mostrato la presenza della percussione che non era attestata durante la cultura precedente (Tabella 1c). Questo dato lascia pensare che l’assenza di tale tecnica durante la cultura di Catignano sia da imputare al basso numero di elementi analizzati riferibili a quel periodo. Allo stesso modo si potrebbe giustificare l’asssenza della tecnica rotativa durante la cultura di Ripoli, quando invece è già testimoniata da un esemplare di Villa Badessa. Una valva reca tracce di abrasione testimoniando la presenza di questa tecnica in tutti i periodi fin qui indagati.

La tecnica invece utilizzata per perforare l’osso e il dente è, come nei periodi precedenti, soltanto la tecnica rotativa. Inoltre, anche durante questo periodo si attesta la comparsa di nuove materie prime per fabbricare ornamenti: il Triton ed il corallo (Cremonesi 1965). La presenza di questi oggetti, dei pendenti in osso e dell’Arca noae forata di Ripoli, testimonia che ognuno di questi oggetti possiede una propria forma peculiare, riflettendo un’evoluzione del gusto estetico rispetto ai periodi precedenti che si manifesta in forme più varie ed articolate.

5.2. Neolitico recente- Cultura di Ripoli: aspetti recenti

Fossacesia: gli oggetti ornamentali provenienti da questo sito analizzati

consistono quasi totalmente in conchiglie forate all’umbone (18 Glycymeris ed un

Cardium). Inoltre sono presenti 7 Glycymeris, un’Ostrea ed un Murex b. privi del

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manufatti in osso, cioè un frammento di pendaglio ed una falange di cervo con abbozzo di foro. In pietra verde è presente un frammento di anellone.

I Glycymeris sono stati forati in 3 casi tramite abrasione ed in 3 casi tramite tecnica rotativa. In 4 casi non è stato possibile stabilire se il foro sia stato effettuato tramite percussione diretta o se sia dovuto al prolungato spiaggiamento della valva. In 3 casi l’eccessivo stato di alterazione dell’umbone non ha permesso di riscontrare tracce riferibili ad eventuali tecniche utilizzate ed in 5 casi il foro è stato l’effetto del prolungato spiaggiamento della conchiglia. Come già accennato nella premessa si osserva un aumento dell’utilizzo della tecnica rotativa sui

Glycymeris rispetto ai periodi precedenti, ciò potrebbe dimostrare l’aver acquisito

per questa tecnica accorgimenti utili grazie ai quali l’artigiano riesce ad ottenere il risultato desiderato senza rischiare la rottura della valva. Altre tracce che potrebbero indicare un particolare utilizzo di queste valve riguarda l’aspetto dei margini: su tredici esemplari (di cui quattro non forati) si osserva che i margini sono sbrecciati, su quattro esemplari che il margine sbrecciato è stato levigato intenzionalmente (si osservano strie riferibili a questa operazione) ed infine su tre esemplari che la forte levigatura (non sono presenti strie come per i casi precedenti) ha mutato la forma originale della conchiglia. L’aspetto dei margini quasi sempre modificati lascia pensare che i Glycymeris di Fossacesia non siano stati utilizzati esclusivamente come ornamento ma, come nel caso di alcune valve con i margini sbrecciati, che siano esemplari aperti con l’aiuto di uno strumento appuntito per scopo alimentare ed in seguito utilizzati come ornamento. Invece, per i alcuni casi di valve con i margini levigati o parzialmente levigati, si può ipotizzare il loro utilizzo come brunitoi per la ceramica.

Una suggestiva ipotesi potrebbe riguardare la presenza del Murex b. e dei

Trunculus provenienti dalla capanna 10, specie marine dalle quali si ricava la porpora e la cui raccolta potrebbe attribuirsi a tale scopo. L’utilizzo di pigmento rosso da parte degli abitanti di Fossacesia per dipingere i ciottoli potrebbe giustificare la raccolta di questi murici.

I materiali in osso consistono in un frammento di diafisi di osso lungo di forma irregolare, fratturato ai margini e con foro creato tramite tecnica rotativa per il quale è impossibile individuare l’effettiva funzione, ed in una falange di cervo abrasa e con due cavità irregolari e speculari sull’articolazione distale. Le due

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cavità sembrano riferirsi ad una fase preparatoria utile alla perforazione dell’articolazione che si sarebbe completata ruotando uno strumento appuntito all’interno di esse.

In pietra verde è un frammento di anellone appartenente al tipo A2 secondo la tipologia Tanda o al tipo 3 secondo la tipologia Courtin e Gutherz. In base al livello di curvatura del frammento è stato possibile ricostruire la circonferenza originale dell’anellone, il cui diametro interno misurava circa 5,8 cm.. Sulla base delle osservazioni fatte da Tanda nel suo lavoro (Tanda 1977), l’anellone ha un diametro che permette di inserirlo nella categoria dei bracciali che solitamente venivano portati al braccio, all’avambraccio o alla caviglia.

Settefonti: da questo sito provengono soltanto due Glycymeris forati all’umbone

entrambi analizzati. Un esemplare è stato perforato tramite abrasione mentre l’altro è stato forato tramite tecnica rotativa.

Ripoli: gli oggetti analizzati si riferiscono alla fase III di Ripoli e rappresentano

una piccola parte del numero complessivo di oggetti rinvenuti nel villaggio (v. 2.1.3.)

L’unico oggetto in conchiglia è il frammento di piastrina in madreperla con foro effettuato tramite tecnica rotativa e per il quale, nonostante conservi superfici limitate, si può intuire la funzione di pendaglio.

In dente è una zanna di Sus rotta ad un’estremità che presenta un margine curvo ed uno sinuoso, entrambi levigati. Questo oggetto sembra avere le caratteristiche di una spatola/ lisciatoio (Fiore et al. 2006).

In osso è il pendaglio fratturato all’estremità distale con incavo su un margine che separa il foro dal resto del corpo. Esso presenta un solco regolare sul margine superiore dell’apertura che sembra adeguato per il passaggio del filo. Sulla faccia posteriore si notano due incisioni che dipartono dal foro e arrivano fino alla zona mesiale del manufatto che potrebbero essere il risultato di una fase preparatoria per l’ottenimento del foro.

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Il rinvenimento di oggetti ornamentali durante il Neolitico recente è limitato ai ritrovamenti avvenuti nei villaggi di Fossacesia, Settefonti e Ripoli. Lo studio di questi oggetti d’ornamento, che ad esclusione di pochi manufatti in dente, osso e pietra consistono in conchiglie forate all’umbone, ha permesso di cogliere informazioni significative inerenti alle tecniche di foratura delle valve. Infatti se durante il Neolitico medio, a Villa Badessa, su un esemplare di Glycymeris si era attestata per la prima volta la tecnica rotativa, a Fossacesia tale tecnica è utilizzata pressoché con la stessa frequenza dell’abrasione oltre ad essere riscontrata su uno dei due esemplari provenienti da Settefonti. Alla luce di questi risultati si osserva che l’abrasione è l’unica tecnica utilizzata durante tutte le fasi neolitiche. La tecnica abrasiva è infatti quella che rispetto alle altre tecniche richiede minor tempo di realizzazione e abilità ma che allo stesso tempo permette l’ottenimento di fori piuttosto regolari. L’aumento degli esemplari forati tramite tecnica rotativa testimoniano invece che tale operazione diventa più comune con lo scorrere del tempo (Tabella 1d). L’assenza della percussione potrebbe imputarsi al fatto che quasi tutti gli esemplari provengono da Fossacesia, dove probabilmente esisteva una tradizione tecnologica improntata su altre tecniche. L’aumento della tecnica rotativa dimostra l’intento da parte degli artigiani di ottenere fori più precisi e di dimensioni volute in un’unica operazione, risultati che con la percussione, salvo successive regolarizzazioni, non possono essere ottenuti. In riferimento alla morfologia ed alle tracce di levigatura presenti sui margini di alcune valve provenienti da Fossacesia, si può ipotizzare che queste oltre ad avere uno scopo ornamentale ne avessero anche uno funzionale. Infine, come è avvenuto per i periodi precedenti, l’anellone in pietra verde proveniente da Fossacesia testimonia il contatto con popolazioni appartenenti ad una cerchia culturale lontana dai confini di questa cultura tardo-ripolese.

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specie conchiglia ABRASIONE PERCUSSIONE REGOLARIZZAZIONE.

Troviamo il centro di massa del sistema usando il principio di sovrapposizione, cio` e con- siderando un cilindro pieno ottenuto dalla sovrapposizione del cilindro forato in oggetto

Il cilindro ` e appoggiato su un piano senza attrito ed il raggio che passa per il centro di massa si trova ad un angolo θ rispetto alla verticale2. Si determini il centro istantaneo

variabili di controllo del ciclo all'interno del corpo del ciclo stesso, vi rimane solo. corpo del ciclo stesso, vi rimane solo l’operazione vera e propria