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2.9. IL MATRIMONIO CATTOLICO

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2.9. IL MATRIMONIO CATTOLICO

Alla decisione che portò al matrimonio cattolico occorse molto meno tempo: essa apparve, dopo il battesimo, il passo più giusto da compiere. Per adempiere alla regolarizzazione del matrimonio Manzoni si rivolse al conte Marescalchi 1. Si

trattò di una procedura lunga in cui non mancarono intoppi 2: Manzoni dovette

effettuare una petizione alla santa Sede che pervenne a Roma grazie all’aiuto del Carbonesi e degli abati Vidorini e Ducci, i quali erano rispettivamente segretario particolare e teologo del cardinale Caprara, allora legato pontificio a Parigi 3.

Questo secondo atto di riconciliazione con il cattolicesimo viene testimoniato dalla lettera inviata al Papa Pio VII nell’ottobre 1809 e risale quindi a poche settimane dopo il battesimo di Giulietta 4.

Le parole della lettera ufficiale sopravvivono ora in una copia non conclusa, stilata dalla mano di Enrichetta Blondel: l’originale doveva essere un documento scritto in arido stile cancelleresco e redatto, probabilmente, come scrive Ruffini, dai fiduciari del Manzoni e non da lui 5. Questo renderebbe apparentemente di minor

portata l’accorato pentimento per le scelte passate, di cui danno prova le parole della supplica alla santa Sede. Si deve però ritenere con Ruffini che una mente riflessiva come quella di Manzoni non avrebbe mai acconsentito a firmare col

1 Colombo, op. cit. (1991), p. 47.

2 Nel documento ufficiale pervenuto al Marescalchi il 19 novembre 1809, con cui si faceva

presente l’esito positivo della petizione inviata da Manzoni, emergono chiaramente le difficoltà burocratiche che comportò la legalizzazione del matrimonio. Queste le parole di Vidorini: “Nel sabato scorso presi una carrozza per andarmi ad abboccare con il signor cavaliere Alberti non ostante il mio incomodo. L’affare presentava gran difficoltà, per l’incertezza del luogo, dove erano seguiti il contratto civile, e la nuziale cerimonia, (la) quale incertezza portava l’altra, cioè se si doveva provvedere per una dichiarazione di validità, oppure con dispensa ad norite contrahendum. Premuroso di servire il sullodato sig. Ministro, e Lei, concepii un Decreto di doppia providenza, per una doppia ipotesi. Molto ci è voluto per farlo approvare, perché volevasi il rescritto explicet, etc. Io, secondo il mio carattere, fortemente sostenni la canonicità del Decreto, a chi venne a propormi le difficoltà e mi riuscì di superarle. Quindi fu fatto copiare detto mio Decreto, e sottoscritto dall’E.mo Delegato, mi fu rimesso ieri, e lo rispinsi, con una istruzione, per l’esecuzione a darglisi, al sullodato sig. Cavaliere, il quale con biglietto mi fa ora sapere d’inviarlo a Parigi per la staffetta. Sono contento di aver potuto scondare e con tutta celerità, ed a fronte di una vera difficoltà, ed altre solite, una sua premura e senza più mi resto”. Carteggio, pp. 194-195.

3 Ibidem, p. 194.

4 Colombo, op. cit. (1991), p. 47. 5 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 193.

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proprio nome parole insincere, i cui contenuti non rispondessero alle proprie profonde convinzioni 6. Nella petizione si legge

“Quindi, è che godendo Egli piena libertà dell’esercizio di sua Cattolica Religione, e dell’educazione della prole dell’uno e dell’altro sesso, secondo la stessa Cattolica Religione, ed essendo rimosso ogni pericolo di sua sovversione, col consenso della suddetta sua compagna, pentito del fallo commesso, implora dall’Autorità Apostolica un opportuno riparo, capace di rendere tranquilla la di lui Coscienza, e di cancellare ogni sinistra idea ne’ Cattolici, fra’ quali debbono ambedue abitare, benché vengano reputati legittimamente congiunti” 7.

Manzoni, pentito della scelta iniziale del matrimonio calvinista con Enrichetta, dovette veramente avvertire la necessità di quell’atto al fine di ritrovare la tranquillità della propria coscienza 8. Inoltre la supplica viene redatta “con il

consenso della suddetta compagna”, che non si dubita ci sia stato: per i motivi che sono già stati illustrati, già al momento della decisione del battesimo i coniugi Manzoni e Blondel dovevano aver trovato un accordo e deciso di andare insieme nella direzione del cattolicesimo 9.

Risolta la questione del battesimo, la scelta del matrimonio cattolico fu presa in fretta, anche se probabilmente Alessandro ed Enrichetta ebbero già modo di parlarne quella stessa estate.

È probabile che tale scelta precedette il settembre di quell’anno, quando le questioni religiose dovettero essere accantonate a causa dell’imporsi di una nuova preoccupazione: il padre di Enrichetta, François Blondel, accusò una grave malattia agli occhi e venne operato con successo dal celebre chirurgo Marc-Antoine Petit, chiamato apposta da Lione 10. Venuta a sapere della guarigione

Enrichetta scrive ai genitori il 20 ottobre 1809: “maman et mon adoré Alexandre

6 Ibidem

7 Tutte le lettere, p. 98; 752-3. 8 Colombo, op. cit. (1991), pp. 48-52.

9 Nonostante la biografia di Colombo sia recente (1991) non sembra che egli abbia ragione

quando scrive che i due erano ancora in crisi profonda. (Colombo, op. cit. (1991), p. 47). Ha invece ragione Tonelli quando scrive che la lettera fu spedita al Papa “di comune accordo con la moglie”. Tonelli, op. cit. (1935), p. 104.

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pleurent de joie avec moi et nous avons fait joindre les petites mains de ma Juliette pour remercier Dieu de ce qu’il a rendu la vue à son grand-papa” 11.

Come sostiene Boneschi, Enrichetta con queste parole affida al semplice gesto della bambina il compito di rappresentare il senso di gratitudine verso quel Dio che si affacciava gradualmente ai due coniugi sotto la luce della nuova fede 12. Si

tratta di un indizio, che non sappiamo fino a che punto sia stato colto: i genitori di Enrichetta ignoravano ancora, in quel momento, il travaglio religioso che durante quei mesi aveva occupato i pensieri della figlia e di suo marito.

Il 30 ottobre giunse finalmente l’autorizzazione a legalizzare l’unione civile con la nuova cerimonia cattolica 13. Del rescritto, ottenuto da Roma, per la dispensa alle

nozze cattoliche, rimane traccia nell’atto di matrimonio pubblicato da Nunzio Rocca nel 1873, dove si legge:

“Le mariage autorisé d’après le rescrit de Rome obtenu par Manzoni, portant dispense sur l’empêchement de disparité de culte, les formalités civiles ayant été remplies à Milan, a été célébré en l’hôtel de monseigneur Marescalchi ministre des relations extérieures du royaume d’Italie, par nous curé, (…)” 14.

Il matrimonio fu celebrato dall’abate Costaz, parroco della Chiesa della Madeleine, nella cappella privata di Marescalchi, il 15 febbraio 1810: furono testimoni per il Manzoni la madre, il Marescalchi stesso e Carbonesi, che era allora impiegato del ministero; per la sposa invece furono invece i signori Riant e Aubret, ufficiali degli Invalidi 15. Queste persone avevano ben poca familiarità

con Manzoni e si trattò di un evento segnato da una certa solennità e freddezza e a cui presenziò un clero, come dice Ruffini “ineccepibilmente ortodosso” 16.

Il Busnelli 17 ritenne che dietro l’iniziativa della petizione alla Santa Sede e del

matrimonio cattolico si dovessero individuare le esortazioni del Degola 18. Questa

11 Lettera di Enrichetta Blondel pubblicata in Lettere familiari, pp. 112-113. 12 Boneschi, op. cit. (2005), p. 244.

13 Ibidem, p. 245.

14 Angelo De Gubernatis, Manzoni ed il Fauriel studiati nel loro carteggio inedito, Roma:

Tibografia Barbera, 1880, p. 65. Cfr. Colombo, op. cit. (1991), p. 48.

15 Tonelli, op. cit. (1935), p. 104. Cfr. Colombo, op. cit. (1991), p. 48. 16 Ruffini, op. cit. (1931) I, pp. 190-192.

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congettura è stata dimostrata infondata da Fabbri: Degola conobbe i Manzoni soltanto successivamente.

Come sostiene Ruffini però, i Giansenisti francesi avrebbero avuto ottimi motivi per spingere i Manzoni verso quel nuovo matrimonio 19. Anche Tonelli dà ragione

a Ruffini, alludendo a figure, di cui si parlerà a breve:

“la regolarizzazione cattolica (…) del matrimonio, chiesta per “cancellare – come dice la supplica – ogni sinistra idea ne’ cattolici, fra i quali debbono ambedue abitare” dimostra la influenza diretta dell’Agier, del Somis, della Geymüller, ossia del nuovo ambiente fervidamente cattolico, in cui si era venuta a trovare la famiglia Manzoni” 20.

Non solo, non è da escludere che lo scrittore li abbia incontrati prima del settembre 1809, ma ciò è altamente probabile. Secondo Busnelli, ne è spia la solennità con cui quel matrimonio fu celebrato: i giansenisti, rispetto ai cattolici ortodossi, avrebbero infatti sentito il bisogno di rassicurare la Curia sulla validità delle nozze celebrate per persone ormai vicine al loro circolo 21.

Tale bisogno dovette apparire una priorità all’epoca, perché in quegli anni vi era una questione che infiammava gli ambienti teologici: ci si chiedeva se dovesse incorrere nella scomunica chi aveva contratto un matrimonio celebrato da un ministro acattolico 22. A maggior ragione, perciò, i giansenisti poterono insistere

sulla legalizzazione 23.

Dopo queste osservazioni, Ruffini nota che anche il Degola avrebbe approvato il matrimonio cattolico di Manzoni ed Enrichetta: l’abate, infatti, in questo ambito si atteneva strettamente all’ortodossia 24. Sul tema del matrimonio il severo abate

genovese aveva rimproverato persino Tamburini, invitandolo “ad un insegnamento più ortodosso e meno compiacente all’indirizzo giuseppinistico” 25;

18 Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 190-192. 19 Ibidem

20 Tonelli, op. cit. (1935), p. 105. 21 Ibidem

22 Queste parole sono del Busnelli: op. cit. (1913), p. 22.

23 E’ cosa risaputa che i Giansenisti, desiderosi di non essere accusati di eresia si impegnassero

con ogni strumento offerto dalla teologia e dalla logica per sfuggire a quell’accusa.

24 Angelo De Gubernatis, Eustachio Degola, il clero costituzionale e la conversione della famiglia

Manzoni, Firenze: Barbera Editore, 1882, p. 84 e ss.

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Degola, inoltre, nel difendere l’opinione ortodossa in quell’ambito, si era spinto al punto di litigare una volta con il suo più grande amico, Henri Grégoire.

Quest’ultimo, come richiedeva l’orientamento giansenistico, credeva veramente, in tema di matrimonio, alla necessità di un ritorno alle origini, quando gli uomini di chiesa potevano essere sposati. Per supportare questa tesi, nel 1826 aveva pubblicato un’opera intitolata Histoire du mariage des prêtres en France: particulièrement depuis 1789, i cui contenuti paiono incredibili per la loro grande modernità: senza nulla togliere alla bontà e alla giustizia di quei preti che avevano saputo vivere il proprio celibato secondo gli alti valori della religione cattolica, il Grégoire apriva il suo discorso parlando dell’unione coniugale come di un’usanza giusta: gli istinti dell’imperiosa natura, che ordina all’uomo di procreare, potevano infatti, tramite quella santa unione, acquetarsi e trovare espressione positiva di sé evitando eventuali degenerazioni; secondo Grégoire il prete, costretto dalla legge ecclesiastica e statale, ma non dalla giustizia di Dio 26, a rimanere celibe, si apre

maggiormente a quelle tentazioni, che invece una solida vita matrimoniale non gli offrirebbe. Dopo aver parlato dell’istituzione del matrimonio dagli albori della Chiesa fino alla sua contemporaneità, Grégoire conclude dicendo che la castità è un dono di Dio, non un dovere, e lascia intendere quanto sia doveroso lasciar libera la scelta: è giusto che rimangano celibi i soli preti che ne hanno vocazione. Nelle ultime pagine si legge:

“Le célibat, disent certaines gens, est une cause de scandales. Vous vous trompez, il peut être l’occasion, mais non la cause. On abuse même des sacrements, est ce un motif pour en supprimer l’usage ? Bannissez donc aussi de l’univers le vin, le fer, le feu, car de quoi n’abuse-t-on pas ?” 27.

26 “Mais ces mariages sont-ils valides ? Leur nullité serait incontestable, s’ils étaient interdits par

la loi divine, ce qui n’est pas; ils l’étaient seulement par deux autorités humaines; par la loi civile, comme empêchement dirimant, par la loi ecclésiastique, comme prohibitif. L’interdiction prononcée par la loi ecclésiastique est fondée, non sur le sacrement de l’ordre, mais sur le fonctions qu’il impose”. Henry Grégoire, Histoire du mariage des prêtres en France: particulièrement depuis 1789, Paris: fréres Baudoin, 1826, p. 88.

27 Ibidem, p. 151. Grégoire fa forse qui un sotterrano riferimento a Rousseau, di cui proprio

all’inizio della dissertazione aveva scritto: “être célibataire, c’est, au dire de J. J. Rousseau, vivre dans le libertinage. Cette assertion est digne de l’auteur des scandaleuses Confessions, et qui, de son aveu, père de cinq enfans, les envoyait aux Enfans trouvés”. Ibidem, p. 4.

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Questo lavoro, veramente attuale per brevità 28 e contenuti come tutte le opere di

Grégoire, fu pubblicato molto più tardi rispetto al matrimonio di Manzoni; il vescovo di Blois però manteneva salde queste convinzioni già da molto tempo: Degola infatti nel suo diario, sotto la data 18 agosto 1807, afferma di esser venuto a conoscenza di quelle idee e di non averle apprezzate: “Henry è un originale, mi ha scandalizzato collo scrivere sul mariage des prêtes” 29. L’innovativa

concezione del matrimonio da parte di Grégoire fu un vero pomo della discordia tra i due: causò infatti un diverbio che plausibilmente li tenne distanti per più di due settimane. Segni di una riappacificazione si possono leggere soltanto sotto la data del 5 settembre dello stesso anno: “H. Grégoire. Preghi e mi perdoni” 30.

2.10. I GIANSENISTI PARIGINI ED ITALIANI VICINI AI

MANZONI: UN MOVIMENTO VARIEGATO E

COMPLESSO

Considerato tutto ciò che è stato detto a proposito del matrimonio cattolico, si può arrivare alla seguente deduzione: per quanto i giansenisti non ebbero una parte significativa nella decisione del battesimo 31, è chiaro che i Manzoni li

incontrarono prima del 23 agosto 1809. Le fonti non permettono di essere più precisi di così nell’individuare una data, ma è possibile che abbia ragione il Fossi quando colloca l’incontro con i giansenisti all’inizio del 1809, quindi proprio nel momento in cui in casa Manzoni imperversava la questione del battesimo.

Quel che si sa per certo è che prima di quell’agosto i Manzoni erano entrati in contatto con Anne Marie Caroline Geymüller de Kalb: la donna era figlia del barone Johan von Kalb, che aveva prestato servizio presso gli eserciti francese e inglese durante la guerra d’indipendenza delle colonie inglesi d’America 32. Anne

28 È un opera di sole 150 pagine rispetto alle quasi 700 del Catechismo dei Gesuiti di Degola. 29 Degola in Eustachio Degola, il clero costituzionale, p. 84.

30 Ibidem

31 Lo ipotizza il Fossi: op. cit. (1933) p. 45.

32 Pietro Stella, Il giansenismo in Italia, III Crisi finale e Transizioni (fa parte di Storia e letteratura,

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Marie era poi andata in sposa a Johan Lucas Geymüller, notabile nato a Basilea e divenuto ufficiale nell’esercito di Francia, il quale si spense poco dopo l’anno 1800 33. Entrambi i Geymüller furono di religione riformata 34. La vedova

Geymüller, però, dopo essersi affidata al Degola, abiurò il protestantesimo e divenne una donna di fermo spirito giansenistico: si iscrisse alla parrocchia di Saint-Séverin, nei pressi della quale prese dimora a partire dal 1806, e fissò come luogo preferito delle sue villeggiature il castello di Milon-la-Chapelle, nelle immediate vicinanze delle rovine di Port-Royal 35. I Manzoni fecero la sua

conoscenza probabilmente tramite il Botta o il Marescalchi, insieme all’Agier, presidente della Corte d’appello di Parigi, e al Conte Somis, e fu lei ad inserirli nel circolo dei giansenisti parigini, del quale figura centrale era Grégoire 36.

A questo punto sarà utile, seguendo il lavoro dello Stella, presentare il variegato mondo dei giansenisti di fine settecento e inizio ottocento, con cui i Manzoni vennero in contatto, tralasciando Degola e Grégoire, a cui si è già fatto cenno nell’introduzione del presente lavoro. I Manzoni presero innanzitutto contatti con il circolo parigino e, tramite il genovese Degola, con quello piemontese e lombardo.

I giansenisti parigini furono i primi ad entrare in contatto con i Manzoni. Essi si riunivano nella vecchia chiesa gotica di Saint-Séverin, vera roccaforte del giansenismo francese 37. Tra i componenti del cenacolo parigino, i cui profili sono

stati illustrati da Sainte-Beuve, da Gazier e da Ruffini, si annoverano molti dei Giansenisti Costituzionali, associati alla “Société de philosophie chrétienne”, che nel 1797 era stata fondata da Henri Grégoire e che contava tra i propri membri stranieri uno dei celebri protagonisti del Sinodo di Pistoia, il vescovo Scipione de’ Ricci 38. Tra i Giansenisti Costituzionali del circolo parigino vi erano il curato

Paul Baillet e tutto il clero della parrocchia di Saint-Séverin.

Paul Baillet si era trasferito nel 1802 dalla chiesa di Saint-Etienne du Mont, cara ai giansenisti perché custodiva le spoglie di Pascal 39, a quella parigina di

33 Eustachio Degola, il clero costituzionale, p. 480. Cfr. Stella, op. cit. (2006), p. 76. 34 Stella, op. cit. (2006), p. 76.

35 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 199.

36 Ibidem, pp. 194-195. Cfr. Boneschi, op. cit. (2005), p. 246. Cfr. Ulivi, op. cit. (1984), p. 114. Cfr.

Colombo, op. cit. (1991), p. 55.

37 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 89. 38 Ibidem, p. 93.

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Séverin, destinata a divenire punto di riferimento di casa Manzoni. Accompagnarono Baillet in quel trasferimento i suoi cinque vicari: Borde, Girard, Clouet, Codé e infine Varlet, precedentemente cappuccino, conosciuto con il nome di Pére Marcel 40. Il Baillet era stato eletto procuratore in rappresentanza del

clero di Orléans nel Concilio nazionale del Clero costituzionale del 1797. Nel 1801 partecipò al secondo Concilio nazionale che fu sciolto da Napoleone a seguito del Concordato 41. Quando Napoleone volle riabilitare il Clero dopo gli

anni del Terrore, la Santa Sede pretese che il Clero costituzionale sconfessasse la Costituzione e ne rinnegasse il giuramento 42. Napoleone, però, cercò il

compromesso e, andando incontro alle esigenze degli ecclesiastici Costituzionali, aveva preteso soltanto una generica dichiarazione, in cui essi affermassero di “abandonner volontairement” la Costituzione civile 43. Questo creò naturalmente

divergenze e polemiche nel mondo ecclesiastico, dove molti vicini alla Curia romana pretendevano una sconfessione più esplicita e diretta. Stando così le cose, Baillet, accompagnato dal suo clero (Borde, Girard, Codé, Varlet, Clouet) si recò dall’arcivescovo di Parigi, De Belloy, e, dopo una lunga e accesa disputatramandataci da un resoconto dell’abate Degola, ottenne di poter firmare soltanto la dichiarazione generica 44.

Accanto a Baillet ha poi un ruolo di preminenza il suo intimo collaboratore e fedele compagno Claude Debertier, che era stato anche grande amico del Grégoire e del Degola. Debertier, uomo dalle ferree idee gallicane, nel 1791 fu eletto vescovo Costituzionale di Rhodez 45. L’incrollabile fede nelle idee giansenistiche

lo aveva indotto ad apprezzare in modo particolare il millenarismo e le idee di Degola e dei giansenisti italiani a lui vicini per orientamento 46. Debertier nel suo

testamento aveva dato prova di un “giansenismo integrale” 47.

40 Ibidem 41 Ibidem, p. 96. 42 Ibidem 43 Ibidem 44 Ibidem, p. 97. 45 Ibidem, p. 107. 46 Ibidem

47 Ibidem. Scriveva Debertier nel suo testamento del 1807: “Je déclare: 1) Que j’ai toujours voulu

et que je veux vivre et mourir dans le sein de l’église catholique, apostolique et romaine ; que j’ai toujours détesté et que je déteste tout schisme qui sépare de l’unité et qui divise les fidèles. (…) 5) J’Adhère à la doctrine des quatres articles de la Déclaration du clergé de France de 1682. 6) Mon sentiment est que l’Église n’a pas encore prononcé de jugement sur les affaires de Baius, de Richer, de l’Église d’Utrecht en Hollande, de Jansenius, du P. Quesnel, du Synode de Pistoie, ni du

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Appartenevano poi al clero di Saint-Séverin i seguenti giansenisti: il già nominato Nicol German Cady 48 (1773-1845), che era stato ordinato prete dal vescovo

costituzionale Royer nel 1797; Agostino Bailliet, precedentemente curato a Saint-Médard; Louis Radin, prima curato di Pierrefitte; l’antico francescano Euvrad, confessore di Grégoire; il giansenista Giovanni Luigi Rondeau (1759-1833) 49.

Tra i personaggi laici del gruppo giansenistico parigino vanno ricordati l’Agier, giurista e presidente della “Société de Philosophie Chrétienne”, e André Constant che, nato nel 1737, fu vescovo di salde idee giansenistiche: prestò il giuramento di adesione alla costituzione civile del clero francese e si dimise all’epoca del concordato 50.

Importante figura del circolo giansenistico parigino era poi la signora Maria Francesca Humery, vedova di Antonio Desprez, il quale discendeva probabilmente da quei Desprez, noti editori di fede giansenistica, che avevano pubblicato i Pensées di Pascal e le opere del moralista Pierre Nicole. La vedova Desprez aveva acquistato il 15 novembre del 1791 le rovine di Port-Royal 51,

messe in vendita dallo Stato francese come beni nazionali, e nell’autunno era solita ospitare in quei possedimenti i giansenisti costituzionali che avessero intenzione di recarvisi in pellegrinaggio, come usavano fare ogni anno i soci della “Société du Philosophie Chrétienne”. Grégoire, Debertier e altri ecclesiastici costituzionali erano invece ospiti abituali della signora Desprez nei mesi d’autunno 52.

I Manzoni entrarono in seguito in contatto anche con il cenacolo giansenistico piemontese, legato a sua volta con quello parigino. Dopo la conversione dei Manzoni, infatti, acquisì enorme fama il “metodo Degola”, del quale i giansenisti piemontesi vollero scoprire i segreti al fine di convertire la madre del famoso

Clérgé costitutionnel de France ; parce que le corps des pasteurs n’a point été appelé à juger de ces affaires. (…) 8. Je pense que la bulle Unigenitus condamne dans le Réflexions morales du P. Quesnel une moltitude de vérités catholiques, et qu’on ne peut l’accepter en aucune manière, ni sans explications, ni avec explications”. A partire dalla prima dichiarazione in cui Debertier sottolinea la propria autentica e completa adesione all’ortodossia cattolica, il contenuto del suo testamento spirituale era un vero e proprio manifesto di giansenismo. Cito da Ruffini, op. cit. (1931), pp. 108-109. Cfr. Carena, op. cit. (2000), p. 44.

48 Ibidem Cfr. Carteggio, I, p. 204. 49 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 91. 50 Carteggio, I, p. 202.

51 La vedova Desprez mantenne quei possedimenti sino al 1810, quando li vendette pur

mantenendone l’usufrutto. Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 94.

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Conte di Cavour 53: fu questa la ragione per cui alcuni appartenenti al circolo

giansenistico piemontese, tra i quali il Boyer, scrissero al Degola e si avvicinarono alla famiglia Manzoni fino a conoscerla personalmente 54. Una volta che la

marchesa di Cavour fu convertita, tra i loro progetti si affacciò un’idea che però rimase tale: quella di mettere in contatto la Cavour con Enrichetta Blondel affinché avesse luogo una stimolante corrispondenza; tutto ciò curiosamente ritardò di molto tempo l’incontro tra Manzoni e il Conte di Cavour che, quando avvenne, inaugurò una conoscenza contraddistinta da reciproca stima ed ammirazione 55.

Il gruppo piemontese per posizioni teologiche e politiche si differenziava al suo interno a causa della mancanza di un’ideologia compatta 56; è però lecito sostenere

che una parte cospicua di esso si appoggiasse alle idee democratiche e repubblicane di Degola e traesse ispirazione anche dal giansenismo illuminato di Tamburini 57. Dal punto di vista politico, i giansenisti piemontesi giocarono un

ruolo importante in Piemonte almeno sino al 1803, quando il clima politico del Consolato napoleonico finì per emarginare i democratici più radicali: dopo questa data, infatti, essi non ebbero più ruoli rilevanti nel sistema napoleonico 58. A

partire dal primo ottocento, il circolo piemontese si divideva sostanzialmente in due poli distinti: da una parte vi era una frangia che Stella definisce civile, formata, cioè, da persone laiche “aliene da indisponenti ostentazioni della religiosità” 59; dall’altra vi erano gli ecclesiastici, che avevano in cura le anime ed

erano seguiti da un laicato che guardava loro con rispetto e ammirazione. Al primo nucleo apparteneva innanzitutto il Conte Giambattista Somis di Chavrie, destinato a diventare grande amico di Enrichetta Blondel e di Manzoni 60: uomo di

origini piemontesi e di salda fede cattolica, era legato alla massoneria e faceva attivamente parte del circolo giansenistico piemontese insieme al fratello, il canonico Paolo Lorenzo Somis (1765-1803). Giambattista Somis si laureò in legge nel 1780 e quattro anni dopo fu aggregato al Collegio de’ Giureconsulti. Nel

53 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 6.

54 Francesco Ruffini, I Giansenisti piemontesi e la conversione della madre di Cavour, Torino:

Fratelli Bocca Editori, 1929, pp. 28-32.

55 Ibidem, p. 32.

56 Stella, op. cit. (2006), p. 45. 57 Ibidem, pp. 45-46.

58 Ibidem 59 Ibidem, p. 45.

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1786 fu nominato Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino; successivamente era stato convocato da Napoleone a Parigi perché partecipasse al corpo legislativo 61. Dopo le mansioni svolte a Parigi, ne rivestì

altre nel mondo giuridico in Savoia, a Genova e a Torino 62.

Tra gli appartenenti al secondo polo indicato da Stella vi erano invece proprio i giansenisti che si rivolsero al Degola per la conversione della madre di Cavour: Giuseppe Boyer (1763-1813), Michele Gautier (1738-1816), Benedetto Vejluva (1763-1836), l’abate Carlo Tardì, il canonico Marentini, il curato di San Rocco in Torino Giovanni Battista Giordano (1755-1836) e il suo vicario parrocchiale Giambattista Testa 63.

Il Boyer, professore di diritto all’Università Nazionale, ottenne la cattedra intitolata “Droit criminel et procedure civile et criminelle” 64: egli era conosciuto

negli ambienti ecclesiastici per le sue idee illuminate, come recita il suo elogio funebre pubblicato nel Courrier de Turin il 13 ottobre 1813 65. Grande importanza

aveva poi all’interno del Circolo piemontese l’abate Tardì, che fu confessore di Vittorio Amedeo III e precettore di sua figlia Maria Beatrice; egli, legatissimo alla casa regnante, non volle mai tradirla e quando ci fu l’occupazione francese venne deportato dal 1799 al 1800 66; la sua necrologia fu pubblicata nell’organo

principale del giansenismo parigino, la Chronique Religieuse, redatta quasi interamente dal Grégoire 67. Il Tardì fu infine nominato economo dei beni

ecclesiastici nel 1805 68.

Il Canonico Marentini, uomo coraggioso, in una data compresa tra il 1794 e il 1797 aveva preso le parti dell’allora giovane Carlo Botta, futuro storico e amico carissimo di Manzoni, che in quel tempo era stato arrestato per le sue opinioni politiche 69. Quando ebbe luogo il processo contro di lui, due dei giudici più ostili

alle idee rivoluzionarie che avrebbero dovuto trattare la sua causa si trovavano momentaneamente lontani da Torino: questo avrebbe dovuto implicare una

61 Carteggio Manzoni-Fauriel, p. 147. 62 Ibidem

63 Stella aggiuge altri nomi che però non ci interessano. Cfr. Stella, op. cit. (2006), p. 45. 64 Ibidem Cfr. Ruffini, op. cit. (1929), p. 37.

65 Ibidem, p. 33.

66 Stella, op. cit. (2006), p. 19. 67 Ruffini, op. cit. (1929), pp. 34-48. 68 Stella, op. cit. (2006), p. 40. 69 Ibidem, p. 49.

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dilazione del processo 70. Il Marentini però riuscì a farli sostituire con altri giudici

meno ostili. Egli ottenne importanti incarichi da Napoleone: nel 1808 fu eletto a Saluzzo quale rappresentante al Corpo legislativo e nello stesso anno fu incaricato di riorganizzare la Chiesa latina nelle Isole Ionie, oppressa da quella greca 71.

Successivamente, fu cappellano imperiale per Torino e Stupinigi e Vicario generale dell’arcidiocesi di Torino; nel 1813 divenne vescovo di Piacenza 72 e nel

1821 fu nominato da Carlo Alberto membro della Giunta provvisoria di Governo

73. La coppia Gautier e Vejluva era invece, per orientamento politico, molto vicina

a Grégoire e Degola: i primi due infatti, oltre ad aderire saldamente alla corrente giansenista e illuminata del tempo, avevano una fede incrollabile nelle idee gallicane ed episcopaliste. Tra i due riveste un ruolo importante nell’ambito del giansenismo piemontese il Gautier: egli partecipò al Sinodo di Pistoia del 1786 e tradusse i canoni e i decreti del Concilio nazionale di Francia (1798), pubblicandoli a Milano e a Vercelli. Alla vigilia del Concilio del 1801 a cui partecipò anche Degola, inviò una lettera da Torino manifestando le proprie idee in favore ad una rivalutazione dei preti di second’ordine 74. Questa mossa non ebbe però alcun successo: nell’arco delle importanti sedute a cui parteciparono pochissimi italiani, fu privilegiata la corrente episcopalista; questo portò il Gautier a scrivere “un’inutile memoria di vibrata protesta” 75. Nel 1799 Gautier fu

arrestato, forse per giacobinismo, insieme ad altri giansenisti, che però vennero liberati dopo la vittoria di Marengo. Dopo Marengo, Gautier fu nominato commissario del governo presso l’allora Università degli Studi di Torino 76.

Anche il Vejluva soffrì per le persecuzioni: quando in Piemonte l’esperimento di repubblica democratica si concluse con la repressione austro-russa, egli venne considerato causa dei disordini e fu perseguitato per via delle sue idee democratiche insieme a Filippo Amedeo Millo e Paolo Lorenzo Somis 77.

Filogiansenista legato al mondo piemontese era poi il già nominato Carlo Botta, che nella sua Storia d’Italia dipingeva nel modo più lusinghiero Scipione de’

70 Ibidem

71 Stella, op. cit. (2006), pp. 40-41. 72 Ibidem

73 Ibidem, pp. 50-53. Cfr. Stella, op. cit. (2006), p. 34. 74 Stella, op. cit. (2006), p. 37.

75 Ruffini, op. cit. (1929), pp. 54-56. 76 Stella, op. cit. (2006), p. 35. 77 Ibidem, p. 34.

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Ricci, forse anche in nome di una personale riconoscenza per l’aiuto ricevuto in giovane età dal Marentini 78. Come si è visto, il Botta conosceva Manzoni da

tempo: lo storico era amico del Fauriel già dal 1802, e nel 1806 aveva partecipato ad una discussione in casa Manzoni sulla storia contemporanea che lo spinse a concepire un’opera importantissima per la formazione dello scrittore, la Guerra di indipendenza degli Stati Uniti d’America 79.

Il gruppo piemontese, a sua volta, aveva intessuto ottimi rapporti con quello lombardo, che annoverava tra i suoi componenti Gaslini, Luigi Tosi e Gaetano Giudici, oltre a Zola e Tamburini che Manzoni aveva probabilmente conosciuto a Pavia. Il Degola, grazie al suo attivismo, divenne ben presto centro di attrazione attorno al quale gravitavano moltissimi giansenisti, appartenenti a tutt’Italia: paricolare amicizia egli ebbe con il Palmieri, con Benedetto Solari vescovo di Noli, con il toscano De Vecchi, che tra i giansenisti, insieme al Gautier, aveva idee più intonate alle sue 80. L’epistolario Tosi-Degola, studiato ampiamente dal

Bondioli, mostra come Tosi stesso, Palmieri, Solari, Gaslini, Somis appartenessero a quel movimento tutt’altro che organico, che faceva perno sulla figura del Degola 81.

Tra i nomi che si è citati vale la pena di precisare qualcosa su Solari, De Vecchi, e soprattutto su Gaetano Giudici che era di casa presso i Manzoni 82.

Benedetto Solari era grande amico di Degola e di lui Manzoni sentì necessariamente parlare. Egli fu una figura molto importante del giansenismo ligure, di cui la critica prima dello Stella sottovalutò il valore; si trattava invece di un uomo di grande spessore, degno di figurare accanto al Degola 83. Professore

dell’università di Genova, ebbe un carattere schivo e fu sempre poco propenso ad ed esporsi prendendo attivamente parte alla politica, come era solito fare il Degola del periodo giovanile 84. Solari era un tomista a proposito dei temi della grazia e

non aderiva incondizionatamente né all’agostinismo né alle idee del Tamburini;

78 Stella, op. cit. (2006), p. 50.

79 Armando Saitta, Storia e letteratura: raccolta di studi e testi. Momenti e figure della civiltà

europea. Saggi storici e storiografici, III, Roma: Edizioni di Storia della letteratura, 1994, pp. 111-112.

80 Cfr. Mario Rosa, Il giansenismo nell'Italia del Settecento, Roma: Carocci, 2014, pp. 143-145;

Eustachio Degola, il clero costituzionale, pp. 3-26.

81 Cfr. Bondioli, op. cit. (1936), pp. 75-110. 82 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 2.

83 Stella, op. cit., (2006), p. 59. 84 Ibidem, pp. 63-65.

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contrariamente al Degola, non fu nemmeno sostenitore di Scipione De Ricci ed ebbe le sue perplessità sui risultati del Sinodo Pistoiese 85. Il suo atteggiamento

nei confronti del giansenismo mutò nel 1790-91, quando fece conoscenza con il savoiardo Caffe, aderente alle idee convulsionarie e al figurismo giansenista. Del Caffe era noto che avesse presenziato alla crocifissione di un giovane, chiamato ad assurgere a simbolo di Cristo e della verità crocifissa 86. L’interesse per il Caffe

segnò l’inizio dell’amicizia tra Degola e Solari: il primo infatti colse l’occasione per mettergli tra le mani il Nouveau Testament en François avec des réflexions morales di Quesnel 87. La loro amicizia si mantenne intatta sino alla morte di lui

ed ebbe come cemento il gallicanismo, l’opposizione alla bolla Auctorem Fidei, la collaborazione agli interventi sugli “Annali ecclesiastici” 88.

Il De Vecchi, esponente del giansenismo toscano, era amico sincero del De Ricci: fu un giansenista “pauroso ed astratto sognatore” ed incarnava perfettamente il “nicodemismo” dei suoi tempi 89. Approvava la Costituzione del Clero, ma si

azzardò ad esprimere questo parere soltanto in una lettera privata, ricordando così da vicino il nostro Manzoni 90. Proprio nel suo nicodemismo il De Vecchi si differenziava dal Degola, ma non nelle idee, a proposito delle quali, invece, si può osservare una certa vicinanza tra i due. Anch’egli, come Degola e il De Ricci, aveva a cuore il tema giansenistico della verità crocifissa e nutriva speranze millenaristiche 91, a cui l’abate genovese si appassionò moltissimo negli ultimi

anni della sua vita: ebbe con lui il progetto di recarsi in Francia tra il 1796 e il 1797 per un concilio nazionale a cui il De Vecchi alla fine non partecipò 92.

L’epistolario Degola-De Vecchi dimostra tutta l’attenzione che il secondo ebbe per l’esperimento, in cui tanta parte ebbe il primo, della Repubblica Ligure. Nelle ultime lettere al Degola, De Vecchi biasimava l’accettazione semplice e pura dell’Auctorem fidei da parte del De Ricci, il trionfo del gesuitismo, criticava il codice napoleonico 93. Quel che più importa, il De Vecchi condivideva quel punto

cardinale del giansenismo polemico di Degola che fa leva sul pessimismo dettato

85 Ibidem 86 Ibidem, p. 60. 87 Ibidem 88 Ibidem, p. 63.

89 Rosa, op. cit. (2014), p. 199. 90 Ibidem

91 Sui rapporti tra Degola, De Ricci, De Vecchi si veda Rosa, op. cit. (2014), pp. 200-203. 92 Ibidem

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dall’ “oscuramento della verità”: tale pensiero, come si vedrà, giunse anche a Manzoni stesso 94, che probabilmente lo riassemblò nel magma creativo del

proprio genio poetico.

Infine sembra giusto parlare di Gaetano Giudici, abate giansenista e massone, allievo del Seminario generale di Pavia e insegnante di storia ecclesiastica e diritto canonico: nel 1797 aveva proposto teorie di conciliazione tra religione, democrazia e tolleranza religiosa. Il suo nome nel mondo dei giansenisti è segretamente legato agli pseudonimi di Agatopisto Filarco e Agostino Del Monte, dei quali egli si avvalse per partecipare alle dispute polemiche su politica e fede che tenevano impegnati i giansenisti 95. Per quel che ci interessa, il Giudici prese

parte ad un duro scontro polemico aperto dall’ambiguo scritto di Nicola Spedalieri, Dei diritti dell’uomo, che si rifaceva polemicamente alle idee del Tamburini 96: in gioco era anche il titolo di “giacobino” usato come un insulto, il

quale rimbalzava da un fronte all’altro; accanto ad esso giansenisti e gesuiti, antigiansenisti e filogiansenisti rivendicavano per sé i concetti di “vera libertà” 97

e di “vera uguaglianza” 98, giudicando falsate e fallaci le idee del fronte opposto e dialogando di fatto in modo ambiguo e contraddittorio con gli ideali e gli eventi della rivoluzione francese 99. Ai nodi di questa disputa si intersecava

necessariamente la questione del Clero Costituzionale che, come nota Ruffini, creò ulteriori frammentazioni nel mondo ecclesiastico, favorendo il consolidamento di più atteggiamenti contrastati tra loro: c’era chi guardava favorevolmente ai costituenti, come Degola e Grégoire, incrollabilmente schierati dalla loro parte 100, altri, fra cui Tamburini, che ambiguamente cercavano di non

scontrarsi con nessuno dei due schieramenti, ed altri ancora infine nettamente contrari, che andavano ad alimentare le fila del movimento controrivoluzionario. Di fronte ad una situazione difficile che doveva confrontarsi con gli orrori del Terrore, di fronte alle accuse durissime del Cuccagni che allargava il famigerato titolo di giansenista ad atei, deisti e calvinisti, attribuendo a tutti loro la

94 Ibidem, p. 204.

95 Luciano Guerci, Uno spettacolo non mai più veduto nel mondo. La rivoluzione francese come

unicità e rovesciamento negli scrittori controrivoluzionari italiani (1789-1799), Torino: Utet, 2008, pp. 163-183.

96 Rosa, op. cit. (2014), p. 210. 97 Guerci, op. cit. (2008), pp. 120-183. 98 Ibidem

99 Rosa, op. cit. (2014), pp. 210-211.

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responsabilità di un complotto “rivoluzionario” ai danni della Chiesa 101; di fronte

alla reiterazione di tali falsità ad opera dell’ex gesuita Gustà, Giudici-Filarco dovette muoversi con cautela e scelse una strada ambigua: il Giudici “si era costretto a riconoscere” - scrive Rosa - “diversamente dal Tamburini, la natura usurpatrice dell’Assemblea nazionale” 102 e:

“ribadiva la necessità dell’obbedienza che si doveva ad essa quale forma di governo: un’obbedienza che non aveva niente a che vedere con il giacobinismo, in quanto altro era una maniera di pensare “sediziosa”, appunto il giacobinismo, altro era obbedire al potere politico nella “esteriore disciplina della Chiesa” (...)” 103.

Queste parole spiegano i contenuti di una Lettera… all’autore delle Lettere teologico-politiche, risposta del Giudici al Bolgeni: ad essa ne seguì una seconda, in cui Giudici-Filarco giustificava la posizione dei costituzionalisti, sottolineando il dovere di obbedienza nei confronti dell’Assemblea “usurpatrice” e attingendo così alla secolare tradizione giansenista 104. Queste lettere inquadrano quel

meccanismo complesso, mediante il quale i giansenisti dell’epoca da un lato si ispiravano alla rivoluzione, acquisendone lo spirito rivoluzionario e liberale, dall’altro, apertamente, se ne discostavano, biasimando di essa ciò che era l’ateismo, la spregiudicatezza, l’ “oscurantismo” 105. Questa digressione sul

pensiero di Giudici è sembrata utile perché essa introduce un paragrafo successivo su Manzoni e Degola, collocato nell’ultima parte del presente lavoro 106.

L’amicizia fra Giudici e i Manzoni si cementò perché il Giudici divenne un parente acquisito del Tosi: un fratello del canonico bustese sposò infatti la sorella di Gaetano. Il Tosi si incontrava ogni domenica in casa del Giudici con Grossi, Porta e Torti e a queste riunioni partecipò talvolta Manzoni stesso 107.

101 Rosa, op. cit. (2014), p. 211.

102 Dopo che i fatti del Terrore, i giudizi che i giansenisti diedero su di essa non furono univoci;

accadde spesso che un giansenista rinnegasse in seguito un giudizio positivo precedentemente espresso su quegli eventi.

103 Ibidem, p. 212. 104 Ibidem 105 Ibidem 106 Ibidem

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Quella che sinora è stata compiuta è una panoramica tutt’altro che esaustiva dei giansenisti italiani e francesi, e risponde all’intento di aprire una finestra sul mondo con cui i Manzoni finirono per interagire. Aver presente questo quadro generale è veramente importante per la storia che qui si sta ricostruendo: molti dei giansenisti francesi compaiono come testimoni nell’atto di abiura di Enrichetta Blondel; gli epistolari di Manzoni, Degola e Tosi, invece lasciano intendere fino a che punto lo scrittore entrò in contatto con il giansenismo piemontese e lombardo: essi sono stati già proficuamente studiati dagli studi fondamentali del Ruffini e del Bondioli, ai quali si rimanda 108.

2.11. IL PRIMO INCONTRO CON I GIANSENISTI

PARIGINI E CON IL DEGOLA

Inizialmente l’incontro con i giansenisti parigini dovette fare presa soprattutto su Enrichetta, che, in virtù della sua educazione religiosa e della severa concezione della vita che il calvinismo imponeva 109, poté trovarsi più a suo agio in casa

Geymüller che alla Maisonnette o ad Auteuil, dove veniva professata libertà di pensiero e di costumi 110.

Le fonti indicano che grande importanza nella conversione di Enrichetta ebbero il catechista Eustachio Degola e il conte Giambattista Somis 111. Enrichetta lo conobbe insieme alla Geymüller, com’è stato detto, e fu probabilmente lui a presentarle l’abate genovese 112. Giambattista Somis all’epoca era intimo

frequentatore del gruppo giansenistico piemontese, il quale intratteneva stretti rapporti con il gruppo parigino, capeggiato dal Grégoire 113. Ora, anello di

congiunzione tra la frangia giansenistica francese da una parte e quella italiana

108 Stella, op. cit. (2006), p. 45. Cfr. Pio Bondioli, Manzoni e gli Amici della Verità. Dalle carte

inedite di Luigi Tosi, Milano: Istituto di di Propaganda libraria, 1936, passim.

109 Cfr. Tonelli, op. cit. (1935), pp. 104-116. 110 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 197. 111 Tonelli, op. cit. (1935), pp. 104-116.

112 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 196. Secondo il Guidi l’incontro avvenne attraverso il Fauriel. Il

Guidi sostiene anche che fu Giulia Beccaria e non Enrichetta a chiedere l’aiuto di Somis. Cfr. Guidi, op. cit. (1929), p. 12.

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dall’altra era l’abate genovese Eustachio Degola. Era perciò inevitabile che i Manzoni lo incontrassero.

Il Cantù racconta 114 che durante un’animata discussione a sfondo religioso in casa

dell’Agier, il conte Somis, di fronte a tutti i sarcastici motteggi che erano stati fatti sull’esistenza di Dio, si fosse alzato in piedi e avesse dato una risposta semplice ed icastica: “Ed io vi credo”. Tra quelle forti parole Enrichetta poté scorgere la fermezza di un credo potente, e, spinta dal desiderio di conoscere la religione cattolica, avrebbe deciso di avvicinare il conte e di chiedergli che la istruisse sui suoi dogmi. Egli – scrive Cantù – sentendosi impreparato a tale compito, suggerì ad Enrichetta di rivolgersi al Degola” 115.

Non è dato sapere di sapere se le cose andarono come racconta il Cantù: si può però facilmente ipotizzare, forse anche per il merito attribuito al Somis dal Degola nel discorso dell’abiura di Enrichetta, che l’intervento del conte non dovette fermarsi a questo piccolo scambio, ma che consistette in più conversazioni, forse concitate e numerose 116. Il Degola infatti, dopo aver tracciato l’intero iter del

percorso spirituale di Enrichetta Blondel, scrive chiaramente che furono i “conseils” del conte e i suoi “avis” ad illuminare Enrichetta e ad incoraggiare i suoi primi passi verso il cattolicesimo. L’uso del plurale non lascia intendere diversamente.

Per questa ragione si dovrebbe dare più credito alla testimonianza di Chiala, su cui ha attirato l’attenzione Arieti 117. Chiala offre un resoconto diverso da quello del

Cantù e scrive che sarebbe stata Giulia Beccaria a chiedere al Somis di guidare Enrichetta nei suoi passi verso la religione cattolica.

114 Cesare Cantù, Alessandro Manzoni. Reminiscenze. Seconda edizione per il centenario di

Alessandro Manzoni, Milano: Fratelli Tréves, 1885, I, pp. 61-62. Questo aneddoto è dato per certo dalla Chiomenti Vassalli e recentemente da Boneschi: a fine ottocento ne parlò de Gubernatis nel suo Studio Biografico, rifacendosi a diverse fonti tra cui il Lomenie (Angelo De Gubernatis, Alessandro Manzoni, Studio biografico. Letture fatte alla Taylorian Institution di Oxford nel maggio dell'anno 1878, notevolmente ampliate, Firenze: Successori di Le Monnier, 1879). Poiché si tratta di una fonte quasi agiografica, giustamente Ruffini è molto più cauto nell’accogliere la notizia.

115 L’aneddoto viene raccontato da De Gubernatis nel suo Studio biografico, che si rifà al Lomenie.

Cfr anche Boneschi, op. cit. (2005), p. 246; Chiomenti Vassalli, op. cit. (1959), p. 142.

116 Cfr. Guidi, op. cit. (1929) pp. 3-22.

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Secondo Chiala alla conversazione con il Somis, che avvenne in casa Manzoni 118,

erano presenti anche Fauriel e due scienziati stranieri, uno inglese l’altro danese. Scrive Chiala:

“Conversando un giorno costoro, e cadendo il discorso sulla religione, tutti i membri del crocchio, che n’erano certo spasimanti, la tartassarono senza pietà. Ma il Somis, il quale poteva parlarne da teologo, e che sinceramente l’amava, prese a difenderla con ardenza. Riappiccata in appresso la disputa, la cosa andò nel segno, che si convenne, che il Somis esporrebbe ogni giorno un qualche più controverso punto di fede cattolica; lo proverebbe e difenderebbe dagli attacchi dei poco affezionati confabulatori. Enrichetta Blondel, la quale in compagnia della suocera, occupata in donneschi lavori, pur dava retta alle convincenti ragioni del piemontese maestrato, fu la prima a sentir amore pel cattolicismo. Ed ecco un giorno donna Giulia, che va in casa del Somis, e gli dice: – Sapete? La nostra Enrichetta si vuol fare cattolica: vorreste voi incaricarvi della sua istruzione? – Non è a dire quanto il Somis godesse di quella notizia; ma fosse modestia o riservatezza, declinò la proposta di farsi maestro di religione alla giovane sposa. Si profferì tuttavia di cercare un degno sacerdote che la catechizzasse: e il trascelto a ciò fu l’abate Dégola genovese” 119.

Ulteriori indizi, che confermerebbero il resoconto di Chiala, sono costituiti dalla testimonianza stessa di Degola, che nel discorso di abiura per Enrichetta Blondel rileva anche la collaborazione di Alessandro e Giulia nelle scelte religiose di Enrichetta 120. Degola ringrazia infatti la volontà di Dio per aver stabilito (per

prescienza) l’incontro tra la giovane calvinista e i Manzoni: ai suoi occhi essi erano i membri di una famiglia, cresciuta nel seno della chiesa cattolica, che, pur avendo per un periodo abbracciato l’incredulità, aveva potuto divenire strumento della misericordia di Dio, inducendo Enrichetta a dubitare del proprio credo calvinista: “Des personnes, qui dans d’autres temps vous auraient distraite de

118 Colombo, op. cit. (1991), p. 56.

119 Luigi Chiala (Serie di biografie contemporanee, Torino: Tipografia diretta da P. De-Agostini,

1853, I, pp. 328-329) citato da Arieti in Tutte le lettere, I, p. 860.

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toute idée de conversion, ont été dans la main du Seigneur des instruments de miséricorde pour vous” 121.

Come nota Ulivi, queste parole sono di fondamentale valore e costituiscono una testimonianza estremamente significativa, perché dimostrano quanto importante fu il ruolo svolto dai Manzoni nel cambiamento di Enrichetta, ruolo che essi poterono interpretare in quanto “cambiati” anche loro. Poiché secondo Degola raramente l’adesione alla fede è un miracolo improvviso, ma più spesso prende forma in un lento “prodigio”. L’espressione evidenziata in grassetto (ont été dans la main du Seigneur des instruments de miséricorde pour vous), motivo tipico del linguaggio giansenistico, non vuole affatto indicare una mutazione improvvisa. L’interesse religioso di Manzoni, come scrisse Ulivi, “venisse estendendosi gradualmente, al di fuori di una propria, letterale conversione” 122.

Alle pressioni della famiglia Manzoni – scrive ancora Degola - si opponevano quelle esercitate dal calvinismo dei genitori Blondel, a proposito delle quali osserva l’abate genovese:

“Vous aviez à combattre avec la chair et le sang, mais Dieu vous faisant respecter les bornes que sa Loi sainte a prescrites aux affections les plus légitimes, vous donna de concilier les égards civils que vous deviez à vos parents avec les soins religieux que vous deviez à vous-même” 123.

Divisa tra tante spinte contrastanti, Enrichetta era stata portata dalla Grazia di Dio - continua l’abate - a voler fare chiarezza in se stessa, ed è a questo punto che il Degola colloca l’intervento determinante del Conte Somis, da lui paragonato ad Eusebio di Cesarea. Il Conte, da laico proprio come Eusebio prima che diventasse vescovo 124, era stato in grado di difendere la fede cattolica di fronte alle

121 Eustachio Degola, Exhortation à une nouvelle Catholique le jour de son Abjuration du

calvinisme l’an de grâce 1810 22 Mai à Paris. Cito sempre da Giulio Salvadori, Enrichetta Manzoni-Blondel e il Natale del '33, Treves, 1929, p. 96. L’espressione sottolineata in grassetto è un motivo tipico del linguaggio giansenistico a cui la famiglia Manzoni, come si vedrà, si conformò.

122 Ulivi, op. cit. (1984), p. 126.

123 Exhortation à une nouvelle catholique, p. 96.

124 Diverse fonti del tempo si riferiscono ad Eusebio come laico, tra cui anche Giuseppe Agostino

Orsi nella sua storia ecclesiastica, pubblicata nel 17512 che molto probabilmente Degola aveva

presente. Cfr. Della istoria ecclesiastica descritta da F. Giuseppe Agostino Orsi (…), vol. 6, XV, p. 351.

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intelligenti e incalzanti obiezioni di Enrichetta, ed era stato per lei consigliere proprio come l’antico storico lo fu per Costantino:

“Après quelques incertitude vous désirâtes de vous éclairer. Ce désir, qu’heureusement des passions trop séduisantes ne troublaient pas, reçut des impulsions nouvelles dans les exemples et les avis d’un Ami Chrétien. Ce Magistrat respectable a été pour vous comme un autre Eusèbe de Constantinople, l’illustre laïc dont l’histoire vous est connue: car, comme lui, en défendant l’intégrité de la foi que vous méconnaissiez, il vous aida de ses conseils, il encouragea vos premières démarches, il s’intéressa avec l’empressement le plus soutenu à votre retour au bercail du bon Pasteur” 125.

A ritenere che siano state più di una le conversazioni con il conte è innanzitutto il Fossi, secondo cui Enrichetta incontrò la Geymüller già agli inizi del 1809 e, dopo averla messa a parte del proprio dramma spirituale 126, iniziò con lei quelle

discussioni a sfondo religioso che proseguirono con il conte Somis 127. Per quanto non ci siano prove che attestino gli scambi avvenuti tra la Geymüller ed Enrichetta in questo periodo, l’ipotesi del Fossi sembra plausibile.

Degola sottolinea con quale zelo e premura il Somis si dedicò ad Enrichetta: gli epistolari offrono conferma e dimostrano che egli continuò ad avere a cuore la vita religiosa di Enrichetta anche dopo la conversione: il conte seguì infatti con interesse il suo percorso anche dopo che la ebbe affidata al Degola. Lo attesta la lettera che egli scrisse all’abate il 28 giugno del 1810.

Essendosi da poco verificata l’abiura, il conte, preoccupato, informa il Degola della terribile reazione che la notizia di quell’evento aveva scatenato in casa Blondel:

“Ieri stesso la signora Enrichetta ha ricevuto due lettere da Milano, che hanno messo in costernazione la sua tenera affettuosissima anima. La nuova dell’abiurazione ha eccitato nello spirito della madre un tumulto, un incendio, una smania. La nostra virtuosa cattolica soffre tormento indicibile

125 Degola, Exhortation à une nouvelle catholique, p. 81.

126 Si ricordi che proprio in questo momento, come ha congetturato Ruffini, avevano luogo le

numerose discussioni sul battesimo!

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nell’urto delle sante irritrattabili sue risoluzioni, e dei sentimenti figliali ispirati dalla natura. Aiutatela voi con ferventi preghiere, e con savi consigli. Io penso, che quanto più presto potrà ricevere i santi sacramenti, compreso quello della Confermazione, la si sentirà più robusta: ma non appartiene a me di insegnare dove non so nemmeno essere abbastanza pusillo” 128.

Che le conversazioni iniziali con il conte ebbero grande importanza per Enrichetta, lo testimonia anche l’esistenza di una postilla annotata da Teresa Stampa a margine di una lettera inviata da Somis a Manzoni: “Dègola e Promis (sic) che fecero, anzi aiutarono la cara Enrichetta ad abbracciare il cattolicismo”

129. È possibile però che Enrichetta non sia stata la sola a ricevere dal Somis

illuminanti consigli. De Gubernatis ipotizza che alle discussioni con il conte Somis abbia preso parte anche Manzoni e che le riflessioni del giansenista abbiano avuto qualche influenza anche sul suo animo: “è possibile, anzi probabile, che il conte Somis abbia preso parte col Manzoni in casa Geymüller ad alcuna discussione religiosa, e che egli abbia pure adoperato alcuni argomenti che abbiano fatta qualche impressione sull’animo di Manzoni” 130. L’ipotesi è certo

suggestiva, ma non ci sono abbastanza elementi per suffragarla.

Come aveva già suggerito il Cantù, nonostante la fermezza della sua fede, il conte Somis sentiva però di non essere l’uomo adatto ad istruire Enrichetta sul cattolicesimo e, perciò, la indirizzò al Degola 131.

Secondo diverse fonti, i Manzoni fecero conoscenza con il conte Somis soltanto nella primavera del 1810 132. Se questo fosse vero, si dovrebbe posticipare di

diversi mesi l’incontro con Degola, rispetto alla data ipotizzata da Ruffini. C’è però da dire che nessuna delle fonti, di cui io sia a conoscenza, motiva con delle prove questa datazione. Inoltre, ritenere che quest’incontro avvenne soltanto a fine marzo 1810, come fa il Guidi, restringerebbe in modo inverosimile i tempi in cui Enrichetta, conversando con il Somis, dovette prendere la decisione di affidarsi

128 Carteggio, p. 212.

129 Guidi, op. cit. (1929), p. 11.

130 Angelo De Gubernatis, Eustachio Degola. Il Clero Costituzionale e la conversione della famiglia

Manzoni, 1882, p. 481.

131 Così scrive Ruffini (op. cit. 1931, I, p. 197).

132 Il Guidi (op. cit. p. 12) da per scontato che i Manzoni conobbero Somis nello schiudersi della

primavera del 1810. Sforza e Gallavresi (Carteggio p. 212) datano genericamente l’incontro nel 1810 e così fa anche sorprendentemente Irene Botta, autrice delle note al Carteggio Manzoni-Fauriel (op. cit. p. 147), opera pubblicata di recente!

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alle cure del Degola: considerato che il 9 aprile del 1810 erano iniziate le conferenze con l’abate genovese, seguendo il Guidi, si dovrebbe credere che ad Enrichetta bastarono poco più di due settimane per incontrare Somis, discutere con lui fino ad abbracciare la religione cattolica e infine abbandonarsi al Degola. È molto più probabile che anche questa volta abbia ragione Ruffini 133 quando

dilata i tempi, ritenendo che Enrichetta poté conoscere Degola nell’ottobre del 1809, e che, quindi, il primo incontro con Somis dovette avvenire precedentemente 134. Nell’ottobre di quell’anno infatti l’abate genovese era giunto

a Parigi, insieme al giansenista ligure Carrega 135 e al Vejluva, per riunire la

comunità giansenistica al fine di condurla in pellegrinaggio alle rovine di Port-Royal, presso Madame Desprez: la partenza era prevista per il 29 ottobre 1809 136.

Come sostengono Ulivi e Ruffini, giunsero molto probabilmente alle orecchie di Manzoni echi del discorso che fu tenuto da Degola sulle sacre rovine nel centenario della loro distruzione; la famosa orazione, trascritta e pubblicata parzialmente da Ruffini, non è soltanto una delle più belle pagine del giansenismo del Tramonto 137, ma è anche la più lucida e chiara confessione delle idee giansenistiche di Degola, così radicate nella storia della diroccata abbazia 138.

Notizie di quel discorso poterono forse arrivare ai Manzoni dagli ambienti del circolo giansenistico parigino e, se così fosse, tali ragguagli offrirono ai Manzoni la migliore presentazione di quell’uomo prima ancora di incontrarlo 139.

Il Degola, preparatissimo in questioni teologiche, era considerato un vero esperto in materia di conversioni delle anime e avrebbe potuto offrire ad Enrichetta, desiderosa di informarsi sulla religione cattolica, tutto il sostegno e tutti i consigli richiesti 140. La moglie di Manzoni veniva certo esortata ad affidarsi al Degola

anche dalla devota madame Geymüller, che poteva far leva sulla propria

133 Danno ragione a Ruffini recentemente anche la Ginzburg (op. cit. (1983), p. 28) e Boneschi (op.

cit. (2005), p. 246).

134 Su questo punto è irremovibile anche Bacci che nota come questo calcolo fu fatto innanzitutto

dal Salvadori.

135 Tra i giansenisti liguri il Carrega fu l’unico che i Manzoni conobbero personalmente. Per

approfondire il dipanarsi del movimento in Liguria: Stella, op. cit. (2006), pp. 53-83. Cfr. Bondioli, op. cit., (1936), pp. 97-98.

136 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 197.

137 Marina Caffiero, voce “Degola, Eustachio” in Dizionario biografico degli Italiani, Roma: Istituto

della Enciclopedia italiana, 36, 1988, pp. 178-186.

138 Cfr. Tonelli, op. cit. (1935), pp. 113-114. 139 Ulivi, op. cit. (1984), p. 117.

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esperienza personale: ella, inizialmente calvinista, si era infatti convertita al cattolicesimo grazie alle cure e all’opera del catechista genovese che, dopo il lungo iter previsto dalla prassi giansenistica, l’aveva giudicata idonea per l’abiura, avvenuta il 4 marzo dell’anno 1805 141.

Sinceramente persuasa dalle virtù dell’abate genovese, la Geymüller aveva affidato alle cure del Degola anche i figli, Rodolfo Teofilo e Luca, i quali seguendo l’esempio della madre, si convertirono al cattolicesimo pronunciando il loro discorso di abiura in tempi separati: l’abiura del primo avvenne il 14 agosto 1806 a Noli, quella del secondo il 5 giugno 1808 a Genova 142. Le parole del

Somis e quelle della Geymüller valsero tanto da convincere Enrichetta ad iniziare quel medesimo percorso.

141 L’atto di abiura, ottenuta grazie all’autorizzazione del cardinale arcivescovo di Parigi J. B. De

Belloy e stilata di pugno dalla Geymüller è un documento breve che vale la pena di essere riportato interamente: “Appelée par la grâce toute puissante de Dieu à rentrer dans le sein de l’ Église, je reconnais les erreurs de la secte calviniste, dans laquelle j’ai eu le malheur d’etre élevée, je les déteste sincèrement, et désormais je veux, par le secours de la divine miséricorde, vivre dans le sein de l’ Église Catholique qui est la colonne de la vérité; je crois fermement tout ce que l’ Église Catholique enseigne, je condamne tout ce que cette même Église condamne; je désire d’abjurer l’hérésie calviniste, déterminée très-volontairement et très-librement à cet acte, par le seul motif de procurer la gloire de Dieu et d’opérer mon salut éternel; je prie l’ Église de recevoir par votre ministère mon abjuration, et à me recevoir dans son sein au nom de la charité de Jésus Christ” (Cito da Carteggio, I, p. 201). Ad essa si affianca il documento rilasciato da Dégola nell’archivio dell’arcivescovo di Parigi, dove si testimonia l’avvenuta abiura di Madame Marie Anne Caroline Kall. Il documento è seguito dalle firme dei più importanti appartenenti al circolo giansenistico parigino i quali avevano presenziato l’atto di abiura; tra essi non mancavano i vescovi Saurine, Debertier, Grégoire, Molinier e Baillet, curato della Chiesa di Saint Sevérin (Eustachio Degola, il clero costituzionale, pp. 429-430). Dell’avvenuta abiura di Madame Geymüller Degola aveva dato notizia al Le Coz con una lettera del 13 maggio 1805 dove gli scrive “La dame calviniste que vous vites chez Mme Desprez a fait son abjuration le premier lundi de

carême et je l’ai lu à cette occasion un discours que les circonstances particulières ne m’ont pas permis de livrer à l’impression comme on me le demande.” Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 198.

142 Ibidem, p. 436. Aver fatto presente questa storia è merito del De Gubernatis. Cfr. Stella, op.

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2.12. IL METODO CATECHISTICO DEL DEGOLA: LE

CONFERENZE, L’ABIURA DI ENRICHETTA BLONDEL,

I RÉGLEMENTS

L’abiura di Enrichetta del 22 maggio 1810 143 segnò il definitivo coronamento di

quel processo interiore e spirituale che coinvolse l’intera famiglia e che avvenne nel seno del giansenismo 144. Il metodo catechistico, che Degola aveva messo a

punto, era nato proprio con la conversione della Geymüller e fu perfezionato in seguito. Dopo l’abiura della Geymüller, il Degola si era allontanato da Parigi per ricominciare uno dei suoi lunghi viaggi attraverso l’Europa, in compagnia del Grégoire 145. La Geymüller, rimpiangendo le cure dell’abate genovese, chiedeva al

Degola ulteriori consigli e direttive per la sua futura vita spirituale:

“Pressé par la poste, Mr le Curé 146 n’a pas jugé à propos de me donner des

directions fixes pour mes lectures et l’emploi de ma journée; il attend cela, mon père, de votre extrême charité; après que je l’aurai reçue, il m’en appliquera plus particulièrement l’imposition. Daignez me la donner avec vos conseils, vos pensées, vos reproches sur mes manques; ils m’ont été si salutaires, que tout en est mis à profit et que tout ce que vous dites dans le tribunal se retrace à mon esprit avec une force particulière” 147.

Il Degola, allora, accolta la richiesta con gioia, le inviò un Instruction e dei Réglements, che gli servirono in seguito per tutte le successive conversioni da lui compiute, tra cui anche quella di Enrichetta. Questo viene testimoniato da una nota, che il Degola appuntò sul foglio esterno del fascicolo dell’ Instruction et Règlement à une néophyte di cui conservava una copia. Nella nota compaiono i

143 Colombo, op. cit. (1991), p. 59. 144 Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 194-195.

145 Il viaggio è documentato dal Diario di Degola pubblicato parzialmente dal De Gubernatis. 146 De Gubernatis non indica il parroco a cui, dopo Degola, la Geymüller si affidava; viene però in

mente che possa trattarsi di Paul Baillet, curato della chiesa di Saint Séverin dal 1802. La Geymüller infatti non soltanto era parrocchiana di quella chiesa, ma si teneva in contatto col suo parroco per corrispondenza. Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 104; 153.

147 La lettera è stata pubblicata da Angelo De Gubernatis. Eustachio Degola, il clero costituzionale,

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nomi di tutte le persone da lui seguite nel percorso di conversione e abiura e per ultimo si legge il nome di Enrichetta Manzoni Blondel 148.

Una volta presa la decisione di affidarsi al Degola, la giovane si sottopose ad un percorso di conversione scandito in più tappe, che divenne famoso nel mondo giansenistico del tempo. Il metodo catechistico del Degola, dopo l’esperienza con la Geymüller, si strutturò in tre momenti distinti 149:

a) Il primo momento era dedicato alle lunghe conferenze di cui si è appena parlato: il neofita era tenuto a redigere per iscritto il contenuto di quelle lezioni registrando anche le proprie impressioni; il Degola doveva poi correggere quell’elaborato 150.

b) Il secondo momento consisteva invece nell’accoglimento dell’abiura, che doveva avvenire in Chiesa e secondo un rito preciso. Il neofita faceva atto di abiura davanti a dei testimoni pronunciando una formula (la stessa recitata dalla Geymüller) che veniva registrata da un documento. Alla confessione di abiura seguiva il discorso parenetico del Degola, che dopo esser stato pronunciato, veniva anch’esso redatto per iscritto 151.

c) Nell’ultimo momento del processo di catechesi, il Degola svolgeva il ruolo di direttore spirituale rilasciando ai suoi catecumeni l’ Instruction e i Réglements, che avrebbero dovuto dare loro le regole a cui affidarsi per scandire la loro nuova vita spirituale 152. Come si vedrà, in questo ultimo

momento stabilito dal “metodo Degola”, il processo di catechesi di

148 La nota, pubblicata da De Gubernatis è la seguente: “Anna Maria Carolina, nata 25 maggio

1767; 1° conferenza a Port Royal, 11 ottobre 1804; abiurò il calvinismo in Parigi, 4 marzo 1805; battezzata per sicurezza dal rev.mo Grégoire; confermata in San Severino Festum Sanctae

Trinitatis, giugno 1805; ricevette la SS. Eucarestia in San Severino 13 giugno 1805. Rodolfo Teofilo Eustachio Geymüller, nato il 9 aprile 1789; recato in Genova l’autunno 1805; abiurò il calvinismo in Noli 14 agosto 1806; battezzato per sicurezza la sera del 14 detto anno; confermazione e prima comunione, li 15 detto anno. Gio. Luca di lui fratello, nato il 2 settembre 1790; mandatomi da Ginevra; abiurò il calvinismo in Genova, 5 giugno 1808. Enrichetta Blondel abiurò il calvinismo li 22 maggio 1810 in Parigi”. Eustachio Degola, il clero costituzionale, p. 437.

149 Ruffini, op. cit (1931), I, p. 212. 150 Ibidem

151 Ibidem 152 Ibidem

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