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Capitolo 2 La vulnerabilità sismica delle costruzioni in calcestruzzo armato

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Capitolo

2

La vulnerabilità sismica delle costruzioni

in calcestruzzo armato

Da quanto trattato al capitolo precedente, si evince che la strategia più concreta di mitigazione del rischio sismico non può che focalizzarsi sulla vulnerabilità dell’edificato esistente, attraver-so un’azione sistematica di prevenzione strutturale finalizzata all’individuazione di interventi mirati, che consentano un uso ottimale delle limitate risorse disponibili, nell’ottica di una ne-cessaria sostenibilità economica.

Nel presente capitolo verrà dunque affrontato il problema dell’analisi di vulnerabilità delle co-struzioni, nella fattispecie in calcestruzzo armato, allo scopo di descrivere la metodologia e le procedure disponibili, alla luce degli strumenti normativi attualmente vigenti.

Le NTC-08 (§7.4.3.1) classificano le strutture in calcestruzzo armato nelle seguenti tipologie, in funzione del loro comportamento in condizioni sismiche:

 strutture a telaio, nelle quali la resistenza alle azioni verticali e orizzontali è opposta principalmente da telai spaziali;

 strutture a pareti, nelle quali la resistenza alle azioni verticali e orizzontali è fornita prin-cipalmente da pareti, singole o accoppiate;

 strutture miste telaio-pareti, nelle quali la resistenza alle azioni verticali è affidata preva-lentemente ai telai, e la resistenza alle azioni orizzontali è affidata in parte ai telai ed in parte alle pareti, singole o accoppiate; queste strutture sono considerate rispettivamen-te misrispettivamen-te equivalenti a rispettivamen-telai o misrispettivamen-te equivalenti a pareti a seconda che l’azione orizzonta-le sia assorbita per più della metà dagli uni o dalorizzonta-le altre;

 strutture deformabili torsionalmente, composte da telai e/o pareti, la cui rigidezza tor-sionale non è abbastanza elevata da escludere la formazione di meccanismi torsionali tali da governare la risposta strutturale;

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44  strutture a pendolo inverso, nelle quali la maggior parte della massa si concentra nel

ter-zo superiore dell’altezza della costruzione, o nelle quali la dissipazione di energia avvie-ne alla base di un singolo elemento strutturale.

Questa classificazione è valida in generale per costruzioni nuove ed esistenti, ma la tipologia at-tualmente più diffusa nel costruito italiano è sicuramente la prima. In accordo con le finalità del presente lavoro, si vuole dunque focalizzare l’attenzione sul comportamento sismico degli edi-fici intelaiati, evidenziandone le caratteristiche e le possibili fonti di vulnerabilità.

2.1- Comportamento di edifici a telaio soggetti ad azione

sismica

Molto si può apprendere, sul comportamento sismico delle strutture a telaio in c.a., da un’attenta osservazione degli effetti dei terremoti passati sugli edifici colpiti: per questo moti-vo, in seguito agli eventi sismici più distruttivi dell’ultimo ventennio, sono state realizzate nu-merose pubblicazioni contenenti report fotografici ed analisi di casi di studio significativi. Senza pretesa di esaustività, essendo la casistica ampissima e variegata, si vogliono qui ripro-porre alcune fra le più significative immagini di crolli e danneggiamenti, al fine di mettere in lu-ce i principali meccanismi di collasso tipici della tipologia strutturale in oggetto. Nel paragrafo successivo si cercherà invece di fornire, sullo spunto degli esempi presentati, ma anche di studi analoghi già disponibili in letteratura, un quadro più organico e sistematico dei fattori di vulne-rabilità che contribuiscono ad un’inefficace comportamento globale.

Un primo esempio, lampante e tristemente famoso, è costituito dall’hotel Duca degli Abruzzi a L’Aquila. La struttura, costruita negli anni ’70 del secolo scorso, è in buona parte collassata du-rante il terremoto del 2009, per la compresenza di diverse carenze strutturali rilevanti.

L’edificio era caratterizzato da una configurazione a gradoni, una volumetria molto articolata, e un’irregolarità strutturale molto marcata, con il piano terra completamente aperto (costituito da pilotis di diversa lunghezza per via del pendio naturale), e con telai piani disposti in direzione trasversale nei primi quattro piani, in direzione longitudinale in corrispondenza dei piani supe-riori. Nessuna trave di collegamento era presente tra i telai paralleli, nonostante travi in spesso-re fossero pspesso-reviste negli elaborati di progetto.1 Le foto seguenti, tratte da uno studio di

Augen-ti-Parisi2, mostrano l’edificio prima e dopo l’evento.

1 PASCA M., Il costruito italiano: tipologie, problematiche, interventi pre e post sisma, in Tafter Journal, n° 50, Ago-sto 2012, numero speciale.

2 AUGENTI N., PARISI F., Learning from construction failures due to the 2009 L’Aquila, Italy, earthquake. Damage to RC buildings, in Journal of Performance of Constructed Facilities, Dicembre 2010, vol. 24, n° 6, pp. 536-555.

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Fig. 2. 1. L'hotel Duca degli Abruzzi (L'Aquila) prima del terremoto del 2009

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46 È evidente il crollo rovinoso di un’intera ala. Dall’ultima foto invece può notarsi come la pre-senza di un giunto sia stata determinante nell’evitare la propagazione del danno alla struttura sulla sinistra.

Un altro esempio può invece rappresentare un meccanismo ben riconoscibile e molto comune, il cosiddetto “piano soffice”. Se per l’hotel Duca degli Abruzzi tale meccanismo era presente in-sieme ad una quantità di altre fonti di irregolarità, sono stati comunque moltissimi i casi in cui la presenza di un piano quasi del tutto privo di tamponamenti si è tradotta di per sé in una ben precisa modalità di collasso, per la quale i piani superiori sono rimasti quasi intatti, andando a sovrapporsi in maniera pressoché perfetta sul piano debole, completamente sbriciolato.

Si osservino le seguenti foto, tratte da un rapporto fotografico3 divulgato da ReLUIS, in cui può

osservarsi il collasso del piano terra di un edificio residenziale a Pettino (Aq).

Fig. 2. 3. Edificio residenziale a Pettino (Aq), meccanismo di piano soffice. Fig. 2. 4. Dettaglio di un pilastro del piano debole

A causa delle ridotte rigidezza e resistenza del piano terra quasi del tutto privo di tamponamen-ti (ospitava l’ingresso e i garages), si è verificata una fatale concentrazione della domanda di spostamento: il meccanismo, del resto ben noto in letteratura, verrà approfondito nel paragra-fo successivo. Il dettaglio sulla destra evidenzia inoltre l’assenza di staffe in corrispondenza del nodo trave-colonna.

La carenza di armature trasversali efficaci per il confinamento delle barre longitudinali è, in ef-fetti, un fattore sfavorevole e decisivo, occorso in un grandissimo numero di casi. Nelle foto che seguono si notano lo sbandamento per instabilità delle barre in un nodo non staffato, e la rot-tura a taglio con la tipica fratrot-tura diagonale.

3VERDERAME G.M., IERVOLINO I., RICCI P., (2009), Report on the damages on buildings following the seismic event of 6th of april 2009, V1.20, in: www.reluis.it

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Fig. 2. 5. Sbandamento per instabilità delle armature

longi-tudinali in un nodo non staffato. Fig. 2. 6. Rottura a taglio del nodo.

Altrettanto comune e rilevante è la presenza di elementi non strutturali, soprattutto tampona-menti in muratura, mal collegati alla struttura portante o realizzati in maniera tale da modifica-re il comportamento dei singoli elementi strutturali ad essi adiacenti. Se nel primo caso il peri-colo è legato al danneggiamento dei paramenti stessi, suscettibili di crolli e/o ribaltamenti fuori piano, nel secondo caso essi diventano vere e proprie fonti di vulnerabilità strutturale: è ad e-sempio il caso dei pilastri resi tozzi dalla presenza di murature adiacenti solo per una porzione limitata della loro altezza. L’esempio tipico è quello delle finestre a nastro, in prossimità delle quali può osservarsi la concentrazione di sforzi di taglio sui pilastri, come mostrato nell’immagine sottostante a sinistra. La foto a destra invece fornisce un esempio di crollo di un singolo paramento di una tamponatura realizzata “a cassetta”, con due strati indipendenti fra loro, separati da una camera d’aria. Entrambi gli scatti sono tratti da un ulteriore rapporto foto-grafico4 divulgato da ReLUIS, relativo ad alcuni edifici scolastici dell’Aquila.

Fig. 2. 7. Rottura a taglio di un pilastro reso tozzo dalla

presenza di finestre a nastro. Fig. 2. 8. Crollo di un singolo paramento di muratura "a cassetta".

4 SALVATORE W., CAPRILI S., BARBERI W., Rapporto dei danni provocati dall'evento sismico del 6 aprile sugli edifici scolastici del centro storico dell'Aquila, in: www.reluis.it

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48 Infine con un ultimo esempio si vuol porre all’attenzione del lettore anche il problema della possibile interazione tra strutture adiacenti, da cui può risultare un effetto di reciproco martel-lamento. La figura che segue, tratta da uno studio di Decanini et al5., evidenzia come il

movi-mento dell’impalcato di copertura dell’edificio sulla sinistra, più basso, abbia provocato il dan-neggiamento di tutti i pilastri della struttura vicina collocati alla stessa quota.

Fig. 2. 9. Effetti del martellamento.

2.2- Fattori di vulnerabilità degli edifici esistenti

Dalla rapida sequenza di esempi proposti nel precedente paragrafo, emerge come in generale i dissesti rilevati dopo i terremoti non siano riconducibili all’uso di metodologie di calcolo più semplici di quelle attuali, o a modelli di calcolo meno sofisticati, quanto piuttosto ad una scarsa attenzione verso la concezione strutturale nella sua prestazione globale in presenza di azioni si-smiche. 6

La principale fonte di vulnerabilità sismica viene così ad essere la presenza di irregolarità, in senso globale, nella conformazione strutturale e/o nella distribuzione dei tamponamenti, o di altri elementi non strutturali in grado di influenzare il comportamento della struttura nel suo complesso. L’irregolarità può aversi in pianta e/o in elevazione:

 la mancanza di regolarità in pianta può provocare effetti torsionali rilevanti, con la con-seguenza di un aumento della domanda deformativa a spese degli elementi resistenti verticali più distanti dal centro di torsione.

La figura seguente rappresenta, ad esempio, lo schema di pianta di un edificio in cui il centro delle rigidezze si trova in posizione decentrata a causa della presenza del nucleo-ascensore. La rotazione attorno al punto C provoca degli spostamenti delle sezioni di sommità dei pilastri rispetto alle sezioni al piede, particolarmente elevati per i pilastri più lontani da C: tali pilastri potrebbero non possedere duttilità sufficiente a fronteggia-re tale richiesta, andando incontro a danneggiamenti localizzati.

5 DECANINI L.D., LIBERATORE L., MOLLAIOLI F., (2010), Damage suffered by RC buldings during the 2009 L’Aquila earthquake, a general overview and a case study, Proceedings of the 14th European Conference on Earthquake Engineering, Ocrida, 30 agosto – 3 settembre.

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Fig. 2. 10. Pianta di un edificio: la posizione del punto C (centro delle rigidezze) è influenzata dalla presenza del nucleo-ascensore. La rotazione del piano provoca spostamenti maggiori per i pilastri più lontani da C (L>l).

Ulteriore fonte di irregolarità in pianta è la presenza di telai unidirezionali, non collegati da travi nella direzione trasversale. Si tratta di una configurazione tipica delle costruzioni progettate per i soli carichi verticali, e legata alla tessitura monodirezionale dei solai7:

nella direzione ortogonale ai telai, la rigidezza del piano è fornita solamente dal contbuto dei travetti di solaio, di conseguenza la resistenza alle azioni orizzontali è molto ri-dotta.

 L’irregolarità in altezza, dovuta a variazioni non graduali di resistenza e rigidezza tra pia-ni successivi, può provocare la formazione di meccapia-nismi di piano. È il caso in cui si han-no configurazioni han-non compatte della volumetria, per la presenza di un singolo piahan-no quasi o del tutto privo di tamponamenti (spesso è il piano terra, adibito a garage o ne-gozi, ma può aversi identicamente ai piani superiori).

Lo schema resistente che ne deriva è quello di un sistema “infinitamente” rigido (rap-presentato dai piani interamente tamponati) al di sopra di un insieme di pilastri, privi del contributo di resistenza fornito dalle pareti. Mediante la plasticizzazione delle sole colonne, si localizza a questo piano la dissipazione di energia; essendo tale dissipazione molto limitata rispetto alla richiesta relativa all’intero edificio, il risultato è generalmen-te il collasso del piano, mentre il resto dell’edificio rimane pressoché, o a volgeneralmen-te anche to-talmente, integro, come visto negli esempi riportati nel paragrafo precedente.

L’immagine che segue illustra i meccanismi dissipativi globale (a sinistra) e di piano (a destra). È evidente come, a parità di spostamento d, il secondo meccanismo generi una richiesta di rotazione () al piede della colonna del piano debole, molto maggiore rispet-to al primo meccanismo (), in cui la formazione delle cerniere plastiche nelle travi ga-rantisce una dissipazione più distribuita, e quindi più efficace.

7 OLIVETO G., LIBERATORE L., DECANINI L., (2011), Evoluzione storica della normativa sismica italiana alla luce degli effetti causati dal terremoto dell’Aquila del 2009, Atti del XIV convegno ANIDIS - L'ingegneria sismica in Italia, Bari, 18-22 settembre.

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Fig. 2. 11. Meccanismi dissipativi: meccanismo globale (a sinistra) e di piano (a destra).

Da quanto finora esposto può dedursi, quindi, che l’irregolarità di una struttura in senso globa-le, sia che si tratti di irregolarità in pianta sia in altezza, è da ritenersi un fattore di vulnerabilità sismica perché provoca una concentrazione della domanda di duttilità, che non permette di sfruttare a pieno la capacità dissipativa della struttura nella sua globalità.

Un ragionamento analogo vale qualora si passi dal punto di vista globale a quello locale.

Una fonte di irregolarità locale può essere, come suggerito da un esempio visto al paragrafo precedente, la presenza di finestre a nastro. Anche in questo caso, la distribuzione di rigidezza e resistenza non regolare lungo l’altezza (nella fattispecie l’altezza del singolo pilastro piuttosto che dell’intero edificio) provoca una concentrazione della domanda in una zona non sufficien-temente duttile: l’energia viene dissipata solo con la rottura fragile (a taglio) localizzata nella zona libera della colonna.

Cause di irregolarità locali in pianta sono invece le eventuali eccentricità trave-pilastro, che pro-vocano l’insorgere di sollecitazioni flessionali e/o torsionali “parassite” sugli elementi strutturali coinvolti.

A fronte di tutto ciò, va sottolineato il fatto che i meccanismi illustrati vanno a penalizzare pro-prio le zone che, per i motivi tra breve elencati, risultano più deboli. Si noti che le norme attuali tengono conto di tutti questi aspetti, dunque in nuova costruzione è possibile realizzare finestre a nastro e piani privi di tamponature, purché i conseguenti effetti vengano adeguatamente considerati in sede di progettazione, con particolare riguardo ai dettagli costruttivi degli ele-menti soggetti alla maggiore richiesta di duttilità. Accade però che, nelle costruzioni esistenti, molto spesso questi meccanismi si abbinano a una serie di carenze nei dettagli costruttivi, do-vute un po’ ad errori di esecuzione, un po’ alla concezione progettuale in condizioni statiche, portando alle tristi conseguenze di danneggiamenti e crolli.

Sono da imputare al calcolo per i soli carichi verticali la carenza di armature all’intradosso delle travi in prossimità dei nodi, e soprattutto la configurazione “trave forte in pilastro debole”, che causa la plasticizzazione delle sezioni estremali dei pilastri piuttosto che delle travi.

Invece gli errori di esecuzione più comunemente riscontrati riguardano soprattutto il calce-struzzo gettato in opera, e sono:

 la presenza di difetti locali (e.g. segregazione, vespai), e/o la scarsa cura del getto nelle zone di ripresa, con la formazione di superfici preferenziali di rottura;

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51  la scarsa qualità del materiale, dovuta spesso alla pratica comune di aggiungere acqua

all’impasto per migliorane la lavorabilità, a discapito della resistenza finale8;

 l’eccessiva variabilità delle caratteristiche meccaniche da un punto all’altro dell’edificio, perché realizzato tramite getti diversi di qualità non uniforme.

Vi sono però alcuni aspetti particolarmente rilevanti, che possono verificarsi tanto per errori di progettazione quanto di esecuzione, e cioè:

 la carenza di armature trasversali efficaci per il confinamento del calcestruzzo e delle barre longitudinali, soggette quindi a fenomeni di instabilità: talvolta le staffe sono del tutto assenti (specie nei nodi); se presenti, spesso sono poste ad un interasse troppo grande e/o hanno diametro molto piccolo; ancora più spesso sono chiuse male, non rigi-rate intorno ad una barra longitudinale;

 l’ancoraggio insufficiente delle armature longitudinali e trasversali, tanto più che molte barre utilizzate in passato erano lisce;

 la realizzazione di copriferri inadeguati; non in grado di proteggere le armature dalla corrosione, con la conseguente riduzione della sezione efficace in acciaio.

Si è già anticipato, al paragrafo precedente, un diverso fattore di vulnerabilità strutturale, che entra in gioco nel caso di costruzioni molto vicine tra loro, al punto di dar luogo al noto feno-meno del martellamento.

Nello specifico , questo si manifesta quando la distanza di separazione tra due edifici adiacenti non è abbastanza grande da consentire il moto relativo delle strutture in fase sismica.

Il modo più semplice per ovviare a questa eventualità è, ovviamente, quello di prevedere già in fase di progetto un’adeguata distanza di separazione, con la realizzazione di un giunto sismico, tale da assecondare opportunamente i rispettivi movimenti delle strutture quando oscillano in opposizione di fase. Negli edifici esistenti, spesso i giunti sono assenti, o non abbastanza larghi; non è inconsueto imbattersi in casi di giunti realizzati correttamente e successivamente riempiti con mattoni o materiali di risulta. Se il giunto non è efficace, le oscillazioni delle strutture du-rante il terremoto si influenzano reciprocamente per le ripetute collisioni: anche in questo caso si va verso il formarsi di meccanismi di piano, con un aumento molto consistente dello scorri-mento alla quota della zona di contatto.9

Infine, si vuole ricordare un’altra categoria di vulnerabilità, sostanzialmente di carattere locale, dovuta agli elementi non strutturali considerati, questa volta, non per la loro interazione con la struttura, bensì per il pericolo che essi possono rappresentare di per sé, qualora non venga considerato il loro comportamento in condizioni sismiche.

I tamponamenti, ad esempio, se non vengono accuratamente collegati alla struttura, vanno in-contro a ribaltamenti fuori piano, soprattutto se si tratta di specchiature di elevate dimensioni,

8 DECANINI L., LIBERATORE L., MOLLAIOLI F., DE SORTIS A., SANÒ T., (2004), Analisi del danno degli edifici IACP di Bonefro durante la sequenza sismica di Molise e Puglia del 2002, Atti del XI Congresso Nazionale ANIDIS - L’ingegneria Sismica in Italia, Genova, 25-29 gennaio.

9 COMODINI F., MEZZI M., (2009), Effetti del martellamento sulla risposta sismica di edifici adiacenti, in EdA-Esempi di architettura, (12).

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52 non rompitrattate o particolarmente snelle (tipico il caso di rimpelli sottili, esterni ai telai); lo stesso vale per i tramezzi divisori, spesso non sviluppati fino alla sommità (si pensi ai bagni o ri-postigli di tantissimi edifici scolastici) o comunque non fissati lungo il perimetro.

Analogamente i controsoffitti (che spesso contengono anche gli impianti), se non accuratamen-te fissati subiscono, in caso di accuratamen-terremoto, crolli localizzati, banali quanto pericolosi per le perso-ne che vi si trovano sotto; lo stesso può dirsi per canperso-ne fumarie e comignoli.

In relazione a tutte le fonti di vulnerabilità analizzate, è chiaro che, nell’analisi finalizzata alla va-lutazione del rischio sismico degli edifici esistenti, risultano fondamentali: da un lato, un’accurata ispezione visiva volta all’individuazione di tutti i possibili fattori di vulnerabilità, sia a livello globale che locale; dall’altro, un’approfondita conoscenza dell’edificio, con particolare riguardo ai materiali e ai dettagli costruttivi effettivamente presenti.

Nell’abilità del tecnico, e nella sua preparazione in tal senso, risiede la capacità di cogliere, dall’osservazione del particolare, la presenza di irregolarità che possono indurre concentrazioni di danno, nel quadro della risposta globale della struttura all’azione sismica.

Per una soddisfacente conoscenza dei materiali, sono invece disponibili opportuni metodi per la determinazione delle effettive caratteristiche meccaniche, tramite prove in situ più o meno af-fidabili e invasive. Il loro utilizzo è raccomandabile, pure nei casi in cui siano disponibili certifica-ti di prova o elaboracertifica-ti originali di calcolo, sia perché i materiali possono risultare degradacertifica-ti dal tempo, sia (e soprattutto) perché nel passato le prescrizioni in merito alle caratteristiche pre-stazionali dei materiali strutturali non sempre riuscivano a garantire l’effettiva buona qualità dei prodotti (specie nel caso di quegli edifici, scarsamente controllati in corso d’opera, costruiti nel periodo del cosiddetto “boom edilizio” del secondo dopoguerra).

Infine, per quanto concerne i dettagli costruttivi, risulta particolarmente utile la conoscenza delle norme e regolamenti vigenti nel periodo di costruzione, dal momento che essi, ancorché superati, costituiscono un utile riferimento (a volte l’unico) qualora non sia possibile effettuare dei saggi conoscitivi e/o non siano disponibili elaborati di progetto.

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2.3- Analisi della vulnerabilità

Il primo passo per effettuare un’analisi di vulnerabilità è senza dubbio la conoscenza dell’edificio da analizzare. Le NTC-08, al Capitolo 8, forniscono delle indicazioni in merito alle procedure per la valutazione della sicurezza degli edifici esistenti, che costituiscono un riferi-mento particolarmente utile nella definizione di un iter conoscitivo efficace.

I dati da acquisire, specificati nella Circolare n°617/200910, riguardano tutti i seguenti aspetti:

 identificazione dell’organismo strutturale con individuazione di eventuali irregolarità in pianta e/o in altezza;

 identificazione del tipo e della caratteristiche delle strutture di fondazione;

 identificazione delle categorie di sottosuolo (A, B, C, D, E) secondo la classificazione delle NTC-08 (§3.2.2);

 informazioni sulle dimensione geometriche degli elementi strutturali, sui quantitativi di armature, sulle proprietà meccaniche dei materiali, sui collegamenti;

 informazioni su possibili difetti locali dei materiali;

 informazioni su possibili difetti nei particolari costruttivi (dettagli delle armature, eccen-tricità travi-pilastro, ecceneccen-tricità pilastro-pilastro, collegamenti trave-colonna e colonna-fondazione, ecc.);

 informazioni sulle norme impiegate nel progetto originale, incluso il valore delle even-tuali azioni sismiche di progetto;

 descrizione della destinazione d’uso originaria, attuale e futura dell’edificio con identifi-cazione del tipo di costruzione, della classe d’uso e della vita nominale secondo il §2.4 delle NTC-08;

 rivalutazione dei carichi variabili, in funzione della destinazione d’uso;

 informazione sulla natura e l’entità di eventuali danni subiti in precedenza (compresi, ovviamente, i danni da terremoti) e sulle riparazioni eventualmente effettuate.

È chiaro che, poiché le situazioni concretamente riscontrabili sono le più disparate, è impossibi-le prevedere delimpossibi-le regoimpossibi-le specifiche per l’acquisizione e l’elaborazione di questi dati che siano valide in tutti i casi. Ciò detto, le fasi imprescindibili nello studio dell’edificio individuate dalle NTC-08 sono le seguenti:

 analisi storico-critica;

 rilievo geometrico-strutturale e rilievo dei dettagli costruttivi;  caratterizzazione meccanica dei materiali.

Si rimanda ai paragrafi che seguono per una disamina di ciascuna fase.

Sulla base del grado di approfondimento raggiunto nel corso dell’iter conoscitivo appena defini-to, è necessario poi individuare il “Livello di Conoscenza” (LC) ottenuto.

10 Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, 02/02/2009 n°617 in materia di “Istruzioni per l'appli-cazione delle «Nuove norme tecniche per le costruzioni» di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008”, §C8A.1.B.2.

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54 La strategia dell’approccio normativo è quella di privilegiare l’approfondimento della conoscen-za della struttura, per la sua importanconoscen-za cruciale nella scelta di interventi mirati (più efficaci in termini di sicurezza, oltre che meno onerosi e quindi più efficienti): vengono così introdotti i fattori di confidenza, strettamente legati al livello di conoscenza conseguito, che vanno prelimi-narmente a ridurre i valori medi di resistenza dei materiali per ricavare i valori da adottare nelle verifiche, e da ulteriormente ridurre, quando previsto, mediante i coefficienti parziali di sicurez-za.

Una guida alla stima dei fattori di confidenza da utilizzare, in relazione ai livelli di conoscenza raggiunti, si trova nell’Appendice C8A della Circolare 617/2009, che distingue i tre livelli seguen-ti:

 LC 1, corrispondente a una “Conoscenza Limitata”;  LC 2, corrispondente a una “Conoscenza Adeguata”;  LC 3, corrispondente a una “Conoscenza Accurata”.

Si può ritenere di avere una Conoscenza Limitata (LC1) dell’edificio in presenza del seguente scenario:

 la geometria della struttura è nota grazie ai disegni originali (dei quali va verificata la corrispondenza con lo stato di fatto tramite indagini visive a campione) o in base a un ri-lievo; si dispone comunque di informazioni sufficienti alla definizione di un modello di calcolo idoneo per un’analisi lineare;

 i dettagli costruttivi non sono disponibili da elaborati grafici originali, e sono ricavati sul-la base di un progetto simusul-lato (in tal caso è richiesta una limitata verifica in situ delle armature presenti negli elementi più importanti); si dispone comunque di dati sufficienti per effettuare verifiche locali di resistenza;

 le proprietà meccaniche dei materiali sono ipotizzate in base ai valori usuali della pratica costruttiva nell’epoca della realizzazione (convalidati da limitate prove in situ sugli ele-menti più importanti).

Un livello di Conoscenza Adeguata (LC2) si ha nel caso in cui:

 la geometria della struttura è nota grazi e ai disegni originali (dei quali va verificata la corrispondenza con lo stato di fatto tramite indagini visive a campione) o in base a un ri-lievo; si dispone comunque di informazioni sufficienti alla definizione di un modello di calcolo idoneo per un’analisi lineare o non lineare;

 i dettagli costruttivi sono noti da un’estesa verifica in situ, oppure parzialmente noti da disegni originali incompleti (in tal caso è richiesta una limitata verifica in situ delle arma-ture presenti negli elementi più importanti); si dispone comunque di dati sufficienti per effettuare verifiche locali di resistenza nel caso si esegua un’analisi lineare, oppure per definire un modello di calcolo idoneo per un’analisi non lineare;

 le proprietà meccaniche dei materiali sono note da elaborati di progetto o da certificati di prova originali, o da verifiche estese in situ (nel primo caso è richiesto di convalidare

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55 le informazioni disponibili tramite limitate prove in situ, da estendere nel caso in cui forniscano risultati inferiori rispetto a quanto previsto dagli elaborati originali).

Infine, un livello di Conoscenza Accurata (LC3) può considerarsi raggiunto se:

 i dati raccolti in merito alla geometria della struttura, ricavati da un rilievo o da disegni originali (in tal caso è previsto un rilievo visivo a campione per verificare l’effettiva corri-spondenza del costruito ai disegni), siano sufficienti per definire un modello di calcolo idoneo ad un’analisi lineare o non lineare;

 i dettagli costruttivi sono noti da un’esaustiva verifica in situ, oppure dai disegni originali (affiancati da una limitata verifica in situ delle armature presenti negli elementi più im-portanti); si dispone comunque di dati sufficienti per effettuare verifiche locali di resi-stenza nel caso si esegua un’analisi lineare, oppure per definire un modello di calcolo idoneo per un’analisi non lineare;

 le proprietà meccaniche dei materiali sono note da elaborati di progetto o da certificati di prova originali, o da verifiche esaustive in situ (nel primo caso è richiesto di convalida-re le informazioni disponibili tramite estese prove in situ; se quest’ultime forniscono ri-sultati inferiori rispetto a quanto previsto dagli elaborati originali, sono richieste esau-stive prove in situ).

È immediato notare che, nella definizione delle condizioni corrispondenti ai vari livelli di cono-scenza, le verifiche e le prove da effettuare nei vari casi sono quantificate tramite gli aggettivi limitate, estese, esaustive: queste quantificazioni volutamente non sono discretizzate in termini numerici, dal momento che l’opportuna quantità di verifiche e di prove in situ non può essere stabilita aprioristicamente ma deve essere valutata in relazione al singolo caso in esame.

In via orientativa, la Circolare propone comunque (nella tabella C8A.1.3a) un’indicazione della percentuale di elementi da sottoporre a saggi e del numero di prove da effettuare, specificando peraltro che: “nel controllo del raggiungimento delle percentuali di elementi indagati ai fini del rilievo dei dettagli costruttivi si tiene conto delle eventuali situazioni ripetitive, che consentano di estendere ad una più ampia percentuale i controlli effettuati su alcuni elementi strutturali fa-centi parte di una serie con evidenti caratteristiche di ripetibilità, per uguale geometria e ruolo nello schema strutturale”. Inoltre, in merito alle prove sui materiali, è consentito sostituire al-cune prove distruttive (non più del 50%), con un più ampio numero (almeno il triplo), di prove non distruttive, singole o combinate, tarate su quelle distruttive. In ogni caso il numero di pro-vini può essere variato, in aumento o in diminuzione, in relazione alle caratteristiche di omoge-neità del materiale.

Nel caso del calcestruzzo in opera, tali caratteristiche sono spesso legate alle modalità costrut-tive tipiche dell’epoca di costruzione e del tipo di manufatto, ragion per cui potrebbe rendersi necessaria una seconda campagna di prove integrative, nel caso in cui i risultati della prima ri-sultino fortemente disomogenei.

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Rilievo dei dettagli costruttivi Prove sui materiali Per ogni tipo di elemento “primario”11 (trave, pilastro...)

Verifiche limitate La quantità e disposizione dell’armatura è verificata per almeno il 15% degli elementi

1 provino di calcestruzzo per 300 m2 di

piano dell’edificio,

1 campione di armatura per piano dell’edificio

Verifiche estese La quantità e disposizione dell’armatura è verificata per almeno il 35% degli elementi

2 provini di calcestruzzo per 300 m2 di

piano dell’edificio,

2 campioni di armatura per piano dell’edificio

Verifiche esaustive La quantità e disposizione dell’armatura è verificata per almeno il 50% degli elementi

3 provini di calcestruzzo per 300 m2 di

piano dell’edificio,

3 campioni di armatura per piano dell’edificio

L’acquisizione di un determinato livello di conoscenza governa la scelta del metodo di analisi da utilizzare e dei fattori di confidenza da applicare alle proprietà dei materiali.

Nella Circolare si legge che “la valutazione della sicurezza nel caso di Conoscenza Limitata viene in genere eseguita mediante metodi di analisi lineare statici o dinamici”; mentre per livelli di conoscenza superiore al primo si utilizzano metodi di analisi lineare o non lineare, statici o di-namici. Quanto ai fattori di confidenza, i valori associati ai livelli di conoscenza LC1, LC2, LC3 so-no rispettivamente pari a 1,35; 1,20; 1,00. Di seguito si riportaso-no i contenuti della tabella C8A.1.2 della Circolare, al fine di sintetizzare in un quadro riepilogativo quanto finora esposto:

Livello di

co-noscenza Geometria (carpenterie) Dettagli strutturali Proprietà dei materiali Metodi di analisi FC LC 1

Da disegni di carpenteria o-riginali con ri-lievo visivo a campione, op-pure rilievo ex-novo completo

Progetto simulato e limitate prove in si-tu

Valori usuali per la pra-tica costruttiva dell’epoca e limitate prove in situ Analisi lineare statica o dinamica 1,35 LC 2 Disegni costruttivi incompleti con limi-tate verifiche in si-tu, oppure estese verifiche in situ

Dalle specifiche originali di progetto o dai certificati di prova originali

con limitate prove in-situ, oppure estese pro-ve in-situ

Tutti 1,20

LC 3 Disegni costruttivi completi con limita-te verifiche in situ, oppure esaustive verifiche in situ

Dai certificati di prova originali o dalle specifi-che originali di progetto con estese prove in situ, oppure esaustive prove in-situ

Tutti 1,00

11 La definizione di elementi primari è data dalla Circolare 617/2009 al §C8.7.2: “gli elementi che contribuiscono al-la capacità sismica sono definiti primari. Differentemente dalle nuove costruzioni, alcuni elementi considerati non strutturali, ma comunque dotati di resistenza non trascurabile (come ad esempio le tamponature robuste), o anche strutturali, ma comunemente non presi in conto nei modelli (come ad esempio i travetti di solaio nel comportamen-to a telaio della struttura), possono essere presi in concomportamen-to nelle valutazioni di sicurezza globali della costruzione, a condizione che ne sia adeguatamente verificata la loro efficacia.”

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57 Nell’affrontare la scelta del tipo di analisi da effettuare, è necessario ricordare che le NTC-08 (§8.7.2) precisano la necessità di distinguere, negli edifici esistenti, gli elementi e meccanismi resistenti duttili da quelli fragili.

I meccanismi duttili possono essere attivati in maniera diffusa su tutta la costruzione, oppure localizzarsi in alcune parti critiche; in generale l’attivazione di un meccanismo duttile non com-porta, di solito, il collasso dell’intera struttura. Al contrario, i meccanismi fragili, che possono lo-calizzarsi in qualsiasi punto della struttura, possono più facilmente determinarne il collasso glo-bale.

La discriminazione tra elementi/meccanismi duttili e fragili è precisata nella Circolare 617/2009 al §8.7.2.5:

 sono classificabili come “duttili” gli elementi (travi, pilastri e pareti) soggetti a sollecita-zioni flessionali, con o senza sforzo normale;

 sono classificabili come “fragili” i meccanismi di taglio in travi, pilastri, pareti e nodi; i-noltre in caso di pilastri soggetti a sforzo normale particolarmente elevato va presa in considerazione la possibilità di comportamento fragile.

Questa distinzione influenza, da un lato, la scelta del tipo di analisi da utilizzare; dall’altro, le modalità di verifica. Ad esempio, l’analisi statica lineare con spettro elastico può essere scelta solo se:

 indicando con ρi = Di / Ci il rapporto tra il momento flettente Di fornito dall’analisi della

struttura soggetta alla combinazione di carico sismica, e il corrispondente momento re-sistente Ci (valutato con lo sforzo normale relativo alle condizioni di carico

gravitaziona-li) dell’i-esimo elemento primario della struttura, e con ρmax e ρmin rispettivamente i

va-lori massimo e minimo di tutti i ρi > 2 considerando tutti gli elementi primari della

strut-tura, il rapporto ρmax/ρmin non supera il valore 2,5;

 la capacità Ci degli elementi/meccanismi fragili è maggiore della corrispondente

do-manda Di (quest’ultima calcolata sulla base della resistenza degli elementi duttili

adia-centi, se il ρi degli elementi/meccanismi fragili è maggiore di 1, oppure sulla base dei

ri-sultati dell’analisi se il ρi degli elementi/meccanismi fragili è minore di 1).

Sotto tali condizioni, la verifica degli elementi duttili deve essere eseguita in termini di defor-mazioni, mentre quella degli elementi fragili in termini di forze/resistenze. Maggiori dettagli sul-le modalità di calcolo delsul-le solsul-lecitazioni di verifica sono dati nella Circolare citata al paragrafo C8.7.2.4., dedicato appunto alla disamina dei metodi di analisi possibili e dei relativi criteri di verifica.

Oltre alla tipologia già menzionata, sono presenti indicazioni in merito all’analisi statica lineare con fattore di struttura “q” (da scegliersi nell’intervallo 1,53 per la verifica dei meccanismi dut-tili, e rigorosamente pari a 1,5 per quella dei meccanismi fragili), all’analisi dinamica lineare con spettro di risposta elastico o con fattore “q”, nonché alle analisi non lineari (statica o dinamica). Di seguito si ripropongono, separatamente per i casi di analisi lineari e non lineari rispettiva-mente, i contenuti della tabella C8.4 della Circolare 617/2009, al fine di riassumere le

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indicazio-58 ni in merito ai valori delle proprietà dei materiali (da usare nella valutazione della domanda e della capacità), ed ai criteri di verifica.

Modello Lineare

Domanda Capacità

Tipo di ele-mento o mec-canismo (e/m)

Controllo dei valori di ρi = Di/Ci per l’accettazione del Modello Lineare (ML)

Duttile /

Fragile Dall’analisi. Usare i valori medi dei moduli nel modello. In termini di resistenza. Usare i va-lori medi. Verifiche (se il Modello Lineare è accettato)

Duttile Dall’analisi In termini di deformazione. Usare i valori medi divisi per il Fattore di Confidenza.

Fragile

Se ρi ≤ 1, dall’analisi. In termini di resistenza. Usare i

va-lori medi divisi per il Fattore di Confidenza e per il coefficiente parziale.

Se ρi  1, dall’equilibrio con la

resi-stenza degli e/m duttili. Usare i va-lori medi moltiplicati per il Fattore di Confidenza.

Modello Non Lineare

Domanda Capacità Tipo di ele-mento o mec-canismo (e/m) Duttile Dall’analisi.

Usare i valori medi nel modello.

In termini di deformazione. Usare i valori medi divisi per il Fattore di Confidenza.

Fragile

In termini di resistenza. Usare i va-lori medi divisi per il Fattore di Confidenza e per il coefficiente parziale.

Eseguite quindi le opportune verifiche degli elementi strutturali, la valutazione complessiva della vulnerabilità sismica di un edificio deve tener conto anche di quegli aspetti locali, indivi-duati in fase conoscitiva ed eventualmente non inseriti nel modello di calcolo, allo scopo di ela-borare un giudizio conclusivo che si riferisca ad un oggetto di studio quanto più vicino possibile allo stato di fatto.

I paragrafi che seguono sono dedicati all’approfondimento delle tre fasi conoscitive, che sono alla base della metodologia fin qui illustrata.

2.3.1- Analisi storico-critica

L’analisi storico-critica è finalizzata alla ricostruzione del processo di realizzazione e delle suc-cessive modifiche subite nel tempo dal manufatto, nonché degli eventi che lo hanno interessa-to.

Le fonti da considerare per l’acquisizione dei dati necessari sono suggerite ancora dalla Circola-re n°617/2009 (§C8A.1.B): si tratta dei documenti di progetto (con particolaCircola-re riferimento a Circola- rlazioni geologiche, geotecniche e strutturali, ed elaborati grafici strutturali), nonché di ogni e-ventuale ulteriore documentazione inerente l’edificio in oggetto, anche prodotta in tempi suc-cessivi alla costruzione.

Nell’eventualità in cui l’edificio da analizzare sia inserito in un aggregato storico, si rende neces-sario anche lo studio delle mutazioni del contesto urbano che possono aver influenzato la

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strut-59 tura d’interesse. Ciò è molto più frequente per le costruzioni in muratura piuttosto che in ce-mento armato; in ogni caso bisognerà ricercare tutte le notizie disponibili in merito ad eventuali aggiunte e sopraelevazioni, cambi di destinazioni ed altre vicende intervenute nel tempo a mo-dificare il manufatto.

Vanno inoltre individuate le norme in vigore al tempo della realizzazione dell’edificio, sulla base di considerazioni cronologiche e/o di espliciti riferimenti normativi eventualmente presenti ne-gli elaborati originali di progetto (in particolare relazioni di calcolo). Lo studio delle norme in questione consente di formulare ipotesi ragionevoli nel caso in cui si renda necessario procede-re con un progetto simulato, e fornisce comunque utili informazioni in merito ai dettagli co-struttivi, alle dimensioni minime richieste per gli elementi strutturali e per i quantitativi di ar-mature.

Un quadro sintetico dell’evoluzione normativa italiana sulle costruzioni in calcestruzzo armato sarà presentato nel paragrafo successivo.

Infine è opportuno ricordare che, qualora l’edificio sia stato colpito da eventi sismici, l’analisi storico-critica dovrebbe comprendere anche le informazioni relative alle caratteristiche dei ter-remoti occorsi, ai danni da essi provocati, e agli eventuali provvedimenti successivi (riparazioni, interventi effettuati, ecc).

2.3.1.1- Normativa storica per le costruzioni in calcestruzzo armato

La prima norma ufficiale italiana sulle caratteristiche del conglomerato cementizio e degli acciai da cemento armato fu il Regio Decreto del 10 gennaio 1907 (pubblicato sulla G.U. n. 28 del 2/2/1907), che poneva fine all’epoca ottocentesca in cui la sicurezza delle costruzioni si ipotiz-zava formalmente garantita dal rispetto di regole tecniche senza l’obbligo del calcolo numerico, introducendo la necessità di verifica dei livelli tensionali dei componenti strutturali.12 La norma

imponeva infatti che i progetti dovessero essere obbligatoriamente accompagnati dai calcoli statici, ed introduceva il famoso metodo delle tensioni ammissibili, poi utilizzato per decenni prima della diffusione del metodo semiprobabilistico agli stati limite. Il Decreto però si applica-va solo alle opere di competenza dello stesso Ministero dei Lavori Pubblici.

Seguirono diversi decreti fino agli anni ’20, tra cui il R. D. n°1981 del 4 settembre 1927, con cui la disciplina della norma precedente veniva estesa all'ambito privato; ma il primo organico Re-golamento sui materiali e sulle modalità di posa in opera delle strutture in cemento armato può essere considerato solo il Regio Decreto n°832 del 23 maggio 1932. Pur tuttavia, le costruzioni realizzate con tale decreto sono sicuramente una quota trascurabile (stimabile intorno al 3%) del patrimonio edilizio attualmente esistente, per la limitata diffusione dell’uso del cemento armato in quegli anni e, di contro, per la notevole opera di edificazione sviluppatasi con la rico-struzione post-bellica a partire dagli anni ’50.13

Ben altra importanza riveste invece il Regio Decreto n°2229 del 16 novembre 1939 “Norme per la esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice od armato”, in ragione della sua longevità, dal momento che rimase in vigore per trent’anni e fu alla base della ricostruzione del

12 http://ingegnerialibera.altervista.org/wiki/doku.php/tecnica_costruzioni:storia_normativa_tecnica_italia 13 MANFREDI G., MASI A., PINHO R., VERDERAME G., VONA M., (2007), Valutazione degli edifici esistenti in Cemen-to ArmaCemen-to, IUSS Press, IstituCemen-to Universitario di Studi Superiori di Pavia.

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60 dopoguerra nonché della realizzazione delle grandi opere per le nuove infrastrutture nel corso degli anni ’60 e ’70. Su di esso è opportuno soffermarsi, non solo per la sua rilevanza storica, ma anche perché il complesso scolastico oggetto della presente tesi fu progettato, in gran parte, proprio nel periodo di validità di questo decreto, come sarà illustrato al Capitolo 4.

La norma dava indicazioni abbastanza scarne sui dettagli di armatura e quasi nulla sui carichi, salvo l’indicazione del peso proprio di calcolo del calcestruzzo, pari a 2500 kg/m3 (era stato ab-bassato a 2400 kg/m3 dal precedente R.D. n°1981 del 4 settembre 1927, mentre era già 2500

kg/m3 nel 1907); l’art. 21 prescriveva in maniera molto generale di tenere conto delle eventuali

azioni dinamiche aumentando i carichi in relazione alla loro natura ed al tipo di struttura.

Molto spazio veniva dedicato invece alle modalità di confezionamento del calcestruzzo, la cui resistenza cubica media a 28 giorni doveva essere di almeno 120 kg/cm2 (160 per conglomerati

di cemento ad alta resistenza o alluminoso) e comunque almeno tripla rispetto al carico di sicu-rezza assunto nei calcoli, fino ad un massimo di 180 kg/cm2 per elementi compressi, e fino a

225 kg/cm2 per elementi inflessi o presso-inflessi.

Per quanto riguarda gli acciai, erano previste tre categorie per le barre lisce, denominate accia-io dolce (cosiddetto “ferro omogeneo”), semiduro e duro. I parametri meccanici considerati in questa classificazione erano il carico di rottura a trazione, la tensione di snervamento e l’allungamento percentuale a rottura, da misurarsi su una lunghezza di 10 volte il diametro: i limiti indicati dalla norma sono riportati nella tabella seguente.14

Indicazioni del R.D n°2229/1939 relative alla classificazione degli acciai di armatura.

Denominazione Dolce Semiduro Duro

Tipologia di acciaio Liscio Liscio Liscio

Snervamento (kg/mm2) ≥23 ≥27 ≥31

Rottura (kg/mm2) 42-50 50-60 60-70

Allungamento (%) ≥20 ≥16 ≥14

La resistenza di progetto impiegata per il calcestruzzo era vincolante nei confronti del tipo di acciaio da impiegare: per adoperare acciai con tensioni ammissibili elevate erano richiesti cal-cestruzzi con resistenze maggiori. Il carico di sicurezza per le armature tese non doveva supera-re i 1400 kg/cm2 per l’acciaio dolce (conglomerato con resistenza minima 160 kg/cm2) e 2000

kg/cm2 per gli acciai semiduro e duro (conglomerato di cemento ad alta resistenza con carico di

rottura cubico di 160 kg/cm2 fino alla tensione di 1800 kg/cm2 nelle sezioni rettangolari e 225

kg/cm2 fino alla tensione di 2000 kg/cm2, sempre per le sezioni rettangolari).15

Vi erano poi delle prescrizioni geometriche in merito agli elementi strutturali.

I solai dovevano avere altezza maggiore del valore massimo tra 8 cm ed un trentesimo della lu-ce; la soletta doveva avere spessore minimo di 4 cm e l’armatura di ripartizione doveva essere almeno pari al 25% dell’armatura principale, con un minimo di 3ф6/ml.

14 VERDERAME, G.M., RICCI, P., ESPOSITO, M., SANSIVIERO, F.C., (2011) Le caratteristiche meccaniche degli acciai impiegati nelle strutture in c.a. realizzate dal 1950 al 1980, Atti del XXVI Convegno Nazionale AICAP - Le prospettive di sviluppo delle opere in calcestruzzo strutturale nel terzo millennio, Padova, 19-21 maggio.

15 STELLA A.,(1999) L’influenza della qualità dell’acciaio sulla risposta sismica di telai in c.a. progettati per carichi verticali, Tesi di laurea, relatori Cosenza E., Frunzio G., Manfredi G., Università degli Studi di Napoli Federico II.

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61 Per i pilastri, l’armatura minima era fissata in termini percentuali rispetto alla sezione di calce-struzzo strettamente necessaria per portare lo sforzo normale di progetto. In particolare dove-va superare lo 0,8% per sezioni di calcolo fino a 2000cm2 e lo 0,5% per sezioni di calcolo

mag-giori di 8000 cm2, con interpolazione lineare per i valori intermedi. Per le staffe era previsto un

passo massimo, da calcolarsi come il minimo tra la metà della dimensione minima della sezione e 10 volte il diametro minimo delle armature longitudinali.

Per le travi le indicazioni erano molto scarne e l’unico riferimento utile riguardava la ripartizio-ne della sollecitazioripartizio-ne tagliante al 50% tra staffe e ferri piegati.

Durante la vigenza di tale normativa furono emanate diverse circolari che rispondevano alle ne-cessità del momento. Tra queste, si citano la Circ. n°2083 del 25 settembre 1948 “L’acciaio da impiegare nei cementi armati”, così come la Circ. n°1082 del 1953 “Acciaio per conglomerati cementizi armati” e quella n°1433 del 20 maggio 1954 “Osservanza delle norme per le costru-zioni in cemento armato”, tutte finalizzate a sottolineare la necessità di rispettare rigorosamen-te la norma del’39. Avvenne infatti negli anni del dopoguerra che, vista la situazione ecceziona-le e l'urgenza di ricostruire, si tolecceziona-lerasse l’utilizzo di acciai privi della garanzia di uniformità alecceziona-le caratteristiche tipologiche prescritte.16

Seguì poi la Circolare n°1472 del 23 maggio 1957, che può essere considerata un vero e proprio “spartiacque” normativo nel campo dell’acciaio perché, oltre ad aver abrogato e sostituito tutte le prescrizioni precedenti, introduceva non solo una nuova denominazione per le barre lisce (i cosiddetti “Acciai di Qualità”: Aq42, Aq50 e Aq60, equivalenti rispettivamente alle precedenti categorie dolce, semiduro e duro), ma conteneva anche le prime indicazione sugli acciai ad ade-renza migliorata. I limiti indicati dalla norma sono riportati nella tabella seguente17:

Indicazioni della Circolare n°1472/1957 relative alla classificazione degli acciai di armatura.

Denominazione Aq 42 Aq 50 Aq 60 --

Tipologia di acciaio Liscio Liscio Liscio A. M.

Snervamento (kg/mm2) ≥23 ≥27 ≥31 --

Rottura (kg/mm2) 42-50 50-60 60-70 --

Allungamento (%) ≥20 ≥16 ≥14 ≥12

Per gli acciai in tondo, ovvero per le barre lisce, la norma imponeva che la tensione ammissibile non superasse il 50% del carico di snervamento, mantenendosi comunque al di sotto dei valori massimi pari a 1400 kg/cm2 per Aq42, 1600 kg/cm2 per Aq50, 1800 kg/cm2 per Aq60. Per gli

ac-ciai di forma speciale ad aderenza migliorata, la tensione ammissibile non doveva superare il minimo tra: il 50% del carico di snervamento, il 40% del carico di rottura (con la condizione che l’allungamento a rottura non fosse inferiore al 12%), e 2200 kg/cm2. Inoltre venivano imposte

delle classi minime di calcestruzzo in base alla tensione ammissibile dell’acciaio.

Il 5 novembre 1971 veniva emanata la legge n°1086 “Norme per la disciplina delle opere di con-glomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica”, che trovò at-tuazione nel successivo D.M. 30/05/1972 “Norme tecniche alle quali devono uniformarsi le co-struzioni in conglomerato cementizio normale e precompresso”, seguito a sua volta da numerosi

16 VERDERAME G.M., STELLA A., COSENZA E., (2001) Le proprietà meccaniche degli acciai impiegati nelle strutture in cemento armato realizzate negli anni ’60, Atti del X Convegno Nazionale ANIDIS- L'Ingegneria Sismica in Italia, Potenza e Matera, 9-13 Settembre.

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62 aggiornamenti fino al D.M.09/01/1996. Il testo del 1972 classificava gli acciai lisci in FeB22 e FeB32, quelli ad aderenza migliorata in A 38, A 41, FeB44, secondo i parametri riportati nella tabella seguente.

Indicazioni del D.M.30/05/1972 relative alla classificazione degli acciai di armatura.

Denominazione FeB22 FeB32 A38 A41 FeB44

Tipologia di acciaio Liscio Liscio A. M. A. M. A. M. Snervamento (kg/mm2) ≥22 ≥32 ≥38 ≥41 ≥44

Rottura (kg/mm2) ≥34 ≥50 ≥46 ≥50 ≥55

Allungamento (%) ≥24 ≥23 ≥14 ≥14 ≥12

La Legge prevedeva un aggiornamento biennale delle norme tecniche: questa clausola si rivelò poi catastrofica, in quanto diede origine ad un disordinato aggiornamento normativo.

Il primo di tali aggiornamenti fu il D.M.30/05/1974, con il quale la classificazione degli acciai subì lievi modifiche, come di seguito illustrato:

Indicazioni del D.M.30/05/1974 relative alla classificazione degli acciai di armatura.

Denominazione FeB22 FeB32 FeB38k FeB44k

Tipologia di acciaio Liscio Liscio A. M. A. M.

Snervamento (kg/mm2) ≥22 ≥32 ≥38 ≥44

Rottura (kg/mm2) ≥34 ≥50 ≥46 ≥55

Allungamento (%) ≥24 ≥23 ≥14 ≥12

In sostanza, spariva dalla classificazione l’acciaio A41, mentre l’A38 veniva rinominato in FeB38k, mantenendo identiche le caratteristiche meccaniche.

Innovazione degna di nota, introdotta con questo decreto, fu la possibilità di utilizzare il calcolo agli stati limite, anche se non venivano fornite in merito indicazioni dettagliate e il metodo e-splicitamente previsto restava quello delle tensioni ammissibili.

Per quanto riguarda gli elementi strutturali, già nel D.M. del 1972 venivano date le seguenti prescrizioni, rimaste sostanzialmente invariate nei decreti immediatamente successivi:

 nelle travi, la percentuale di armatura longitudinale, riferita all’intera sezione, doveva essere non minore dello 0,15% per barre ad aderenza migliorata e dello 0,25% per barre lisce; nulla era specificato in merito alle armature trasversali;

 nei pilastri, l’armatura longitudinale doveva avere complessivamente una sezione com-presa tra lo 0,6% e il 5% della sezione in calcestruzzo strettamente necessaria per il cari-co assiale, in base alla tensione ammissibile adottata, e cari-comunque non minore dello 0,3% della sezione effettiva. Era previsto un diametro minimo per le barre longitudinali, pari a 12 mm; quanto alle staffe, queste dovevano essere poste ad interasse non mag-giore di 15 volte il diametro minimo delle barre impiegate per l’armatura longitudinale, con un massimo di 25 cm. Si noti che nel più vecchio R.D n°2229/1939 la prescrizione analoga era più restrittiva (essendo di 10 volte il dimetro minimo delle barre, o la metà della dimensione minima del pilastro).

Inoltre veniva proposta per la prima volta una formula per il calcolo del modulo elastico in base alla resistenza caratteristica del calcestruzzo a 28 giorni di maturazione.

Per le costruzioni in zona non sismica, non seguirono norme particolarmente innovative fino all’emanazione delle attuali Norme Tecniche con il D.M. 14/01/2008. Il 13/2/2008 è la data di

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63 entrata in vigore del testo unico sulle costruzioni; dal 1/7/2009 terminò la coesistenza con pre-cedenti norme.

Per le costruzioni in zona sismica, si possono distinguere essenzialmente due periodi18: il primo

ha inizio con l’entrata in vigore del R.D. 22/11/1937 n°2105; il secondo parte dal D.M.03/03/1975, che ha introdotto le analisi statica equivalente e dinamica tuttora utilizzate. Tuttavia, si è scelto di concentrare la presente trattazione sulle prescrizioni per le costruzioni in zona non sismica in ragione del fatto che, prima degli anni’80, questa comprendeva la quasi to-talità del territorio italiano, come già evidenziato in §1.3.1.

2.3.2- Rilievo geometrico - strutturale e dei dettagli costruttivi

Il rilievo è un insieme di procedure mirate alla conoscenza dell’effettiva geometria esterna della struttura, nonché dei dettagli costruttivi. Questi ultimi possono essere occultati alla vista (è il caso delle armature negli elementi in cemento armato), rendendo necessaria l’esecuzione di saggi a campione, e conseguenti valutazioni estensive per analogia.

La Circolare n°617/2009 (§C8.5.2) specifica che, mentre per i dettagli costruttivi e per le pro-prietà dei materiali si accettano crescenti livelli di approfondimento dell’indagine, per la geo-metria esterna si richiede che il rilievo sia compiuto in maniera quanto più completa e detta-gliata possibile, al fine di definire un modello strutturale affidabile.

In fase di rilievo, è necessario accertare:

 lo schema strutturale, con particolare riguardo all’orditura monodimensionale o bidire-zionale dei tali, e alla giacitura dei solai;

 lo schema delle fondazioni e le caratteristiche del suolo;  la forma e le dimensioni degli elementi strutturali;  le caratteristiche degli orizzontamenti;

 le caratteristiche e la distribuzione degli elementi non strutturali;

 le modifiche subite dalla struttura sia in termini di sistema resistente (modifiche dello schema strutturale) sia di entità e distribuzione dei carichi (eventuali cambiamenti di destinazione d’uso e/o aggiunta di impianti di peso rilevante);

 le eventuali irregolarità e/o altri fattori di vulnerabilità;  la qualità e lo stato di conservazione dei materiali;

 i dissesti, in atto o stabilizzati, identificando il quadro fessurativo e i meccanismi di dan-no;

 i dettagli costruttivi, con particolare riguardo alla presenza di eventuali eccentricità;  i rapporti con le eventuali strutture in aderenza.

Tutte le informazioni acquisite devono essere rappresentate opportunamente mediante piante, prospetti, sezioni ed elaborati grafici di dettaglio. La rappresentazione deve inoltre evidenziare le modificazioni intervenute nel tempo, come desunte dall’analisi storico-critica, la quale peral-tro

18 IZZO G., (2008), Comportamento sismico di edifici in cemento armato. Analisi e verifica, Dario Flaccovio Editore, Palermo.

(22)

64 può essere particolarmente utile per guidare il rilievo, suggerendo le criticità da indagare.

2.3.3- Caratterizzazione meccanica dei materiali

La conoscenza delle proprietà meccaniche dei materiali è fondamentale per lo svolgimento del-le verifiche. Alcune informazioni, comunque non esaustive, possono ricavarsi daldel-le norme dell’epoca della costruzione; è opportuno reperire anche eventuali certificati originali di prova, se disponibili.

Dati più affidabili sono invece quelli ricavabili da indagini sperimentali: la fase conoscitiva dovrà quindi comprendere un piano di indagini motivate, per tipo e quantità, dal loro effettivo uso nelle verifiche. Sulla base delle prove effettuate, vengono valutati i valori delle resistenza mec-caniche dei materiali, prescindendo dalle classi discretizzate previste dalle norme per le nuovi costruzioni (come ad esempio quelle del calcestruzzo di cui al §4.1 delle NTC).

Per le barre in acciaio, le proprietà meccaniche incognite sono: la tensione di snervamento, la tensione di rottura, l’allungamento percentuale a rottura.

Non esiste, attualmente, una procedura non distruttiva utile per la stima di tali grandezze: di conseguenza, l’unico metodo di indagine consiste nel prelievo di spezzoni di armatura, da sot-toporre successivamente a prova di trazione in laboratorio. Le modalità di esecuzione e l’interpretazione dei risultati di tale prova non differiscono rispetto a quelle relativa alle nuove costruzioni, e la principale norma di riferimento è la UNI EN ISO 15630-1:2010.19

Più delicata è la questione legata alla scelta dell’ubicazione, nonché alle modalità, del prelievo: spesso infatti ci si imbatte in barre non saldabili, dunque è particolarmente difficile riuscire a ri-pristinare l’integrità dell’elemento strutturale. Pertanto, è opportuno effettuare il prelievo in corrispondenza della ripresa delle armature, cercando di ridurre al minimo il danno che ne deri-va all’elemento.

Si vuole ricordare, comunque, che, essendo l’acciaio un prodotto industriale, dunque con una variabilità limitata sia come tipologie sia in termini di specifiche proprietà meccaniche, spesso è possibile identificare il tipo di barra semplicemente con un’accurata ispezione visiva, tenendo conto del suo aspetto (presenza e forma di eventuali nervature), del periodo di realizzazione dell’opera, e di eventuali altre informazioni, anche parziali, contenute nella documentazione tecnica originale. Utile riferimento in proposito è senza dubbio la normativa storica sugli acciai da cemento armato (si veda il §2.3.1.1).

Contestualmente all’indagine visiva, particolare cura deve essere riposta nel verificare l’eventuale presenza di processi di corrosione delle barre: tale fenomeno, oltre a compromette-re la capacità compromette-resistente dell’armatura, la cui sezione efficace risulta ridotta, può condizionacompromette-re negativamente ed in maniera significativa il legame di aderenza acciaio-calcestruzzo.

Per il materiale calcestruzzo, particolarmente importante è la stima della resistenza a compres-sione: in primo luogo, per il ruolo determinante che questa riveste sulla capacità portante e sul-la durabilità delsul-la struttura; secondariamente, perché altre proprietà del calcestruzzo, quali il modulo elastico e la resistenza a trazione, possono ricavarsi da essa.

19 UNI EN ISO 15630-1:2010, Acciaio per calcestruzzo armato e calcestruzzo armato precompresso. Metodi di pro-va. Parte 1: Barre rotoli e fili per calcestruzzo armato.

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65 Sono disponibili diversi metodi di indagine per la valutazione della resistenza a compressione, distinguibili nelle due categorie di:

 prove dirette di resistenza su campioni prelevati da elementi strutturali (prove distrutti-ve);

 prove indirette, che consistono nella misura di determinate caratteristiche fisiche o chi-miche da cui è possibile ricavare una stima della resistenza attraverso correlazioni, in genere di tipo empirico. Si tratta di prove solo moderatamente o affatto distruttive. Rientrano nella prima categoria i carotaggi e i microcarotaggi, mente esempi di prove indirette non distruttive sono le indagini sclerometriche, le prove ultrasoniche e i metodi combinati co-me il co-metodo Sonreb. Tra le prove indirette moderataco-mente distruttive, invece, si co-menzionano le prove di estrazione (pull-out test), le prove di penetrazione (Windsor Probe Test), le prove di trazione superficiale (pull-off test), le prove di flessione superficiale (break-off test).

Le prove indirette hanno come vantaggi il fatto di arrecare danni molto limitati o del tutto nulli alla costruzione, la rapidità di esecuzione ed i costi piuttosto contenuti. Tuttavia l’affidabilità dei risultati può ritenersi accettabile principalmente per finalità comparative, piuttosto che per valutazioni puntuali della resistenza.

Prove dirette come i carotaggi, pur risultando più lente ed economicamente impegnative, dan-no sicuramente risultati più attendibili: ovviamente la loro esecuzione è condizionata dalla pos-sibilità o meno di produrre dei danni, oltre che dalla disponibilità economica, ragion per cui si cerca solitamente di limitarne il numero.

Infine, possono rilevarsi opportune anche alcune indagini di tipo chimico, come la prova di car-bonatazione: tale fenomeno può avere riflessi importanti sul processo di corrosione delle arma-ture, dunque sulle proprietà meccaniche delle barre d’acciaio e sull’efficacia del legame d’aderenza acciaio-calcestruzzo.

Nei paragrafi che seguono verranno approfonditi alcuni metodi di indagine sul calcestruzzo, e-videnziando inoltre le corrispondenti indicazioni della Regione Toscana contenute nel già citato Programma per la valutazione della Vulnerabilità Sismica degli edifici in Cemento Armato20.

2.3.3.1- Il carotaggio

L’operazione del carotaggio consiste nel prelievo di un campione cilindrico, detto appunto “ca-rota”, mediante un apposito strumento dotato di mola a corona diamantata.

Le specifiche per l’esecuzione sono contenute nella norma UNI EN 12504-1 (2002)21.

La prima operazione da compiersi è la pianificazione della quantità e dell’ubicazione dei caro-taggi: nella scelta della localizzazione dei punti di estrazione, andrebbero evitate quelle zone in cui il calcestruzzo ha tipicamente caratteristiche diverse da quelle medie.

Ad esempio, nei pilastri le modalità di posa in opera determinano generalmente una variazione della resistenza lungo l’altezza degli elementi strutturali (in particolare ciò accadeva, in passato, per l’assenza di operazioni di compattazione). Di conseguenza, può verificarsi una variazione del 20-30% procedendo dalla base alla sommità, zona nella quale la qualità inferiore del

20 Cfr. §1.3.2.

(24)

66 zo ne sconsiglia la manomissione.22 Pertanto, nei pilastri è opportuno operare il prelievo in

prossimità della mezzeria, peraltro in corrispondenza delle sollecitazioni flessionali minime. I-noltre la scelta dei pilastri su cui effettuare il carotaggio è subordinata allo stato di conservazio-ne degli elementi stessi, e al tasso di lavoro per carichi verticali in condizioni di esercizio.

Per quanto concerne le travi, in caso di travi ricalate il prelievo va effettuato sul fianco, tra 1/4 ed 1/5 della luce netta, ed all’incirca a metà altezza della sezione. Nel caso di travi in spessore di solaio, il prelievo non potrà che essere effettuato in direzione verticale, dopo la rimozione di una zona del massetto, della pavimentazione e di quant’altro presente al di sopra e al di sotto dell’elemento strutturale.

In ogni caso, prima di effettuare il carotaggio è necessario eseguire un’indagine pacometrica al fine di individuare la posizione delle armature, che devono essere accuratamente evitate: in-nanzitutto per non danneggiarle; in secondo luogo perché la presenza di spezzoni di barre in acciaio andrebbe ad invalidare i risultati della successiva prova di schiacciamento del provino. Proprio in vista della successiva prova in laboratorio, il criterio fondamentale che guida l’esecuzione del carotaggio è quello di ridurre al minimo il danneggiamento o comunque l’alterazione del campione nel corso dell’estrazione; pertanto, la carotatrice deve essere ade-guatamente ancorata per evitare spostamenti o vibrazioni.

Il provino, di forma cilindrica, deve avere un diametro non minore di tre volte la dimensione massima dell’aggregato, mentre l’altezza deve essere possibilmente pari a due volte il diame-tro.

Se il diametro della carota è inferiore a tre volte il diametro dell’inerte, si parla di microcarota; ma i risultati di resistenza che si ottengono dalla prova a compressione su microcarote sono af-fetti da un elevato indice di dispersione, a causa della distribuzione casuale degli inerti. Per di più, alcuni inerti piccoli, o frantumi di inerti, possono distaccarsi dalla superficie laterale indebo-lendo la sezione del provino in quel punto. Nel caso sia necessario procedere ad estrarre solo microcarote, è consigliabile allora effettuare le prove di schiacciamento su un maggior numero di campioni; è possibile comunque estrarre delle microcarote sufficientemente lunghe da poter ricavare, da ciascuna di esse, più campioni.

Terminate le operazioni di estrazione, è necessario in ogni caso ripristinare al più presto la ge-ometria iniziale dell’elemento strutturale interessato, riempiendo il foro con malta antiritiro (con resistenza simile ma non inferiore al materiale preesistente), che comunque non potrà compensare completamente la capacità portante dell’elemento.

In laboratorio potranno poi essere effettuate, sulle carote estratte, prove di compressione, pro-ve di trazione diretta, propro-ve per la determinazione del modulo elastico e del modulo di Poisson, prove chimiche. Le prove devono essere eseguite in laboratori autorizzati, nelle modalità stabi-lite dalle norme europee di riferimento.23

22 MANFREDI G., MASI A., PINHO R., VERDERAME G., VONA M., (2007), Valutazione degli edifici esistenti in Cemen-to ArmaCemen-to, IUSS Press, IstituCemen-to Universitario di Studi Superiori di Pavia.

23 Si segnalano le principali norme di riferimento per le prove di laboratorio:

UNI EN 12390-3:2003, Prova sul calcestruzzo indurito – Resistenza alla compressione dei provini; UNI EN 12390-5:2002, Prova sul calcestruzzo indurito - Resistenza a flessione dei provini;

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67 A partire dal 2004, mediante l’attivazione del Programma di valutazione della Vulnerabilità Si-smica degli edifici in Cemento Armato (VSCA), la Regione Toscana ha fissato i criteri per lo svol-gimento delle indagini diagnostiche e per l’elaborazione dei dati di prova, necessari per la valu-tazione della qualità dei materiali finalizzata alla valuvalu-tazione di vulnerabilità di edifici esistenti. Le istruzione tecniche24 del programma illustrano in maniera dettagliata le procedure da

ese-guire; in merito ai carotaggi, oltre alle indicazioni generali già esposte, è esplicitamente richie-sto di:

 privilegiare, nella scelta degli elementi strutturali da indagare con metodi diretti, l’elemento pilastro rispetto all’elemento trave, in considerazione del fatto che in edifici in c.a. esistenti si identificano come più probabili i meccanismi di collasso di piano (travi forti e colonne deboli);

 verificare preventivamente i tassi di lavoro per carichi verticali e per aree d’influenza dei pilastri da sottoporre a carotaggio, escludendo dalla scelta gli elementi con un tasso di lavoro maggiore del 6070% della tensione ammissibile (ottenuta in via preliminare considerando un valore di resistenza a compressione pari al minimo previsto per il cal-cestruzzo strutturale dalla normativa vigente all’epoca della costruzione);

 utilizzare carotatrici ad acqua a sola rotazione senza percussione, con un sistema di fis-saggio del fusto della macchina direttamente sull’elemento strutturale, mediante un tassello di fissaggio ed una piastra d’appoggio dotata di viti di regolazione, al fine di ri-durre lo stress del prelievo al minimo e limitare il più possibile le vibrazioni innescate;  eseguire il carotaggio rigorosamente in un’area già indagata con il metodo Sonreb, al

fne di poter correlare i dati derivanti da entrambe le tipologie di indagifne; è richiesta, i-noltre, la misurazione della velocità degli ultrasuoni sulle carote in condizioni di equili-brio ambientale (umidità compresa fra il 37% e il 50%) successivamente al trasporto in laboratorio;

 utilizzare corone di dimensioni tali da garantire provini di diametro pari a circa 100 mm (laddove le dimensioni geometriche della sezione lo consentano) e comunque non infe-riore a 8285 mm;

 preparare preventivamente l’elemento strutturale su cui eseguire il carotaggio, median-te: rimozione dell’intonaco (o di altri materiali di ricoprimento) per l’intera larghezza del pilastro e per un’altezza di 60-80 cm; raschiatura della superficie di calcestruzzo con mo-la a mano, fino a riportarmo-la in condizioni di lisciatura omogenea, escludendo l’impiego di mezzi meccanici che potrebbero intaccare lo strato superficiale del calcestruzzo; segna-tura dell’elemento strutsegna-turale con un codice identificativo;

 produrre una documentazione fotografica completa di ciascuna fase di esecuzione;  classificare ciascuna carota mediante chiara segnatura, sulla superficie, del codice

iden-tificativo, indicando inoltre il senso di entrata della corona diamantata mediante frecce;

24 FERRINI M. (a cura di), (2004), Programma regionale Vulnerabilità Sismica edifici in Cemento Armato. Istruzioni tecniche: criteri per lo svolgimento di indagini diagnostiche finalizzate alla valutazione della qualità dei materiali in edifici esistenti in cemento armato, Regione Toscana – Giunta Regionale – settore Servizio Sismico Regionale, Dire-zione Generale delle Politiche Territoriali e Ambientali, in:

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