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L'immaginario in lattina: il ruolo del packaging nell'esperienza di consumo di un birrificio artigianale

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Number 13 - Year VIII / July 2019 pp. 63-79

Canned imaginaries: the influence of packaging on the consumption experience

in a craft brewery. Craft brewing is a global movement, locally redefined

through places, people and, not last, objects. The packaging of goods is one of

the distinctive practices of modernity, a cultural technique for the treatment of

consumer objects. In this article we propose an analysis of the immaterial

dimension of beer cans in an Italian craft brewery. Different aspects of package

design are involved within social imaginaries, shaping consumer's desires and

experience. Packaging is an active agent of a marketing strategy which involves

the consumption experience. The agency of the can is express by its capacity to

establish with the consumer a multi-sensory relation, through the immaterial

components inscribed within its own materiality. Moreover, the desire

component exceed the instrumentality of the object, bringing the can in a new

system of objects, as a collectable item.

Abstract

Keywords

Social Imaginaries | Beer Can | Craft Brewing | Material Culture| Experience Marketing

Authors

Nicola Martellozzo

martellozzonicola@gmail.com

Dipartimento di Psicologia | Università di Torino

L'immaginario in lattina: il ruolo del

packaging nell'esperienza di consumo di

un birrificio artigianale

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L’immaginario in lattina

1. Introduzione

P

oche cose nella nostra società passano così inosservate come gli imballaggi, e al tempo stesso sono tanto onnipresenti. Esistono in una particolare dimensione residuale, in funzione del loro essere involucro per qualcosa, destinati a diventare scarti. Tra le pratiche più tipiche della modernità - con il suo mercato globale - c'è sicuramente l'imballaggio delle merci, vera e propria tecnica culturale per il trattamento degli oggetti di consumo. Dalla produzione alla vendita, bottiglie, buste e scatole sono una presenza costante, eppure liminale.

Tuttavia, se questo anonimato è un effetto diretto di un'assuefazione quotidiana, indifferente, parlare di packaging anziché d’imballaggio apre una nuova prospettiva in cui trovano voce le componenti simboliche e immateriali di questi oggetti. Il packaging chiama in causa la vocazione ostensiva degli imballaggi, il loro essere progettati non solo per conservare la merce, ma per essere mostrati e guardati. Non solo contenitori perciò, ma vere e proprie interfacce che, nella loro materialità, diventano luoghi d'espressione di desideri e immaginari.

In questo senso gli imballaggi sono oggetti sociali: intrattengono relazioni sia con persone, sia con altri oggetti, secondo modalità culturali che possono essere descritte ed analizzate. Tutto il filone dei Material Studies nelle scienze umane si occupa di evidenziare questa dimensione sociale degli oggetti (Ciabarri, 2018; Tilley et al., 2006; Miller, 2005; Appadurai, 1986), non riducibile alle sole dinamiche passive o strumentali. Già da decenni, gli antropologi hanno incrinato la dicotomia soggetto/oggetto basata sulla capacità (o incapacità) d'azione nel mondo, mostrando come all'interno dei processi culturali anche gli oggetti inanimati possiedano una propria agency (Hoskins 2006; Keane, 2005: 190-91).

Nel contesto economico del marketing, il packaging è un agente attivo delle strategie di branding, capace di instaurare con il consumatore1 una relazione multi-sensoriale (de

Waal Malefyt, 2014 : 704-720) che influenza la pratica di consumo stessa. Tenendo conto di questa agency, l'analisi va condotta a partire dall'oggetto: non concepirlo a priori come imballaggio o contenitore, ma osservare come le relazioni che intrattiene di volta in volta con altri oggetti e persone lo portino a ridefinirsi, descrivendo una sua particolare «biografia» (Kopytoff 1986).

Sulla scorta di ciò, in quest’articolo ci occuperemo di uno degli oggetti più diffusi e quotidiani, la lattina di birra. Questa analisi s'inserisce all'interno di una ricerca antropologica più ampia, dedicata ai birrifici artigianali italiani, e più precisamente alle modalità di costruzione e alle forme delle loro identità sociali. All'interno del

1 Uso questo termine, al posto del più generico «utente» o «attore sociale», per sottolineare l'attività di

consumo della birra da parte di un gruppo eterogeneo di persone, nonostante possa evidenziare fin troppo l'aspetto economico della relazione

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panorama globale, il fenomeno del craft brewing italiano è uno dei più vivaci (Garavaglia, 2017), caratterizzato da un gran numero di birrifici indipendenti con una produzione piccola ma ricercata, e un proprio circuito di distribuzione esterno a quello dei grandi brand internazionali.

L'identità di questi birrifici passa attraverso l'affermazione di certi valori cardine - come l'artigianalità - e il contrasto con l'industria brassicola di massa. In entrambi i casi, il craft brewing si muove all'interno di un immaginario preciso, veicolato da persone, luoghi e oggetti. Non ultima tra questi, la lattina ha giocato un ruolo chiave nella cultura materiale moderna della birra (Ronnenberg, 2016), dove a differenza della bottiglia nasce espressamente per questa bevanda. I birrifici artigianali utilizzano la lattina non solo per conservare la propria birra o promuoverne la vendita, ma per presentare la propria identità a un'ampia platea di consumatori.

Nella loro diffusione, i packaging sono rappresentanti materiali del birrificio, della sua identità, contribuendo a costruirne la dimensione pubblica. Tuttavia, questi oggetti spesso eccedono anche tale forma di dipendenza, acquisendo nel tempo una dimensione propria, estranea alla funzione strumentale «originaria» d’imballaggio.

Il collezionismo è probabilmente l'esempio più evidente di come le lattine acquistino un nuovo status oltre lo scarto (Belk, 1995: 87-94), diventando oggetti a sé, addirittura icone artistiche. Con l'opera Campbell's Soup Cans (Fig. 1), Andy Warhol ha colto esattamente questa prospettiva, mostrando come un prodotto di massa dell'industria moderna – una lattina di pomodoro – possa nella sua riproducibilità e serialità, diventare oggetto d'arte (Klimchuk and Krasovec, 2012: 25).

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La tensione tra modello e serie, tipica delle modalità produttive moderne, è stata ben evidenziata da Baudrillard (1996: 137), che si sofferma anche sul collezionismo. L'oggetto da collezione perde la sua strumentalità, entrando in un sistema marginale basato sul possesso, o meglio, su una progettualità indefinita di possesso (Baudrillard, 1996: 86-97). Le lattine di birra si prestano particolarmente al collezionismo (Kopytoff, 1986: 80; Wright, 1976), costituendo una serie di oggetti omologhi differenziata internamente sulla base dei materiali, delle forme e delle superfici, tutti potenziali criteri di classificazione.

In questo senso, il design del packaging permette da un lato di sopperire agli inevitabili deficit tecnologici e di «stile» (Baudrillard, 1996: 145-48), e dall'altro di rimodellare l'oggetto all'interno di una serialità storica in cui lo stile agisce come valore trasversale (Conkey, 2006). Attraverso questo processo le lattine assumono caratteri propri, identità precise che, unite alla presenza diffusa di questi oggetti, servono da marcatori storici.

L'archeologo D. Maxwell (1993) è stato il primo a proporre di utilizzare le lattine come strumenti per la datazione dei siti di scavo. Esattamente come per la ceramica, la serie temporale di trasformazioni di forme e materiali delle lattine di birra, dalla loro invenzione nei primi del Novecento a oggi, ne permette un utilizzo stratigrafico (Shanks and Tilley, 2004).

Nel passaggio tra contesti culturali, questi oggetti possono perdere completamente la loro dimensione originaria di packaging. Uno fra gli esempi migliori è il loro utilizzo come ornamenti funerari presso le isole Tonga (Burley, 1995). Non è tanto l'attribuzione di un significato diverso a uno stesso oggetto, ma è la materialità stessa che nel contesto di Tonga manifesta il rango politico del morto.

Il dato etnografico mostra quanto una lattina possa ridefinirsi attraverso i processi culturali e le relazioni che la riguardano. Anche se la nostra analisi considera un fenomeno culturale «vicino» come l'immaginario del craft brewing italiano, dobbiamo comunque porre attenzione al nostro oggetto nelle sue potenzialità meno evidenti. Possiamo leggere la materialità della lattina come una concrezione fisica di componenti immateriali, osservando come il design permetta di proporre e plasmare certi immaginari.

Nella terza parte di quest’articolo riporteremo i risultati – parziali ma emblematici – di un'etnografia condotta in un birrificio artigianale del Veneto (Crak Brewing); tuttavia, prima è bene esaminare rapidamente il retaggio della lattina, ossia l'insieme delle trasformazioni morfologiche e storiche che l'hanno reso l'oggetto che è oggi e che ancora ne influenzano l'immaginario.

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L'utilizzo delle lattine come strumento di datazione è possibile perché questo oggetto si è trasformato più e più volte con pattern caratteristici (Ronnenberg, 2016: 86-89). È poco più di un secolo che la lattina viene impiegata come contenitore per la birra, ma dai primi esperimenti fallimentari della American Can Company of Greenwich (Maxwell, 1993: 95) al nuovo design «a farfalla» del marchio Budweiser, la lattina ha un lungo retaggio di cambiamenti. Questa componente passata è stata determinante per costruire l'attuale immaginario dell'oggetto e la sua stessa dimensione sociale; esaminandola attraverso l'evoluzione del design, possiamo cogliere alcuni aspetti generali che ancora influenzano – e in parte motivano – le scelte del craft brewing italiano (Garavaglia, 2017: 239) e l'esperienza del consumatore.

2.1 Materiali

Il termine «lattina» è entrato nell'uso corrente per indicare tutti gli imballaggi metallici di forma cilindrica per alimenti. Ormai si tratta solo di una consuetudine, giacché la maggior parte di questi imballaggi sono prodotti in alluminio o acciaio, mentre la latta – una lamina di ferro ricoperto di stagno – è quasi scomparsa. Le lattine di birra sono state prodotte con questi e molti altri materiali, con esiti ed effetti diversi (Klimchuk and Krasovec, 2012: 154), ma ancora non hanno soppiantato l'altro imballaggio concorrente, le bottiglie in vetro.

La disputa tra bottiglia e lattina è diventata quasi un luogo comune, da quanto si è radicato tra i consumatori. Generalmente si ritiene che le birre in bottiglia abbiano una qualità superiore in virtù del materiale usato. Il vetro comunica un'idea di trasparenza, purezza, protezione, tutti valori che vengono «traslati» sul contenuto. A livello d’immaginario, la scelta tra bottiglia in vetro e lattina metallica implica due regimi di visibilità diversi e due rispettivi trattamenti del contenuto. Il problema è dato dalla luce: alcune sostanze presenti nella birra tendono a deteriorarsi quando esposte a luce solare diretta, conferendo uno sgradevole «gusto luce».

Le bottiglie in vetro sono trasparenti, permette la visione del contenuto, ma aumenta il rischio di deterioramento. Esponendola alla vista, la bottiglia perde parte della sua capacità di conservazione. Per questo motivo quasi tutti i birrifici, soprattutto quelli artigianali, utilizzano bottiglie dal vetro scuro, con diversi gradi di schermatura. La lattina metallica, al contrario, cela completamente il suo contenuto con un'opacità totale. Il consumatore non può intravedere la birra, come nel caso della bottiglia, ma può contare su una conservazione migliore senza deterioramenti da luce. Questo fa sì che la superficie della lattina sia importantissima, perché deve sostituire – e come vedremo, anticipare – la birra che contiene.

Oggi, praticamente tutte le lattine sono prodotte in alluminio, ma per diversi decenni la scelta del metallo ha costituito un problema serio per il confezionamento e la degradazione del prodotto. I primi esperimenti degli anni '20 non resistevano alla

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pressione dell'anidride carbonica, ed è solo negli anni '30 (con la fine del proibizionismo) che vengono prodotte in massa le prime lattine di birra dalla Krueger Beer Company, in collaborazione con la American Can Company.

Dal 1935 in poi, sempre più birrifici utilizzarono la lattina come contenitore. Alcuni sperimentarono le materie plastiche in sostituzione del metallo, ma fino alla Seconda guerra mondiale fu l'acciaio a imporsi. Questo materiale aveva però il difetto di alterare il sapore della birra, conferendo un gusto metallico dovuto alle reazioni chimiche tra contenitore e contenuto. Nonostante l'utilizzo dell'alluminio abbia risolto questo problema, la lattina metallica non ha mai perso del tutto la sua nomea negativa. Molti consumatori hanno tuttora un pregiudizio verso questo packaging: la loro esperienza è influenzata dall'immaginario passato, e la lattina viene abbinata ad una contaminazione del gusto.

In altre parole, la percezione del consumatore nel suo rapporto presente con l'oggetto metallico è mediata da un immaginario più esteso, di cui si ritrova inconsapevolmente portatore nell'atto del bere. A sua volta, il giudizio dell'esperienza riprodurrà l'immaginario negativo, rinforzandolo. È interessante notare come, in questo senso, la lattina si riconfermi come interfaccia attiva tra consumatore e prodotto, suscettibile d’interazioni con l'uno e l'altro.

Per quanto riguarda gli scambi chimici con il contenuto, possiamo parlare di un’inerzialità media del materiale. Confrontando l'inerzialità dei diversi packaging, la bottiglia di vetro è all'estremo positivo, non sviluppando alcun tipo d’interazione con la birra. All'estremo opposto si collocano le botti di legno, usate per i processi d’invecchiamento di alcune birre, in cui al contrario si cerca di alterare volontariamente il contenuto, con effetti positivi su aroma e sapore.

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Figure 2 - Serie di lattine «cone-top» anni '30 e '40

2.2 Forma

La forma assunta dalle lattine è un altro tratto che influenza l'immaginario di questo oggetto e ne permette la periodizzazione storica. Mentre il corpo centrale è rimasto sempre cilindrico, la sommità della lattina è cambiata per rispondere a esigenze ergonomiche e produttive. Il modello più particolare è sicuramente quello «cone-top», diffusissimo negli anni '40 e scomparso dopo la Seconda guerra mondiale (Fig. 2). La parte alta ha una forma a cono con un tappo a corona, una configurazione ibrida tra la lattina cilindrica e il collo di una bottiglia.

Non a caso la parte alta è il punto dove l'interfaccia si apre per permettere il consumo della birra. Negli anni sono stati sperimentati diversi dispositivi di apertura: punteruoli, tappi, linguette metalliche interne ed esterne, ognuna con vantaggi e svantaggi. Dimensioni e proporzioni delle lattine sono state pensate per diversi volumi, pressioni interne e prese, fino allo standard di 330 ml.

Tutto ciò fa parte di un'ampia progettazione del contatto, in cui il design cerca di bilanciare le esigenze ergonomiche con quelle tecniche ed estetiche, un processo che continua tuttora. Nel 2005 cominciò a essere adottata la versione sleek can della lattina, più alta e slanciata, usando il formato degli energy drink. Come vedremo, il birrificio Crak è tra i pochissimi in Italia a usare questa forma, con un volume di 400 ml. Ma

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l'innovazione del design si spinge fino a rimettere in discussione la stessa forma cilindrica, come mostra il modello «a farfalla» del marchio Budweiser (Fig. 3).

Insieme alla scelta del materiale, il cambiamento di forma riflette non solo le esigenze di marketing, ma ancor prima delle tecniche produttive. La lattina è anche il risultato di una produzione industriale di massa, di riproducibilità seriale e standardizzata. La provocazione di Warhol viene perfettamente raccolta da questo oggetto, la cui pervasività riguarda tanto i luoghi fisici quanto l'immaginario della cultura popolare, di massa appunto. Se forma e materiale descrivono una progettazione del contatto, il graphic design agisce ancora più in profondità nell'esperienza del consumatore, esaltando la dimensione ostensiva della lattina, la cui superficie è il luogo dove immaginari e desideri prendono forma.

Figure 3 - Nuovo design «a farfalla» del brand Budweiser

2.3 Superficie

La progettazione della veste grafica di questi oggetti è una delle attività più importanti nel craft brewing, dopo – ovviamente – produrre birra. Sono numerosi gli studi di design che si dedicano a questo lavoro, concentrandosi sul labeling, ossia la creazione e presentazione di un marchio (Klimchuk and Krasovec, 2012). La superficie della lattina deve riassumere l'identità del birrificio, comunicando i suoi valori e la sua originalità, oltre che presentare il suo contenuto liquido. Studi di design come Manual2

e Helms3 propongono grafiche artistiche che spiccano particolarmente, distinguibili in

«stili» differenti. Lo studio CODO fornisce delle linee guida4 per la realizzazione da

zero del brand, che comprende anche la più ampia progettazione dei luoghi e della

vision che definisce l'immagine pubblica di un birrificio.

2https://manualcreative.com/project/fort-point-beer-company

3https://helmsworkshop.com/boulevard-brewing-rebrand

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Il fenomeno del craft brewing coinvolge decine di migliaia di birrifici artigianali in tutto il mondo che condividono tecniche, saperi e persone, ma che al tempo stesso cercano di distinguersi attraverso le proprie birre e l'esperienza che offrono al consumatore (Gilmore and Pine, 2011; Clemons et al., 2006). Il design grafico riflette questa ricerca di unicità, iscrivendola nella materialità del packaging. La lattina esercita così la propria agency esponendosi alla visione, seducendo con l'estetica, enfatizzando la sua componente ostensiva. Trattando la superficie come una tela (canvas), si cerca di introdurre un elemento di distinzione all'interno della serialità degli oggetti omologhi, suscitando un desiderio, non solo di consumo, ma di possesso nel consumatore. Da notare come lo stesso meccanismo sia all'opera nel sistema marginale del collezionismo, dove il desiderio media la dinamica ludica di raccolta degli oggetti (Baudrillard, 1996: 97).

Figure 4 – Differenti stili grafici per lattine

3. . Il caso di Crak Brewery: packaging e pratiche del consumo

Crak Brewery è un birrificio artigianale che negli ultimi anni si è distinto per i suoi prodotti, ottenendo nel 2018 il titolo di miglior birrificio d'Italia. Le sue birre hanno vinto numerosi premi, e sono tra le più conosciute e apprezzate nel panorama italiano. Il birrificio veneto ha una propria Tap Room («spilleria»), luogo aperto al pubblico e dedicato al consumo del prodotto in loco. Il consumo diretto permette di bere dal calice (rigorosamente in vetro), mentre per la vendita sul mercato Crak utilizza come

packaging bottiglie in vetro, lattine di alluminio e fusti metallici (25/30 L).

Più recentemente, questo birrificio è stato scelto come fieldwork per una ricerca etnografica sui processi di costruzione identitaria nel craft brewing, iniziata nel 2018 e

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tuttora in corso. In questa terza e ultima parte daremo spazio alle rappresentazioni dei consumatori e alle loro narrazioni sulle pratiche di consumo nel birrificio, emerse durante interviste e dialoghi di questi due anni. Pur configurandosi come una ricerca propriamente antropologica, il contesto in cui è condotta legittima un dialogo interdisciplinare con studi di marketing (de Waal Malefyt, 2014: 706-720) e business (Denny and Sunderland, 2014); all'interno di questo frame teorico la componente etnografica restituisce la dimensione di pratiche e materialità che spesso sfugge nelle analisi sul consumo dei prodotti e sul branding (Aganoff et al., 2014: 393-94 ).

3.1 Aspetti metodologici della ricerca

La ricerca si avvale anche di un approccio semiotico, che purtroppo non è possibile riportare qui. L'analisi semiotica si concentra sul graphic design delle lattine, trattando la superficie come «testo»; tra gli approcci semiotici alla materialità che giustificano questa nostra scelta va annoverato quello di Keane (2005), il quale sottolinea come all'interno della materia-oggetto esista una compresenza di segni. Keane conia il termine bundling per riferirsi a questo intreccio contingente di qualità incorporate nella materia (Keane, 2005: 188), sottolineandone inoltre le potenzialità iconiche: attraverso questa rete di somiglianze, ogni oggetto può rappresentarne un altro, stabilendo una serialità che ritroviamo nel sistema marginale del collezionismo.

L'analisi iconica torna anche nell'approccio visuale sviluppato in antropologia (Pink, 2006), che nei contesti applicativi si avvale di una stretta collaborazione tra ricercatore e consumatore. In questo senso, sono diversi gli autori che rilevano le potenzialità della

consumer ethnography, specie per la possibilità di produrre narrazioni, intese come informant-led representation (Pink, 2006: 95), che documentano l'esperienza di consumo

come pratica di relazione tra l'oggetto e il consumatore.

The key aspect of adopting ethnographic practice in design is to ultimately understand more of the user’s perception of the object, environment, system, or service the user is engaged with. (Bichard and Gheerawo, 2011: 47)

In altre parole, le persone raccontano il proprio coinvolgimento con l'oggetto, più che il loro utilizzo dell'oggetto, ed è interessante come molte di queste narrazioni chiamino in causa la sensorialità e la percezione per descrivere delle pratiche. Un punto fondamentale per questa ricerca è stato il riconoscimento della multi-sensorialità intrinseca al campo etnografico e alle pratiche di produttori e consumatori. La modalità artigianale del craft brewing enfatizza le componenti sensoriali e incorporate dell'attività produttiva (Thurnell-Read, 2014: 9), ma anche il consumatore è coinvolto dalla lattina in una relazione che tocca tutti i suoi sensi, influenzandone l'immaginario.

Le lattine di Crak Brewery (Fig. 5-6) colpiscono subito per la forma. Più slanciate e capienti del normale formato sleek can, sono il risultato di una partnership unica tra il birrificio e la Ball Corporation. Nella descrizione di questo nuovo formato europeo

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(Super Sleek©) si ritrovano diversi elementi dell'immaginario passato che abbiamo esaminato sopra5:

The 40cl format corresponds to the “Italian pint”, finding the perfect compromise between being not too small, but also not so big that it cannot be used for those who want to try a selection of beers at once, making the can the perfect format. A 360° design canvas also means the customer is aware what they’re drinking and who they’re supporting from the first to last sip. Protecting the beer from light and oxygen, the can also ensures ultimate preservation, and its lower weight optimizes space on shipments to reduce pollution.

Negli ultimi tre anni, il birrificio artigianale ha incentivato sempre di più l'utilizzo della lattina, riservando le bottiglie alle birre «Cantina», che costituiscono un gruppo a parte. Tutti gli altri prodotti sono venduti esclusivamente in lattine, promuovendone l'utilizzo anche attraverso eventi ad hoc. Tra il 23 e il 24 febbraio 2018 Crak Brewery ha organizzato uno di questi eventi dedicati al consumo dalla lattina, offrendo la propria birra solamente in questo packaging. In generale, nelle occasioni in cui il birrificio presenta un nuovo prodotto, questo è disponibile per le prime serate solamente in lattina.

Il lavoro di ricerca si è concentrato per lo più durante queste occasioni, intervistando – formalmente o informalmente – un campione di consumatori, domandando loro un giudizio sulle lattine di Crak e sulla personale esperienza di consumo. A questa serie d’interviste vanno aggiunti alcuni periodi di osservazione partecipante mirata; anche se tutto questo materiale dev'essere ancora completamente analizzato, dalle rappresentazioni dei consumatori si evince come la strategia di marketing del birrificio metta l'accento non sulla materialità del packaging, ma sul «come» si beve, sull'esperienza di consumo.

3.2 Narrazioni e immaginari del consumo

Dato che l'esperienza di consumo è anzitutto una pratica di relazione, presentiamo più nel dettaglio le lattine di Crak Brewery, prima di passare alle narrazioni dei clienti.

La serie «base» del birrificio, ossia quelle birre prodotte durante l'intero anno e che costituiscono il gruppo più conosciuto, è rappresentata dai primi cinque prodotti6

mostrati (Fig. 5). La birra di punta di Crak è la pluripremiata Guerrilla (IPA 5.8° vol)7,

5 https://packagingeurope.com/ball-designs-ultra-premium-can/

6 Quattro, in realtà. La birra Neipa (NEIPA) è stata infatti recentemente sostituita con Plain of the Po (DDH

IPA), un avvicendamento abbastanza evidente dal punto di vista grafico.

7 Lo stile IPA (Indian Pale Ale) si caratterizza generalmente per l'alta fermentazione, un grado alcolico

medio, un gusto abbastanza amaro e la presenza frequente di note agrumate. Tutte le sigle riportate tra parentesi delle altre birre sono variazioni di quest'unico stile.

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prima da sinistra; le altre quattro lattine (Fig. 6) sono tutte sue variazioni, e costituiscono perciò una serie distinta.

Figure 5 - Serie base di Crak Brewery

Crak ha concentrato molta della sua produzione in varianti dello stile IPA. Tra le caratteristiche di queste birre c'è una grande freschezza di sapore, legata alla presenza attiva dei luppoli. Tuttavia, questi perdono in fretta il loro effetto, e perciò ne viene incentivato il consumo a breve termine, a basse temperature. Tutte le lattine riportano infatti la dicitura «Drink from the can as soon as you can. Hops fade fast!». Non è un caso che questo packaging si accordi perfettamente con la modalità di consumo suggerita, ideale per conservare la freschezza della birra. Il metallo trasmette una sensazione di freddo molto più intensa del vetro, di modo che la freschezza del contenitore rimanda a quella del contenuto, pur sotto altri aspetti.

Declinata attraverso diversi sensi (gusto, tatto, vista), la «freschezza» delle lattine è un buon esempio di bundling, e mostra come queste correlazioni di qualità possano essere stabilite strategicamente attraverso scelte di design. Come, in altre parole, la materialità si inscrivibile da parte dell'azione umana, dando espressioni a componenti immateriali (Keane, 2005: 188-89).

Tutta l'interfaccia esterna viene ripensata per rispondere a certi immaginari della lattina, certi aspetti «biografici». Le grafiche, curate dallo studio di comunicazione Dry Design8, sono minimali, pulite, e utilizzano pochi pattern cromatici, estesi all'intera

superficie. Le illustrazioni sono quasi assenti, con l'eccezione - giustificata dallo status - di Guerrilla. Oltre alla particolarità del formato, queste lattine in alluminio sono trattate in modo da celare la materialità metallica del packaging. Uno smalto nero e

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lucido ricopre la sommità e il fondo dell'oggetto, mentre il corpo centrale possiede una texture leggermente ruvida e opaca, quasi sempre stampata direttamente sul metallo.

In questo modo, il design della lattina agisce sulle percezioni sensoriali del contatto, contrastando quei caratteri tattili e visivi che più sono legati al metallo: levigatezza, lucidità e colore grigio. Il ripensamento del packaging permette di sganciare la lattina dagli aspetti negativi del suo retaggio, agendo non tanto sulla materialità, quanto sugli aspetti immateriali che vi sono sedimentati.

Figure 6 - Serie «Guerrilla» di Crak Brewery

Queste riflessioni non sono il risultato di un approccio semiotico puro, ma sono state guidate dalle rappresentazioni dei consumatori. Le loro relazioni con le lattine non sono mai neutre, azioni di soggetti umani attivi su oggetti inanimati passivi; come abbiamo ricordato più volte, le lattine di birra possiedono una propria agency, sono attori sociali che coinvolgono il consumatore in particolari modalità di relazione. Anche la loro valenza comunicativa, la possibilità di trasmettere informazioni, avviene attraverso una dimensione prasseologica. Vediamo quindi come i clienti di Crak Brewery raccontano la loro esperienza, iniziando con un breve estratto di un'intervista:

E: «Ma tu cosa ne pensi di queste lattine? Come ti trovi a bere così?»

C: «In realtà bene, cioè, alla fine sono abbastanza comode, ma soprattutto il sapore tiene bene, quando vai a prenderle in giro non è che siano tutto 'sto che. Magari dipende che le tengono al freddo, anzi sicuro, le hanno sempre lì e ovviamente si mantiene meglio. […] Sono grandi, vedi? Io non ci avevo fatto caso, ma tengono di più di quelle normali, e è giusto per il prezzo che hanno. Questa mi piace abbastanza, si stacca abbastanza come sapore.» E: «E come oggetto, cioè per com'è fatto, grafica e tutto [il resto]?»

C: «Sì, non ne trovi molte così, io non ne ho viste. […] Poi sono belle, proprio da tenere, un mio amico l'ha appesa allo specchietto. Io ne ho un paio, tre-quattro penso, da quella volta che le ho prese per una cena a casa, e mi spiaceva buttarle. Alla fine sono belle, no? Le tieni da parte, poi ne fanno sempre diverse.»

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Ho scelto questo passaggio perché è abbastanza «tipico» delle narrazioni raccolte. Infatti, rileggendo il materiale registrato e trascritto, emergono alcuni nuclei tematici, alcuni riferimenti che ricorrono in quasi tutti i consumatori quando raccontano la propria esperienza di consumo e il loro rapporto con la lattina.

Innanzitutto, come il packaging di Crak sia diverso da quello usato commercialmente, cioè come le lattine del birrificio si distinguano positivamente dagli esemplari in commercio. Molti fanno riferimento alla comodità della presa, al gusto «pulito» della birra, senza sapori metallici residui, e alla leggera ruvidezza della lattina. Sono, nel complesso, quelle caratteristiche che contrastano gli aspetti negativi dell'immaginario sulla lattina, e che vengono percepite dal consumatore attraverso il tatto e il gusto, stringendo l'oggetto e bevendone il contenuto.

Le rappresentazioni dei clienti enfatizzano molto questo aspetto multi-sensoriale. Vista e gusto sono i due sensi chiamati maggiormente in causa, al punto che non mancano mai. Segue il tatto, riguardante sia la manipolazione della lattina, sia le sensazioni di ruvidezza e temperatura della superficie. In misura minore, anche udito e olfatto sono coinvolti nella relazione con il packaging: il primo è principalmente legato all'apertura della lattina (anche se due consumatori riferiscono di apprezzare un tipico rumore «frizzante» proveniente dall'interno), il secondo all'aroma che si sprigiona dopo l'apertura o nell'atto di bere, congiunto al gusto.

Trovano conferma le riflessioni di de Waal Malefyt (2014: 714) rispetto a un coinvolgimento sintetico di tutti i sensi all'interno delle strategie di branding, di cui gli oggetti sono i principali attori. L'agency della lattina si esprime attraverso la definizione di un'esperienza del bere, descrivibile a partire dalle pratiche multi-sensoriali che coinvolgono il consumatore.

Tuttavia, nell'estratto d'intervista emerge anche un altro aspetto importante di queste narrazioni, ossia la valenza estetica delle lattine, il loro divenire oggetto da collezione dopo l'uso, sia come ricordo della serata o dell'evento, sia come oggetti a sé, collezionabili come parte di una serie, spesso prodotta in piccole quantità. Qui gioca un ruolo importante la componente ostensiva, di seduzione visiva, che non si esaurisce nel consumo del contenuto ma permane all'interno di un nuovo sistema di oggetti.

3.3 Conclusioni

La ricerca condotta finora ha messo in evidenza il ruolo delle pratiche all'interno dell'esperienza di consumo, mostrando come l'agency della lattina si esprima nel coinvolgimento polisensoriale del consumatore. Il packaging si relaziona dinamicamente con immaginari passati dell'oggetto (il retaggio della lattina) e immaginari presenti del contesto di produzione e consumo (il brand del birrificio, il contenuto della lattina).

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Rispetto quest'ultimo punto, si potrebbe riflettere su come la dimensione collettiva all'interno della Tap Room influenzi la sensorialità, le aspettative e gli stessi immaginari dei clienti, introducendo un elemento di ritualità (de Waal Malefyt, 2014: 716) che gioca un ruolo importante nelle strategie di branding. Non abbiamo mai a che fare con relazioni casuali: esiste una pianificazione dell'esperienza del consumatore, in cui la lattina gioca un ruolo fondamentale.

Notiamo, infatti, come i tre principali temi narrativi emersi dalle interviste, ovvero l'eliminazione dei tratti negativi, il coinvolgimento multi-sensoriale e la presenza di oggetti-ricordo (memorabilia) siano tre degli elementi fondamentali del marketing esperienziale (Gilmore and Pine, 2011: 82-91), ovvero quel approccio al marketing che si occupa di rendere unica l'esperienza di consumo, attraverso un maggior coinvolgimento con il prodotto.

In questo senso, la strategia di Crak segue la tendenza generale nel mondo del craft

brewing, ponendo l'accento su artigianalità e originalità (Garavaglia, 2017: 240-42;

Cardello et al., 2016; Clemons et al., 2006). Tali valori testimoniano una ricerca d’identità proprie, in cui luoghi, persone, tecniche, packaging e birre superano la loro dimensione materiale - la stessa «logica della merce» - per presentarsi come esperienza viva per un fruitore.

L'imballaggio è tutt'altro che residuale o indifferente. La progettazione del design modella l'oggetto per inscrivervi un intreccio di valori immateriali, capaci a loro volta di coinvolgere il consumatore in un'esperienza di consumo multi-sensoriale, in cui la lattina è un termine attivo in una relazione prasseologica con l'uomo. La dimensione seduttiva e di desiderio non si esaurisce nella strumentalità del packaging, ma continua in un nuovo sistema di oggetti collezionabili, che a loro volta segnano la tappa biografica successiva della lattina. La socialità del packaging è tale perché è il suo stesso immaginario ad essere sociale, coinvolgendo una molteplicità di attori umani (produttori/consumatori/collezionisti) e una serialità di oggetti omologhi.

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Riferimenti

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