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434 Rapportipatrimonialitraconiugi Giurisprudenza

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(1)

Casa familiare

Cassazione Civile, Sez. II, 9 settembre 2016, n. 17843 - Pres. Bianchini - Est. D’Ascola - L.M.A. c. D.R.M.

L’assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 155 c.c. previgente e art. 155 quater c.c., ovvero in forza della legge sul divorzio, non può essere considerata in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora l’immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento stesso, atteso che tale diritto è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario e, diversamente, si realizzerebbe una indebita locupletazione a suo favore, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Cass. n. 11630/2001; Cass. n. 27128/2014.

Esposizione del fatto

1) Il Tribunale di Roma con sentenza depositata il 3.3.2004, disponeva lo scioglimento della comunione ordinaria esistente tra le parti, coniugi divorziati, relativa ad un appartamento ed un box siti in (Omissis), in “quartiere centrale”, mediante attribu-zione diretta dell’intera proprietà immobiliare all’attore M. D. R.

Poneva a suo carico un conguaglio di Euro 118.836,72. Rilevava che l’immobile era gravato dal diritto di abita-zione riconosciuto al D.R. con la sentenza di divorzio, quale genitore con il quale conviveva il figlio maggiorenne ma non autosufficiente, sicché il valore dei beni doveva essere ridotto del 25%.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 3088/2010 del 12.7.2011, ha, in accoglimento parziale dell’appello principale, confermato l’attribuzione al D.R. della proprietà del compendio immobiliare, nonché i criteri di valutazione, ma ha aggiornato il conguaglio a Euro 161.618,00.

Per la cassazione della sentenza, M.A.L. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

D.R. ha resistito con controricorso.

In corso di causa parte ricorrente ha notificato a contro-parte elenco dei documenti depositati, costituiti da decreto di revisione delle condizioni di divorzio con atte-stazione di definitività.

Parte resistente ha nominato ritualmente nuovo difensore.

In vista dell’udienza sono state depositate memorie. Ragioni della decisione

2) Il ricorso consta di tre motivi.

Con il primo la ricorrente, delusa dalla stima dell’immo-bile, si duole della mancata ammissione di nuova consu-lenza tecnica che, riconsiderando quella assunta in tribunale, datata 2001, tenesse conto dei propri rilievi circa il maggior valore del compendio immobiliare. Il secondo motivo concerne la omessa considerazione dell’aumento dei valori immobiliari verificatosi in Roma

tra il 2001 e il 2011, riduttivamente parametrato con riferimento alla banca dati dell’Agenzia del Territorio, che per ammissione della stessa non indicherebbe stime corrispondenti ai reali valori commerciali di un bene immobile.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.p.c., e vizi di motivazione.

La ricorrente si duole del fatto che il valore del conguaglio sia stato ridotto, e lo sia stato in misura ingente, in relazione alla circostanza che il figlio, trentatreenne al momento della sentenza (2010) risultasse convivente con il padre.

Osserva che il diritto di abitazione connesso alla convi-venza con il figlio è un diritto stabilito, ex art. 155 c.c., nell’interesse esclusivo dei figli e non del genitore affida-tario, e che quest’ultimo verrebbe per due volte ingiusta-mente gratificato se, oltre a godere dell’immobile, potesse anche acquistarlo con una riduzione del conguaglio. 2.1) In ricorso specifica che il figlio è già da qualche anno convivente con sè in altra abitazione, sebbene tale modi-fica non sia stata ancora sancita giudizialmente.

In memoria parte ricorrente ha aggiunto che nelle more (maggio 2012) è intervenuta modifica delle condizioni di divorzio e ha prodotto il relativo documento.

Parte resistente ha opposto, nel controricorso del gennaio 2012, che la questione posta nel terzo motivo è stata decisa dalla Corte di appello in conformità a Cass. n. 20319/2004: che solo per “veder aumentato il valore della propria quota”, controparte avrebbe inopportunamente coinvolto il figlio, nato nel 1978, “ampiamente maggiorenne ed autosufficiente”; che il ricorso “per revisione delle statui-zioni divorzili” invocato dalla ricorrente non era stato notificato.

In memoria D.R. si è opposto alla produzione dell’ordi-nanza 13 aprile 2012 di revisione del regolamento del divorzio. Ha dato atto però del rafforzarsi, con la pubbli-cazione della sentenza n. 27128/2014 di questa Corte, dell’orientamento secondo cui il conguaglio a favore del genitore non affidatario non deve essere decurtato. 3) Il terzo motivo di ricorso, che pone questione giuridica di rilievo preliminare, è fondato.

(2)

I giudici di merito hanno posto a confronto due sentenze di questa Corte.

Hanno aderito alla tesi esposta da Cass. n. 20319/2004 (cui ha aderito Cass. 22.4.2016, n. 8202) secondo la quale: “L’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga eventualmente modificato. Ne consegue che di tale decur-tazione deve tenersi conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge, ovvero venduto a terzi in caso di sua infrazionabilità in natura”.

In precedenza la Corte (Cass. n. 11630/2001) aveva ritenuto che: “La assegnazione della casa familiare, di cui i coniugi siano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli non ha più ragion d’essere e, quindi, il diritto di abitazione, che ne scaturisce, viene meno nel momento in cui il coniuge, cui la casa sia stata assegnata, ne chiede, nel corso del giudizio per lo scioglimento della comunione conseguente (nel caso di specie) a divorzio, l’assegnazione in proprietà, acquisendo così, attraverso detta assegna-zione, anche la quota dell’altro coniuge. In tal caso, il diritto di abitazione (che è un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale) non può essere preso in considerazione, al fine di determinare il valore di mercato dell’immobile, sia perché è un diritto che l’art. 155 c.c., comma 4, prevede nell’esclusivo interesse dei figli e non nell’interesse del coniuge affidatario degli stessi, sia per-ché, intervenuto lo scioglimento della comunione a seguito di separazione personale o di divorzio, non può più darsi rilievo, per la valutazione dell’immobile, ad un diritto, che, con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere”.

Il Collegio ritiene superfluo investire del contrasto le Sezioni Unite, poiché, rammentati i principi posti da Cass. 18.9.2013, n. 21334 in tema di assegnazione della casa coniugale, reputa corretto l’orientamento manifesta-tosi nel 2001 e rinvigorito dalla sentenza n. 27128/2014, sempre di questa sezione, la quale ha osservato che: “Il diritto di abitazione della casa familiare è un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale), previsto nell’esclusivo interesse dei figli (art. 155, comma, 5 c.c.) e non nell’interesse del coniuge affidatario, che viene meno con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclu-siva al coniuge affidatario dei figli, non avendo più ragione di esistere”.

Ha aggiunto che “ove si operasse la decurtazione dal valore in considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustificatamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà dell’effettivo valore venale del bene: il che è comprovato dalla considera-zione che, qualora intendesse rivenderlo a terzi,

l’assegnatario in proprietà esclusiva potrebbe ricavare l’intero prezzo di mercato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione”.

3.1) Quest’ultima considerazione appare decisiva nel caso di specie, caratterizzato dalla circostanza che l’immobile viene attribuito proprio al coniuge che al momento della decisione risultava essere assegna-tario dell’alloggio nel quale conviveva con il figlio maggiorenne, alloggio che dopo la divisione il D.R. potrebbe alienare a terzi senza alcun vicolo, conse-guendo integralmente il prezzo, corrispondente al valore pieno del bene. E’ stato osservato in dottrina che l’immobile dovrebbe essere valutato “oggettivamente”, tenendo conto della opponibilità ai terzi di un provvedimento di assegnazione, ancor-ché reso in favore del coniuge non destinatario del-l’attribuzione immobiliare.

Trattasi di una fictio iuris intrinsecamente iniqua. Implica infatti una locupletazione in favore di quel coniuge che sia a un tempo beneficiario dell’immobile presso cui il figlio risiede e condividente che ottiene l’attribuzione.

Pertanto per decidere sul terzo motivo di ricorso è sufficiente già l’affermazione del principio secondo cui l’assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 155 c.c., previgente e art. 155 quater c.c., o in forza della legge sul divorzio, non può essere presa in considerazione in occasione della divisione dell’immo-bile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determi-nare il valore di mercato dell’immobile, allorquando l’immobile venga attribuito al coniuge che sia titolare del diritto al godimento stesso.

Ne consegue che la decurtazione del 25% è stata nella specie, nel cui perimetro il Collegio limita l’esame, inde-bitamente applicata.

3.2) Mette conto aggiungere, per completare l’esame e meglio comprendere la soluzione prescelta, che al mede-simo risultato si perviene sulla base della contrastata produzione del provvedimento giurisdizionale definitivo che ha rivisto le condizioni di divorzio.

Esso ha fatto venir meno l’assegnazione della casa familiare al resistente ed è acquisibile in sede di legittimità, perchè: a) formatosi a seguito di istanza di modifica successiva al deposito del ricorso per cassazione (S.U. nn. 13916/06; 24664/07; 1883/11; 12159/11); b) concernente una statuizione che ha effetto diretto sul presupposto (ora venuto meno) della decisione di appello in punto di decurtazione del conguaglio.

4) L’accoglimento del terzo motivo di ricorso determina la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Non sarebbe agevole infatti la decisione di merito, atteso che è controverso (cfr. i primi due motivi) il valore del bene da dividere, questione da risolvere con stretto riferimento, per quanto possibile, alla data di definizione della lite. I due motivi relativi alla stima dell’immobile vanno con-siderati assorbiti, rimettendosi il tutto al giudice di rinvio, individuato in altra sezione della Corte di appello di Roma, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

(3)

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso. Assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà

anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Divisione giudiziale della casa familiare in comunione

e incidenza economica del vincolo discendente

dal provvedimento di assegnazione

di Claudia Irti

L’attribuzione dell’immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva dell’assegnatario in sede di divisione è da considerarsi una causa automatica di estinzione del diritto e la segnalazione pubblicitaria destinata a certificare l’avvenuta estinzione del vincolo ben potrà eseguirsi sulla base di un atto ricognitivo del già titolare del diritto di godimento, oggi esclusivo proprietario dell’immobile. Il caso

Due coniugi divorziati ottengono in primo grado lo scioglimento della comunione ordinaria, relativa a un appartamento (già casa familiare) con annesso box, mediante attribuzione diretta dell’intera proprietà immobiliare all’ex marito, titolare del diritto di abitazione riconosciutogli con la sentenza di divorzio, in quanto genitore ivi convivente con figlio maggiorenne non ancora economicamente autosufficiente. Il tribunale, in virtù della sussistenza del vincolo gravante sull’immobile discendente dal provvedimento di assegnazione, ritiene di ridurre il valore commerciale dell’immobile del 25%, e rispetto a tale ultima valutazione economica del bene stabili-sce il prezzo del dovuto conguaglio.

In sede di appello risulta confermata l’attribuzione dell’immobile nonché i criteri di valutazione del con-guaglio, ma lo stesso viene aggiornato negli importi. Tale ultima decisione è, dunque, impugnata in Cassazione sulla base di tre motivi, due dei quali assor-biti - in sede di decisone - dal terzo che, a detta della stessa Corte, pone questione giuridica di rilievo preli-minare: se sia stato corretto l’operato dei giudici di merito allorché hanno provveduto a ridurre il valore del conguaglio in ragione del computo del valore

patrimoniale attribuito al diritto di abitazione già rico-nosciuto in capo al coniuge assegnatario dell’immobile (in virtù di un provvedimento emesso nell’interesse del figlio, trentatreenne al momento della sentenza), venendo in tal modo a favorire l’ex marito che, oltre a godere dell’immobile, può così acquistarne la piena proprietà con uno “sconto” (imposto) sul prezzo di mercato.

La questione è oggetto di un contrasto giurisprudenziale (1) protratto nel tempo del quale, tuttavia, la Corte non ritiene di investire le Sezioni Unite, limitandosi ad aderire a quell’orientamento che, nel ritenere “il diritto di abitazione della casa familiare un atipico diritto personale di godimento previsto nell’esclusivo interesse dei figli, e non nel-l’interesse del coniuge affidatario”, ne afferma la venuta meno con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, “non avendo più ragione di esistere”, anche in considerazione del fatto che “ove si operasse la decur-tazione del valore in considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiu-stificatamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà dell’effettivo valore venale del bene”.

(1) Cass. 17 settembre 2001, n. 11630, in Giust. civ., 2002, I, 55 ss., con nota critica di M. Finocchiaro, Divisione dalla “casa familiare”, assegnata in sede di divorzio al coniuge affidatario dei figli minori e (pretesa) inidoneità del provvedi-mento di assegnazione a incidere sul valore commerciale dell’immobile; in Familia, 2002, II, 868 ss., con nota adesiva di E. Al Mureden, Scioglimento della comunione, attribuzione della casa coniugale e computo del preesistente diritto ad

abitarla, in Giur. it., 2002, 1147 ss., con nota di L. Costantino, Assegnazione della casa familiare e natura del diritto di abitazione; sulla stessa linea Cass. 19 dicembre 2014, n. 27128, in DeJure on line; contra Cass. 15 ottobre 2004, n. 20319, in questa Rivista, 2004, 63 ss., con nota di G. De Marzo, Modifica delle decisioni in tema di assegnazione della casa coniugale e “cancellazione della trascrizione”; e Cass. 22 aprile 2016, n. 8202, in DeJure on line.

(4)

Divisione giudiziale della casa familiare in comunione

Prima di entrare nel vivo del dibattito posto all’at-tenzione dell’interprete dalla decisione in com-mento, appare opportuno ripercorrere, seppure brevemente, le vicende che legano la casa familiare gravata da un provvedimento di assegnazione a favore di uno dei coniugi allo scioglimento della comunione legale (2), con conseguente richiesta di divisione del bene.

Sebbene risalente giurisprudenza si fosse espressa in senso contrario (3), appare ormai consolidato l’orien-tamento (4), condiviso dalla dottrina (5), che afferma la completa autonomia tra l’istituto dell’as-segnazione e quello della divisione dell’immobile adibito a casa familiare conseguente allo sciogli-mento della comunione. Posto che il provvedisciogli-mento di assegnazione trova fondamento in presupposti del tutto autonomi dal titolo dominicale che lega i coniugi all’immobile adibito a casa familiare (6) e che, in virtù della sua riconosciuta opponibilità (7), lo stesso continua ad insistere sul bene anche qualora quest’ultimo sia alienato a terzi (8), non permangono ragioni che possano giustificare il mancato

accoglimento della domanda di divisione che abbia ad oggetto anche la casa coniugale gravata da un provvedimento di assegnazione (9). Medesime considerazioni devono essere svolte nelle ipotesi in cui l’assegnazione tragga origine da un accordo inter-venuto fra le parti (piuttosto che da un provvedi-mento giudiziale), con l’unica avvertenza che la domanda di divisione potrebbe in tali ipotesi essere temporaneamente impedita dalla ulteriore previ-sione, eventualmente contenuta nei medesimi accordi (10), di un patto de non petendo, con il quale il coniuge non assegnatario rinuncia, a norma del comma II dell’art. 1111 c.c. (11), al diritto potestativo ivi previsto.

In passato la giurisprudenza ha fatto uso, anche in ipotesi di scioglimento della comunione legale, del-l’applicazione analogica della previsione contenuta al primo comma dell’art. 1111 c.c., in virtù del quale l’Autorità giudiziaria può stabilire una congrua dilazione, non superiore a cinque anni, se l’immediato scioglimento della comunione chiesto da uno dei comunisti - nel nostro caso da uno dei due coniugi - può pregiudicare gli interessi degli altri (12). Tenuto conto che il pregiudizio di cui alla

(2) Come noto nel 2015 il legislatore è intervenuto a dirimere un dubbio interpretativo di lungo corso, statuendo nel novellato comma 2 dell’art. 191 c.c. che, “Nel caso di separazione perso-nale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separa-zione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omo-logato”; sul tema specifico si veda G. Oberto, “Divorzio breve”, separazione legale e comunione legale tra coniugi, in questa Rivista, 2015, 615 ss.

(3) Trib. Monza 24 ottobre 1991, in Giust. civ., 1992, I, 539 ss., con nota di M. Finocchiaro, Assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi e diritto dell’altro di chiedere della divisione: o della pretesa indissolubilità della comunione incidentale; Trib. Monza 21 aprile 1989, in Giust. civ., 1989, I, 2199; Trib. Bologna 20 ottobre 1987, inedita; Trib. Roma 4 aprile 1985, in Dir. fam., 1985, I, 629 e in Temi rom., 1985, II, 963 ss., con nota critica di F. Storace, Domanda di divisione della casa familiare di proprietà di entrambi i coniugi proposta dal coniuge non assegnatario.

(4) Affermato per la prima volta da una risalente pronuncia di legittimità, Cass. 24 maggio 1963, n. 1360, in Giust. civ., I, 1360; cfr. in argomento G. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Amministrazione, responsabilità patrimoniale, scioglimento e interferenze, in Tratt. dir. civ. comm., Cicu - Messineo, Milano, 2010, 2060 s.

(5) Tra i primi M. Finocchiaro. Assegnazione della casa coniu-gale ad uno dei coniugi e diritto dell’altro di chiedere la divisione: o della pretesa indissolubilità della comunione incidentale, cit.; F. Tafuro, Ammissibilità dell’azione di divisione della casa coniu-gale, nota adesiva a Trib. Bologna 21 gennaio 1993, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 700.

(6) G. Tedesco, Divisione della casa coniugale di proprietà comune e provvedimento di assegnazione del bene ad uno solo dei coniugi separati o divorziati, in Giust. civ., 2004, IV, 113 ss.; M. G. Cubeddu, Provvedimento di assegnazione della casa familiare e divisione del bene, in Fam., pers. e succ., 2005, 237 ss.

(7) In virtù dell’avvenuta trascrizione del provvedimento a norma dell’art. 337 sexies, ovvero - come riconosciuto da consolidata giurisprudenza (di recente Cass. 23 ottobre 2014, n. 22593, ord., in DeJure) - in ragione della applicazione delle previsioni di cui all’art. 6, comma 6, L. n. 878 del 1970, che fa salva in via interpretativa l’opponibilità entro il novennio anche del provvedimento non trascritto. Ci sia concesso rinviare sul tema al nostro, Affidamento condiviso e casa familiare, 2010, Napoli, 125 ss. Si vedano anche i rilievi di P. Sirena, L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull’affidamento condiviso, in Riv. dir. civ., 2011, 5, 559 ss.

(8) La giurisprudenza più remota che negava l’accoglimento della domanda di divisione che avesse ad oggetto l’immobile adibito a casa coniugale lo faceva, perlopiù, nel timore che una divisione attuata mediante vendita all’incanto del bene e riparti-zione del ricavo potesse portare alla perdita delle detenriparti-zione del bene “poiché il vincolo di destinazione, avente natura obbligatoria, non è pubblicizzato mediante trascrizione o annotazione, e non sarebbe per ciò opponibile ai terzi acquirenti” così Trib. Roma 4 aprile 1985, cit.

(9) In tal senso A. Neri, Del rapporto tra giudizio di divisione dei beni in comunione legale tra i coniugi, lo scioglimento della comu-nione stessa e il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, in Giust. civ., 2001, I, 827.

(10) “Il patto andrà comunque redatto per iscritto, avendo ad oggetto un bene immobile e trascritto, ai fini della eventuale opponibilità ai terzi” così G. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Amministrazione, responsabilità patrimoniale, sciogli-mento e interferenze, cit., 2070.

(11) Se il patto fosse stipulato per un periodo superiore a 10 anni, questo dovrebbe ex lege essere ricondotto in termini, salva eventuale proroga scaduto il decennio. In argomento più diffusa-mente Oberto, op. ult. cit.

(12) Così Trib. Milano 23 gennaio 1997, in questa Rivista, 1997, 563, con esclusivo riferimento all’interesse della prole.

(5)

citata norma è comunemente inteso come “pregiu-dizio economico” (13), ovvero che incida sull’ “oggettiva consistenza del bene comune” (14), la domanda di dilazione potrebbe tuttalpiù essere accolta allorquando, non potendosi provvedere ad una divisione in natura, il bene dovesse essere messo in vendita, potendone i comunisti ricavare un contro-valore inferiore a quello effettivo del bene, in ragione della persistenza sull’immobile del diritto di abitazione (15).

Una volta accolta la domanda di scioglimento della comunione, alla divisione si può concreta-mente addivenire nelle diverse forme previste nelle ipotesi in cui la comunione abbia ad oggetto un bene unico: se quest’ultimo è como-damente divisibile, mediante l’attribuzione in natura di una parte dell’immobile a ciascun coniuge; altrimenti, trattandosi di immobile non divisibile (art. 720 c.c.), mediante attribu-zione dell’intero bene a uno dei comproprietari e conseguente obbligo di corresponsione a favore dell’altro della quota di conguaglio, ovvero mediante vendita all’incanto dell’immobile e ripartizione del ricavato tra i comunisti.

Ove si provveda all’attribuzione in natura, peral-tro, la giurisprudenza ha dimostrato di tenere in considerazione, quale criterio preferenziale, la sus-sistenza in capo al coniuge richiedente del preesi-stente diritto di godimento del bene discendente dal provvedimento di assegnazione (16), non mancando, tuttavia, di legittimare anche la scelta opposta, allorquando manchi uno dei presupposti per l’ottenimento della domanda di attribuzione in natura (la immediata offerta del pagamento del conguaglio alla controparte), in considerazione -ancora una volta - della assoluta autonomia tra il giudizio avente ad oggetto la divisone della comu-nione relativa all’immobile adibito a casa fami-liare e quello di separazione o divorzio (17).

Incidenza economica del vincolo discendente dal provvedimento di assegnazione sul valore di mercato dell’immobile adibito a casa familiare Acclarata la possibilità per i comproprietari dell’immobile gravato da un provvedimento di assegnazione a favore di uno dei due, di poter comun-que procedere alla richiesta di divisione del bene adibito a casa familiare caduto in comunione ordi-naria, resta da valutare quale sia l’incidenza “econo-mica” del vincolo di assegnazione rispetto al valore venale dell’immobile.

Allorquando, all’esito delle procedure divisorie, il bene sia venduto a terzi o attribuito ex art. 720 c.c. in proprietà esclusiva al coniuge non assegnatario - e dunque estromesso dal godimento del bene - la persi-stenza del diritto personale di godimento discendente dal provvedimento di assegnazione continuerà a insi-stere sull’immobile, limitando le facoltà dominicali del proprietario esclusivo del bene, che non potrà godere dell’immobile sino a quando si protrarranno gli effetti del provvedimento.

In subiette ipotesi è evidente che il valore di mercato dell’immobile dovrà essere decurtato della somma che sarà accertata corrispondere alle limitazioni delle facoltà dominicali che continueranno a gravare sul “nuovo” proprietario o sull’ex comunista, ora proprietario esclusivo, in virtù della persistenza del diritto di godimento altrui.

Qualora, invece, a esito della procedura di divisione, la casa venga attribuita integralmente al coniuge già assegnatario, si riunirà nella stessa persona il diritto di abitare nella casa familiare - che si estingue (18) - e il diritto dominicale sull’intero immobile, che permane privo di vincoli.

In ragione di ciò è, a nostro parere, da condividere la decisione in commento con la quale, tornando ad affrontare nel caso di specie simile situazione fattuale,

(13) A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, Milano, 1991, 53.

(14) G. Oberto, La comunione legale tra coniugi, cit., 2067. (15) In tal senso G. Tedesco, Divisione della casa coniugale di proprietà comune e provvedimento di assegnazione del bene ad uno solo dei coniugi separati o divorziati, cit., 116. Non si trascu-rino, tuttavia, le osservazioni di chi rileva come in tale ipotesi “la falcidia colpisce in pari modo entrambe le parti” e, comunque, “il pregiudizio non deriva dalla divisione, ma dalla preesistente asse-gnazione in godimento”, così G. Oberto, op. ult. cit., 2069.

(16) Così Trib. Bologna 21 gennaio 1993, cit.: “In caso di scioglimento della comunione avente ad oggetto la casa familiare, e nell’ipotesi che ciascuno dei coniugi ne abbia chiesto l’attribu-zione per l’intero, previo accertamento della non comoda divisi-bilità dell’appartamento, è preferibile per ragioni di convenienza ed opportunità assegnare la proprietà dell’intero appartamento al coniuge affidatario della prole”; cfr. in dottrina G. Gennari, Lo

scioglimento della comunione, in F. Anelli - M. Sesta (a cura di), Regime patrimoniale della famiglia, III, Trattato di diritto di fami-glia, II ed., Milano, 2012, 511 s.

(17) Cass. 28 settembre 2005, n. 18883, in DeJure. (18) In tal senso abbiamo già avuto modo di esprimerci in Affidamento condiviso e casa familiare, cit., 107; di “estinzione per confusione” parla P. Sirena in L’opponibilità del provvedi-mento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull’affi-damento condiviso, cit., 578, n. 75; della “attribuzione del bene in proprietà esclusiva dell’assegnatario in sede di divisione” come “causa di estinzione del diritto” parla anche T. Auletta, Sub art. 155-quater, in L. Balestra (a cura di), Della famiglia, I, in Comm. cod. civ. Gabrielli, Milano, 2010, 727 ss.; di “assorbimento” da parte del diritto di proprietà del più ridotto diritto scaturente dall’assegnazione parla G. De Marzo, Modifica delle decisioni in tema di assegnazione della casa coniugale e “cancellazione della trascrizione”, cit.

(6)

la Corte di Cassazione rileva - come già aveva avuto modo di fare in passato (19) - che, in sede di valuta-zione economica del bene “casa familiare” ai fini della divisione, il diritto di abitazione conseguente al pro-cedimento di assegnazione non potrà influire in alcun modo sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge, in quanto lo stesso si configura come “un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale) (...) che viene meno (20) con l’assegnazione della casa familiare in proprietà al coniuge affidatario dei figli, non avendo più ragione di esistere”; a ciò si aggiunga che “ove si operasse la decurtazione del valore i considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustamente penalizzato con la correspon-sione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà dell’effettivo valore venale del bene: il che è comprovato dalla considerazione che, qualora inten-desse rivenderlo a terzi, l’assegnatario di proprietà esclusiva potrebbe ricavare l’intero prezzo del mer-cato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione”.

Tale decisione si pone in netto contrasto con altre pronunce della giurisprudenza a dire della quali “l’as-segnazione della casa familiare a uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (...) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga even-tualmente modificato (21). Ne consegue che di tale decurtazione deve tenersi conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena pro-prietà all’uno o all’altro coniuge, ovvero venduto a terzi”.

Come rilevato da alcuna dottrina (22), l’elemento di discrimen tra le due posizioni sembra annidarsi nel-l’assunto, fatto proprio dalla giurisprudenza da ultimo citata, che il godimento abitativo accordato dall’as-segnazione “non sfuma a seguito del conseguimento nel corso del giudizio di divisione dell’intera titolarità del bene assegnato; per contro, conserva i suoi effetti fino a quando l’unità immobiliare resta asservita alla tutela dei figli e dell’habitat domestico”.

Nel condividere un tale assunto la citata dottrina afferma altresì che “l’esistenza (fintantoché non sia

revocato) del provvedimento assegnativo trascritto si impone all’acquirente (avente causa del coniuge cui è stata assegnata in sede divisionale la proprietà dell’unità immobiliare familiare), di modo che il corrispettivo non potrebbe non risentire di questa limitazione (...). Per di più, anche se l’assegnatario riuscisse a spuntare un prezzo migliore nella previ-sione - non deducibile in una formale condizione e slegata da ogni automatismo - di far venir meno il proprio godimento per reintegrare così nella sua pienezza il diritto di proprietà dell’acquirente (ad esempio, cessando di abitare stabilmente nella casa familiare, iniziando una convivenza “more uxorio” ovvero contraendo un nuovo vincolo matrimoniale), tale eccedenza non costituirebbe una mera plusva-lenza, poiché andrebbe a dare copertura economica ai rischi cui espone la decisione potestativa di estin-guere il diritto di abitazione, derivanti dalla ridefini-zione dei rapporti economici e dei provvedimenti attinenti i figli”.

Sebbene sia apprezzabile lo scopo perseguito dalla esposta ricostruzione della fattispecie - finalizzato a tenere vincolato il godimento dell’immobile adibito a casa familiare all’interesse dei figli anche nell’ipo-tesi in cui l’immobile rientri nella piena disponibilità del genitore con essi convivente - la stessa non ci appare condivisibile. Come avevamo già avuto modo di segnalare a suo tempo (23), le disposizioni norma-tive vigenti ci inducono a ritenere che, nel momento in cui la casa familiare diviene di piena proprietà del coniuge assegnatario - come del resto nel caso in cui essa lo sia sempre stata -, l’interesse dei figli al man-tenimento dell’habitat familiare non riceva più alcuna tutela giuridica (24). Diversamente ragio-nando si dovrebbe altrimenti sostenere che: a) un provvedimento di assegnazione debba essere assunto ab origine anche nelle ipotesi in cui l’immobile adibito a casa familiare sia di proprietà esclusiva del coniuge con cui i figli in prevalenza continueranno a coabi-tare; b) all’altro coniuge sia attribuito nell’interesse dei figli - o ai figli stessi ove maggiorenni - il diritto di opporsi a ogni atto di disposizione che il proprietario esclusivo dell’immobile adibito a casa familiare voglia assumere nel timore che modifichi il succitato habitat.

Si tratta di incisive limitazioni dei diritti dominicali -la cui previsione sarebbe mossa dal pregevole intento

(19) Cass. 15 ottobre 2004, n. 20319, cit.; Cass. 17 settembre 2001, n. 11630, cit.

(20) Corsivo nostro. (21) Corsivo nostro.

(22) M. Angelone, Scioglimento della comunione e divisione giudiziale della casa familiare promossa dal comproprietario non

assegnatario, in AA.VV., La casa familiare nelle esperienze latine, Napoli, 2016, 275 ss., in part. 292.

(23) Affidamento condiviso e casa familiare, cit., 108, nt. 62. (24) Si veda la “deteriore” posizione della prole segnata anche nella fase fisiologica del rapporto da M. Sesta, Comunione di vita e “diritti” sulla casa familiare, in questa Rivista, 2013, 5, 511 ss.

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di porre, in via definitiva, al centro delle decisioni che riguardano le vicende della casa familiare, la prole e i “suoi” interessi, ovviando al dubbio che (in ragione delle scelte operate dal legislatore del 2006, pur permane) il destino della “casa familiare” possa continuare ad essere condizionato dagli inte-ressi personali e patrimoniali dei genitori, piuttosto che dall’interesse morale e materiale dei figli (25) -che, come è agevole comprendere, non possono trovare riconoscimento per mera via interpretativa, in assenza di espresse previsioni normative.

Nel condividere, dunque, la posizione di chi (26) considera l’attribuzione dell’immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva dell’assegna-tario in sede di divisione una causa automatica di estinzione del diritto si osserva che, come avviene per le altre ipotesi in cui l’estinzione del diritto di abitazione dipende da un fatto giuridico (ad es. la morte del destinatario del provvedimento di assegnazione), anche in tale ipotesi la segnalazione pubblicitaria destinata a certificare l’avvenuta estinzione del vincolo ben potrà eseguirsi sulla base di un atto ricognitivo del già titolare del diritto di godimento, oggi esclusivo proprietario dell’immobile, non

rite-nendosi necessario il pronunciamento

dell’organo giudiziale che, comunque, non potrebbe che esprimersi mediante una sentenza di accertamento (27).

Ciò posto ben si comprendono le ragioni

che hanno condotto dapprima alcuni

commentatori (28), e oggi in modo esplicito anche la giurisprudenza, ad affermare che “l’asse-gnazione del godimento della casa familiare (...) non può essere presa in considerazione in occasione della divisone dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore del mercato dell’immobile, allorquando l’immobile venga attributo al coniuge che sia titolare del diritto di godimento stesso” opponendo a quella dottrina (29) che ha affer-mato che il bene deve essere valutato “oggettiva-mente” - così come gravato dal diritto di abitazione, a prescindere dall’istanza di assegna-zione e dal valore che questo avrà, una volta accolta la relativa richiesta - la valutazione di un tale ragionamento quale “una fictio iuris intrinsecamente iniqua” che “implica una locu-pletazione in favore del coniuge che sia a un tempo beneficiario dell’immobile preso cui il figlio risiede e condividente che ottiene l’attribuzione”.

(25) Si tratta di riflessioni che avevamo già avuto modo di svolgere allorquando ci si chiedeva, in modo non solo provocato-rio, se abbia ancora senso considerare intestatario - o quanto meno unico intestatario - del provvedimento di assegnazione il genitore con cui i figli prevalentemente convivono e non, piutto-sto, considerare a tutti gli effetti anche questi ultimi diretti inte-statari del relativo provvedimento (La revoca dell’assegnazione della casa familiare: dalle critiche della dottrina al giudizio della Consulta, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 411). Il tema è ripreso in termini “nuovi” e molto interessanti in un recente scritto da R.A. Albanese, L’assegnazione della casa familiare: note critiche su uso e abitazione, in Riv. crit. dir. priv., 2015, 3, 467 ss.

(26) Si veda sopra, nt. 18.

(27) G.P. Frezza, Mantenimento diretto e affidamento condi-viso, Milano, 2008, 184, che riporta le conclusioni di G. Gabrielli,

tratte da Pubblicità dei diritti di abitazione, reali e personali, nei registri immobiliari del codice civile e dei libri fondiari, in Vita not., 2003, 580 ss., spec. 585.

(28) E. Al Mureden, Scioglimento della comunione, attri-buzione della casa coniugale e computo del preesistente diritto ad abitarla, cit.; G. De Marzo, Modifica delle decisioni in tema di assegnazione della casa coniugale e “cancella-zione della trascri“cancella-zione”, cit.; G. Oberto, La comunione legale tra coniugi, cit., 2067.

(29) I giudici fanno chiaramente riferimento alla posizione sostenuta da M. Finocchiaro, in Divisione dalla “casa familiare”, assegnata in sede di divorzio al coniuge affidatario dei figli minori e (pretesa) inidoneità del provvedi-mento di assegnazione a incidere sul valore commerciale dell’immobile, cit.

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