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Trust familiare, Corte di cassazione e imposizione indiretta. - Judicium

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GIANFRANCESCO VECCHIO

Trust familiare, Corte di cassazione e imposizione indiretta.*

Quando le scelte, più che applicare la legge, denotano una visione.

1. La prima volta della Corte di Cassazione. 2. Rilettura critica dell’Ordinanza n. 3886 del 2015: Trust e fondo patrimoniale. 3. Trust e fattispecie di cui all’art. 2645-ter cod. civ.

1. La prima volta della Corte di Cassazione. Dopo alcuni anni dalla sua introduzione, il tributo introdotto/reintrodotto dal co. 47 dell’art. 2 del Decreto legge n. 262 del 2006 in materia di Donazioni, Successioni e Vincoli di destinazione, ha trovato il vaglio della Suprema Corte nella delicatissima questione degli atti istitutivi di Trust 1.

Ciò è avvenuto con quattro Ordinanze, le nn. 3735, 3737, 3886 e 5332 del 2015 2, che hanno tutte in comune vicende di costituzione di Trust cui, con argomentazioni alquanto simili, i Giudici

* Il presente lavoro è destinato alla pubblicazione sul n. 2/2015 del periodico Vita Notarile.

1 A chi scrive non appartiene l’abitudine di riprodurre testi di legge né nel corpo dei propri lavori né, tantomeno, in nota, pur tuttavia le perplessità suscitate dalle scelte dei Supremi Giudici, con specifico riferimento al caso esaminato più approfonditamente nel testo, giustifica tale riproduzione che, come si vedrà, tornerà utile più avanti.

Dunque, dopo la previsione del balzello, di cui al citato comma 47 dell’art. 2 del D.L. n. 262/2006: “47. E' istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.

346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.

E’ prevista anche una quantificazione delle aliquote dello stesso: “49. Per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni l'imposta è determinata dall'applicazione delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario diversi da quelli indicati dall'articolo 58, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, ovvero, se la donazione è fatta congiuntamente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi più atti di disposizione a favore di soggetti diversi, al valore delle quote dei beni o diritti attribuiti:

a) a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4 per cento;

a-bis) a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6 per cento;

b) a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento;

c) a favore di altri soggetti: 8 per cento.

49-bis. Se il beneficiario dei trasferimenti di cui ai commi 48 e 49 è una persona portatrice di handicap riconosciuto grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, l'imposta si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota o del legato che supera l'ammontare di 1.500.000 euro” (il neretto è nostro).

Chiaramente, non si ignora la posizione manifestata dall’Agenzia delle Entrate con le Circolari n. 48/E del 6 agosto 2007 e n. 3 del 22 gennaio 2008 - comunque in relazione al momento impositivo, più che all’applicazione dell’imposta sui Vincoli di destinazione - che, peraltro, si ritiene ampiamente e correttamente criticata e disattesa dall’assoluta prevalenza della giurisprudenza di merito pronunziatasi sino alle ultime scelte della Suprema Corte, così come dalla dottrina più attenta, tra gli ultimi F. ROTA, G. BASINI, Il trust e gli istituti affini in Italia, 2012, Milano, II ed., 248 ss.

Quando questo lavoro era in bozze, si è tenuto, il 23 giugno 2015, un importante Convegno presso l’aula Toti della LUISS di Roma, dal significativo titolo Trust e imposta autonoma sui vincoli di destinazione. In detta occasione sono intervenuti, tra l’altro, alcuni tra i più autorevoli studiosi del diritto tributario nazionale e, in appresso, si darà conto di alcune loro osservazioni richiamando il titolo della loro relazione e il Convegno stesso.

2 Sono tutte già oggetto di molteplici pubblicazioni. In particolare, la n. 3886/2015, proprio sul precedente numero di questa rivista, 386 ss., con dettagliata nota di richiami giurisprudenziali e dottrinali che si intende qui integralmente riportata; si richiama anche S. INFANTINO, I trust davanti ai giudici tributari, in Trusts e attività fiduciarie, 2015,

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hanno ritenuto di poter comunque applicare la nuova imposta sui “Vincoli di destinazione” nella sua aliquota massima.

Le fattispecie concrete contenute nelle Ordinanze sono, peraltro, decisamente eterogenee e, in questa sede, si intende dedicare specifica ed approfondita attenzione al percorso argomentativo che vorrebbe sorreggere l’Ordinanza n. 3886.

Fermo restando, infatti, che diverse delle considerazioni che seguono potranno essere richiamate anche con riferimento alle altre Ordinanze, nella vicenda reale presa in esame dalla decisione oggetto di attenzione immediata, si sarebbe inteso realizzare un utilizzo endo-familiare dell’istituto del Trust che, anche in considerazione della sua particolare malleabilità, forse non del tutto presente ai giudici, sembra permettere di evidenziare con ancora maggiore nettezza le aporie sistematiche e logiche in cui è incorsa la pronunzia.

Del resto, poi, se da un lato chi scrive non nasconde una specifica sensibilità in materia di negozi familiari, gratuiti o liberali che siano, dall’altro lato è indubbio che, in questo campo, il legislatore tributario abbia mantenuto una sorta di occhio di riguardo, sol che si ricordino gli scaglioni che frammentano, favorendo i familiari più vicini, le aliquote dell’imposta sulle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione ancorché, e qui si anticipa una critica contenuta nelle pagine successive, questo dettaglio non pare adeguatamente valutato dal giudicante.

2. Rilettura critica dell’Ordinanza n. 3886 del 2015: Trust e fondo patrimoniale.

Dunque, volendo partire, come appare necessario dalle circostanze fattuali che hanno dato origine al contenzioso poi sfociato nell’Ordinanza in commento, e precisato che i dati di riferimento sono tratti esclusivamente dalla narrativa della medesima, può illustrarsi quanto segue.

Due genitori costituiscono un Trust avente per oggetto dei beni immobili rispetto al quale nominano se stessi sia Trustee che beneficiari per il caso, però, di sopravvivenza al termine di durata dello stesso. In caso di premorienza, invece, indicano come beneficiari i propri figli in parti uguali.

Dal punto di vista fiscale, essendo insussistente un trasferimento immobiliare e, comunque, quelli che sembrano i requisiti previsti dalla legge, i costituenti ed il notaio rogante richiedono l’applicazione della sole imposte ipotecarie e catastali in misura fissa.

L’Agenzia delle Entrate promuove un contenzioso pretendendo, invece, l’applicazione dell’imposta sulle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione nella sua aliquota massima dell’8 per cento.

Nonostante la pretesa sia respinta nei due gradi di merito, la questione giunge ai Supremi Giudici che, nell’accoglierla con le motivazioni che saranno infra esaminate, formulano un principio di diritto, al termine della loro decisione, da cui appare opportuno prendere le mosse.

Secondo i giudici: “L'atto denominato trust, funzionale, quoad effectum, all'applicazione di un regolamento equiparabile ad un fondo patrimoniale, va qualificato ai fini tributari come atto costitutivo di vincolo di destinazione, con le conseguenti assoggettabilità alla relativa imposta dei beneficiari della destinazione e responsabilità d'imposta del notaio rogante”.

Ora, cercando di limitare al massimo le considerazioni circa l’assoluta inopportunità di

129, per la ricognizione della giurisprudenza di merito precedente alle ordinanze della Suprema Corte. Le nn. 3735 e 3737, poi, si possono leggere in A. BUSANI, R.A. PAPOTTI, L’imposizione indiretta dei trust: luci e ombre delle recenti pronunce della Corte di cassazione, in Corr. Trib., 2015, 1203 ss., o comunque, sono facilmente rintracciabili sul sito pubblico della Corte di Cassazione. Non resta che segnalare come, a quanto consta, già una prima giurisprudenza di merito si stia allineando al qui contestato nuovo corso, ci si riferisce, in particolare, a due pronunce della Commissione Regionale di Napoli, sez. dist. Salerno, nn. 5134 e 5135 del 28 maggio 2015, che richiamano l’Ordinanza n. 3737/2015 della Suprema Corte, al momento disponibili solo su www.il-trust-in-italia.it

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effettuare, anche a fini fiscali, discutibili apparentamenti tra istituti giuridici semplicemente nemmeno teoricamente paragonabili tra loro, quello che appare per prima cosa evidente è che un’affermazione come quella di cui sopra rende praticamente un ramo secco del nostro ordinamento la disciplina del fondo patrimoniale.

Come, in effetti, dovrebbe essere noto, il fondo patrimoniale (artt. 167-171 cod. civ.) non prevede in alcuna norma l’indicazione specifica/nominativa di beneficiari (né alcuna figura paragonabile al Trustee) 3.

La destinazione dei beni che di esso fanno parte è chiaramente costituita dai “bisogni della famiglia” ex art. 167, nonché l’ipotesi che, alla sua cessazione, la proprietà dei beni stessi possano andare in godimento o in proprietà a soggetti differenti dai genitori costituenti (o che abbiano ricevuto i beni da un terzo), appare del tutto residuale ex art. 171.

Tuttavia, la assai criticabile esemplificazione contenuta nel “principio di diritto” sopra riportato, lascia intendere che nel caso in cui il fondo patrimoniale sia costituito da uno od entrambi i genitori di una famiglia attraverso la costituzione del vincolo su beni di loro proprietà, ebbene, sempre e comunque si dovrà applicare l’imposta sulle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione nella sua aliquota massima dell’8 per cento4.

A chi dovesse replicare che non risulta scritto esattamente così, sia consentito semplicemente di contro-replicare che, o non si parlava di fondo patrimoniale o, se si

è deciso di parlarne, lo si è di fatto accomunato, in questa ipotesi di applicazione della disciplina fiscale, all’istituto sul quale ci si andava in realtà pronunziando, e cioè il Trust.

Nel realizzare questa, comunque criticabile, operazione interpretativa si è, per di più e del tutto incomprensibilmente, sorvolato sulla circostanza, in precedenza solo accennata, che la disciplina dell’imposta sulle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione prevede in maniera chiara e, a quanto risulta incontestata, delle aliquote assai diverse per tutte e tre le tipologie di comportamenti giuridici regolamentati.

Non risulta, in particolare, in alcun modo che l’apposizione di Vincoli di destinazione sia in qualche modo separata dall’applicazione delle diverse aliquote rispetto alle ipotesi di successione e donazione, stante il semplice fatto che di ciò non vi è alcuna traccia nel dettato normativo. Nonché, si direbbe ancor di più, che le ragioni logico-sistematiche che portano ad esclusioni e limitazioni dell’imposta in ambito familiare non siano evidentemente presenti in tutte e tre le ipotesi.

Di fronte a questo dato di fatto, mi sarei sentito di escludere, almeno sino a questa decisione, che, se i genitori di cui all’Ordinanza in esame avessero costituito un fondo patrimoniale sui beni di reciproca proprietà, senza cioè effettuare alcun trasferimento, la stessa Agenzia dell’Entrate avrebbe legittimamente preteso l’aliquota dell’8 per cento ai sensi dell’imposta sulle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione.

Dopo questa ordinanza, non so più cosa pensare.

In termini positivi, invece, cioè di individuazione dell’aliquota da applicare, si dovrebbe osservare come appaia semplicemente rispettoso della norma ritenere che, laddove costituente e successivo beneficiario del bene siano il medesimo soggetto, l’imposta proporzionale sulle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione non possa trovare applicazione. Nel caso in cui, invece, alla cessazione del fondo patrimoniale ipotizzato, si fosse dovuto assistere ad un trasferimento di beni a favore di uno o più figli della coppia, per tali spostamenti si sarebbero dovuti

3 Per una chiara ricostruzione delle differenze tra Fondo patrimoniale e Trust si rinvia, per tutti, a M. MONEGAT, Convenzioni matrimoniali, fondo patrimoniale e trust, in AA.VV., Trust, a cura di M. MONEGAT, G. LEPORE, I.

VALAS, 2010, Torino, Vol. I, 387, in particolare, 391 ss.

4 Tra l’altro, contraddicendo la precedente giurisprudenza che ha sempre applicato a tale atto l’imposta di registro in misura fissa, per tutte Cass. 7 luglio 2003, n. 10666, in Gius, 2004, 98.

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applicare i diversi scaglioni in relazione al valore dei beni ed ai vincoli di parentela sussistente.

Se, ripeto, dopo quanto affermato dalla Cassazione si dovesse ritenere che la costituzione di fondo patrimoniale priva di qualsiasi trasferimento attuale di proprietà tra i coniugi (o da parte di un terzo), nonché priva di un trasferimento futuro verso i figli, sconti l’aliquota massima dell’imposta sulle Successioni, Donazioni e apposizione di Vincoli, avremmo assistito all’abrogazione tacita, per sostanziali ragioni economiche, da parte del giudice fiscale di un istituto civilistico.

E, soprattutto, all’abrogazione di quella parte della disciplina sull’imposta delle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione che prevede tutta una serie di aliquote differenziate.

Mi permetto di ritenere che ciò non possa considerarsi avvenuto e che, in una nuova pronuncia sul punto, il Supremo Collegio chiarirà meglio la propria lettura del fenomeno esaminato.

3. Trust e fattispecie di cui all’art. 2645-ter cod. civ. Se, però, questo non è avvenuto, diventa decisamente difficile comprendere come la Suprema Corte abbia inteso ottenere l’obiettivo dell’applicazione dell’aliquota massima dell’Imposta sulle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione alla fattispecie oggetto della sua attenzione.

Acquisito quindi il dato per cui, il “principio di diritto” ipotizzato nella parte finale dell’Ordinanza non può considerarsi utile, per quanto appena detto, a giustificare la conseguenza prospettata, passiamo all’esame della precedente parte decisionale dell’Ordinanza.

Peraltro, anche nell’elencazione dettagliata delle ragioni che avrebbero portato alla sopra riportata conclusione interpretativa, ci si imbatte in affermazioni prive di un reale riscontro nella realtà esaminata.

Dunque, il primo profilo della motivazione che si intende sottoporre a vaglio critico è quello che afferma che, quanto realizzato dai coniugi-genitori sopra indicati, non sarebbe un Trust per carenza del “…trasferimento a terzi da parte del settlor dei beni costituiti in trust, al fine del conseguimento dell'effetto, con carattere reale, di destinazione del bene alla soddisfazione dell'interesse programmato”.

Più avanti, poi, si rimanda a quanto affermato in due occasioni da Sezioni penali della Corte

5 circa l’“ineludibilità”, per la stessa sussistenza della figura, della perdita della disponibilità dei beni da parte del disponente conferente in Trust. Fino ad un richiamo testuale alla nota Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata dall’Italia con la Legge n. 364 del 16 ottobre 1989, n. 364, che imporrebbe la perdita di controllo sui beni da parte del costituente/settlor (art. 2, co. 2, lett a) 6.

Peraltro, dopo essersi così decisamente indirizzati nel senso di affermare di trovarsi di fronte a qualcosa che non è un Trust, i Supremi Giudici dimostrano attenzione ad un significativo aspetto delle tesi difensive.

Quello per cui, nel pieno rispetto della Convenzione dell’Aja e, nello specifico, del suo articolo 6, i costituenti avrebbero richiamato come legge regolante la propria volontà quella della

5 Si tratta delle decisioni della Cass. pen., sez V, 30 marzo 2011, n. 13276, in Riv. Giur. Trib., 2011, 686 e sez. VI, 27 febbraio 2014, n. 21621, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 411.

6 Proprio con riguardo a questo passaggio dell’Ordinanza si segnala che M. LUPOI, La nozione di trust e la Convenzione dell’Aja, nell’ambito del Convegno segnalato in nota 1, ha espresso l’opinione per cui si sarebbe di fronte ad un non accettabile errore di diritto. Ciò, in quanto, nell’ambito della figura del Trust così come studiata e conosciuta, la circostanza che non sussista alcun trasferimento non deve nemmeno considerarsi eccezionale quanto, piuttosto, rappresenta una delle normali modalità con cui lo stesso può realizzarsi e si realizza nella realtà. Sempre nella stessa occasione, poi, l’illustre Autore ha rimarcato la carenza della decisione nell’aver omesso del tutto la valutazione della legge straniera richiamata dai costituenti il Trust. Ciò perché, proprio la Convenzione dell’Aja, laddove si intenda applicarla come pure sarebbe necessario, impone, all’art. 7, che il Trust sia “regolato dalla legge scelta dal costituente”

e, ignorando tale prescrizione, si finisce per ignorare la Convenzione stessa.

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Trust Jersey Law del 1994 che espressamente prevede “poteri indiscriminati del disponente”.

E allora? E allora – e non si capisce perché dare conto di questo ragionamento nella decisione se poi esso non serve alla stessa – i Supremi Giudici osservano che la questione, che pure imporrebbe un esame più attento delle norme richiamate rispetto alle “norme inderogabili e di ordine pubblico” del nostro Ordinamento, tutto sommato non rileva per le ulteriori ragioni che saranno esposte in seguito.

In altre parole, un’intera pagina delle 7 dell’Ordinanza in esame, dapprima dice che ciò che si sta valutando non è un Trust, per poi affermare che, se anche lo fosse, la questione non sarebbe rilevante.

Questa, quanto meno insolita, esposizione del modo di ragionare di un Collegio giudicante può essere considerata una vera e propria spia di come, secondo anche quanto scritto nel sottotitolo di questa analisi, si sia inteso affrontare un problema di imposizione fiscale di una vicenda giuridica attraverso una “visione” pre-formulata della stessa.

Quella secondo cui, posto che si è pregiudizialmente deciso di applicare ad essa la tassazione massima prevista in materia di Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione, tutto sommato non ha importanza individuare l’esatta natura giuridica di quanto esaminato.

Il prosieguo delle argomentazioni, purtroppo, non fa che confermare questo assunto.

Dapprima, infatti, l’Ordinanza richiama il solo “…47° comma dell'art. 2 del d.l. 262/06, come convertito”, quale introducente l’imposta sulle Successioni, Donazioni e Vincoli di destinazione, come se la disciplina di detta imposta non risulti altrettanto, se non ancora più significativamente, contenuta nei successivi co. 48-54 e, soprattutto, co. 48-49 bis con riguardo alla quantificazione ed alle esenzioni dell’imposta 7.

Si continua, poi, con un’ardita interpretazione dell’inserimento dei Vincoli di destinazione al fianco di due vicende chiaramente traslative quali, appunto, le Successioni e le Donazioni.

Tutto sembrerebbe ruotare intorno all’espressione “costituzione di vincoli di destinazione”, che finirebbe per evidenziare l’intenzione del legislatore di tassare: “…l'effetto giuridico di destinazione, mediante il quale si dispone, ossia si pone fuori da sé (e non necessariamente in favore di altri da sé) un bene, orientandone i diritti dominicali al perseguimento degli obiettivi voluti: alla disposizione non è coessenziale l'attribuzione a terzi, in quanto mercé la destinazione si modula e non trasferisce il diritto”.

Sennonché, già si potrebbe dire che meglio avrebbe chiarito il senso dell’interpretazione l’utilizzo dell’espressione “atto giuridico di destinazione”, in quanto quella utilizzata, “effetto giuridico di destinazione”, lascia ancora un po’ l’uscio aperto a qualcosa di traslativo. Appare alquanto logico, infatti, intendere come effetto di destinare anche quello di realizzare pienamente tale destinazione, cioè di trasferire al destinatario.

E difficilmente cancella quest’impressione, l’affermazione per cui l’imposta su questi vincoli conserverebbe dei: “connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell'imposta classica sulle successioni e sulle donazioni”, al cui interno, si deve però osservare, è del tutto tranquillamente collocata.

Anche perché, è di poche righe dopo l’affermazione secondo cui: “…il referente assunto dal legislatore è l'utilità economica e che questa utilità è destinata ad altri, il peso del prelievo coerentemente va a gravare sull'utilità e, in definitiva, sul beneficiario finale, al quale essa è destinata a pervenire”.

Insomma, in principio si nega che l’imposta colpisca un trasferimento come nel caso di

“Successioni” e “Donazioni”. Ciò appare di per sé non conforme al dettato della norma che pone la

7 E’ inevitabile il rinvio al testo normativo contenuto nella precedente nota 1.

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“Costituzione di vincoli di destinazione” immediatamente dopo a tali altre due fattispecie8. Peraltro, quando poche righe dopo l’affermazione di principio, si osserva che ad essere tassato è:

“l’effetto giuridico della destinazione” ed il “beneficiario finale, al quale essa è destinata a pervenire”, diventa difficile riconoscere coerenza piena al ragionamento dei giudici, sembrando piuttosto che il trasferimento, quale presupposto impositivo, seppure sia stato fatto uscire dalla porta, abbia trovato poco dopo modo di rientrare dalla finestra.

Il discorso sembra poi estendersi ad una fattispecie ulteriore rispetto al Trust e ad fondo patrimoniale, quando, proseguendo nella lettura, viene chiamato in causa l’art. 2645-ter cod. civ., con tutti i connessi problemi identificativi della vicenda concreta soggetta a trascrizione 9.

Qui, forse e finalmente, emerge l’effettiva preoccupazione dei Supremi Giudici che risulta essere quella di applicare una tassazione e di farlo in misura proporzionale ad: “…un atto con effetto tipico, reale, perché inerente alla qualità del bene che ne è oggetto, sia pure con contenuto atipico purché rispondente ad interessi meritevoli di tutela, assurgendo per questo verso a norma sulla fattispecie”.

Però, se l’atto che si esamina ha un “effetto tipico reale”, appare necessario ammettere che esso trasferisca!

Tuttavia, non pare proprio necessario ritenere che, per tassare proporzionalmente l’atto con effetto tipico reale che realizza la fattispecie concreta oggetto della trascrizione di cui all’art. 2645- ter, si debba passare per la tassazione della semplice costituzione di un Trust auto dichiarato, prima che lo stesso abbia determinato alcun effetto traslativo.

E, ancora e a maggior ragione, non risulta nemmeno necessario arrivare a ritenere che: “In relazione all'aliquota applicabile, la misura dell'8% prevista dalla lettera e) del comma 49 della medesima norma è imposta dalla sua natura residuale, non rientrando la figura dei conferenti, che sèguitano ad essere proprietari dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma, che godono di aliquota inferiore”.

8 In relazione alla presunta “autonomia” dell’imposta sui Vincoli di destinazione rispetto a quella sulle Successioni e Donazioni che, pure, la contiene, è stata espressa estrema perplessità da G. GAFFURI, Introduzione al tema, Convegno di cui alla nota 1, che ha osservato come sia da considerarsi necessario il trasferimento, mentre è giunto all’affermazione di una sostanziale inaccettabilità di una sua autonomia, A. FEDELE, Vincoli di destinazione e imposizione degli atti liberali: portata e limiti del rinvio recettizio alla disciplina dell’imposta sulle donazioni, sempre nell’ambito del Convegno di cui alla nota 1. Soprattutto, poi, si è anche paventato il rischio delle conseguenze pratiche di una simile lettura che, tra l’altro, renderebbe in qualche modo “coerente” una successiva ri-tassazione del trasferimento successivo.

9 Al riguardo, si segnala, tra le ultime, la ricostruzione di A.A. CARRABBA, Testamento e destinazione patrimoniale (l’art. 2645-ter c.c. e il momento negoziale), in Riv. not., 2014, 1125, soprattutto 1138 ss., dove si lamenta la ricorrente lettura della giurisprudenza nel senso di una minaccia al principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ., segnalando la sottovalutazione dei pure sussistenti strumenti normativi che potrebbero correggere eventuali abusi, con l’azione revocatoria ordinaria, ex art. 2901 cod. civ., su tutti; in senso analogo S. LEUZZI, Riflessioni sull’art. 2645-ter c.c. nel quadro dei limiti interposti dalla giurisprudenza, in Trusts e attività fiduciarie, 2015, 7;

relativamente alla tematica della trascrizione del trust, anche in caso di trust autodichiarato cfr. A. DI SAPIO, Trust e modalità di esecuzione della pubblicità immobiliare, in questa rivista, 2015, 217 ss.

Si veda anche B. FRANCESCHINI, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust, in AA.VV., Trust, cit., Vol. II, 277 ss., di cui pare opportuno riportare le conclusioni, 292: “…appare evidente che i vincoli di destinazione introdotti con l’art. 2645-ter c.c. non rappresentano la “risposta” dell’ordinamento italiano ai trusts.

Elemento centrale del trust è il programma, ovvero l’attività necessaria per realizzare la finalità: il profilo dinamico e attivo della destinazione. Fenomeno centrale dell’atto di destinazione risultante del codice civile è invece la mera funzionalizzazione del bene allo scopo, l’imposizione del vincolo: il profilo statico e passivo della destinazione.

Con il trust si realizza una vera e propria segregazione nel patrimonio del trustee, mentre, come visto, con l’atto di destinazione trascritto ex art. 2645-ter, in quanto opponibile, si ottiene una separazione soltanto unilaterale.

Il vincolo di destinazione delineato dall’art. 2645-ter c.c. si presta così com’è a ben poche applicazioni pratiche”

(neretto nostro).

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Qui, ancora una volta il discorso non può essere seguito ed appare non conforme al dato normativo.

Si ripete la fattispecie: dei genitori hanno conferito degli immobili in Trust facendosi essi Trustee e sempre se stessi beneficiari o, in caso di loro morte, i figli in parti uguali.

Quindi, chiaramente, essendo i possibili beneficiari gli stessi conferenti, questi non possono essere, si direbbe ratione naturae, figli, fratelli o parenti di se stessi nei termini previsti dal co. 49 dell’art. 2, del D.L. 262/200610.

Tuttavia, al di là della oggettiva difficoltà di configurare un’imposta su se stessi con l’aliquota massima per un’ipotesi di semplice auto segregazione per un Trust, quale quella compiuta dai genitori coinvolti nella vicenda esaminata, i Supremi Giudici appaiono aver ignorato che i genitori potrebbero essere, ma non saranno necessariamente, “i beneficiari finali della destinazione”.

La previsione, infatti, contempla l’alternativa con i figli sopravvissuti che, guarda caso, rientrerebbero pienamente in una delle categorie del citato co. 49 dell’art. 2, del D.L. 262/2006.

Quindi, di fronte alla soluzione fornita dalla Suprema Corte, per il caso in cui si realizzasse questa seconda situazione, avremmo che i figli destinatari effettivi non dovranno pagare nulla per un trasferimento a loro favore, in quanto l’atto di destinazione compiuto dai genitori è stato tassato con l’aliquota massima, oppure dovranno, secondo la più severa lettura della malferma affermazione dei giudici stessi, considerarsi tra le categorie previste dalla norma e, conseguentemente, pagare ancora imposta, seppure con le esenzioni ivi previste?

In effetti, credo che chiunque legga non possa che trovare entrambe le soluzioni, del tutto insoddisfacenti sul piano sostanziale e dell’applicazione del diritto e, soprattutto, prive di un pur necessario legame alla vicenda concreta esaminata dall’Ordinanza che, sembra doveroso ripeterlo, sembra essersi unicamente basata sulla volontà di tassare subito, al momento della costituzione, un vincolo di destinazione che, per sua natura, ha un’attuazione differita.

Proprio la mancata comprensione di questo dato di fatto ha, a parere di chi scrive, profondamente inciso sulla logica, in realtà quanto meno carente della scelta interpretativa.

Il problema che, chiunque si occupi con qualche professionalità di Trust in ambito di tutela di patrimoni familiari si aspettava fosse affrontato, era quello di stabilire se, in presenza di un conferimento in Trust di beni successivamente destinati a beneficiari terzi – quali, ad es. figli o nipoti del costituente – si dovesse immediatamente scontare un’imposta proporzionale o, piuttosto, solo in misura fissa attendendo che si realizzasse il delineato e successivo assetto di interessi.

Era del resto su questo punto che, da alcuni anni, ci si confrontava sui testi di diritto come nelle aule giustizia sui meccanismi di applicazione dell’imposta e, purtroppo, la norma del 2006 non sembrava aver chiarito il problema.

10 Particolarmente preoccupate sono state le considerazioni di D. STEVANATO, Destinazione, disposizione, trasferimento nella prospettiva della capacità contributiva, nell’ambito del Convegno di cui alla nota 1, in relazione alla non comprensibilità dell’applicazione di un’aliquota piena calcolata, per di più, sul valore integrale del bene. Si è affermato, cioè, che la scelta della Suprema Corte abbia, di fatto, omesso di valutare dei requisiti essenziali dell’imposta quali: 1. la base imponibile che, in presenza delle limitazioni alla disponibilità dei beni gravanti sui costituenti-trustee, non avrebbe dovuto ragionevolmente essere rappresentata dal valore pieno degli stessi; 2. la stessa figura dell’obbligato dall’imposizione non risulterebbe chiaramente individuata; 3. anche l’aliquota, automaticamente individuata in quella massima, finirebbe per non essere giustificata in presenza delle molteplici eccezioni previste dalla medesima normativa.

Inoltre, G. FRANSONI, Varietà dei vincoli di destinazione, vicende del vincolo e imposta sui vincoli di destinazione, ancora al citato Convegno, ha osservato che le conseguenze di una lettura come quella proposta potrebbero finire per coinvolgere tutti i molteplici casi di vincoli di destinazione operanti nel nostro sistema (fondo patrimoniale, patrimoni destinati ad un singolo affare, fondi pensione etc.) con conseguenze inaccettabili se non proprio incostituzionali in presenza, tra l’altro, di un’aliquota fissa per tutti all’8 per cento.

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In astratto si potevano configurare tre ipotesi:

1) nel caso di conferimento in trust di beni immobili poi destinati ad uno o più soggetti individuati tra i figli/nipoti del costituente, si potevano applicare tutte le imposte indirette in maniera fissa, per la sostanziale natura neutra del conferimento, rinviando l’applicazione in misura proporzionale (con le aliquote differenziate dove previste) al momento della fine del trust e dell’effettivo trasferimento dei beni al beneficiario/beneficiari 11;

2) sempre nel medesimo caso sopra ipotizzato, si poteva pretendere l’immediato pagamento in misura proporzionale delle imposte, considerando il conferimento in trust a tutti gli effetti come un trasferimento, finendo quindi per negare anche l’applicazione delle aliquote agevolate per il caso di parentela tra settlor e beneficiario, per poi applicare l’imposta in maniera fissa al momento dell’attribuzione finale al beneficiario stesso (sul punto sembrava accolta una tesi negativa, ma era magari l’occasione di confermarla);

3) ancora e sempre nella stessa ipotesi, si poteva ritenere sussistere non uno ma ben due trasferimenti, dal settlor al Trust e da quest’ultimo al beneficiario, tassarli entrambi in maniera proporzionale, ponendo sostanzialmente fine, da un punto di vista economico, allo stesso utilizzo del trust in Italia.

L’Ordinanza in esame, negando la sussistenza di un Trust per mancanza di un trasferimento immediato, non dà alcuna indicazione su questi dubbi per, come si è visto, cercare di trovare una soluzione ad un altro problema: quello di giustificare la tassazione proporzionale delle fattispecie concrete alla base della trascrizione di cui all’art. 2645-ter.

In tale percorso, arriva addirittura a prevedere l’applicazione dell’imposizione proporzionale ad un atto che viene espressamente riconosciuto come non traslativo – anche se con le significative indecisioni lessicali sopra indicate – senza nulla dire circa il destino fiscale dell’unico vero possibile trasferimento che, al termine del trust, porterebbe gli immobili nella proprietà dei figli della coppia.

Con ciò, purtroppo, si omette di dare, finalmente, una lettura autorevole al trattamento fiscale di una situazione del tutto diversa quale quella esaminata.

Di fronte a questa situazione non ha più oggettiva utilità commentare altri due statuizioni dell’Ordinanza.

Quella in cui si cerca, faticosamente, di giustificare la tassazione nei confronti di un atto che si afferma non traslativo operando un’interpretazione decisamente originale del concetto di capacità contributiva.

Ci si può riferire a questo passaggio. “…con riguardo all'imposta in esame, non rileva affatto la mancanza di arricchimento, giacché il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva è ragguagliato all'utilità economica, della quale il costituente, destinando, dispone.

7.1.- Visto che il referente assunto dal legislatore è l'utilità economica e che questa

11 E, in effetti, a chi scrive sembra così lineare il ragionamento fatto, per esempio, da Comm. prov. di Perugia, 19 giugno 2014, n. 420, in Trusts e attività fiduciarie, 2015, 85, per la quale: “L’istituzione di un trust non ha l’effetto di costituire un vincolo di destinazione quanto piuttosto separare i beni dal patrimonio del disponente, senza che ciò comporti la creazione di un’autonoma personalità giuridica. Il beneficiario di un trust al momento della sua istituzione è titolare di una “aspettativa giuridica” ovvero di un diritto sottoposto a condizione che non gli consente di ottenere i beni a lui destinati, non verificandosi nei suoi confronti alcun arricchimento tassabile così che è applicabile nei suoi confronti, per espresso rinvio dell’art. 58, comma 2, del Testo Unico dell’imposta di successione e donazione, l’art. 27 della Legge sul registro sul trattamento fiscale degli atti sottoposti a condizione sospensiva” (neretto nostro).

(9)

utilità è destinata ad altri, il peso del prelievo coerentemente va a gravare sull'utilità e, in definitiva, sul beneficiario finale, al quale essa è destinata a pervenire”.

In queste otto righe si afferma, nelle prime quattro, che l’imposizione si pagherebbe in quanto la semplice apposizione del vincolo costituisce un atto di disposizione, evidentemente non traslativa; mentre, nelle seconde quattro righe, si giustifica l’imposizione in quanto l’utilità si trasferisce al beneficiario finale.

E’ pertanto conseguenziale, nell’ottica un po’ particolare dell’Ordinanza, la manifesta infondatezza di qualsiasi questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 53 della Carta fondamentale.

Ci sia consentito, allora, di considerare altrettanto inutile la contestazione di tale affermazione che, per tabulas, segue una lettura, quanto meno, non chiara di una fattispecie concreta, tra l’altro, sostanzialmente estranea alla normativa tributaria richiamata.

Occorre, cioè, evidenziare, alla fine di questa parte del commento, che l’imposizione dell’apposizione del vincolo di destinazione riguarda senz’altro le vicende che giustificano la successiva applicazione della trascrizione ai sensi all’art. 2645-ter cod. civ., così come, altrettanto, l’imposizione stessa non attiene, in massima parte, all’utilizzo dell’istituto del Trust come realizzato dai nostri concittadini utilizzando normative straniere, espressamente applicabili in virtù della Convenzione dell’Aia sottoscritta e ratificata dall’Italia.

Se quanto appena scritto dovesse, erroneamente, risultare apodittico si rinvia a quanto autorevolmente e copiosamente illustrato da anni sulla natura, sostanza e rilievo giuridico mondiale di tale istituto 12.

12 Per tutti, si richiamano M. LUPOI, Atti istitutivi di trust e contratti di affidamento fiduciario, 2010, Milano, passim;

F. ROTA, G. BASINI, op. cit., 31 ss.; G. LEPORE, I Trust in generale, in AA.VV., Trust, cit., vol. I, 33 ss. Sempre M.

LUPOI, La nozione di trust e la Convenzione dell’Aja cit., ha, condivisibilmente, contestato l’obbligatoria riconduzione del Trust alla categoria dei vincoli di destinazione. Ha osservato cioè che, molto spesso, il trust determina solo un vincolo sul valore dei beni posti nel suo interno, senza che cioè sussista alcun vincolo al loro scambio, vendita o mutazione in genere. Pertanto, si potrà parlare anche di vincolo di destinazione, solo laddove, tra le clausole di uno specifico trust, ve ne sia una che imponga il mantenimento di quello specifico bene al proprio interno.

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