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EFFETTI DI SITO E FENOMENI DI INSTABILITÀ INDOTTI DAI TERREMOTI NEI DEPOSITI E NEI PENDII Teresa Crespellani Dipartimento di Ingegneria Civile - Università di Firenze

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EFFETTI DI SITO E FENOMENI DI INSTABILITÀ INDOTTI DAI TERREMOTI NEI DEPOSITI E NEI PENDII

Teresa Crespellani

Dipartimento di Ingegneria Civile - Università di Firenze

SOMMARIO. Nel contesto degli studi per la mitigazione degli effetti dei terremoti, è ormai opinione concorde che le azioni sismiche di progetto per le costruzioni debbano essere inclusive degli effetti di sito, e che la previsione dei fenomeni di instabilità che possono essere indotti dai terremoti nei depositi e nei pendii (liquefazione, densificazione, movimenti franosi) debba essere condotta con metodi quantitativi basati su parametri sismici e geotecnici realistici e affidabili.

Le conoscenze sul comportamento dei terreni in condizioni di carico dinamico e ciclico, ottenibili con prove in sito e in laboratorio, e l’impiego di modelli, contribuiscono in modo decisivo a spiegare e prevedere i complessi processi dinamici d’interazione che possono innescarsi in un dato sito fra onde sismiche e terreni, e permettono oggi di stimare in modo quantitativo i parametri indispensabili per tenere in conto in modo adeguato degli effetti di sito. La considerazione di tali effetti a scala urbanistica comporta tuttavia una molteplicità di indagini multidisciplinari, che richiedono azioni coordinate e congiunte non solo fra specialisti delle varie discipline ma anche con tecnici e amministratori degli enti preposti al governo del territorio.

Nel presente lavoro vengono presentati, alla luce delle trasformazioni in atto nel campo della difesa dai terremoti, i nessi fra aspetti sismologici, geotecnici, strutturali, e tra questioni scientifiche, tecniche e normative che chiamano in causa l’ingegneria geotecnica sismica per la messa in conto degli effetti di sito.

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1. PERICOLOSITÀ SISMICA, EFFETTI DI SITO E VULNERABILITÀ DELLE COSTRUZIONI: CONCETTI INTRODUTTIVI E TRASFORMAZIONI IN ATTO

Nel corso degli ultimi vent’anni, la scienza dei terremoti e in particolare l’ingegneria sismica hanno attraversato una trasformazione tecnico-scientifica non meno straordinaria di quella che ha visto nascere e svilupparsi a scala mondiale, tra gli anni ‘50 e ‘70, i primi metodi ingegneristici di approccio al problema della difesa dai terremoti e le prime normative sismiche per la protezione delle nuove costruzioni. Benché in linea di continuità con la precedente, la nuova svolta è per metodi e contenuti molto diversa, e introduce tre importanti elementi di novità.

1. Il primo aspetto innovativo riguarda le costruzioni, e sta nel riconoscimento dell’importanza della protezione sismica del patrimonio esistente. Soprattutto nei paesi di antica nascita, come la maggior parte dei centri abitati del nostro paese e dell’Europa, il patrimonio costruito esistente, anche quello minore, è in molti casi di grande rilevanza storica e culturale, e si inserisce in contesti ambientali anch’essi di notevole pregio.

Occorre perciò, anche per motivi di continuità storica, proteggere tale patrimonio per intero, includendo monumenti, edifici pubblici e privati, attività produttive, infrastrutture e risorse paesaggistiche. Ma salvaguardare un patrimonio artistico, culturale, ambientale, spesso assai vulnerabile all’azione sismica, e riguardante aree talora densamente abitate, non solo pone problemi ingegneristici totalmente nuovi (messa a punto di criteri di valutazione della pericolosità e vulnerabilità1, di tecniche di censimento, di indagini storiche, sismologiche, geologiche, di ingegneria strutturale e geotecnica) ma richiede interventi legislativi e attuativi di salvaguardia a vasta scala, che richiedono ricerche, indagini, controlli sull’ambiente fisico e costruito, che presuppongono energie diffuse sul territorio, e quindi operatori capaci di rilevare, leggere, interpretare i dati, per definire gli hazard del sito, l’esposizione delle infrastrutture, la vulnerabilità degli edifici e dei monumenti. Indagini e strategie che vanno legati alla storia, al territorio, al contesto, e quindi non facilmente unificabili.

2. Il secondo aspetto di novità riguarda l’importanza assegnata al sito (inteso come area di interesse ai fini ingegneristici e con dimensioni areali variabili da quelle di un manufatto a quelle di un centro abitato) nella valutazione delle azioni sismiche che possono essere trasmesse alle strutture. I danni osservati durante i terremoti mostrano sempre irregolarità e variazioni, in molti casi riconducibili all’influenza dei fattori geomorfologici e geotecnici di sito e agli effetti di doppia risonanza fra il modo di vibrare del terreno di fondazione e delle strutture. Il futuro verso il quale inevitabilmente ci muoviamo è che la messa in conto dei fattori di sito è essenziale per valutare realisticamente le azioni sismiche sulle costruzioni. Terremoto e costruzione erano state, fino agli anni ’70, le due polarità su cui la ricerca scientifica e la regolamentazione tecnica e normativa per la prevenzione avevano concentrato i loro sforzi perché la filosofia che stava alla base era che la difesa dai terremoti è legata esclusivamente alla scelta del terremoto di riferimento e alle

1 Vedi ad esempio Petrini et al. (1998)

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caratteristiche sismo-resistenti delle sovrastrutture. Dai quesiti, perciò, sulla severità delle azioni sismiche, sul dove, come e quando un terremoto avrebbe potuto colpire un dato territorio, e sulla base essenzialmente della identificazione delle aree sorgenti sismiche e di leggi di attenuazione valide per terreni duri, cioè della pericolosità sismica delle varie zone, sono nate le prime zonazioni e classificazioni sismiche dei diversi territori nazionali.

Dagli interrogativi sulla morfologia strutturale più appropriata, sui collegamenti strutturali più efficienti, sulla risposta sismica delle costruzioni ai vari possibili input sismici, cioè sulla vulnerabilità delle costruzioni sono derivate le prime procedure ingegneristiche di valutazione del rischio sismico (inteso come prodotto fra pericolosità sismica dell’area e vulnerabilità delle costruzioni) e le norme tecniche a scala nazionale per la protezione sismica delle nuove costruzioni.

Seguendo l’evoluzione delle ricerche sismologiche e geotecniche, e anche delle normative, a scala mondiale è facile notare la crescente importanza che, a partire dagli anni

‘70, viene assegnata a fattori riguardanti il sito e il terreno di fondazione. Questi, va sottolineato, sono gli anni di nascita della Dinamica dei terreni, di quel ramo della Geotecnica che ha fatto chiarezza sui principali meccanismi che sottostanno agli effetti di sito e di instabilità dei depositi e dei pendii. Grazie agli sviluppi di questa disciplina è oggi possibile raggiungere elevati livelli di protezione sismica delle costruzioni, attraverso un’opportuna scelta dei siti, di spettri di progetto realistici e di tecniche fondazionali appropriate alla natura delle interazioni fra struttura e terreno, ma anche attraverso interventi di stabilizzazione del terreno e degli ammassi rocciosi. Soprattutto nei centri storici, spesso arroccati su terreni acclivi, su bordi di ciglio, su creste sottili, affacciati su dirupi instabili, e talora attraversati da faglie e discontinuità, cavità sotterranee, ecc. una causa primaria di vittime e di danni è costituita dalla possibilità che durante i terremoti avvengano movimenti franosi, cedimenti e collassi generalizzati, che possono coinvolgere anche le costruzioni sismicamente più resistenti. Per ridurre tali effetti occorrono perciò innanzitutto intervenire sui terreni di fondazione.

Terremoto, sito, e costruzione sono, oggi, i tre poli , ufficialmente riconosciuti, e reciprocamente solidali, di ogni sistema di protezione nelle aree sismiche, e tutte le normative tecniche a scala mondiale, hanno provveduto, o stanno provvedendo, seppure in misura maggiore o minore, a introdurre criteri per la scelta dei siti, per la classificazione dei terreni e dei depositi, per l’adozione di spettri diversificati per le varie categorie di terreni, per la stima degli spostamenti e dei cedimenti in condizioni sismiche. Ma è importante rilevare che quando si considerano gli effetti di sito sull’esposizione sismica di un territorio il numero delle incognite cresce indefinitamente.

3. Infine, il terzo elemento che caratterizza la svolta in atto riguarda la normativa, e in particolare i rapporti tra normative nazionali e sovranazionali, e tra normative nazionali e direttive regionali. L’Europa, intesa come comunità scientifica e tecnica, da aspirazione sta diventando realtà e sta modificando in modo decisivo, attraverso gli Eurocodici, le politiche di prevenzione e le normative tecniche nazionali. Limitando l’attenzione all’Eurocodice 8 (EC8), e osservando i contenuti del D.M.16.01.1996 è evidente che l’adeguamento della normativa sismica italiana alle direttive europee comporterà degli

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importanti cambiamenti nel modo di affrontare i problemi geotecnici delle zone sismiche.

Se osservata infatti sotto il profilo geotecnico - cioè delle prescrizioni relative ai siti, ai terreni di fondazione e alle opere geotecniche la normativa sismica italiana risulta quanto mai obsoleta, lacunosa, e non al passo con i tempi perché la filosofia che ne sta alla base è, infatti, quella tipica degli anni ‘60, e che, come osservato in precedenza, lega la difesa dai terremoti esclusivamente alla severità della minaccia sismica e alle caratteristiche sismo- resistenti della costruzione. Un’analisi comparata dei due regolamenti anche molto sintetica mette in luce la differente filosofia che li contraddistingue e sottolinea la ben più avvertita sensibilità delle direttive europee al problema dell’influenza dei terreni sul comportamento sismico delle costruzioni. Nell’EC8 (Martinetti, 1998; Maugeri e Castelli, 1998), infatti, viene assegnata una grande importanza al problema del ‘siting’, cioè delle verifiche di stabilità nei depositi liquefacibili, nei depositi densificabili, nei terreni soffici, nei pendii e nei rilievi dove possono aversi effetti topografici, specificando le indagini più significative, i fattori geotecnici da mettere in conto (decadimento della resistenza per effetto dei fenomeni di fatica, incremento delle pressioni interstiziali) e gli spettri di progetto per le diverse classi di siti e di terreni. Vengono inoltre segnalati alcuni metodi di stima per i vari tipi di problemi.

Pur essendo possibile muovere anche all’EC8 delle critiche di natura geotecnica su punti specifici, la sua ‘traduzione’ nella normativa sismica italiana potrebbe portare a dei notevoli progressi nell’innalzamento dei livelli di protezione, ma è importante sottolineare potrebbe perché non è automatico che delle prescrizioni tecniche migliorino realmente una prassi progettuale. Non solo per la maggiore o minore capacità dei singoli professionisti di

‘leggere’ dietro le righe delle prescrizioni di norma - sempre generalmente molto semplificate rispetto alla complessità delle problematiche legate alla progettazione e alla realizzazione delle opere - ma soprattutto perché per una corretta applicazione dell’EC8 la base di ‘esperienze’ e di ‘conoscenze’ sul territorio dovrebbe essere, oltre che più omogenea, molto più estesa di quella attuale.

Ma anche sul piano del rapporto fra Stato, regioni ed enti locali importanti cambiamenti sono avvenuti, in Italia, negli ultimi vent’anni, nella ripartizione di competenze riguardanti la protezione sismica,. Basti citare la legge 10.12.1981, n. 741, art. 20 che ha trasferito alle regioni le competenze in materia urbanistica (e quindi in materia di microzonazione sismica) e il Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che nell’art. 94 specifica che, seppure condizionati al trasferimento delle risorse economiche, sono conferiti alle regioni e agli enti locali ‘l’individuazione delle zone sismiche, la formazione e l’aggiornamento degli elenchi delle medesime zone’. Si tratta di una disposizione le cui conseguenze non sono ancora ben valutabili, anche perché si inseriscono in un quadro legislativo molto confuso, e, soprattutto, in un contesto culturale che in tema di preparazione tecnica per la difesa dai terremoti è ancora in larga parte impreparato ad assolvere le nuove funzioni.

Sono, infatti, finora molto poche le regioni che hanno dato avvio a studi sistematici in tema di politiche di protezione sismica. Fra queste, si possono citare, in primo luogo la Regione Emilia- Romagna (Marcellini et al., 1998; Crespellani et al., 1998 b, 1997 c;

Vannucchi 1998) e la Regione Toscana (Ferrini, 1998; Petrini et al., 1995); ma anche, e soprattutto dopo la sequenza sismica del 1997-98, la Regione Umbria e la Regione Marche (Marcellini e Pagani, 1998). Si tratta di ricerche, condotte per lo più congiuntamente al

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Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) del CNR e ad altri istituti di ricerca (università, ISSR, ISMES) di grande rilievo per le metodologie adottate e per i risultati conseguiti e conseguibili sia in termini di documenti pianificatori sia di direttive specifiche.

Si può osservare infine che, essendo le norme e i criteri progettuali tradizionalmente basati sull’esperienza, che ogni terremoto distruttivo contribuisce ad arricchire, si dà oggi, in Italia, con il recente terremoto umbro-marchigiano, una preziosa occasione per procedere a una revisione e al completamento della normativa esistente (anche in vista della traduzione dell’Eurocodice 8) e per introdurre fattori di sito realistici negli spettri della normativa.

Il problema della protezione sismica, non è solo un problema scientifico e tecnico ma anche un problema politico, sociale e culturale .

2.VARIABILITÀ SPAZIALE DEGLI EFFETTI SISMICI 2.1 Osservazioni sperimentali

Osservazioni ormai innumerevoli provano che la variabilità spaziale dei danni e degli effetti prodotti da un terremoto è sempre molto elevata, e che in molti casi una causa importante è l’esistenza di condizioni locali sfavorevoli dei siti e dei terreni che possono mettere in crisi anche strutture molto resistenti e progettate per resistere a forti terremoti.

E’ il caso dei pendii franosi, dei depositi argillosi soffici, dei terreni liquefacibili, dove possono aversi effetti locali di instabilità, consistenti in veri e propri collassi e talora in movimenti di grandi masse di terreno incompatibili con la stabilità delle strutture. Alcuni scenari tipici sono illustrati in Figura 1 : movimenti franosi nei pendii, scorrimenti e cedimenti differenziali in corrispondenza di contatti geologici o di faglie, scivolamenti e rotture nel terreno, fenomeni di liquefazione nei terreni granulari fini saturi, fenomeni di subsidenza in corrispondenza di cavità, ecc.

Ma vi sono anche altre condizioni, meno spettacolari e meno facilmente riconoscibili, che possono essere molto gravose per le sovrastanti strutture e infrastrutture. Sono quelle in cui, a causa di particolari condizioni locali, le caratteristiche vibratorie dei movimenti sismici possono subire modificazioni ed esaltazioni locali. Tali effetti vengono indicati nella terminologia sismica come effetti di sito; con il termine ‘condizioni locali’ si intende, invece, l'insieme dei fattori geomorfologici e geotecnici che interagendo con le onde sismiche possono modificare, rispetto allo scuotimento che si avrebbe sulla roccia sottostante (bedrock), le caratteristiche vibratorie del moto sismico in superficie. Tali fattori comprendono principalmente: la morfologia superficiale e sepolta, le caratteristiche stratigrafiche, le proprietà geotecniche dei terreni in campo statico e dinamico. Gli effetti di sito sono spesso all’origine di molti fenomeni di instabilità delle strutture, sia per l’esaltazione locale delle azioni sismiche trasmesse dal terreno, sia perché possono aversi anche fenomeni di ‘doppia risonanza’ fra modi di vibrare del terreno e della struttura.

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Trazione

Gravità

Rigetto Progressione

della frattura

a) Rottura di distacco

a) Traslazione orizzontale

b) Sfogliamento di un versante a stratificazione verticale

b) Rigetto verticale Superficie

di rottura

Superficie di rottura

Trazione

Traslazione

Affondamento potenziale Strato liquefacibile Superficie di

rottura potenziale

Superficie di rottura potenziale

Figura 1 - Alcuni scenari di pericolosità legati agli effetti locali indotti dai terremoti

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La recente crisi sismica iniziata il 26 settembre 1997 che ha interessato il territorio umbro-marchigiano ha evidenziato in edifici di analoghe caratteristiche numerosi casi di livelli di danno molto diversi, talora anche di due tre gradi di intensità MCS, su distanze di poche centinaia di metri. A Cesi bassa, ad esempio, poggiata su depositi argillo-sabbiosi pleistocenici e olocenici di origine lacustre e fluvio-lacustre dello spessore di 35 m, si è avuta un’intensità macrosismica del IX grado MCS, mentre a Cesi Villa, costruita su roccia ricoperta da una esigua coltre detritica consistente, si sono avuti danni piuttosto lievi, classificabili del VII grado. Come messo in luce da Capotorti et al.(1997), da Marsan e Gorelli (1997) e da Mucciarelli (1998), l’analisi dei dati strumentali relativi agli aftershocks ha evidenziato brusche variazioni spaziali delle caratteristiche vibratorie dei movimenti sismici nella direzione orizzontale, correlabili con la morfologia e le proprietà dinamiche degli strati più superficiali. La variabilità del danno può quindi essere attribuibile in molti casi ad effetti di sito, che esaltando il moto sismico possono avere anche indotto rotture localizzate, quali movimenti franosi, o spostamenti e cedimenti del terreno incompatibili con l’equilibrio delle costruzioni.

2.2 Effetti di sorgente ed effetti del cammino di propagazione

Per comprendere la natura e la complessità dei fenomeni fisici associati alla propagazione delle onde sismiche dalla sorgente al sito è utile riferirsi allo schema di Figura 2.

Ipocentro Scorrimento di faglia

Propagazione del fronte d’onda Epicentro

ONDE P

ONDE R ONDE P ONDE P

ONDE P ON

DE S OND

E S

ONDE DIRETT

E RIFLEONDSSEE ONDE

RIFRATTE

ONDE S ON

DE S

ON DE

S

Figura 2 - Processi fisici associati alla propagazione delle onde sismiche dalla sorgente al sito in un terreno ideale

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Il terremoto è, come ben noto, associato all’accumulo di tensioni in particolari punti della litosfera, fra le superfici a contatto di antiche faglie o in altre zone. Quando queste tensioni superano la resistenza al taglio si hanno scorrimenti e rotture con liberazione di energia sotto forma di onde sismiche di volume (onde P ed onde S). Queste onde si irraggiano con velocità diverse in tutte le direzioni con fronti d’onda all’incirca sferici. Si ha perciò una progressiva attenuazione dell’energia contenuta dalle onde sismiche di natura geometrica (radiation damping).

Nel loro cammino le onde sismiche subiscono anche altre modificazioni, che sono legate a fenomeni di riflessione e rifrazione in corrispondenza dell’interfaccia fra strati di caratteristiche diverse (attenuazione per scattering) e allo smorzamento interno dei terreni (material damping). Ne consegue un’ulteriore attenuazione del contenuto energetico con la distanza e una ‘verticalizzazione’ della direzione di propagazione delle onde sismiche.

Se in superficie si avesse un terreno ideale (Figura 3), cioè duro e pianeggiante, gli effetti in superficie di questi fenomeni fisici sarebbero essenzialmente associati alla :

1) sorgente (cioè alla quantità di energia liberata, ai meccanismi focali, alla lunghezza della frattura, agli scorrimenti di faglia, ecc.)

2) cammino di propagazione (cioè alla distanza ipocentrale e ai processi fisici di attenuazione dell’energia del movimento sismico).

Ipocentro Scorrimento di faglia

SITO 0 (Danni importanti)I

0

SITO 1 (Danni medi)I

1

SITO 2 (Danni leggeri)I

2

SITO 3 (Nessun danno)I

3

Fronte d’onda

Substrato roccioso

MOVIMENTI

FORTI MOVIMENTI

DEBOLI

Terreno duro

Figura 3 - Attenuazione del danno in un terreno ideale

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In questo caso, la severità del danno rilevato durante il terremoto in edifici di analoghe caratteristiche strutturali sarebbe una funzione regolare e decrescente con la distanza dall’epicentro, e le registrazioni strumentali dell’evento sismico dovrebbero segnalare anch’essi, con la distanza, andamenti regolari (cioè progressiva riduzione dei picchi, progressivo incremento della durata, aumento delle basse frequenze, ecc.).

Per potere fare delle previsioni sul moto sismico e sul danno atteso in un dato sito sarebbe sufficiente:

1) definire la distribuzione spaziale (aree sorgenti) e temporale dei terremoti (distribuzione frequenza-magnitudo)

2) applicare delle leggi di attenuazione ricavate su basi statistiche.

Le leggi di attenuazione sono delle relazioni empiriche che, nell’ipotesi di terreno ideale duro e pianeggiante, permettono di ricavare il valore di un dato parametro rappresentativo del moto sismico (accelerazione massima, velocità, spostamento, ecc. o anche intensità macrosismica, periodo fondamentale, durata) in un dato sito, noto l'analogo valore del parametro in corrispondenza dell'epicentro (o dell'ipocentro). Tali relazioni hanno in genere una forma del tipo:

( )

logy= + ⋅a b M − ⋅c log R+C (2.1)

dove è:

y il parametro rappresentativo del moto M la magnitudo

R la distanza dalla sorgente o dall'epicentro

C un fattore di correzione per introdurre una maggiore o minore attenuazione a, b, c dei coefficienti empirici

E’ da notare che in letteratura è disponibile un gran numero di leggi di attenuazione2, alcune ottenute con dati strumentali provenienti da vari paesi (Stati Uniti, Giappone, ecc.), altre con dati regionali. Sulla base di tali leggi vengono effettuate le zonazioni sismiche del territorio nazionale, cioè le suddivisioni a grande scala del territorio in base alle caratteristiche di distribuzione spaziale e temporale dei terremoti e della attenuazione dei loro effetti con la distanza.

2.3 Effetti di sito

2.3.1 Variazione spaziale del moto sismico nella direzione orizzontale

Ma i terreni reali (Figura 4) sono ben diversi dallo schema di terreno duro e pianeggiante di Figura 3. Variazioni irregolari e spesso brusche del moto sismico nella direzione orizzontale sono osservabili in occasione di ogni terremoto, quando si correlano i parametri del moto con la distanza epicentrale. In Tabella 1 si possono, ad esempio, osservare le variazioni del picco di accelerazione PGA con la distanza epicentrale relative alla scossa delle 11.40 del 26 Settembre 1997, che mostrano un andamento molto irregolare. La dispersione dei dati è ancora più facilmente rilevabile nella Figura 5 dove si

2 Alcune di esse introducono un parametro indicativo della natura del terreno (roccia o deposito)

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vede che adattando ai dati una legge di attenuazione molti punti - e in particolare il valore del PGA registrato a Nocera Umbra - se ne discostano in modo sensibile.

Il modo più efficace per rilevare le differenti risposte dei siti e dei terreni e la loro variabilità areale è certamente quello di ‘misurarle’ (Marcellini e Pagani, 1998; Marsan, 1998).

Le osservazioni sperimentali ottenibili con reti accelerometriche (o velocimetriche) fisse e mobili e la loro interpretazione costituiscono una sorgente di informazioni fondamentale e insostituibile. In Italia la rete accelerometrica nazionale, realizzata dall’ENEL-ENEA e oggi trasferita al Servizio Sismico Nazionale, ha registrato un gran numero di terremoti e di successive scosse. Tali registrazioni si riferiscono a stazioni poste su siti di caratteristiche morfologiche e geotecniche molto diverse e costituiscono perciò un archivio di dati di grande interesse per ricercatori e operatori. In Figura 6 si possono osservare ad esempio le condizioni geomorfologiche delle stazioni attivate dal terremoto dell’Irpinia. Tuttavia senza studi approfonditi di ingegneria geotecnica sulle caratteristiche stratigrafiche e sulle proprietà dinamiche dei terreni sottostanti le stazioni di registrazione, la sola interpretazione sismologica non permette né di spiegare né di mettere in conto in modo realistico gli effetti di sito negli spettri di normativa. In particolare non è possibile capire adeguatamente gli effetti di filtraggio dei depositi e le variazioni del moto sismico nella direzione verticale.

Effetti amplificativi ai bordi di terrazzi

Effetti topografici

Scorrimento di faglia Ribaltamenti

Liquefazione di sabbie sature

Movimenti franosi

Movimenti traslativi di banchi rocciosi

Effetti amplificativi per risonanza Crolli di roccia

Figura 4 - Scenari dove si possono avere brusche variazioni spaziali delle caratteristiche vibratorie del moto sismico nella direzione orizzontale e verticale

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Tabella 1 - Picchi di accelerazione delle componenti del moto registrati durante la scossa delle 11.40 del 26 Settembre 1997 (Decanini et al., 1997)

STAZIONE DIST. FAGLIA

[km]

PGA–NS [g]

PGAVT [g]

PGAEW [g]

Colfiorito 2.4 0.278 0.167 0.306

Nocera Umbra 4.7 0.556 0.417 0.500

Matelica 20.8 0.111 0.056 0.111

Catelnuovo (Assisi) 23.1 0.222 0.039 0.167 Monte Fiegni 23.7 0.028 0.017 0.028

Bevagna 25.5 0.083 0.039 0.067

Gubbio (Piana) 30.3 0.100 0.070 0.100

Gubbio 33.4 0.056 0.033 0.083

Cascia 34.2 0.028 0.014 0.014

Forca Canapine 38.0 0.056 0.017 0.056

Pietralunga 47.3 0.039 0.028 0.056

Cagli 50.1 0.020 0.020 0.020

Leonessa 50.5 0.028 0.028 0.028

Rieti 65.0 0.018 0.008 0.018

Senigallia 71.1 0.039 0.017 0.028

Peglio 73.0 0.067 0.028 0.067

Pennabilli 91.1 0.020 0.020 0.020

Figura 5 - Attenuazione con la distanza dall’epicentro dei picchi di accelerazione massimi registrati durante la scossa delle 11.40 del 26 Settembre 1997 (Decanini et al., 1997)

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Figura 6 - Differenti condizioni locali delle stazioni accelerometriche attivate dal terremoto dell’Irpinia del 23 Novembre 1980 (Da Cecconi, 1997)

2.3.2 Variazioni delle caratteristiche del moto sismico nella direzione verticale ed effetti di filtraggio nei depositi.

E’ ben noto che le variazioni più significative del moto sismico avvengono passando dalla base dura o rocciosa (bedrock) alla superficie dei depositi. I complessi meccanismi di interazione fra onde sismiche e terreni che avvengono negli ultimi strati di terreno non possono che essere spiegati che attraverso approfondite conoscenze sul comportamento dinamico e ciclico dei terreni (Lo Presti, 1998) e l’impiego di modelli (Lanzo, 1998).

Per un orientamento generale è utile osservare le variazioni del moto sismico ottenute in un foro strumentato.

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La Figura 7 mostra le registrazioni accelerometriche delle componenti NS ottenute a diverse quote a Lotung, Taiwan, in un foro di sondaggio opportunamente attrezzato con accelerometri e piezometri, disposti a varie quote. Le registrazioni si riferiscono ad un evento di magnitudo locale ML = 7 (Elgamal et al., 1997) e sono state ottenute ad una distanza epicentrale di 77 km. Procedendo dal basso verso l’alto è facile osservare una crescente amplificazione dei picchi di accelerazione e marcate variazioni del contenuto in frequenza del segnale. Inoltre alla quota di 6.3 m si può osservare a partire da un certo istante un brusco incremento delle pressioni interstiziali.

Figura 7 - Storie di accelerazione in superficie e alle profondità di 6 m, 11 m, 17 m, e andamento delle pressioni interstiziali registrati a Lotung, Taiwan (Elgamal et al, 1997)

Usando dei semplici modelli (nel caso specifico il modello della trave a taglio) è possibile valutare ad ogni quota l’andamento degli sforzi di taglio indotti dal terremoto e quello delle ampiezze degli sforzi di taglio. Questi andamenti sono riportati sul piano τ, γ nella Figura 8 che la forma dei cicli è sempre più coricata passando dal basso verso l’alto (il che significa un comportamento sempre più isteretico). Nella Figura 9 si può osservare l’andamento della deformazione di taglio γ e del modulo di taglio lineare equivalente G. Si può osservare che il decadimento del modulo di taglio è molto più accentuato in

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corrispondenza della fase forte e che l’incremento brusco delle pressioni interstiziali si ha quando la deformazione di taglio raggiunge il valore di picco.

Figura 8 - Andamento dei cicli sforzi-deformazioni in superficie e alle profondità di 6 m, 11 m a Lotung, Taiwan (Elgamal et al., 1997)

2.4 Comportamento dei terreni in condizioni dinamiche e cicliche 2.4.1 Domini di comportamento

Gli effetti di sito durante i terremoti trovano spiegazione nel comportamento dell’elemento di volume. Per questo motivo le indagini sismologiche non possono essere separate dalle indagini e dalle analisi geotecniche.

A causa della sua natura particellare e multifase, il terreno in presenza di carichi dinamici e ciclici, modifica la struttura interna del suo scheletro solido. In condizioni non drenate (quali quelle che si realizzano nei terreni saturi) e in presenza di terremoti forti, queste modificazioni influenzano il regime delle pressioni interstiziali con un decadimento delle proprietà di rigidezza e resistenza spesso così marcate e irreversibili da modificare a loro volta il moto sismico. Il legame sforzi-deformazioni, in condizioni dinamiche cicliche, ha una serie di complessità, legate alla natura coesiva o incoerente del terreno, alla storia di carico precedente, allo stato di consistenza o di addensamento, alla presenza di sforzi di

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taglio statici in aggiunta ai carichi dinamici e ciclici, alla velocità di applicazione dei carichi dinamici, che solo attraverso trattazioni specifiche è possibile approfondire (Lo Presti, 1998; Simonelli e Mancuso, 1988; Lanzo, 1998; Vannucchi, 1998; Cavalera e Brancucci, 1998).

Figura 9 - Andamento delle ampiezze della deformazione di taglio in superficie e alle profondità di 6 m, 11 m, 17 m, e andamento del modulo di taglio γ a Lotung, Taiwan (Elgamal et al., 1997)

Merita tuttavia sottolineare che il parametro fondamentale per definire il comportamento di un terreno in presenza di carichi dinamici e ciclici è l’ampiezza della deformazione di taglio raggiunta durante l’applicazione della storia di carico. Al crescere dell’ampiezza della deformazione di taglio indotta dai carichi e in relazione al rapporto con le due soglie caratteristiche per ogni terreno, lineare γl e volumetrica γv , si identificano, infatti, i seguenti domini comportamentali :

1) un dominio elastico lineare (γ < γl ), caratterizzato da deformazioni permanenti trascurabili e andamento dei cicli lineare e in cui il comportamento del terreno è totalmente reversibile; durante un ciclo di carico, scarico e ricarico il terreno non ha capacità dissipative; il comportamento del terreno è rappresentato dal valore del modulo di taglio tangente iniziale G0 che rimane invariato durante l'applicazione dei cicli di carico;

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2) un dominio isteretico stabile (γl< γ < γv), in cui il legame sforzi deformazioni è elastico non lineare; l'energia dissipata per ciclo non è nulla. Col progredire del numero dei cicli la deformazione di taglio media tende a stabilizzarsi intorno ad un unico valore mentre le pressioni interstiziali medie sono nulle. Il comportamento del terreno non può più essere descritto solamente dal modulo di taglio, G, e deve essere introdotto un altro parametro che descriva le proprietà dissipative del terreno. Il parametro che è stato introdotto a tali fini è il rapporto di smorzamento, D, definito dalla relazione

D W

= W

⋅ ⋅

4 π (2.2)

dove ∆W è l'area del ciclo di isteresi e W è l'energia elastica relativa alla traiettoria rettilinea che collega l’origine con l’estremo del ciclo di isteresi. Modulo di taglio, G, e rapporto di smorzamento variano con il livello deformativo raggiunto;

3) un dominio isteretico instabile (γ> γv), caratterizzato da un comportamento del terreno decisamente non lineare; una volta superata la soglia di deformazione volumetrica, nella struttura del terreno avvengono delle modificazioni irreversibili che diventano sempre più importanti con il numero dei cicli di carico; le caratteristiche di deformabilità e di dissipazione, rappresentate dai parametri G e D variano, oltre che con il livello deformativo, con il numero dei cicli, N; nei terreni asciutti si accumulano deformazioni, nei terreni saturi si accumulano deformazioni e sovrapressioni interstiziali e applicando un numero crescente di cicli si può raggiungere la rottura. Per definire il legame sforzi deformazioni in questo dominio occorre considerare la variabilità del modulo di taglio G e del rapporto di smorzamento D con il livello deformativo e con il numero dei cicli, e l'accumulo delle pressioni interstiziali con il numero dei cicli. Altri parametri debbono essere introdotti per definire il decadimento della resistenza del materiale con il numero dei cicli. Per valori γ > 5 ⋅10-1 % si entra in dominio di collasso incrementale, che a livello di microstruttura corrisponde a una rottura generalizzata dei contatti fra le particelle elementari di terreno con conseguenti scorrimenti, che a livello di macroelemento, sono segnalati dallo sviluppo di grandi deformazioni.

2.4.2. Indagini sperimentali e modelli geotecnici per la valutazione degli effetti di sito Il contributo che le prove geotecniche dinamiche in sito e in laboratorio offrono per la determinazione degli effetti di sito e per il controllo della stabilità dei depositi e dei pendii, sono l’oggetto di approfondimento specifico di questo corso e in particolare delle relazioni di Lo Presti (1998), Simonelli e Mancuso (1998), Lanzo (1998), Vannucchi (1998), Cavalera e Brancucci (1998), Madiai (1998), a cui si rimanda.

Un aspetto che merita sottolineare in questa sede è il fatto che non solo le prove dinamiche ma tutte le prove geotecniche sono essenziali per la conoscenza degli effetti di sito essendo necessaria una completa caratterizzazione del sottosuolo (Tabella 2). Inoltre, soprattutto nel caso di vaste aree, le prove geotecniche tradizionali di tipo statico possono offrire anche un primo contributo alla conoscenza del comportamento dinamico attraverso l’impiego di correlazioni empiriche (Simonelli e Mancuso, 1998)

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Tabella 2 - Informazioni per la caratterizzazione geotecnica del sottosuolo e tipi di prove

INFORMAZIONI RICHIESTE MEZZI DI INDAGINE

1. Profilo stratigrafico Sondaggi geotecnici, prove in sito (CPT, CPTU, DMT, DH, CH, SCPT, SASW)

2. Falde acquifere Sondaggi geotecnici, piezometri, CPT

3. Proprietà indici

Terreni coesivi: prove di laboratorio

Terreni incoerenti: prove in sito (SPT, CPT, CPTU, DMT)

4. Storia dello stato tensionale Terreni coesivi: prove di laboratorio e SBP Terreni incoerenti: prove in sito (SBP e DMT)

5. Caratteristiche meccaniche

Terreni coesivi: prove di laboratorio e prove in sito (FVT, SBP, CPT, CPTU, DMT, DH, CH, SCPT) Terreni incoerenti: prove in sito (SBP, CPT, CPTU, SPT, DMT, CH, DH, SCPT)

6. Caratteristiche dinamiche

Terreni coesivi: Prove di laboratorio (RC, TTC, TXC, TSC e prove in sito (DH,CH, SCPT, SASW) Terreni incoerenti: prove in sito (DH,CH, SCPT, SASW)

7. Caratteristiche di permeabilità Prove in sito, piezometri, SBP, CPTU

SPT = Standard Penetration Test CPT = Prova penetrometrica statica

CPTU = Prova penerometrica statica con piezocono FVT = Prova con lo scissometro autoperforante DMT = Prova dilatometrica

SBP = Prova con il pressurimetro CH = Prova cross-hole

DH = Prova down-hole

SCPT = Prova con il cono sismico SASW

RC TTC TXC TSC

= Prova di Spectral Analysis of Surface Waves

= Prova di colonna risonante

= Prova di taglio torsionale ciclico

= Prova triassiale ciclica

= Prova di taglio semplice ciclico

3.GLI STUDI DI MICROZONAZIONE SISMICA 3.1 Obiettivi

Le riflessioni sulle evidenze sperimentali di danni imputabili alle condizioni geomorfologiche e geotecniche del sito hanno portato a mettere a punto delle metodologie per la valutazione degli effetti di sito e degli effetti locali alla scala urbanistica, e a definire il tipo di indagini e di analisi numeriche indispensabili per raggiungere dei risultati

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ingegneristicamente utili per la pianificazione del territorio e per la progettazione delle costruzioni nelle zone sismiche.

L’insieme di tali studi costituisce uno studio di microzonazione sismica (MS) e comprende generalmente studi sismologici, di ingegneria geotecnica e di ingegneria strutturale.

Sulla base dell’analisi degli effetti prodotti dai terremoti occorsi in un dato territorio, di osservazioni strumentali, di indagini geotecniche e di analisi numeriche, una volta fissato un terremoto da cui proteggersi, uno studio di MS identifica gli scenari di pericolosità sismica che possono essere indotti a scala locale dal terremoto di caratteristiche prefissate (terremoto di progetto) pervenendo alla:

1) definizione areale delle zone dove possono aversi effetti locali di instabilità dei depositi e dei pendii e zone dove possono aversi rotture del terreno a causa della vicinanza a faglie e discontinuità (aree critiche);

2) suddivisione dell’area in zone al cui interno la risposta sismica è omogenea;

3) valutazione, nelle zone omogenee identificate, della risposta sismica locale in termini utili per la progettazione delle opere ingegneristiche.

Il raggiungimento di tali obiettivi richiede ovviamente una grande quantità di ricerche storiche, di indagini strumentali, geologiche, geotecniche, di analisi e di modellazioni, i cui risultati si traducono in una mappa di uso ingegneristico a una scala che è in genere variabile con il livello di accuratezza dell’indagine (Madiai, 1998; Crespellani et al., 1997d).

Nella Figura 10 sono indicati in modo sintetico i passi e le operazioni scientifiche fondamentali in cui si articola uno studio di MS. Come si può facilmente osservare, la MS è un’operazione scientifica estremamente impegnativa, complessa e costosa, anche se offre molti vantaggi sia in termini di innalzamento dei livelli di protezione sia di risparmio sulle costruzioni.

Ma occorre sottolineare che uno studio di MS ha senso solo in quanto si traduce in strumento di uso del territorio. Perciò non è solo un’operazione scientifica, è anche un’operazione politicamente non neutra perché avendo costi elevati, è un’opzione che non può essere che in alternativa ad altre opzioni.

Promuovere uno studio di microzonazione sismica a scala di centro urbano, per un’amministrazione locale, significa, soprattutto in momenti di silenzio sismico, fare delle scelte di priorità precise e coraggiose nella direzione della sicurezza, ma soprattutto nella direzione di un radicamento nel territorio, della conservazione del patrimonio abitativo esistente, della protezione dei monumenti, del paesaggio, della conoscenza del contesto fisico e costruito. Significa destinare fondi e mettere in moto una macchina nella direzione di acquisire conoscenze sulla storia e sulle caratteristiche del territorio attivando ricerche sismologiche, geologiche, geotecniche, strutturali, formando tecnici capaci di rilevare, leggere, interpretare i dati sull’esposizione sismica delle infrastrutture, sulla vulnerabilità degli edifici e dei monumenti, catalogando gli edifici pubblici e privati più a rischio, intervenendo con strumenti di piano, ma anche con consolidamenti dei terreni, con

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ristrutturazioni e adeguamenti sismici, con restauri, pianificando anticipatamente l’emergenza e il post-terremoto.

La microzonazione sismica rimanda perciò a una dimensione politica della protezione sismica, ma anche a una scelta di modello di società. Viste da questa prospettiva, le microzonazioni sismiche avviate recentemente da alcune regioni italiane sono un fatto culturale e politico di grande rilievo.

3.2 Microzonazione sismica e normativa

In generale, tra normativa sismica nazionale e microzonazione intercorrono rapporti di complementarietà di compiti. Nei vari paesi del mondo si osserva che dove gli studi di MS non sono molto diffusi sul territorio è la normativa nazionale che si fa carico dei problemi della pericolosità sismica legata al sito. Le norme sismiche francesi Normes NF P 06-013 (1998), contemporanee al D.M. 16. 01. 1996, sono ad esempio, estremamente attente ad indicare i modi con cui tenere conto degli effetti dinamici dei terremoti nei siti e nei terreni, nel fornire indicazioni progettuali per tenere conto delle condizioni stratigrafiche e delle caratteristiche geotecniche dei terreni, della profondità di interramento delle sottostrutture di fondazione sui modi di vibrare delle strutture in elevazione, ecc. In altre zone del pianeta, dove invece gli studi di microzonazione sono diffusi, la normativa sismica è rivolta esclusivamente a fornire i criteri di progettazione delle strutture.

Il rapporto tra normativa sismica e microzonazione è dunque un nodo cruciale perché si tratta di strumenti di prevenzione che devono essere fra loro strettamente concatenati. In Italia, invece, non solo questi strumenti non sono ancora coordinati ma, addirittura, nelle norme sismiche in vigore, la microzonazione non é neppure nominata. Perciò per poter rendere prescrittivi gli esiti di uno studio di microzonazione sismica occorrono degli artifici. Il problema diventa poi particolarmente complicato sotto il profilo economico quando le azioni sismiche previste da uno studio di microzonazione superano quelle previste con l’applicazione delle norme tecniche, perché si apre il discorso della ripartizione degli oneri di costruzione, di cui, secondo logica, dovrebbero farsi carico le amministrazioni che traducono gli studi di microzonazione in strumenti di piano.

La normativa sismica italiana, di cui il D.M. 16.01.1996 costituisce l’ultima versione, si è andata affermando, per effetto di contingenze storiche e culturali, come corpo di regole tecniche per la progettazione delle costruzioni, con riferimenti ai problemi del sito e del sottosuolo del tutto marginali, frammentari, indiretti, e sempre all’interno di altre preoccupazioni. In termini molto semplificati, la normativa italiana prende in considerazione la situazione della Figura 3 e, per quanto riguarda la protezione sismica, si limita a considerazioni di minimo.

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Indagini geologiche

Indagini geofisiche

Indagini geotecniche ANALISI DELLE

CONDIZIONI LOCALI

CLASSIFICAZIONE DEI SITI E CARATTERIZZAZIONE

GEOTECNICA Indagini

storiche

Indagini di geologia strutturale

Leggi di attenuazione ANALISI DELLA

SISMICITÀ

Registrazioni sismiche

Analisi del danneggiamento

PERICOLOSITÀ SISMICA

ACCELEROGRAMMI DI RIFERIMENTO

ANALISI DEGLI EFFETTI DI SITO E DEGLI EFFETTI

LOCALI

MICROZONAZIONE SISMICA Analisi dati

accelerometrici

Figura 10 - Indagini e fasi di uno studio di microzonazione sismica

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La microzonazione sismica, in quanto valuta quantitativamente gli effetti di sito e le aree di possibili movimenti del terreno esamina la situazione di Figura 4, mirando ad adeguare il livello di protezione alla minaccia sismica, alla natura dei siti e alla vulnerabilità delle costruzioni.

Può perciò accadere che in alcune zone (o per alcuni edifici) la normativa sottostimi le azioni sismiche che possono essere indotte dal terremoto di progetto, mentre in altre può succedere il contrario. In molti casi si hanno le due cose insieme, nel senso che la normativa può sottostimare le azioni sismiche negli edifici con periodi compresi entro una certa fascia e sovrastimare quelle su edifici compresi in altre fasce. Le microzonazioni condotte in Italia hanno evidenziato che nei nostri centri storici le costruzioni esistenti (di pochi piani) sono spesso meno protette di quelle nuove (a molti piani) (AA.VV, 1981;

Vannucchi, a cura di, 1991; Crespellani et al., 1997 b).

Laddove non esistono studi di microzonazione, le implicazioni in termini di responsabilità del progettista sono evidenti. Il progettista non è sufficientemente guidato e

‘protetto’ dalle nostre norme tecniche. Non solo perché nella nostra normativa i livelli di protezione non sono specificati e quindi il progettista non è in grado di capire da quale evento sismico stia proteggendo la costruzione, ma anche perché gli vengono assegnati compiti precisi con totale discrezionalità anche su questioni che in molti casi esulano dalle sue possibilità e competenze specifiche. Ne conseguono inoltre livelli di protezione

‘soggettivi’ e ‘progettista-dipendenti’, perché é il progettista a fissare di fatto i criteri di protezione a seconda degli elementi che introduce nel calcolo, dei parametri che assume, e soprattutto a seconda della sua competenza e iniziativa.

Per concludere, in Italia, quindi, più ancora che in altri paesi, la normativa sismica rimanda alla microzonazione sismica, perché tra i due strumenti di protezione non intercorrono solo rapporti estrinseci e strumentali, ma c’è in realtà uno scambio di funzioni e di compiti, una dialettica fra i livelli di protezione che lo Stato e le Amministrazioni locali fissano a tutela del cittadino, e di cui l’ingegnere, nelle sue diverse funzioni - libero professionista, tecnico di amministrazioni, ecc.- è il principale tutore e garante.

4.CONCLUSIONI

Per concludere, sono possibili due osservazioni.

1. Gli studi di microzonazione rappresentano il futuro verso il quale inevitabilmente ci muoviamo in tema di prevenzione sismica. A livello mondiale esistono metodi e strategie scientificamente molto valide, ma gli studi di microzonazione sismica vanno legati alla storia, al territorio, al contesto in cui nasce. L’Italia non ha solo le nuove costruzioni, ha da salvaguardare una continuità storica, un patrimonio artistico, culturale, ambientale. Il momento della conoscenza del territorio è fondamentale. Perciò le iniziative di microzonazione avviate dalle Regioni in questi anni sono un fatto culturale di grande rilievo.

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2. In termini di costruzioni, monumenti, attività produttive, risorse paesaggistiche, l’Italia ha un tessuto diffuso da proteggere per intero. Stimolare studi di microzonazione nelle aree sismiche è fondamentale se si vuole rientrare fra i paesi tecnologicamente avanzati. Ma ciò significa creare condizioni per attivare ricerche, indagini, controlli sull’ambiente fisico e costruito, che richiedono energie diffuse sul territorio, strumenti di monitoraggio di alta precisione e operatori capaci di rilevare, leggere, interpretare i dati, costruire modelli per definire gli hazard geotecnici, l’esposizione delle infrastrutture, la vulnerabilità degli edifici e dei monumenti. In questa luce si possono aprire prospettive scientifiche molto promettenti.

Riferimenti bibliografici

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