• Non ci sono risultati.

Questa
convinzione
traeva
le
proprie
ragioni
da
un
altro
processo
in
atto
in
quegli
anni, che
in qualche
modo
stava
agli
antipodi
della
crisi
dilagante
nei
Balcani

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Questa
convinzione
traeva
le
proprie
ragioni
da
un
altro
processo
in
atto
in
quegli
anni, che
in qualche
modo
stava
agli
antipodi
della
crisi
dilagante
nei
Balcani"

Copied!
6
0
0

Testo completo

(1)


 ABSTRACT


In
seguito
all’implosione
dell’ex
Jugoslavia
agli
inizi
degli
anni
’90,
e
congiuntamente
alle
 transizioni
dal
sistema
socialista
a
quello
capitalista
in
atto
nei
Paesi
limitrofi,
l’Unione
è
 stata
 chiamata
 a
 svolgere
 il
 ruolo
 di
 protagonista
 e
 di
nuovo
 regolatore
 nelle
 dinamiche
 geopolitiche
nell’area.

La
situazione
che
è
venuta
a
cristallizzarsi
negli
anni
successivi
ha
 suggerito
 alla
 comunità
 internazionale
 come
 i
 problemi
 che
 affliggevano
 la
 regione
 non
 potevano
 essere
 risolti
 su
 basi
 esclusivamente
 nazionali
 o
 tramite
 azioni
 bilaterali,
 ma
 esigevano
 misure
 in
 grado
 di
 inglobare
 tutte
 le
 parti
 interessate.
 In
 altre
 parole,
 le
 caratteristiche
regionali
andavano
risolte
all’interno
di
un
quadro
regionale,
costituito
sia
 dagli
attori
interni
dalla
regione,
in
primis
gli
Stati
nazionali,
sia
da
quelli
esterni,
Unione
 Europea
in
testa.




Questa
convinzione
traeva
le
proprie
ragioni
da
un
altro
processo
in
atto
in
quegli
anni,
 che
in

qualche
modo
stava
agli
antipodi
della
crisi
dilagante
nei
Balcani.

Lo
scenario
post‐

bipolare,
 infatti,
 testimoniava
 la
 rinascita
 del
 regionalismo
 sulla
 scena
 internazionale,
 caratterizzato
da
una
crescente
attività
interstatale
a
livelli
regionali.
Questa
tendenza
era
 particolarmente
 sentita
 nel
 continente
 europeo,
 dove
 questo
 tipo
 di
 neoregionalismo
 ha
 assunto
principalmente
due
forme.
Da
una
parte,
le
organizzazioni

regionali
preesistenti,
 quali
 la
 stessa
 Comunità/Unione
 Europa,
 il
 Consiglio
 d’Europa,
 l’OSCE
 e
 la
 NATO,
 sono
 mutate
 in
 maniera
 sostanziale
 sia
 nella
 forma
 che
 nei
 ruoli,
 consolidando
 le
 proprie
 mansioni
 e
 aggiudicandosene
 altre,
 arrivando
 addirittura
 in
 alcuni
 casi,
 come
 nel
 caso
 dell’Unione,
 a
 delle
 forme
 sovranazionali.
 Dall’altra
 parte
 invece,
 in
 varie
 parti
 d’Europa
 sorgevano
 forme
 sub‐regionali
 originali,
 di
 incarichi
 multidimensionali.
 Lo
 scopo
 era
 quello
di
tessere
una
rete
di
reciproca
interdipendenza,
coniugando
le
azioni
bilaterali
e
 multilaterali
provenienti
dai
governi,
dalle
autorità
locali,
dalla
società
civile
e
dal
mondo
 dell’industria.
 Tale
 processo
 riguardava
 essenzialmente
 il
 modo
 di
 trovare
 un
 denominatore
comune
per
le
politiche
in
materia
economica,
di
sicurezza,
di
cooperazione
 culturale,
fino
ad
includere
le
collaborazioni
transfrontaliere.

L’Accordo
Centroeuropeo
di
 Libero
 Scambio
 (CEFTA),
 l’Iniziativa
 Centro
 Europea
 (INCE)
 e
 l’Organizzazione
 della
 Cooperazione
Economica
del
Mar
Nero
(BSEC)
ne
costituiscono
alcuni
esempi.


Erano
quindi
le
due
dinamiche
della
dissoluzione
della
Jugoslavia
insieme
al
fenomeno
del
 sub
regionalismo,
che
peraltro
si
svolgevano
in
contemporanea,
a
condizionare
le
politiche
 dell’Unione
 Europea
 nei
 confronti
 dei
 Balcani.
 Tuttavia
 il
 buon
 esito
 di
 queste
 azioni
 dipendeva
da
un
insieme
di
fattori
rintracciabili
sia
all’interno
dell’Unione,
sia
all’interno


(2)

dell’ambiente
balcanico,
i
quali
molto
spesso
erano
in
netta
contrapposizione.
Per
questi
 motivi,
 le
 strategie
 attivate
 nel
 corso
 degli
 anni
 hanno
 avuto
 degli
 esiti
 diversi:
 alcune
 hanno
 avuto
 un
 successo
 limitato,
 se
 non
 un
 clamoroso
 insuccesso,
 mentre
 altre
 sono
 riuscite
a
produrre
degli
esiti
eccellenti,
che
a
tutt’oggi
rappresentano
il
perno
dell’azione
 geopolitica
europea.



I
piani
e
le
politiche
implementate
nel
corso
di
un
decennio,
il
ruolo
degli
attori
interni
e
 soprattutto
di
quegli
esterni
ai
Balcani
Occidentali,
gli
esiti
negativi
e
le
soluzioni
positive
 ai
problemi,
nonché

gli
argomenti
geopolitici,
geostrategici
e
geoeconomici
caratterizzanti
 la
regione,
costituiscono
quindi
i
temi
dell’elaborato.



Si
passano
in
rassegna
i
principali
discorsi
e
le
narrative
geopolitiche
che
hanno
portato
 alla
creazione
della
sub‐regione
balcanica.
Quest’ultima
è
stata
infatti
oggetto
di
numerose
 classificazioni,
 conolidatesi
 sulla
 base
 di
 percezioni
 provenienti
 dall’esterno.
 Sin
 dall’ottocento,
la
Penisola
Balcanica
è
stata
percepita
come
uno
dei
generatori
principali
 delle
crisi
che
inondavano
il
continente
europeo.
Le
guerre
che
si
sono
susseguite
durante
 il
 XIX
 e
 XX
 secolo
 non
 hanno
 fatto
 altro
 che
 rafforzare
 ulteriormente
 la
 visione
 che
 la
 comunità
internazionale
si
è
fatta
della
regione:
una
zona
grigia
dell’Europa,
articolata
in
 Stati
 piccoli,
 in
 una
 perenne
 condizione
 di
 antagonismo,
 con
 forti
 tendenze
 interne
 all’intolleranza.
 Con
 il
 crollo
 del
 Muro
 di
 Berlino,
 seguito
 dalla
 prepotente
 rinascita
 dei
 nazionalismi
 all’interno
 della
 Jugoslavia,
 la
 percezione
 negativa
 sui
 Balcani
 si
 è
 acuita
 a
 dismisura,
 portando
 ancora
 una
 volta
 alla
 ribalta
 il
 problema
 che
 la
 regione
 presentava
 per
la
stabilità
dell’unità
dell’Europa.

L’ancoraggio
a
vecchie
definizioni
che
illustravano
i
 Balcani
 come
 la
 polveriera
 dell’Europa,
una
 periferia
 e
 un
 coacervo
 di
 pratiche
 politiche
 incivili
 il
 cui
 comune
 denominatore
 era
 la
 cosiddetta
 balcanizzazione
 della
 politica,
 ha
 fatto
in
modo
che
lo
scoppio
delle
ostilità
fosse
trascurato
e,
per
molto
tempo,
gestito
in
 modo
del
tutto
superficiale.
Pur
costituendo
una
delle
parti
più
danneggiate
dal
conflitto
in
 atto
 ‐
 giacché
 doveva
 accogliere
 un
 gran
 numero
 dei
 profughi
 e
 fornire
 ingenti
 aiuti
 umanitari
 ‐
 l’Unione
 Europea
 non
 si
 è
 discostata
 dalla
 sua
 tradizionale
 politica
 fatta
 di
 raccomandazioni
 e
 pareri
 intorno
 a
 
 decisioni
 ormai
 prese
 altrove.
 E’
 stato
 necessario
 quindi
attendere
la
fine
della
guerra
in
Bosnia
ed
Erzegovina,
anzitutto
grazie
alla
politica
 proattiva
 degli
 Stati
 Uniti
 d’America,
 affinché
 l’Unione
 abbandonasse
 i
 vecchi
 paradigmi
 sui
Balcani
e
si
adoperasse
per
una
politica
più
pragmatica.
Nelle
capitali
europee
si
venne
 a
sviluppare
un
interessante
dibattito
circa
la
convenienza
nel
considerare
i
Balcani
non
 più
 come
 la
 polveriera
 dell’Europa,
 ma
 come
 il
 destinatario
 privilegiato
 di
 una
 politica
 nuova,
 fondata
 su
 democratizzazione,
 ricostruzione,
 sviluppo
 e
 transizione
 verso


(3)

l’economia
 di
 mercato.
 L’articolazione
 di
 queste
 nuove
 idee
 partiva
 dal
 presupposto
 di
 quanto
fosse
indispensabile
creare
quei
valori
di
coesistenza
e
di
benessere
per
i
popoli
 balcanici,
in
modo
che
essi
cessassero
definitivamente
con
le
politiche
di
nation‐building,
 legate
all’omogeneizzazione
ed
esclusione
delle
minoranze
etniche,
cause
principali
della
 guerra.
La
transizione
da
un’identità
negativa
dei
Balcani
verso
una
sua
accezione
positiva
 è
 passata
 attraverso
 la
 cooperazione
 regionale
 e
 la
 ridefinizione
 dell’intera
 area.
 
 Si
 è
 trattato,
 in
 sostanza,
 di
 un
 qualcosa
 di
 antitetico
 rispetto
 alla
 consolidata
 immagine
 negativa
 dell’identità
 dei
 Balcani,
 di
 qualcosa
 che
 potesse
 superare
 le
 divisioni
 relative
 all’appartenenza
etnica.
La
formula
comprovata
dall’evoluzione
dell’Unione
Europea,
dove
 la
 cooperazione
 funzionale
 in
 campi
 specifici
 ha
 portato
 ad
 una
 maggiore
 integrazione
 politica,
era
il
modello
da
emulare.
Fu
questo
il
contesto
in
cui
l’Unione
Europea
decise
di
 creare
una
sub‐regione
nuova,
all’interno
della
quale
avrebbe
assunto
il
ruolo
egemone:
il
 Sud
 Est
 Europeo,
 comprendente
 gli
 Stati
 nati
 dalle
 ceneri
 della
 Jugoslavia,
 eccetto
 la
 Slovenia,
 ma
 con
 l’inclusione
 dell’Albania.
 
 Le
 tendenze
 verso
 il
 multilateralismo
 sfociarono
 nella
 prima
 strategia
 comunitaria
 verso
 il
 Balcani
 denominata
 Approccio
 Regionale.



L’Approccio
 Regionale
 ha
 in
 modo
 definitivo
 delimitato,
 geograficamente
 e
 strategicamente,
i
confini
di
una
regione
che
da
allora
in
poi
sarebbe
stata
la
destinataria
 unica
di
numerose
politiche
messe
in
atto
da
parte
di
Bruxelles.
Tuttavia,
quell’esercizio
ha
 mostrato
alcuni
punti
deboli
che
ne
avrebbero
limitato
la
portata
e
gli
effetti.


In
primo
 luogo,
 il
 numero
 elevato
 di
 condizionalità
 e
 le
 relative
 problematiche
 sono
 state
 ancora
 una
volta
affrontate
in
un’ottica
eccessivamente
bilaterale,
lasciando
da
parte
–
a
dispetto
 della
sua
denominazione
–
quella
regionale.



Per
questi
motivi,
ed
in
seguito
all’ultima
crisi
consumatasi
sul
suolo
della
ex‐Jugoslavia,
 quella
 del
 Kosovo,
 Bruxelles
 decise
 di
 avviare
 due
 iniziative
 che
 avrebbero
 ancora
 una
 volta
mutato
il
volto
geopolitico
dei
Balcani
Occidentali.
Il
Patto
di
Stabilità
per
l’Europa
 Sud‐Orientale
ed
il
Processo
di
Stabilizzazione
ed
Associazione.

Il
Patto
di
Stabilità
venne
 formulato
 durante
 la
 presidenza
 tedesca
 del
 Consiglio
 Europeo
 e
 rispecchia
 un
 chiaro
 intento
di
posizionare
i
Balcani
Occidentali
al
vertice
della
propria
agenda
politica.

Con
la
 crisi
Kosovara
in
atto,
che
ancora
una
volta
non
poteva
essere
risolta
da
parte
della
sola
 Unione
a
causa
del
proprio
deficit
operativo,
Berlino,
appoggiata
dagli
Stati
Uniti
e
dalle
 principali
 organizzazioni
 internazionali,
 elaborò
 un
 piano,
 da
 implementarsi
 immediatamente,
 che
 avrebbe
 non
 solo
 reso
 l’azione
 internazionale
 più
 decisa
 ma,
 avrebbe
soprattutto
dato
ai
Paesi
della
regione
una
chiara
prospettiva
per
l’integrazione


(4)

nell’Unione.
 
 Istituito
 contestualmente
 con
 la
 fine
 dell’intervento
 della
 NATO
 nella
 provincia
 serba
 di
 Kosovo
 nell’estate
 1999,
 il
 Patto
 sin
 dall’inizio
 pareva
 un
 progetto
 ambizioso:
favorì
la
raccolta
di
ingenti
mezzi
finanziari
per
la
ricostruzione
delle
economie
 regionali
 e
 creò
 un
 forum
 politico
 con
 l’auspicio
 di
 rafforzare
 la
 collaborazione
 interregionale.
 
 Lo
 sviluppo
 economico
 e
 i
 rapporti
 di
 buon
 vicinato
 erano,
 a
 parere
 di
 quanti
elaborarono
il
piano,
i
due
assi
principali
sui
quali
costruire
un
quadro
regionale
 prospero
e
sicuro,
dove
l’impegno
di
mezzi
militari,
allo
scopo
di
rimediare
alle
dispute
tra
 i
 Paesi,
 sarebbe
 diventato
 non
 solo
 inutile,
 ma
 impensabile.
 Nonostante
 il
 Patto
 avesse
 indubbi
meriti
nella
costruzione
di
un
nuovo
quadro
regionale,
non
tenne
sufficientemente
 conto
delle
circostanze
endogene
ad
ogni
singolo
Stato.
Secondo
le
capitali
della
regione,
 un
approccio
eccessivamente
multilaterale
precludeva
loro
la
possibilità
di
tracciare
una
 precisa
 traiettoria
 verso
 le
 strutture
 europee,
 considerando
 pertanto
 il
 Patto
 sì
 uno
 strumento
 utile,
 ma
 decisamente
 inadeguato
 a
 stringere
 rapporti
 contrattuali
 con
 Bruxelles.



L’Unione
 Europea,
 da
 parte
 sua,
 non
 nascose
 una
 certa
 dose
 di
 scetticismo
 circa
 la
 proposta
 tedesca
 di
 estendere
 ai
 Balcani
 Occidentali
 la
 prospettiva
 di
 un’adesione
 all’Unione.

La
debolezza
strutturale
della
regione,
la
presenza
in
alcuni
dei
Paesi
di
regimi
 autoritari
 e
 di
 economie
 devastate
 dalle
 operazioni
 belliche,
 erano
 solo
 alcune
 delle
 circostanze
 che
 non
 permettevano
 l’attuazione
 di
 un’ipotetica
 strategia
 volta
 all’


integrazione.
 Per
 queste
 ragioni,
 l’Unione
 si
 adoperò
 alla
 stesura
 di
 un
 nuovo
 piano
 politico,
 di
 suo
 esclusivo
 patronato,
 più
 attento
 alle
 dinamiche
 regionali
 e
 prudente
 nel
 considerare
 le
 congiunture
 interne
 ai
 Singoli
 Stati.
 
 Pertanto,
 nella
 tarda
 primavera
 del
 1999,
 l’Unione
 Europea
 elaborò
 il
 Processo
 di
 Stabilizzazione
 ed
 Associazione,
 una
 complessa
 struttura
 di
 natura
 anzitutto
 normativa,
 che
 tutt’oggi
 rappresenta
 il
 cardine
 della
 politica
 comunitaria
 nei
 Balcani
 Occidentali.
 L’innovazione
 di
 maggior
 rilievo
 riguardava
 la
 decisione
 di
 Bruxelles
 di
 includere
 i
 Balcani
 Occidentali
 in
 un
 unico
 meccanismo
 che
 aveva
 come
 scopo
 quello
 di
 permettere
 a
 quest’ultimi
 l’adesione
 all’Unione.
Un’adesione
subordinata
all’ottemperanza
di
precise
condizioni,
generate
dagli
 Accordi
 di
 Stabilizzazione
 ed
 Associazione,
 che
 a
 loro
 volta
 delineavano
 il
 primo
 passo
 contrattuale
 tra
 le
 parti.
 
 La
 politica
 di
 condizionalità,
 i
 progressi
 compiuti
 negli
 anni
 successivi
 da
 parte
 dei
 Paesi
 interessati,
 che
 tra
 l’altro
 videro
 la
 nascita
 di
 scetticismo
 intorno
ai
futuri
processi
di
allargamento
in
seguito
alla
bocciatura
francese
ed
olandese
 del
trattato
costituzionale,
sono
i
punti
centrali
della
riflessione.



(5)

Si
analizzano
in
seguito
gli
aspetti
prettamente
geostrategici
emersi
dalla
crisi
nei
Balcani.


La
 dissoluzione
 dell’ex
 Jugoslavia,
 infatti,
 
 ha
 inesorabilmente
 riproposto
 la
 questione
 critica
 circa
 le
 capacità
 militari
 di
 Bruxelles
 nella
 gestione
 delle
 crisi
 ed
 il
 suo
 ipotetico
 ruolo
 di
 protagonista
 sulla
 scena
 internazionale,
 che
 a
 partire
 dal
 1990
 ha
 perso
 la
 caratteristica
di
bipolarità.
Ci
si
domandava,
in
quegli
anni,
quale
fosse
l’idea
dell’Europa
 nel
 mondo,
 partendo
 dall’altezza
 delle
 capacità
 interne,
 dal
 peso
 oggettivo
 e
 dalle
 aspettative
 esterne.
 Pareva
 chiaro
 che
 l’Unione
 Europea
 dovesse
 dapprima
 dotarsi
 di
 quegli
 strumenti
 istituzionali
 idonei
 a
 rispondere
 alla
 crescente
 “domanda
 d’Europa”


proveniente
 dal
 Mondo
 in
 generale,
 e
 dai
 Balcani
 in
 particolare,
 orfani
 della
 “certezza
 geopolitica”
 bipolare,
 fino
 a
 essere
 in
 grado
 di
 evolvere
 da
 spazio
 economico
 in
 gigante
 politico
 e
 militare.
 Lo
 sviluppo
 e
 la
 genesi
 degli
 strumenti
 quali
 PESC
 e
 PESD
 sono
 due
 concetti
 chiave
 del
 capitolo.
 Il
 sorgere,
 inoltre,
 di
 problemi
 relativi
 alla
 sicurezza
 sarà
 preso
 in
 esame
 in
 questa
 fase
 d’analisi.
 In
 particolare,
 vengono
 esaminate
 le
 minacce,
 potenzialmente
in
grado
di
rendere
la
zona
dei
Balcani
Occidentali
instabile
e
insicura.
Da
 una
 parte,
 si
 analizzano
 le
 questioni
 legate
 alla
 sicurezza
 “hard”,
 e
 quegli
 elementi
 di
 instabilità
 che,
 usando
 i
 metodi
 propri
 del
 potere
 militare,
 possono
 travalicare
 i
 confini
 della
regione
per
interessare
le
aree
limitrofe.
Il
terrorismo
internazionale,
la
presenza
di
 Stati
deboli,
così
come
l’uso
del
territorio
a
scopi
illeciti
saranno
solo
alcuni
degli
esempi.


Dall’altra
parte,
vengono
presi
in
considerazione
i
problemi
di
sicurezza
“soft”,
ossia
quelle
 attività
illecite
in
grado
di
procurare
disfunzioni
ai
meccanismi
istituzionali,
mettendone
 in
pericolo
il
funzionamento
nel
lungo
termine,
con
conseguenze
sulla
stabilità
dell’intero
 apparato
 statale.
 La
 criminalità
 organizzata,
 il
 traffico
 degli
 stupefacenti
 oppure
 la
 corruzione
dilagante
ne
sono
degli
esempio
più
eclatanti.



Un
 altro
 aspetto
 fondamentale
 nell’indagine
 delle
 politiche
 complessivamente
 messe
 in
 atto
 nei
 Balcani
 Occidentali
 è
 senza
 dubbio
 quello
 economico.
 Forte
 dell’esperienza
 del
 secondo
dopoguerra,
quando
il
fattore
economico
fu
il
vettore
principale
dell’integrazione,
 e
testimone
del
positivo
contributo
al
mercato
regionale
creato
da
parte
dei
Paesi
dell’ex
 blocco
 sovietico,
 del
 CEFTA,
 Bruxelles
 si
 fece
 promotore
 di
 un
 analogo
 approccio
 nei
 Balcani.
Oltre
a
ciò,
la
crescente
complessità
in
materia
energetica
spinse
le
parti
affinché
 si
 creasse
 una
 comunità
 energetica
 regionale,
 da
 integrare
 nel
 sistema
 europeo.
 A
 completamento
del
quadro
economico,
sono
analizzate
le
iniziative
che
vedono
i
Balcani
 Occidentali
 pienamente
 inseriti
 nella
 costruzione
 e
 realizzazione
 dei
 cosiddetti
 corridoi
 paneuropei.



(6)

Infine,
 viene
 offerta
 una
 valutazione
 del
 percorso
 futuro
 della
 Croazia,
 Bosnia
 ed
 Erzegovina,
Serbia,
Montenegro,
FYROM
e
Albania
verso
l’integrazione
europee.

Ciascuno
 di
 questi
 Paesi,
 nonostante
 faccia
 parte
 della
 medesima
 strategia
 dell’Unione
 Europea,
 possiede
peculiarità
che
risulteranno
decisive
in
vista
dell’adesione
nelle
strutture
euro‐

atlantiche.
 
 A
 dieci
 anni
 dalla
 svolta
 geopolitica
 di
 Bruxelles
 nei
 confronti
 dei
 Balcani
 Occidentali,
non
vi
è
ancora
un
Paese
che
sia
entrato
a
pieno
titolo
nell’Unione.

I
progressi
 compiuti
 dai
 singoli
 Paesi,
 segnatamente
 dalla
 Croazia,
 non
 risultano
 tuttora
 sufficienti
 perché
 il
 processo
 di
 integrazione
 possa
 considerarsi
 concluso.
 
 Le
 numerose
 strategie
 dell’Unione
Europea
sembrano
aver
prodotto
risultati
parziali,
ma
il
loro
aspetto
positivo
 rimane
indubbiamente
quello
predominante.





 


Riferimenti

Documenti correlati

La soluzione prospettata nell’alternativa tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. Elementi per una diversa ricostruzione del fondamento della «minore

Il profitto è ingiusto quando «non si fonda su una pretesa riconosciuta dall’ordinamento giuridico, sia in modo diretto (mediante concessione di azione giudiziaria) sia in

 Non è vero che il nuovo indicatore di riferimen Non è vero che il nuovo indicatore di riferimen Non è vero che il nuovo indicatore di riferimen Non è vero che il nuovo indicatore

RESPINTA la richiesta di rifinanziare il fondo degli incarichi dall’aprile 2018 per dare certez- za di conferire la nuova tipologia di incarichi organizzativi/gestionali e quelli

Per questo motivo la presente comunicazione si colloca all’interno di una necessaria operazione di ricupero e valorizzazione delle fonti primarie per la storia della geologia

La Legge 183/89 “ Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo” (integrata e di fatto sostituita dal decreto 152/2006 "Norme in materia ambientale“)

Parleremo di politiche di integrazione in una sessione organizzata in collaborazione con l’Organismo Nazionale di Coordinamento per le Politiche di

51433, CED 257375, secondo cui “Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la