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370/2016 Individui pericolosi, società a rischio

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(1)

370

giugno 2016

Individui pericolosi, società a rischio

Mario Colucci Individui pericolosi,

società a rischio 3

Mauro Bertani La misura del pericolo

(Lombroso & co.) 21

Peppe Dell’Acqua, Silvia D’Autilia Il ladro

di biciclette e il pugile assassino 39 Giovanna Del Giudice, Stefano Cecconi Il caso

StopOpg. Quando la partecipazione migliora

il progetto politico 60

Roberto Mezzina La contaminazione tra psichiatria e giustizia in Gran Bretagna 74 Ernesto Venturini, Maria Stella B. Goulart

L’insicurezza sociale in Brasile 92 Alessandro Dal Lago Come cambia la percezione

del pericolo al tempo del Califfo 104 Ciro Tarantino L’individuo inaffidabile 116

MATERIALI

Michel Foucault L’evoluzione della nozione di “individuo pericoloso” nella psichiatria

legale del

XIX

secolo 125

Robert Castel Dalla pericolosità al rischio 147 Françoise Digneffe Genealogia del concetto

di pericolosità 167

Pierangelo Di Vittorio Degenerazione. Alle origini del rapporto tra psichiatria e giustizia 184 POST

Pier Aldo Rovatti “Una società terribile” 193

(2)

rivista fondata da Enzo Paci nel 1951 direttore responsabile: Pier Aldo Rovatti

redazione: Sergia Adamo, Paulo Barone, Graziella Berto,

Deborah Borca (editing, deborah.borca@gmail.com), Damiano Cantone, Mario Colucci, Alessandro Dal Lago, Pierangelo Di Vittorio,

Giovanna Gallio, Edoardo Greblo, Raoul Kirchmayr, Giovanni Leghissa, Massimiliano Nicoli, Ilaria Papandrea, Fabio Polidori, Pier Aldo Rovatti, Massimiliano Roveretto, Antonello Sciacchitano, Giovanni Scibilia, Davide Zoletto

direzione: c/o il Saggiatore, via Melzo 9, 20129 Milano sito web: autaut.ilsaggiatore.com

collaborano tra gli altri ad “aut aut”: G. Agamben, H.-D. Bahr, R. Bodei, L. Boella, S. Borutti, J. Butler, M. Cacciari, A. Cavarero, R. De Biasi, G. Dorfles, M. Ferraris, U. Galimberti, P. Gambazzi, S. Givone, A. Heller, F. Jullien, J.-L. Nancy, A. Prete, R. Prezzo, M. Serres, G.C. Spivak, G. Vattimo, M. Vegetti, P. Veyne, V. Vitiello, S. Žižek

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Finito di stampare nel giugno 2016

(3)

3

aut aut, 370, 2016, 3-20

Individui pericolosi, società a rischio

MARIO COLUCCI

Q ualche anno fa, partecipando a un convegno sulla situazione degli Ospedali psichiatrici giudiziari nel nostro paese, ebbi modo di ascoltare il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta per l’efficienza ed efficacia del Sistema sanitario nazionale, che aveva docu- mentato con le sue visite ispettive nel 2010 gli orrori dei sei manicomi criminali all’epoca ancora aperti in Italia: il senatore Ignazio Marino perorava la necessità di una loro immediata chiusura a fronte del dram- matico degrado riscontrato e della possibilità di dimettere subito almeno la metà dei circa 1400 internati, in quanto non erano più da ritenere pericolosi. Per gli altri, “che pericolosi lo erano ancora”, bisognava trovare un’adeguata soluzione, ossia delle strutture residenziali regionali in cui accoglierli.

1

Rimasi impressionato: nonostante la denuncia vibrante da parte della Commissione parlamentare della terribile condizione di vita degli uomini e delle donne internate in

OPG

, nessuna critica trapelava dalle parole di Marino – medico di professione – sulla incongruità della nozione stessa di pericolosità. Intuivo che implicitamente ne riconoscesse non tanto la legittimità, purtroppo ancora oggetto di una norma del codice, quanto la scientificità. E, in fondo, la sua permanente utilità.

Partirei da qui, dalla difficoltà odierna da parte della politica e della scienza a riflettere nuovamente su questa nozione, che pure, in una sta-

1. Si tratta delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (

REMS

), previste

dalla legge 9 del 2012 e dai successivi provvedimenti in merito. Riguardo all’iter legislativo,

si rimanda al dettagliato intervento di Giovanna Del Giudice e Stefano Cecconi pubblicato

in questo fascicolo.

(4)

4

gione non troppo lontana nel tempo, si era arrivati a criticare, ma che di fatto continua ancora a funzionare da tragico spartiacque tra sommersi e salvati. Cogliere quanto sia ambigua, dallo statuto epistemologico incerto, dalla natura socialmente e culturalmente costruita e all’origine di meccanismi d’esclusione, istituzioni aberranti e false verità, rinnova l’urgenza della sua demolizione. Ma bisogna andare con ordine e rileg- gere la sua storia tra teorie arcaiche e pratiche attuali.

1. Istinti

Come ci ricorda Michel Foucault, la psichiatria inizia a intervenire nelle aule di tribunale nei primi decenni del

XIX

secolo in occasione di alcuni efferati delitti, apparentemente senza ragione, che suscitano grande sgomento popolare e numerosi interrogativi e che sembrano “sfuggire tanto all’assegnazione di ragione quanto all’assegnazione di follia”:

2

in essi, risulta difficile rintracciare elementi suggestivi a carico della prima (motivo d’interesse) o della seconda (motivo delirante). La giustizia e l’opinione pubblica sono smarrite di fronte a vicende atroci come quella della donna di Sélestat, che uccide la figlia e se la mangia; o di Henriette Cornier che immotivatamente taglia la testa alla bimba della vicina e la getta dalla finestra; o di Catherine Ziegler, che uccide un figlio illegittimo, viene assolta per follia e una volta liberata commette di nuovo il medesimo delitto su un nuovo nato; o altri ancora.

3

Tutto si presenta enigmatico e nulla, almeno all’epoca, può essere attribuito con certezza alla giustizia o alla psichiatria. Sono casi in cui, scrive Foucault, “si insiste sul fatto che non c’era nessun precedente, nessun disturbo preesistente del pensiero o del comportamento, nessun delirio: che non vi era nemmeno l’agitazione o il disordine caratteristici della furia: il crimine scaturiva da quello che poteva essere chiamato il grado zero della follia”.

4

Qualcosa di nuovo è apparso all’orizzonte, una forma di alienazione mentale, i cui sintomi sono rappresentati dal crimine commesso: gli psichiatri si affrettano a coniare una nuova diagnosi, monomania omicida, “entità assolutamente fittizia

2. M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France, 1974-1975 (1999), trad. a cura di V. Marchetti e A. Salomoni, Feltrinelli, Milano 2000, p. 105. Cfr. anche Id., “L’evoluzione della nozione di ‘individuo pericoloso’ nella psichiatria legale del

XIX

secolo” (1978), in Archivio Foucault 3. 1978-1985, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 43-63 (ripubblicato in questo fascicolo).

3. Ivi, p. 45.

4. Ivi, p. 46.

(5)

5 di crimine-follia, di un crimine che è interamente follia, di una follia che è nient’altro che un crimine”.

5

Lo scandalo di questi casi inquietanti sta nel fatto che essi inceppano la macchina della giustizia. Fino a questo momento, di fronte a un de- litto, ci si è posti la semplice domanda preliminare se si tratti di un atto commesso in stato di assenza di ragione: in tale circostanza, come recita l’articolo 64 del Codice penale napoleonico, non può esserci imputa- bilità e l’individuo deve essere assolto. In altri termini, se la giustizia viene a conoscenza che l’individuo ha manifestato una qualche forma di follia sotto la specie della demenza, dell’imbecillità o della furia, non può giudicarlo perché non è imputabile.

Ma in questi casi non sempre è possibile riscontrare uno stato di malattia al momento dell’osservazione. Allora vanno puniti? Qui tutto si complica: se prima bastava accertare lo stato di ragione del criminale, l’assenza di demenza, adesso bisogna dimostrare in modo esplicito quale sia l’intrinseca razionalità del crimine, il motivo d’interesse dell’atto commesso. È la stessa macchina della giustizia che lo richiede, altrimenti si blocca: essa, dice Foucault, “non può più funzionare sola- mente con una legge, un’infrazione e un autore responsabile dei fatti.

Ha bisogno di altro, di un materiale supplementare”.

6

All’accusato si chiede ben più che un’ammissione, “è necessaria una confessione, un esame di coscienza, una spiegazione di se stesso, uno svelamento di sé”,

7

perché in loro assenza non si riesce a capire che cosa si dovrebbe davvero colpire attraverso la punizione. Quale interesse profondo e quale vantaggio motiva un delitto efferato e apparentemente senza ragione? Quale inconfessabile oscuro desiderio spinge verso un simile gesto?

Se gli psichiatri non sono in grado di trovare traccia di follia e se la lucidità dei colpevoli spesso appare integra, allora vuol dire che qualcosa di nuovo, improvviso e irresistibile, ha fatto irruzione nelle loro menti, ne ha sconvolto l’equilibrio e ha fatto commettere il delitto: “Un istinto, di per se stesso mostruoso, malato e patologico, che attraversa il com- portamento come una meteora, istinto di uccidere che non assomiglia a niente, che non risponde a nessun interesse e che non s’inscrive in

5. Ivi, p. 48.

6. Ivi, p. 44.

7. Ibidem.

(6)

21

aut aut, 370, 2016, 21-38

La misura del pericolo (Lombroso & co.)

MAURO BERTANI

P oco dopo la metà del

XIX

secolo lo Spirito ri- diventò “un osso”. Ma non più, questa volta, per assecondare le peripezie di una Ragione che, pur prendendo “un interesse universale per il mondo”, cercava “un Altro” sapendo che non avrebbe in verità posseduto, come aveva scritto Hegel nella Fenomenologia dello Spirito, “nient’altro che se stessa”, fosse nei tratti della fisionomia, come voleva Lavater, o nelle “protuberanze del cranio”, studiate da Gall e Spurzheim. Se infatti continueranno a essere in gioco un certa ricerca e un certo “riconoscimento”, non sa- ranno più quelli di se stessa. L’Altro stava diventando “un” altro – in realtà, tanti “altri”. Tutti quelli che, proprio nella (e per via della) loro alterità anomala, manifesta e visibile, stavano per essere designati con il marchio a fuoco della pericolosità. Eppure a lungo la pericolosità, nella storia delle società occidentali, era stata ricondotta a cause formali e materiali oscure, misteriose e inquietanti, come dalla Storia della follia a Sorvegliare e punire, nei suoi corsi e soprattutto nei suoi seminari al Collège de France, ha mostrato Michel Foucault.

Vi erano state le masse erratiche e indistinte della lebbra e della peste, e quelle della “eretica pravità”; erano poi venuti gli individui sragione- voli, gli oziosi, i libertini e i vagabondi, quelli infami e ancora i folli, i criminali e i delinquenti. Rispetto a cui non si è mai smesso di organizzare degli spazi istituzionali e di predisporre dei regimi discorsivi destinati a

Mauro Bertani, independent researcher, ha avviato agli inizi degli anni novanta, con Ales-

sandro Fontana, la pubblicazione dei corsi al Collège de France di Michel Foucault, del

quale ha curato poi l’edizione italiana di varie opere. Si occupa di storia della psichiatria e

di storia dell’antisemitismo, nonché di storia della filosofia.

(7)

22

identificare, isolare, rimuovere, cancellare, tali pericoli, che si trattasse degli spazi liminari dell’esclusione esterna, oppure di quella interna del quadrillage, del manicomio o della prigione; che si trattasse del discorso teologico, di quello del diritto o di quello tenuto dal sapere medico. E un episodio particolare di tale lunga e dolorosa storia è quello che ha riguardato la psichiatria, a partire dal momento in cui ha avviato un lento processo di insediamento all’interno del dispositivo giudiziario e che (ma è una semplice ipotesi, un po’ arbitrariamente desunta dai corsi e seminari di Foucault) potrebbe essere ripartito in base alla seguente scansione.

Il primo momento segue di poco la nascita dell’alienismo come disciplina e istituzione responsabile della presa in carico del “male mentale” all’interno di quelle istituzioni specializzate che saranno, a partire dall’inizio dell’Ottocento, i manicomi. L’asilo di Pinel, sosteneva Foucault, è il luogo in cui viene messo in atto un modello puro di rela- zioni di potere: una struttura d’ordine, condizione tanto del trattamento quanto dell’osservazione e accumulazione di conoscenze, che organizza un regime di sorveglianza permanente e generalizzata – come nello schema messo a punto, all’incirca alla stessa epoca, da Bentham, anche se realizzato con altri mezzi – sotto quel “centro generale d’autorità”

che è il medico. Se infatti la malattia è disordine del pensiero causato dalle pressioni sociali o dallo sregolamento delle passioni, occorre innanzitutto sottrarre il malato a tali eccessi, inducendolo a sostituire

“una passione reale a una immaginaria”, e ciò potrà avvenire solo in un quadro rigorosamente regolamentato e gerarchizzato, in cui il medico, guadagnata la fiducia del malato, potrà esercitare la sua “influenza morale”, che non esclude il ricorso, accuratamente modulato, anche ai

“metodi più vigorosi”. L’isolamento, tuttavia, non si giustifica solo con la necessità di sottrarre i malati alle cause patogene esterne e di assicurare un contesto terapeutico idoneo. Sempre più, anzi, la reclusione dei folli negli asili verrà giustificata in nome di un’esigenza di protezione dal pericolo che essi rappresentano.

È quanto emerge, come ha mostrato Robert Castel, dalla legge del 30

giugno 1838, la cui architettura era stata definita da Esquirol, da Ferrus

e da Falret, e che delinea in Europa il primo coerente disegno di assi-

stenza psichiatrica pubblica, definendone gli aspetti inestricabilmente

medici, amministrativi e giudiziari. In essa si stabiliva che ogni diparti-

mento avrebbe dovuto essere dotato di uno stabilimento destinato ad

accogliere e trattare gli alienati, fissando due modalità d’internamento:

(8)

23 quello forzato, detto anche volontario, dietro domanda della famiglia o di terzi, e quello d’ufficio, sotto la responsabilità dell’autorità prefettizia, dando allo psichiatra un potere illimitato sul destino dei malati affidatigli.

Contemporaneamente, a partire dai grandi casi studiati da Foucault, come quello di Pierre Rivière o di Henriette Cornier, si era aperto in tutta Europa (con Georget, Metzger, Hoffbauer, Marc, Fodéré, Orfila ecc.) il grande dibattito medico-legale sugli “individui pericolosi” che vedrà contrapposti alienisti e magistrati a proposito della responsabilità e punibilità dei reati commessi da soggetti che al momento del delitto si trovavano “in stato di demenza”. È in tale contesto che verrà avviato, con l’elaborazione della nozione di “monomania omicida” e di irresponsabi- lità dell’alienato, il processo di “patologizzazione del crimine”, uno dei primi eventi significativi nel processo di trasformazione della medicina mentale in igiene pubblica del corpo sociale, accompagnata dall’appari- zione di strutture che porteranno alla nascita di sezioni speciali all’interno degli asili o, in Italia, alla costituzione dei manicomi criminali. È l’epoca in cui nasce un nuovo dispositivo all’interno della pratica psichiatrica che verrà progressivamente incorporato all’interno dei procedimenti della giustizia penale: la perizia psichiatrica.

Tutto comincia all’epoca della Restaurazione, a partire dai crimini

“senza ragione”, quelli che per il sistema penale – a causa della loro mancata corrispondenza con una qualche “meccanica degli interessi”

– risultano alla lettera “inintelligibili”, paralizzando così il potere di punire e inducendo i giudici, come ha scritto Foucault, “a porre delle domande alla psichiatria” per produrre una “verità”, un “discorso di verità”, che procede da un sapere che rivendica di possedere uno “statuto scientifico”. Tutto ciò non si è fatto senza tensioni e contraddizioni, che hanno dato luogo a un vero e proprio agone, tanto all’interno del campo psichiatrico quanto nei rapporti tra psichiatria e giustizia, che si scioglierà solo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.

È questa l’epoca della trasformazione del regime di verità della psi- chiatria, che si inquadra nel contesto più generale che sta provocando la trasformazione della disciplina in vera e propria “scienza di Stato”.

Alla psichiatria – sempre più destinata a diventare sapere e tecnologia

di controllo dell’anomalia e sempre più contrassegnata da un sostanziale

pessimismo terapeutico a fronte della crescita dei fenomeni della cro-

nicità – non si richiede più di contribuire a stabilire l’eventuale respon-

sabilità e la conseguente punibilità dell’individuo, bensì di indagarne la

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39

aut aut, 370, 2016, 39-59

Il ladro di biciclette e il pugile assassino

PEPPE DELL’ACQUA SILVIA D’AUTILIA

1. Milano, estate 2010. Una donna filippina di quarant’anni viene aggredita mentre si reca al lavoro, presa a pugni e uccisa. La donna muore col volto fracassato dai colpi potentissimi di Oleg Fedchenko, ucraino di venticinque anni, che da qualche tempo vive in Italia. Abita con la madre, è impegnato in lavori saltuari e frequenta una palestra, fa uso di sostanze stupefacenti. Vuole fare il pugile, è molto ben allenato. Cosa succede quella mattina? Oleg è stato lasciato dalla fidanzata. Il giorno del fatto, in crisi di astinenza da cocaina o ancora sotto l’effetto della sostanza, esce di casa con l’intenzione di vendicarsi. Dopo l’aggressione, immediatamente catturato, portato in carcere, dirà che nel volto della sua vittima, la prima donna incontrata, aveva colto i tratti di un diavolo.

La sua evidente condizione di eccitamento, il comportamento esplo- sivo e le parole palesemente deliranti e allucinate inducono il giudice a emettere un’ordinanza di misura di sicurezza provvisoria (art. 206 del Codice penale)

1

e l’avvio in Ospedale psichiatrico giudiziario (

OPG

). Il giudice nomina un perito psichiatra che confermerà l’infermità mentale e con questa l’incapacità di intendere e di volere al momento del reato, la non imputabilità e, rilevata la pericolosità sociale, Oleg viene prosciolto.

La misura di sicurezza da provvisoria diviene definitiva (art. 222 del Co-

Peppe Dell’Acqua, psichiatra, già direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste, dirige dal 2011 la Collana 180 – Archivio critico della salute mentale (edizioni alpha beta, Merano) ed è tra i fondatori e animatori del Forum salute mentale. Silvia D’Autilia è dotto- randa di ricerca in Filosofia presso l’Università di Trieste, collabora con la Collana 180 e si occupa dei nodi tra psichiatria e soggetto, follia e potere.

1. Articolo 206 del Codice penale, “Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza”:

“Durante l’istruzione o il giudizio, può disporsi che il minore di età o l’infermo di mente

[…] siano provvisoriamente ricoverati in un riformatorio o in un manicomio giudiziale”.

(10)

40

dice penale):

2

dovrà restare in

OPG

per un minimo di cinque anni. Non ci sarà il dibattimento, il reato perde la sua consistenza, Oleg scompare, al suo posto rimane la malattia mentale e la pericolosità.

Dopo circa tre anni, la misura di sicurezza verrà revocata. Gli psichia- tri dell’

OPG

presenteranno al tribunale di sorveglianza l’istanza di revoca, su sollecitazione della difesa. Il quadro psicopatologico è migliorato e non è più evidenziabile la pericolosità sociale. Oleg usufruisce di alcuni permessi e si comporta adeguatamente.

Nel settembre 2014 il magistrato di sorveglianza revoca la misura di sicurezza. Oleg torna in libertà. Oggi vive in Ucraina, nella sua città.

2. In tutto il mondo si ritiene che gran parte dei reati commessi dalle persone con disturbo mentale siano influenzati da questa condizione e possano determinare particolari percorsi processuali. In Italia, chiunque commetta un reato è responsabile e dunque punibile se è in possesso della capacità di intendere e di volere. Nel caso di infermità di mente, questa capacità può risultare parzialmente o totalmente assente. In breve, in presenza di reato, se vi sia sospetto di malattia mentale, si avvia una sequenza: reato, sospetto di malattia mentale, perizia, infermità di mente, incapacità di intendere e di volere, non imputabilità, proscioglimento,

3

pericolosità sociale,

OPG

(ora

REMS

).

4

Oppure: reato, sospetto di malattia mentale, perizia, seminfermità mentale, capacità ridotta, imputabilità, processo, eventuale condanna, carcere.

5

Il Codice penale definisce negli articoli 88 e 89

6

la questione dell’im- putabilità in rapporto all’infermità mentale e il perito deve rispondere

2. Articolo 222 del Codice penale, “Ricovero in un

OPG

”: “Nel caso di proscioglimento per infermità psichica, […] è sempre ordinato il ricovero dell’imputato in un

OPG

, per un tempo non inferiore a due anni”.

3. Il proscioglimento è la sentenza emessa in fase istruttoria o dibattimentale in cui si dichiara di non doversi procedere nei confronti dell’imputato.

4. Cfr. legge 81/2014.

5. Benché sia entrata in vigore la legge 81/2014 di cui si parlerà nei prossimi paragrafi, con la finalità di chiudere gli

OPG

, l’impianto del Codice penale del 1930 è rimasto totalmente invariato a tutt’ora.

6. Articolo 88 del Codice penale, “Vizio totale di mente”: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere”. Articolo 89 del Codice penale, “Vizio parziale di mente”:

“Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da

scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del

reato commesso; ma la pena è diminuita”.

(11)

41 alle domande del giudice che vengono così formulate: “Dica il perito se al momento in cui commise i fatti, l’imputato si trovasse in stato di infermità mentale tale da escludere o da scemare grandemente le sue capacità di intendere e di volere; quale sia la sua attuale condizione mentale; se sia persona socialmente pericolosa”. L’esito della perizia può essere: assenza di infermità mentale, in questo caso la persona viene sottoposta a giudizio e il processo proseguirà; presenza di infermità, in questo caso si verificano due condizioni tra loro alternative: l’infermità esclude la capacità (vizio totale di mente) oppure l’infermità è tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità (vizio parziale di mente o seminfermità).

Nel caso della totale incapacità, il giudice stabilisce che la persona non è imputabile e la proscioglie, perché non è possibile riconoscere la responsabilità personale, non c’è stata colpevolezza. La malattia diventa il colpevole; il disturbo mentale sovradetermina il comportamento e gli atti criminosi conseguenti. In questo caso, in presenza di pericolosità, la persona viene inviata in

OPG

(

REMS

) in esecuzione della misura di sicurezza detentiva per due, cinque o dieci anni, in relazione alla risonanza sociale del reato e alla pena prevista dal Codice.

Diverso è il caso della seminfermità: la capacità, per quanto ridotta, sussiste. La persona è imputabile e viene processata. In caso di condanna, la pena verrà diminuita di un terzo. Se riconosciuta anche socialmente pericolosa, la persona verrà inviata in

OPG

(

REMS

), solo dopo aver scontato la pena detentiva in carcere.

3. L’automatismo descritto è parte di quanto da più di ottant’anni ac- cade in Italia per accantonare il “pazzo criminale” in un altro luogo. La pericolosità contemplata dal Codice penale riguarda pregiudicati che hanno reiterato reati e comportamenti della stessa natura, rivelandosi recidivi e continuando a creare turbamento sociale (art. 203 del Codi- ce penale).

7

La pericolosità sociale che si riconosce nella persona con disturbo mentale ha a che vedere con la sua malattia. Il reato, banale o efferato che sia, agli occhi del giudice e dell’opinione pubblica, assume

7. Articolo 203 del Codice penale, “Pericolosità sociale”: “Agli effetti della legge penale,

è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, […] quando

è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati” (cfr. anche l’articolo

133 del Codice penale).

(12)

60

aut aut, 370, 2016, 60-73

Il caso StopOpg.

Quando la partecipazione migliora il progetto politico

GIOVANNA DEL GIUDICE STEFANO CECCONI

È ormai trascorso quasi un anno da quando, il 31 marzo 2015, in Italia sono stati “chiusi per legge” gli Ospedali psichiatrici giudiziari (

OPG

). Si tratta della legge 81 del 31 maggio 2014 che alla fine di un percorso durato tre anni, aperto dalla legge 9 del 2012, ha sancito quella chiusura ridefinendo la direzione nel processo di “superamento” degli

OPG

. Tuttavia il percorso avviato è ancora lungo e tortuoso e a maggior ragione necessita di vigilanza da parte dei tecnici, dei politici, della cit- tadinanza informata e di una messa in crisi e di una rivisitazione delle inerzie culturali e scientifiche, del modello organizzativo e delle prassi operative nella salute mentale.

Dal 1° aprile 2015 nessun cittadino o cittadina è stato/a più inviato/a in misura di sicurezza detentiva negli

OPG

, ma le persone prosciolte e pericolose socialmente, anche quelle in fase di giudizio in misura provvisoria, sono inviate (e gli invii sono attuati) nelle Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza (

REMS

), strutture sanitarie regionali previste dalla nuova legislazione. Attualmente sono meno di settecento le persone internate (con misura di sicurezza detentiva) – sommando le presenze dei quattro

OPG

ancora aperti, nella

REMS

/

OPG

di Castiglione

Giovanna Del Giudice, psichiatra, ha lavorato a Trieste dal 1971 al 2001 partecipando all’inte- ro processo di de-istituzionalizzazione dell’ospedale psichiatrico e alla costruzione dei servizi di salute mentale territoriali. È stata direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda sanitaria locale di Caserta 2 dal 2002 al 2006 e di Cagliari dal 2006 al 2009. Coordina pro- getti di cooperazione internazionale sui temi della salute mentale comunitaria. Dal novembre 2013 è presidente dell’associazione Conferenza Basaglia e membro del comitato nazionale StopOpg. Stefano Cecconi è sindacalista, responsabile nazionale

CGIL

Politiche della Salute, Non autosufficienza, Dipendenze, Terzo Settore. Fa parte del “Gruppo protezione sociale”

della Confederazione europea dei sindacati. È direttore di “La Rivista delle Politiche Sociali”.

(13)

61 delle Stiviere e nelle

REMS

regionali.

1

Nel 2011 erano oltre millequattro- cento. Sebbene le dimissioni abbiano dimezzato gli internati, da alcuni mesi i nuovi “ingressi dalla libertà”

2

stanno aumentando: segno che la magistratura non sta attuando la legge 81 nella parte più “pregiata”, che privilegia misure alternative alla detenzione.

Alcune premesse

La necessità di affrontare, anche dal punto di vista legislativo, la que- stione degli Ospedali psichiatrici giudiziari – istituti inaccettabili per la loro natura, il loro mandato, per l’incongrua legislazione e il paradigma psichiatrico che li sostiene – è stata posta da giuristi e da psichiatri subito dopo l’emanazione della legge 180 di riforma psichiatrica, nel 1978. Si è messa in luce la contraddizione esistente tra la legge 180, che sanciva la fine dello “statuto speciale” per la persona con disturbo mentale (e la sua entrata nella cittadinanza), e il permanere, nel codice penale Rocco del 1930 che fonda l’

OPG

, di norme che tracciano percorsi “speciali” per la persona con problemi di salute mentale che ha commesso reato:

3

il cosiddetto “doppio binario”.

È stata la Corte costituzionale, con importanti e ripetute sentenze a partire dal 1981, a determinare un significativo processo di erosione del codice penale relativo all’invio in

OPG

della persona con disturbo mentale che abbia commesso un reato. In particolare, grande rilevanza va data alle sentenze 253 del 2003 e 367 del 2004 che, privilegiando la cura alla custo- dia, hanno ampliato alle persone autrici di reato con disturbo mentale le misure alternative all’internamento in

OPG

, dichiarando incostituzionale la non applicazione e rilevando che il ricovero in questi istituti costituisce una

1. Cfr.

IV

Relazione al Parlamento sul superamento degli

OPG

: <www.stopopg.it/

node/1362>.

2. Cfr. l’audizione al Senato del responsabile del Dipartimento amministrazione penitenziaria Santi Consolo il 17 settembre 2015.

3. Nel caso della totale incapacità di intendere e volere, definita attraverso una perizia, il giudice stabilisce che la persona non è imputabile e la proscioglie: non le si riconosce quindi nessuna responsabilità personale; è la malattia che ha condizionato e sovradeterminato il gesto reato. La persona prosciolta quindi non partecipa a un processo e, se riconosciuta pericolosa socialmente, viene sottoposta alla misura di sicurezza detentiva nell’Ospedale psichiatrico giudiziario per due, cinque o dieci anni, in relazione alla gravità e all’efferatezza del reato. Nel caso in cui la persona sia giudicata seminferma di mente, permanendo una seppur ridotta capacità di intendere e di volere, è imputabile e viene sottoposta al processo.

In caso di condanna, la pena è diminuita di un terzo. Se la persona è riconosciuta socialmente

pericolosa dopo aver scontato la pena detentiva in carcere viene inviata in

OPG

.

(14)

62

pesante disuguaglianza di trattamento rispetto a quanto prevede la riforma della psichiatria. I giudici costituzionali hanno rilevato che l’internamento è un “non soddisfacente trattamento” e che le cure psichiatriche si svolgo- no meglio in ambito territoriale. La sentenza 253 del 2003 è chiarissima:

“Le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente (cfr.

sentenze n. 307 del 1990, n. 258 del 1994, n. 118 del 1996, sulle misure sanitarie obbligatorie a tutela della salute pubblica): e pertanto, ove in con- creto la misura coercitiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario si rivelasse tale da arrecare presumibilmente un danno alla salute psichica dell’infermo, non la si potrebbe considerare giustificata nemmeno in nome di tali esigenze”. Il concetto è ribadito nella sentenza 367 del 2004: “Il giudice a quo ritiene che l’impossibilità di sostituire la misura di sicurezza con altra non detentiva si ponga in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione (e implicitamente con il diritto alla salute)”.

Non occorre sottolineare la portata storica di queste sentenze, che avrebbero permesso e permetterebbero, anche secondo le attuali norme del codice penale, il non invio in

OPG

dell’autore di reato con disturbo mentale. Ma l’inerzia, le omissioni, le cattive pratiche e le mancate assunzioni di responsabilità a livello politico, sanitario e giudiziario, hanno fatto sì che fossero scarsamente utilizzate e incidessero solo in misura parziale sul numero di trattamenti detentivi, in particolare nel caso di persone con una bassa contrattualità sociale che non trovano il necessario supporto per avere accesso a questi diritti.

Va pure ricordato un ulteriore passo verso la chiusura degli

OPG

, anch’esso provocato dalle sentenze appena citate: la promulgazione nel 2008 del

DPCM4

del 1° aprile con il “trasferimento delle competenze sani- tarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse sanitarie e delle attrezzature e dei beni strumentali” dalla sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale.

5

Il

DPCM

del 2008 definisce pure il trasferimento delle funzioni sanitarie degli

OPG

alle regioni in cui essi sono ubicati e indica le linee guida per gli interventi che le regioni devono progressivamente attuare, attraverso le aziende sanitarie, per la presa in carico degli internati degli

OPG

. Il decreto del 2008 sottolinea come il “successo” del programma sia “strettamente

4. Decreto del presidente del consiglio dei ministri.

5. Tale trasferimento era già previsto dal Decreto legislativo n. 230 del 1999, mai

pienamente applicato, promosso dall’allora ministro della Salute Rosy Bindi.

(15)

74

aut aut, 370, 2016, 74-91

La contaminazione tra psichiatria e giustizia in Gran Bretagna

ROBERTO MEZZINA

Introduzione: scenari europei

L’evoluzione dei sistemi di controllo e coercizione in psichiatria, in parallelo con il ridimensionamento o la scomparsa degli ospedali psichiatrici tradizionali, ha portato soprattutto nei paesi occidentali a una nuova serie di istituzioni che si dispongono in un continuum e includono gli ospedali giudiziari, le unità di sicurezza, i reparti chiusi, i reparti psichiatrici in carcere, e tutte le svariate forme, più attenuate, di obbligatorietà alle cure, fino agli interventi territoriali. Tutto ciò avviene in accordo con un’analoga differenziazione degli strumenti legislativi, sia in ambito sanitario che penale, con finalità di gestione, ma anche di controllo dei comportamenti.

Al tempo stesso, si è verificata l’entrata dei saperi psichiatrici in ambito penale e carcerario, che all’interno degli obiettivi di trattamento prevedono, appunto, forme di controllo, determinando lo spostamento delle contraddizioni della psichiatria in ambiti finora mai direttamente interessati, come le stesse carceri.

In Europa lo studio di

DGSANCO

,

1

benché datato, è tuttora indicativo per aver indotto a verificare lo stato dell’assistenza psichiatrica nei vari paesi e lo sviluppo di queste istituzioni. È stato messo in evidenza l’au- mento del ricorso, da parte della psichiatria di comunità, alle istituzioni

Roberto Mezzina, psichiatra, è direttore del Dipartimento di salute mentale e del Centro collaboratore dell’

OMS

di Trieste, dove ha lavorato negli ultimi trentotto anni introducen- do numerose innovazioni nei servizi e nelle pratiche, e ha sviluppato un’intensa attività internazionale in più di trenta paesi come formatore, docente, ricercatore, con numerose pubblicazioni.

1. H.J. Salize, H. Dreßing, C. Kief, Research Project “Mentally Disordered Persons in

European Prison Systems. Needs, Programmes and Outcome (

EUPRIS

)”. Final Report – October

31, 2007, European Commission, The

SANCO

Directorate General, Central Institute of

Mental Health.

(16)

75 psichiatrico-giudiziarie (dette “forensi” o “speciali”), in particolare per i pazienti difficili da trattare a causa di disturbi comportamentali. Il numero di posti letto è risultato particolarmente elevato in alcuni paesi del Nord Europa, come il Belgio, oltre 10/100.000 abitanti, ma anche la Germania e l’Olanda, a fronte di poco più dei 2,2/100.000 dell’Italia degli

OPG

di allora. In quasi tutti i paesi, salvo l’Italia e il Portogallo, si affiancava un’aumentata capacità di posti letto psichiatrici in generale e spesso anche l’uso del carcere (certamente in Belgio, Francia, Ger- mania, Grecia tra gli altri) in risposta alla carenza di posti letto, in un trend chiaramente definito come trans-istituzionalizzazione. Il report ha messo in chiaro la relazione, e l’intercomunicazione, tra i settori della psichiatria generale (in particolare nella misura in cui preveda trattamenti obbligatori e coercitivi), le istituzioni e i servizi di psichiatria forense e l’ambito carcerario.

Un famoso articolo di Priebe e colleghi

2

dichiarava la fine dell’era della de-istituzionalizzazione, iniziata negli anni cinquanta, e ipotizzava, pur cautamente, una tendenza verso la “re-istituzionalizzazione” (anche attraverso forme nuove di istituzionalizzazione) a partire dagli anni novanta, più chiaramente evidente dai dati riferiti alla Gran Bretagna, ma estendibile ai sei paesi europei studiati. A fronte della riduzione di posti letto psichiatrici veniva riportato, e descritto come possibilmen- te collegato alle questioni di cui sopra, l’aumento della popolazione carceraria (fino al 104 per cento dell’Olanda), l’incremento del settore forense, della residenzialità psichiatrica (entrambi i fenomeni venivano inferiti anche per l’Italia, sia pure sulla base di dati regionali), mentre i trattamenti obbligatori aumentavano in alcuni paesi ma diminuivano in altri. I fenomeni chiamati in causa variavano a seconda della maggior frequenza e gravità delle malattie mentali e del concomitante aumento del consumo di sostanze illegali.

Benché l’articolo in questione all’epoca abbia suscitato notevoli reazioni (tra cui quella del direttore della Divisione di salute mentale dell’

OMS

europea), è un fatto che dappertutto in Europa, a fronte della persistenza dei vecchi manicomi, si costruiscano reparti chiusi per i

2. S. Priebe, A. Badesconyi, A. Fioritti, L. Hansson, R. Kilian, F. Torres-Gonzales, T.

Turner, D. Wiersma, Reinstitutionalisation in Mental Health Care: Comparison of Data on

Service Provision from Six European Countries, “British Medical Journal”, 330 (7483), 2005,

pp. 123-126.

(17)

76

casi con elevato disturbo del comportamento, mentre, in una gradua- lità di percorsi e strumenti di intervento fino a quelli collocati a livello comunitario, troviamo anche servizi forensi esterni (per outpatients) in diversi paesi.

Il caso della Gran Bretagna, paese che ha quasi completamente chiuso i tradizionali ospedali psichiatrici, resta di grande interesse per l’Italia.

Esso è esemplare per la rapida crescita di questo nuovo assetto, che ha portato a triplicare in quindici anni circa i posti letto “forensi”, col proliferare di strutture a media e bassa sicurezza, che non sono riuscite comunque a sostituire i vecchi ospedali ad alta sicurezza, sebbene ridotti di dimensioni. Inoltre qui si è configurato, come vedremo, un processo di “convergenza” tra salute mentale e giustizia penale, che si riflette a livello legislativo, per esempio nei trattamenti di comunità obbligatori, nella collocazione immediata in luoghi di sicurezza, negli interventi sul comportamento antisociale. Come sfondo, la nozione di pericolosità sembra evolvere in quella, apparentemente più neutra e impersonale, di rischio.

Alcuni dati sulla costituzione del sistema psichiatrico forense in Gran Bretagna

Nei documenti ufficiali, i servizi di salute mentale in ambito giudiziario in Gran Bretagna (o forensic mental health services, dove il termine

“forense” indica pertinent to law, cioè attinente alla giustizia) trattano individui con disturbi mentali che pongono rischi agli altri, quindi nella misura in cui tale rischio risulta collegato a condizioni alterate di salute mentale.

3

Viene precisato che essi offrono trattamenti nella comunità, in ospedale – in particolare l’ospedale “di sicurezza” – e in ambiente carcerario. Questi servizi lavorano con altri professionisti della salute mentale, con i medici di base, con i servizi sociali, con le agenzie che operano nel sistema penale.

Sono considerati servizi specialistici per persone che sono in stato di arresto, di custodia cautelare, o che sono state giudicate colpevoli di reato, che possono esservi trasferite dal tribunale, durante il processo, o dalla prigione, sulla base di una valutazione o di un apposito report.

3. Joint Commissioning Panel for Mental Health, Guidance for Commissioners of

Forensic Mental Health Services, <www.jcpmh.info>, maggio 2013. I dati che seguono sono

tratti da tale documento governativo.

(18)

92

aut aut, 370, 2016, 92-103

L’insicurezza sociale in Brasile

ERNESTO VENTURINI MARIA STELLA B. GOULART

I l Brasile ha sempre sofferto di una certa insicurez- za sociale, politica ed economica, nonostante la ricchezza delle sue materie prime, le straordinarie potenzialità della sua gente e la sua storia fatta di riscatti e rilanci. Si potrebbe dire che questo paese ha subìto, e subisce ancora, una con- dizione di insicurezza proprio in ragione di un aggressivo processo di sfruttamento delle sue risorse, che ha finito per provocare lotte interne, ingerenze esterne e pesanti ricadute nell’economia sociale.

Solo recentemente – con i governi di Fernando Henrique Cardoso, ma soprattutto durante quelli di Lula da Silva e del primo mandato di Dilma Rousseff – il paese ha incontrato una relativa stabilità politica e sociale e un’indubbia prosperità economica, tale da far includere il Brasile tra i paesi emergenti (i famosi

BRIC

). I governi del Partito dei trabalhadores hanno sicuramente migliorato le condizioni di vita dei più poveri e degli emarginati (circa 30 milioni di persone sono uscite dalla condizione di povertà), attraverso facilitazioni del credito per il consumo, realizzazio- ne di nuovi posti di lavoro, aumento graduale del salario minimo. Ha influito anche l’avvio di alcuni programmi sociali, quali Borsa Famiglia, Pro Uni, Minha Casa, Minha Vida e tante altre iniziative riguardanti i diritti all’abitazione, al lavoro, all’educazione. Un particolare rilievo ha assunto la realizzazione di un Sistema unico di sanità (

SUS

) e la riforma

Ernesto Venturini, psichiatra, ha lavorato nei processi di de-istituzionalizzazione dei ser-

vizi psichiatrici a Gorizia, Trieste, Imola. È stato esperto della Cooperazione italiana allo

sviluppo e consulente dell’Organizzazione panamericana dell’

OMS

. Maria Stella B. Goulart

insegna Psicologia sociale all’Università federale del Minas Gerais, e all’interno della stessa

università è presidente della Commissione istituzionale della salute mentale, coordina il Pro-

gramma di attenzione in salute mentale e il Laboratorio di diritti umani e trans-disciplinarità.

(19)

93 che si è proposta di chiudere gli ospedali psichiatrici e di sviluppare servizi comunitari aperti. Si tratta, forse, di uno dei migliori risultati nel panorama mondiale, come ha riconosciuto l’ex responsabile della salute mentale dell’

OMS

Benedetto Saraceno.

È però vero che i governi di sinistra non hanno affrontato il tema della distribuzione della ricchezza, non hanno toccato i privilegi e non hanno promosso le riforme popolari necessarie ai lavoratori. Inoltre hanno conservato il modello esistente di governabilità conservatrice. Il tentativo di limitarsi a cambiamenti possibili, senza conflitto e mobili- tazione, ha circoscritto questa fase politica a una gestione del bilancio pubblico e all’uso delle banche per stimolare l’economia. Questa scelta è stata sufficiente per generare una crescita economica, fin quando la tendenza internazionale era favorevole. Ma poi il trend è cambiato, e durante il secondo mandato presidenziale di Dilma Rousseff il paese ha cominciato ad attraversare un periodo di recessione economica, anche per ragioni che sfuggono alla responsabilità dei suoi governanti e si inscrivono in una più complessa crisi globale, che ridisegna i rap- porti di forza tra gli Stati, o forse globalmente tra il neocapitalismo e il socialismo politico.

In questi ultimi due anni è aumentata la disoccupazione e la moneta è stata svalutata del 30 per cento. Con la recessione è arrivata una grave crisi politica che ha messo in conflitto il potere legislativo con quello esecutivo e giudiziario. Il governo non ha più la maggioranza parlamentare ed è diventato ostaggio dell’opposizione. I parlamentari, frammentati in ven- totto partiti, esprimono una mentalità da possidenti terrieri e da esponenti di frange religiose radicali. Un quinto di loro è indagato per corruzione.

Attraverso i loro atti legislativi, i senatori hanno assunto, sempre più, un

comportamento golpista, che richiama alla mente i “signori degli schiavi”,

di passata memoria. Vi è un atteggiamento di totale chiusura verso ogni

forma di riconoscimento dei diritti degli omosessuali; la legge sull’aborto

terapeutico è diventata molto più restrittiva, criminalizzando i medici che

agevolano l’interruzione di gravidanza. In contrasto con il potere esecu-

tivo è stata varata una legge – lo “Statuto della Famiglia” – che riconosce

i diritti del matrimonio solo alle coppie etero, rilevando esplicitamente

che l’unico scopo del matrimonio è la procreazione della specie. Sembra

quasi che il potere legislativo voglia gestire le conquiste democratiche

di questi anni con l’uso del frustino (chibata) e con la negazione della

diversità e del principio di inclusione sociale.

(20)

94

Oltre a questa drammatica incertezza civile e istituzionale, vi è anche un’altra ragione che motiva l’attuale insicurezza: esiste un crescente timore della popolazione di essere implicata in una diffusa violenza legata alla cri- minalità, particolarmente pronunciata nei contesti metropolitani. In realtà quello che, a nostro modo di vedere, è ben più preoccupante è piuttosto la violenza esercitata dalle istituzioni dello Stato nei confronti dei cittadini.

Questa violenza, come ci insegna Machiavelli, non dovrebbe sorprendere, perché in ogni società è quasi implicitamente connessa all’uso del potere da parte del “principe” (la metafora del governo dello Stato) e perché essa prevede una dialettica democratica che la contrasti. Tuttavia oggi, in Brasile, questa dialettica è molto indebolita e la violenza delle istituzioni sempre più rinforza, se non produce, una forte disuguaglianza sociale.

Un esempio manifesto di questo pensiero sono i soprusi esercitati, in alcune occasioni, dalle forze dell’ordine: si tratta di una violenza gratuita e sproporzionata rispetto alla capacità offensiva dei cittadini autori di reato e che porta alla loro uccisione. Naturalmente ciò avviene con più facilità quando questi cittadini sono dei semplici marginali. In un gioco di luci e ombre appare, infatti, del tutto evidente come sia insufficiente, e non sempre democratica, la capacità di gestione dei conflitti sociali da parte della polizia. Un altro esempio è offerto dal comportamento brutale dei poliziotti durante le manifestazioni di piazza: i poliziotti mostrano una non professionalità identica a quella dell’esercito, che strutturalmente è preparato a scontrarsi solo contro un nemico esterno.

Le forze dell’ordine, in sostanza, anche dopo la fine della dittatura dei militari, non hanno cambiato l’insidioso impianto ideologico, che le vuole protagoniste di una battaglia contro chi insidia la stabilità dello Stato. Il problema, però, è che sono identificati come “terroristi” i poveri, le donne, gli indigeni, gli insegnanti, gli attivisti, tutti coloro, in sostanza, che lottano contro le ingiustizie sociali. A dire il vero questo comporta- mento è sostenuto anche da certi settori del mondo politico, preoccupati dall’esigenza di offrire all’estero un’immagine di ordine e di controllo del paese, in occasione di importanti eventi internazionali (coppa mondiale di calcio, giochi olimpici). Una recente legge contro il terrorismo (legge 2016/15 del 12 agosto 2015), all’ultimo momento, ha escluso dal testo un emendamento che identificava come terrorismo l’adesione a ideologie criminali. Ma anche con tale esclusione si pensa che questa legge rischi di dare adito alla criminalizzazione delle manifestazioni politiche.

E tuttavia ciò che colpisce maggiormente non è solo questa violenza

(21)

104

aut aut, 370, 2016, 104-115

Come cambia la percezione del pericolo al tempo del Califfo

ALESSANDRO DAL LAGO

Guerra all’Isis. L’Ue teme l’arrivo di 3 milioni di profughi siriani. È l’avvertimento della Turchia rilanciato dal presidente del Consiglio Ue Donald Tusk: “Il conflitto può avere portata mondiale”. Tgcom.24, 6 ottobre 2015

In caso di necessità, sparare ai profughi. F. Petry, leader del partito

AFD1

L’uomo più odiato di Svezia

La donna anziana sale lentamente le scale della metropolitana. L’uomo alle sue spalle cerca di mettere le mani nella borsa della donna, senza che questa lo veda. La giovane madre, che sta scendendo insieme ai suoi due bambini, si accorge del tentativo di scippo e interviene bloccando la mossa dell’uomo. Questo reagisce colpendola con un calcio e un pu- gno e si allontana. Poi ci ripensa, passa accanto alla giovane, le sputa in faccia (forse, l’immagine non è chiara) e corre via. Il video della scena, ripreso dalle telecamere di sicurezza della metropolitana di Stoccolma il 24 gennaio 2016, ha fatto il giro del mondo. Il capo della polizia svedese ha promesso di fare qualsiasi cosa per catturare l’uomo, il quale, infatti, è stato arrestato poco dopo in un centro profughi. Accusato di violenza e tentato furto è stato immediatamente espulso in Danimarca, paese da cui proveniva. Dopo di che non se ne è saputo più nulla.

L’episodio ha portato a galla l’umore prevalente nei media e in vasti settori della popolazione europea verso gli stranieri, migranti o profughi che siano: “Ecco il video che fa tremare l’Europa”, ha commentato “Va- nity Fair”.

2

Si è appreso che l’aggressore, definito dalla stampa “l’uomo più odiato di Svezia”,

3

era un tunisino senza permesso di soggiorno, e quindi tecnicamente non un profugo. Poiché però erano passate poco più di tre settimane dalla famigerata Silversternacht di Colonia, la notte

1. “Notfalls auf Flüchtlinge schießen”, intervista a Frauke Petry al secondo canale tedesco

ZDF

, 30 gennaio 2016. Per un approfondimento, cfr. AfD will Flüchtlinge notfalls mit Waffengewalt stoppen, “Zeit online”, 30 gennaio 2016.

2. L’immigrato, la mamma svedese, il pugno: perché questo video fa tremare l’Europa,

“Vanity Fair”, 25 gennaio 2016.

3. Fermato ed espulso l’uomo più odiato di Svezia, <www.direttanews.it/2016/01/28/

fermato-ed-espulso-luomo-piu-odiato-di-svezia-video/>.

(22)

105 di capodanno 2015-2016 con centinaia di denunce per molestie sessuali attribuite ai richiedenti asilo in Germania, l’uomo è stato immediata- mente etichettato come profugo.

4

Il video di Stoccolma è una perfetta rappresentazione del potere dei simboli nella percezione della cosiddetta realtà. L’aggressore ha l’a- spetto di chi è estraneo alla vita ordinata di un paese (apparentemente) pacifico come la Svezia. Ha la barba incolta, è vestito dimessamente e non ha un convenzionale aspetto europeo. Le sue vittime, al contrario, corrispondono a immagini del tutto familiari e rassicuranti: la donna anziana con la borsa della spesa, e la giovane madre snella, ben vestita e con due bambini che cerca di difendere dall’improvvisa furia dell’uomo.

È la scena di una violenza che, senza essere particolarmente grave negli effetti, è decisamente stupida. Il che rivela semplicemente la dispera- zione dell’aggressore. Bisogna essere ridotti letteralmente alla fame per tentare uno scippo in pieno giorno in un luogo frequentato e sorvegliato.

E per reagire così all’intervento della giovane madre. A qualche mese dall’episodio, tutto questo sembra ovvio, ma sul momento nessuno ha chiamato in causa la disperazione.

I fatti di Colonia e il video di Stoccolma rappresentano uno spartiac- que nella definizione pubblica dei profughi, perché la parola, come già era avvenuto per “immigrati” e soprattutto “clandestini”, ha acquistato un valore del tutto negativo, quasi diabolico. Il “profugo” (nella realtà, qualcuno che fugge dalla guerra e dalla fame) è ora una minaccia, una fonte di pericolo o, meglio, il negativo assoluto che minaccia l’Europa – un negativo che può incarnarsi, volta per volta, nel terrorista, nello stupratore o comunque nell’aggressore e nel criminale. Ecco la sintesi di una cronaca, che mescola fantasiosamente crimine, droga, migrazioni e richieste d’asilo:

Un migrante è più redditizio di una grossa partita di cocaina. Il contrabbando di profughi nel 2015 ha portato nelle casse della ma- lavita internazionale oltre 5 miliardi di euro ed è quindi diventato la Champions League della delinquenza. L’Europa è entrata in una drammatica spirale negativa: più profughi accoglie, più foraggia la criminalità. La crisi dei rifugiati e le migrazioni di massa hanno ar-

4. Si veda per esempio L. Romano, Prova lo scippo, poi la pesta davanti ai bimbi: è un

profugo, già espulso, “Il Giornale”, 25 gennaio 2016.

(23)

106

ricchito enormemente una rete delittuosa che non soltanto incassa somme enormi grazie al traffico ma poi sfrutta questi stessi esseri umani disperati come pedine delle organizzazioni criminali.

5

Di conseguenza il profugo, o migrante che sia, è oggetto di ripulsa, violenta e non. Già nel settembre 2015, poco dopo la famosa apertura di Angela Merkel ai profughi, questi temevano che i cittadini tedeschi marciassero contro di loro.

6

A fine febbraio 2016, viene incendiato un rifugio per richiedenti asilo a Bautzen, in Sassonia, e durante l’inter- vento dei vigili del fuoco si sentono slogan di estrema destra e applausi all’incendio.

7

Negli stessi giorni, a Clausnitz, non lontano da Dresda, una folla minacciosa circonda un autobus di profughi, tra cui diversi bambini.

8

Nel video, anch’esso circolato rapidamente in rete, si vedono i bambini che piangono terrorizzati. Mentre sto ultimando questo testo, sono ancora fresche le elezioni in tre Länder tedeschi, che hanno visto la straordinaria affermazione del partito xenofobo e iper-identitario Al- ternative für Deutschland (23 per cento in Sassonia-Anhalt). Come ho riportato qui in esergo, la leader del partito, Frauke Petry, ha dichiarato recentemente che, per respingere i migranti, la polizia dovrebbe essere autorizzata a sparare. Ma la sua vice, Beatrix von Storch, parlamentare europea, è andata oltre:

[Von Storch] ha scritto su Facebook che chi non si ferma a un alt delle guardie di frontiera è un aggressore. E contro le aggressioni dobbiamo difenderci. Alla domanda di un utente se, per difendersi, è necessario usare le armi anche contro donne e bambini che attra- versano illegalmente i confini, l’europarlamentare ha riposto: sì.

9

5. F. Angeli, L’immigrazione è la Champions dei criminali, “Il Giornale”, 16 gennaio 2016.

L’articolo riprende dati di Europol da “The Independent on Sunday”.

6. D. Neurer, Ich habe Angst, dass Bürger gegen Uns marschieren, “Handelsblatt”, 29 settembre 2015.

7. Bautzen in Sachsen: Brand in künftigem Asylbewerberheim – Schaulustige jubeln,

“Spiegel online”, 21 febbraio 2016, <www.spiegel.de/panorama/bautzen-brand-in- kuenftiger-asylbewerberunterkunft-a-1078501.html>.

8. Fremdenfeindlicher Mob in Sachsen verängstigt Flüchtlinge, “Die Welt”, 16 febbraio 2016.

9. Waffengewalt auch gegen Kinder, “Tageszeitung”, 31 gennaio 2016. Ambienti della

polizia hanno criticato queste posizioni, affermando che nessun poliziotto potrebbe fare

nulla del genere. Resta il fatto che le posizioni di Petry e von Storch sono abbastanza

popolari in Germania.

(24)

116

aut aut, 370, 2016, 116-123

L’individuo inaffidabile

CIRO TARANTINO

U ltimo lascia l’ospedale psichiatrico giudizia- rio di Aversa nella primavera del 2016. Ora l’istituto non ha più internati, sono stati tutti trasferiti in altre case della follia. Dunque, il più antico manicomio criminale d’Italia è ormai chiuso; gli altri lo hanno di poco preceduto o seguito. Alcuni sono destinati a farsi spazio di città, altri attendono nuove incarnazioni del male.

È ancora presto per sapere se abbiamo assistito alla dissoluzione dell’istituzione dell’estremo o alla trasmutazione della sua forma com- patta, per quanto non ci vorrà molto a capire se si è stati testimoni della dismissione di una logica o della sua disseminazione in miniatura, della sua riterritorializzazione pulviscolare. Certo è che si è provveduto a sopprimerne la forma architettonica senza incidere sull’architettura istituzionale, dato che sono rimasti pressoché immutati i codici giuridici dell’imputabilità e della pericolosità a basamento della struttura. A so- stegno di questa modalità di soppressione si è mobilitato un discorso più morale che politico, che ha ritenuto intollerabili le condizioni igienico- sanitarie più che quelle di pensabilità dell’istituzione. La psichiatria è stata così riproposta nella sua matrice storica di costola dell’igiene pub- blica, e si è coagulato consenso attorno a un certo dissenso del decoro.

1

Ciro Tarantino insegna Sociologia dei codici culturali presso l’Università della Calabria. È condirettore del Centre for Governmentality and Disability Studies “Robert Castel” dell’U- niversità di Napoli “Suor Orsola Benincasa” e della rivista “Minority Reports. Cultural Disability Studies”.

1. Cfr. C. Tarantino, “La strategia della lumaca. Appunti sulla dismissione degli ospedali

psichiatrici giudiziari”, in C. Tarantino, A.M. Straniero, La Bella e la Bestia. Il tipo umano

nell’antropologia liberale, Mimesis, Milano-Udine 2014, pp. 77-96.

(25)

117 Nuovi princìpi di organizzazione dei servizi e nuove tecnologie di trattamento degli individui avevano da tempo creato le condizioni per una diversa gestione dei rischi in campo psichiatrico, come annunciato da Robert Castel con discreto anticipo.

2

Un movimento giurispruden- ziale ha poi accompagnato la rimodulazione del sistema di prevenzione, spostando la responsabilità del controllo dalla capacità di tenuta delle mura manicomiali a quelle profetiche dello psichiatra, attribuendogli una “posizione di garanzia” in funzione della quale dovrebbe rispondere degli atti dei suoi pazienti, che si trovano così nella strana condizione di essere ritenuti, nello stesso tempo, più prevedibili e più imprevedibili del resto della popolazione;

3

un semplice aggiornamento, in sostanza, dell’omessa custodia degli alienati di mente, sanzionata dagli articoli 714 e 715 del Codice penale fino al 1978.

Oggi, dunque, l’ospedale psichiatrico giudiziario non si frantuma per il cedimento del suo piano d’appoggio: l’associazione tra follia, incapacità e pericolosità. Questa equazione elastica, che periodicamente allenta o serra i nessi – come in alcuni interventi di ideoplastica riduttiva effettuati dalla Corte costituzionale

4

o come, a contrario, nell’attuale propensione al neurodeterminismo di alcune branche dei saperi forensi

5

–, è infatti un’equazione resistente, che pervade la doxa e permea la missione del dotto. Esempio ne è un articolo sulla dismissione degli

OPG

apparso sul domenicale del “Sole 24 Ore”, a firma di Gilberto Corbellini – maître à penser in storia della medicina e in bioetica – ed Elisabetta Sirgiovanni, assegnista di ricerca in Storia della medicina. Nell’incipit si legge che:

“È sbagliato mescolare i violenti criminali con gli altri malati mentali.

Un errore simile fu fatto ai tempi della legge 180”.

6

Questa asserzione

2. Cfr. R. Castel, La gestion des risques. De l’anti-psychiatrie à l’après-psychanalyse, Minuit, Paris 1981 e Id., Dalla pericolosità al rischio (1983), in questo fascicolo.

3. Per un’introduzione al tema, cfr. E. Venturini, D. Casagrande, L. Toresini, Il folle reato. Il rapporto tra la responsabilità dello psichiatra e la imputabilità del paziente, Franco Angeli, Milano 2010 ed E. Pozzi, Posizione di garanzia: premessa necessaria per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, “Psicoterapia e scienze umane”, 3, 2015, pp. 480-486.

4. Cfr., per esempio, la sentenza 139 del 1982, con la quale si subordina l’internamento in

OPG

all’accertamento della persistenza di pericolosità sociale al momento dell’applicazione della misura.

5. Per un’introduzione al dibattito, cfr. I. Merzagora Bestos, Colpevoli si nasce?

Criminologia, determinismo, neuroscienze, Raffaello Cortina, Milano 2012.

6. G. Corbellini, E. Sirgiovanni, Giustizia: chiusura degli

OPG

, chi curerà i “pazzi morali”?,

“Il Sole 24 Ore/Domenica”, 29 marzo 2015. Cfr. anche G. Corbellini, E. Sirgiovanni, Tutta

colpa del cervello. Un’introduzione alla neuroetica, Mondadori, Milano 2013.

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categorica dall’apodissi morbida funge da monito verso una incombente recidiva storica, che si nutrirebbe del retaggio degli anni sessanta e del

“clima ideologico anti-asili degli anni settanta”, quando “in Italia si af- fermava un movimento culturale, ispirato al pensiero di Franco Basaglia, avverso ai manicomi in quanto frutto anche se non soprattutto di una concezione medica della malattia mentale. Queste idee contenevano gravi errori, dovuti a pregiudizi anti-illuministi e anti-scientifici”.

Ora, siccome “non è il caso di cadere negli stessi errori della legge 180”, è, al limite, ipotizzabile dismettere l’

OPG

ma non la nozione di pericolosità sociale. Infatti, scrivono ancora gli autori, “aiutare la costru- zione di strutture che puntino alle migliori condizioni per il trattamento dei malati psichiatrici criminali non dovrebbe sfociare automaticamente nell’idea che queste persone non siano malate, o peggio che non siano pericolose socialmente. Si va dai killer seriali a sangue freddo, agli stupratori, agli stalker, agli affetti da psicosi deliranti e allucinatorie violenti: tutti con alto grado di recidivismo. In molti casi, per sfortuna, la medicina non è ancora in grado di guarirli e riabilitarli ed è compito delle istituzioni e dei governi garantire la sicurezza per tutti gli altri”.

Ed eccolo grondare da queste righe il folle pericoloso, che si contorce e confonde nelle nosografie, a volte si contrae, altre si espande, si dirada e poi si addensa, ma non smette di ripresentarsi. Lo ammanta una duplice pericolosità: una pericolosità sociale post delictum, possibile conseguenza giudiziaria di un reato, e una pericolosità praeter delictum, automatismo sociale che si innesta sull’idea di una totipotenza criminogena, una sorta di generica e indefinita capacità a delinquere la norma sociale quanto quella giuridica. Nell’immaginario collettivo, infatti, non si dà un pazzo non pericoloso, poiché tassi variabili di pericolosità si distribuiscono lungo l’intera scala della follia, che una lunga tradizione ha racchiuso fra la dementia e il furor.

7

Difficilmente però l’aura di pericolosità che avvolge la follia sarebbe così densa e intensa se fosse riducibile al solo potenziale di minaccia nell’interazione faccia a faccia. Altri strati panici devono aver ispessito questa paura nella sua storia. La maschera del folle custodisce una te-

7. Cfr. E. Nardi, Squilibrio e deficienza mentale in diritto romano, Giuffrè, Milano 1983;

O. Diliberto, Studi sulle origini della “cura furiosi”, Jovene, Napoli 1984; F. Zuccotti, “Furor

haereticorum”. Studi sul trattamento giuridico della follia e della persecuzione della eterodossia

religiosa nella legislazione del tardo impero romano, Giuffrè, Milano 1992.

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125

aut aut, 370, 2016, 125-146

L’evoluzione della nozione di

“individuo pericoloso” nella psichiatria legale del XIX secolo (1978)

MICHEL FOUCAULT

C omincerò riportando alcune frasi scambiate l’altro giorno presso la corte d’assise di Parigi.

Veniva giudicato un uomo accusato di cinque stupri e di sei tentativi di stupro, distribuiti tra il mese di febbraio e il giugno 1975. L’accusato era pressoché muto. Il presidente gli domanda:

“Ha cercato di riflettere sul suo caso?”.

Silenzio.

“Perché, a ventidue anni, si scatenano in lei simili violenze? Lei deve compiere uno sforzo analitico. Solo lei possiede le chiavi di se stesso.

Me lo spieghi.”

Silenzio.

“Per quale motivo lo rifarebbe?”

Silenzio.

Allora un giurato prende la parola ed esclama: “Ma, insomma, si difenda”.

Non vi è nulla d’eccezionale in un simile dialogo, o, per meglio dire, in questo monologo interrogativo. Probabilmente potremmo ascoltarlo in molti tribunali e in molti paesi. Ma, se l’osserviamo con un po’ di distacco, non può che suscitare la sorpresa dello storico. Ecco un appa- rato giudiziario destinato ad accertare dei fatti delittuosi, a identificare il loro autore e a sanzionare questi atti infliggendo le pene previste dalla legge. Ora, in questo caso ci sono dei fatti accertati, un individuo che

Fonte originale: About the Concept of the “Dangerous Individual” in 19th Century Legal Psy- chiatry, “Journal of Law and Psychiatry”, vol.

I

, 1978, pp. 1-18 (comunicazione al simposio di Toronto “Law and Psychiatry”, Clarke Institute of Psychatry, 24-26 ottobre 1977); trad.

di S. Loriga, in Archivio Foucault 3. 1978-1985, a cura di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano

1998, pp. 43-63. Ringraziamo l’editore Feltrinelli per la gentile concessione.

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126

li riconosce e dunque accetta la pena che sta per essergli comminata.

Dovrebbe andare tutto per il meglio nel migliore dei mondi giudiziari.

I legislatori, i redattori del Codice della fine del secolo

XVIII

e dell’inizio del secolo

XIX

non avrebbero potuto sognare una situazione più limpi- da. Eppure la macchina si blocca, il meccanismo s’inceppa. Come mai?

Perché l’accusato tace. Su che cosa tace? Sui fatti? Sulle circostanze?

Su come si sono svolti gli eventi? Su ciò che in quel frangente avrebbe potuto provocarli? Niente affatto. L’accusato si sottrae dinanzi a una domanda essenziale per un tribunale di oggi, ma che sarebbe suonata ben strana centocinquant’anni fa: “Ma lei chi è?”.

E il dialogo che ho appena citato prova chiaramente che a questa domanda non è sufficiente che l’accusato risponda: “Sono io l’autore dei crimini in questione: punto e basta. Giudicatemi, giacché questo è il vostro dovere, e se volete condannatemi”. Gli si chiede ben di più: oltre l’ammissione, è necessaria una confessione, un esame di coscienza, una spiegazione di se stesso, uno svelamento di sé. La macchina penale non può più funzionare solamente con una legge, un’infrazione e un autore responsabile dei fatti. Ha bisogno d’altro, di un materiale supplementare.

I magistrati e i giurati, ma anche gli avvocati e il pubblico ministero, non possono fare realmente la loro parte se non viene fornito un altro tipo di discorso: quello che l’accusato tiene su se stesso o quello che consente di fare sul proprio conto, grazie alle sue confessioni, ai suoi ricordi, alle sue confidenze ecc. E se questo discorso viene a mancare, il presidente si accanisce, la giuria si irrita; l’accusato viene incalzato, sollecitato, non sta al gioco. Ricorda quei condannati che devono essere portati di peso alla ghigliottina o alla sedia elettrica perché trascinano le gambe. Bisogna che camminino da soli almeno un po’, se davvero vogliono essere giustiziati;

bisogna che parlino un po’ di se stessi, se vogliono essere giudicati.

L’argomento impiegato di recente da un avvocato francese in un caso di rapimento e omicidio di un bambino mette bene in evidenza come questo elemento sia indispensabile alla scena giudiziaria, come non si possa giudicare, non si possa condannare, senza che esso venga fornito in un modo o nell’altro. Per tutta una serie di ragioni, questo caso ebbe una grande risonanza, non soltanto per la gravità dei fatti, ma perché nel processo era in gioco il ricorso o l’abbandono della pena di morte.

Prendendo posizione contro la pena di morte, più che a favore dell’ac-

cusato, l’avvocato fece valere il fatto che si sapeva ben poco di lui e che

nel corso degli interrogatori o delle perizie psichiatriche non era emerso

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