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disegnare con... Laura Marcolini

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Academic year: 2021

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http://disegnarecon.univaq.it DOI: https://doi.org/10.20365/disegnarecon.25.2020.dw1

disegnare con... LAURA MARCOLINI

Laura Marcolini studia Le ere e Storia dell’Arte per poi collaborare con la Galleria dell’Incisio- ne di Brescia. Si nutre di immagini ma non tu e sono di carta mentre scopre la sua passione per la fotografi a e decide di studiarla frequentando un master. E’ l’inizio di una lunga esperienza di collaborazione come editor, fotografa e photoe- ditor con riviste di fotografi a; produce materiali iconografi ci originali e tes sull’analisi formale e seman ca e la percezione delle immagini. In real- tà è l’inizio di qualcos’altro.

Percorre il quo diano, traccia i suoi appun alla ricerca di coerenze ma senza alcuna pretesa di es- serlo. Quello che resta nei suoi lavori ed espres- sioni personali è il vuoto, luoghi mentali da con- dividere a volte sì ma anche no. Ha l’impressione che sia nell’aura del vuoto lasciato dalle cose, dai passaggi, dalle relazioni, la chiave in cui cercare.

Il suo è un percorso che interroga le immagini, la loro possibilità di mediazione con l’invisibile, e la

loro riduzione nelle espressioni dominan che l’e- ste ca impone.

In questa ricerca si interessa alla narrazione per immagini e alla relazione tra l’uomo e le tecno- logie. Incontra Studio Azzurro, con cui inizia una collaborazione tu ora in corso sullo sviluppo dei proge , le riprese video e la direzione ar s ca di ambien sensibili, installazioni, performance e spe acoli teatrali. Negli ul mi anni si è avvicina- ta con par colare interesse al mondo delle ar performa ve, considerandolo par colarmente fecondo come possibile an doto ai linguaggi do- minan della scena contemporanea.

Nel 2018 apre il convegno internazionale dell’UID presso il Politecnico di Milano con la lec o magi- stralis “Il gesto della comunicazione”.

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Giuseppe Amoruso: Laura Marcolini, ho le o e rile o i tuoi “appun per ridisegnare il mondo”.

Quale è il tuo rapporto con il “mondo”?

Laura Marcolini: Credo che del mondo ognuno di noi abbia un’immagine complessa che si costru- isce a raverso le proprie esperienze, a raverso gli strumen che ha la fortuna e il desiderio di acquisire. Raccogliamo incessantemente appun-

, frammen da riorganizzare, metaforicamente parlando, disegniamo incessantemente.

Eppure per quanto impariamo a orientarci, ri- maniamo in una condizione di sperdutezza. Se riusciamo a rimanere sulla sua soglia, possiamo talvolta spostarci tra il mondo vissuto e la sua im- magine, nello spazio invisibile che frequentano i poe .

«La crisi che l’Europa sta a raversando – come dovreb- be essere evidente nello smantellamento delle sue is - tuzioni universitarie e nella museifi cazione crescente della cultura – non è un problema economico (‘eco- nomia’ oggi è parola d’ordine non un conce o), bensì una crisi del rapporto col passato. Poiché ovviamente il solo luogo in cui il passato può vivere è il presente, e se il presente non sente più il proprio passato come vivo, le università e i musei diventano luoghi problema ci.

E se l’arte è diventata oggi per noi una fi gura – forse la fi gura – eminente di questo passato, allora la doman- da che occorre non stancarsi di porre è qual è il luogo dell’arte nel presente?»

Giorgio Agamben, Creazione e anarchia, Neri Pozza Editore, Vicenza 2017.

GA: Iniziamo l’intervista con una epigrafe di Giorgio Agamben che mi hai suggerito a pro- posito dell’intreccio morboso nella cultura oc- cidentale tra principio, creazione e comando. A che punto siamo, secondo te, rispe o a questa domanda fondamentale di Agamben?

LM: Da alcune cen naia di anni s amo aff accia- a una fi nestra. Davan a un quadro, davan a una pala d’altare, in un teatro, davan a uno schermo cinematografi co. Osserviamo immagini da un punto predeterminato. Ci immergiamo vi-

sivamente in rappresentazioni del mondo, più o meno dichiarate, più o meno mime che. Qualcun altro ha scelto per noi il ‘corre o’ punto di vista.

Noi lo assumiamo e s amo fermi a osservare. Per una convenzione culturale profondamente radi- cata spesso iden fi chiamo queste forme di fi nzio- ne come opere d’arte.

La nostra capacità di permanere in quella postura, con quella qualità di a enzione, inizia a vacillare.

La forma più recente e ambigua della fi nestra sul mondo discesa dall’«intuizione prospe ca dello spazio» [1], è lo schermo del nostro smartphone

con cui inquadriamo porzioni di mondo e le con- dividiamo, e con il quale quo dianamente ci af- facciamo su un altro mondo, quello immateriale della rete. In questo movimento verso un ‘fuori’

che è contenuto ‘dentro’ un disposi vo, lo scher- mo off re virtualmente una terza dimensione, una profondità in cui inoltrarsi [2] verso un mondo altro, potenzialmente in con nuo conta o con il cosidde o reale. Questo ‘movimento’ ricorda in modo irresis bile la frase di un paziente di Franco Basaglia che gli esprimeva la diffi coltà di entra- re nel mondo (il fuori) e poi uscirne per rientrare

Studio Azzurro, Sensitive City, ambiente sensibile, Padiglione Italia, EXPO Shanghai, 2010.

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nell’ospedale psichiatrico: «Entrare fuori, uscire dentro». Da una parte la dimensione spazio tem- porale della rete può arrivare a simulare un vero e proprio mondo parallelo, ma simbolicamente si presenta anche come un portale per accedere a un mondo fi glio del reale in cui altro è lo spazio e altro è il tempo. Un’espansione popolata da uomini e macchine, spesso percorsa da forme di intelligenza plurale, da proge di disobbedienza civile u li alla ricostruzione di comunità. D’altra parte nell’u lizzo più diff uso quello che si rischia è alimentare «un processo di socializzazione si- mulata e ‘forma ata’ che di fa o svuota l’agorà spontanea a vantaggio di un arcipelago pianifi ca- to di solitudini connesse» [3].

Entriamo e usciamo di con nuo da questo mondo parallelo che è metafora di un nuovo paradigma [4], ma, a guardar bene, lo facciamo a raverso uno strumento ereditato dal paradigma prece- dente: la cornice. Intera va, sì, ma pur sempre una cornice. Il suo contenuto è a tra trasparen- te, a tra opaco. In entrambi i casi insis amo a separare porzioni di mondo: semplifi ca, dà l’im- pressione di avere una forma di controllo. Rassi- cura. Interrompe. Frammenta. Parcellizza.

GA: Cosa accade se iniziamo a uscire dai margi- ni di uno schermo o dalla sensazione ta le di un foglio da disegno? E a prestare a enzione a quello che accade dietro di noi, accanto a noi, in aree che il nostro campo visivo non raggiunge?

LM: Questo sarebbe da chiedere a Vi orio Gal- lese [5]! Il team di neuroscienze dell’Università di Parma una ven na di anni fa scoprì l’esistenza di neuroni motorii che a vano una simulazione dell’azione rispe o non solo a quanto viene colto dal campo visivo, ma anche a quanto avviene nel- lo ‘spazio peripersonale’ accanto e dietro di noi.

Accadimen che cogliamo a raverso i suoni, i ru- mori, il ‘ta o esteso’, le complesse percezioni che innescano la mul modalità del nostro sistema perce vo che mostra in mamente integra e interdipenden cervello e corpo. Insomma «tut-

noi siamo sinestesici» [6]. Dobbiamo tornare a tenere presente questa condizione per aff rontare nuove modalità di proposizione dell’esperienza ar s ca e dell’esperienza museale. Entrambe sono legate a doppio fi lo alla trasmissione della memoria e dell’eredità culturale, e la nostra re- lazione con la memoria sta cambiando radical- mente da quando abbiamo iniziato ad avere a disposizione strumen tecnici di registrazione del mondo (fotografi a, audio, video).

GA: In questo necessario percorso di riappro- priazione, il navigatore contemporaneo sembra a ra o dalle scorciatoie che i media off rono, si sta compiendo un passo falso?

LM: C’è il rischio di un passo falso, sì, di una for- midabile illusione alimentata dai media. Oltre a u lizzare un’interfaccia ereditata dal paradigma

precedente – la cornice –, l’universo digitale di Internet presenta alcuni pun di conta o sor- prenden con il mondo concepito da dentro il modello della prospe va che in questo caso si affi anca al modello meccanicis co. Il digitale è il numerabile, prende corpo dalla matema zzazio- ne del mondo raggiunta con il modello prospet- co. Il sistema dei Bigdata lo porta all’estrema applicazione: «il digitale assolu zza il numerare, il contare», «anche gli amici su Facebook ven- gono conta , ma l’amicizia è un racconto [...]. Il narra vo perde notevolmente di signifi cato [...].

Tu o ciò che non è contabile cessa di essere» [7].

La prospe va è anche una ques one di logica.

Logica signifi ca anche lo sviluppo lineare di una narrazione. Mentre, o camente parlando è un panopƟ con calato sul mondo. È la logica binaria della matema ca, la diale ca tra il sé e l’altro, che ci ha condo nei secoli a pensare e rappre- sentare per oppos [8].

Questo modello di pensiero logico-meccanicis co è talmente radicato in noi che orientarlo verso un modello di po sistemico si sta dimostrando un’impresa molto lenta. Nel pensiero sistemico, che già Leonardo da Vinci intuiva, tu o è considerato interconnesso, non si ragiona su una dinamica di causa eff e o a breve termine, né su stru ure gerarchiche, ma partendo da una visione molto più ampia. Si prende in seria considerazione la complessità, l’idea di rete policentrica, polimorfi ca, plurale, ma anche

Studio Azzurro, Il Giardino delle Cose, videoambiente, XVIII Esposizione Internazionale, La Triennale, Milano, 1992.

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l’autopoiesi e la mutua interazione. È un pensiero che non parcellizza, non separa le par di un sistema vivente, considera il sistema nella sua interezza e complessità, fondata sulla relazione tra le par , che possono essere a loro volta sistemi. Da questo po di pensiero nacque il mo o “il tu o è più della somma delle sue par ”.

Le relazioni sono considerate movimento e qua- lità, quindi non si contano, si mappano. La map- patura delle relazioni rivela, a sua volta, delle ri- corsività: si scoprono paƩ ern che riemergono [9]

e che perme ono di individuare norme e regole

studiate e visualizzate da un linguaggio matema- co diverso. Un linguaggio dei sistemi complessi che si manifesta per immagini e che considera la mente e la coscienza dei processi [10].

La metafora della rete è centrale in questo cam- bio di paradigma, ma la rete Internet non è l’e- sempio a cui rifarsi poiché non corrisponde aff at- to al grande auspicio che l’ha accompagnata [11].

Abbiamo parecchio da smal re per perseguire davvero il modello sistemico, ma tu o concorre a confermare che quel modello è inscri o nella stru ura vivente, anzi nella stru ura del cosmo

e che abbiamo bisogno di esempi, esercizi, situa- zioni di addestramento per assimilare e incarnare le metafore u li a questo passaggio.

GA: Come includere il pensiero sistemico in un rinnovato processo di mappatura dei sensi, cioè del sen re, tra ciò che accade dentro e fuori di sé?

LM: In realtà non abbiamo bisogno di rinnova- re, ma di tornare ad ascoltarci, di recuperare, di lasciar riemergere qualcosa che già è in noi, è la tessitura invisibile di cui siamo fa . Complessità, connessioni, qualità, relazioni, pa ern, processi, contesto sono alcune parole chiave del pensiero sistemico, che calato nel nostro tempo comporta una svolta potenzialmente sovversiva nel modo di avvicinare le cose. Come dicevamo, le relazio- ni, non possono essere misurate o contate, vanno invece ‘mappate’. Esa amente come si mappa il movimento fi sico, come si mappa uno spazio per orientarsi.

«I sistemi nervosi che si sono sviluppa 500 milio- ni di anni fa erano in grado organizzare organismi unicellulari e da essi sono discese le ‘men ’. [...]

Ma fi nché il sistema nervoso non è in grado farsi una mappa di quello che sta dentro e fuori dall’or- ganismo non si può sviluppare una ‘mente’, come la consideriamo oggi». «Solo quando compare la capacità di crearsi mappe, si sviluppa anche la capacità di sen re le condizioni interne dell’orga- nismo, la coscienza dello stato in cui l’organismo si trova. È allora che compaiono i sen men che sono un’esperienza mentale di uno stato (ome- ostasi), o delle emozioni» [12]. Lo sviluppo delle culture, come noi le conosciamo non sarebbe sta- to possibile senza lo sviluppo di questa capacità di rappresentarsi il dentro e il fuori di sé.

Tra 1400 e 1500 diventa tecnicamente possibile rappresentare in modo rigoroso il mondo su una tavola (mappa), in concomitanza con le scoper- te che confermano empiricamente che la Terra è una sfera. Questo doppio movimento dell’im- maginazione tra u lizzo delle mappe geografi che e consapevolezza della sfericità del pianeta, ali- menta un doppio modello del mondo, sebbene

Studio Azzurro, Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg), videoambiente, Palazzo Fortuny, Venezia, 1984.

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di fa o prevalga quello ‘u le’, ovvero quello che, appia endolo su una tavola, ci perme e di orien- tarci pensando che a destra c’è l’Est a sinistra l’O- vest. Se il modello della sfera è un modello fi nito eppure illimitato – fi nita è la sua forma, illimitato il percorrerla, un infi nite loop –, il modello della mappa è il suo esa o opposto: infi nito – perché può espandersi ad libitum aggiungendo tavole a tavole –, ma limitato perché ha dei margini che obbligano a fermarsi [13].

Ci troviamo di nuovo aff accia a una cornice, mentre fi sicamente potremmo percorrere il pia- neta all’infi nito.

C’è una grande diff erenza tra il quo diano ridise- gnare, rimappare il mondo a raversato o vissuto per orientarsi, come accadeva nell’epoca dell’er- ranza [14], e avere una mappa convenzionale per spostarsi e raggiungere un luogo prestabilito.

Quello che cambia è la nostra postura psicofi sica.

Nel primo caso, durante il viaggio, l’a enzione a ogni minimo par colare determina il percorso, nel secondo caso l’elemento su cui si fi ssa l’at- tenzione è la meta, mentre tu o quello che sta lungo il percorso è solo da per-correre guardando avan .

Di fa o però il nostro sistema sensori-motorio questo fa, a dispe o del nostro essere diventa stanziali e automuni . Mappa costantemente lo spazio intorno a noi, preparandoci all’azione e sa- pendola inibire quando non necessaria. Possiamo pensare a questo processo come un disegno con- nuo, una modellazione permanente che avviene in noi senza che ce ne accorgiamo.

Questo lavoro incessante che, se ci pensiamo, ci fa sen re ricoper da sofi s ca ssimi sensori, è qualcosa che non alleniamo limitandoci a leggere e a guardare video. Ormai sappiamo che anche la memoria – tema che tanto preoccupa da alcuni anni – è fragilissima quando separata dall’espe- rienza sensoriale e dalla trasmissione dire a. Il coinvolgimento innescato dalla trasmissione le- gata alla presenza e alla relazione tra persone fi s- sa una qualità, un’intensità dei ricordi che non ha paragoni con quello che viene imparato dai libri o da un video is tuzionale. La memoria trasmessa dire amente comporta una partecipazione del

corpo che assicura un radicamento dell’esperien- za [15].

GA: Credo che la chiave di tu o sta nella memo- ria. Tu, giustamente, ci ricordi che è fragilissima quando separata dall’esperienza sensoriale e dalla trasmissione dire a. Nel processo di for- mazione della coscienza di ciò che ci accade, e di ricostruzione dei signifi ca a raverso i segni, quindi come assumere un nuovo senso dell’essere superando la cornice della macchina prospe ca?

LM: Lo spazio peripersonale è mappato costan- temente dal nostro sistema motorio: «Gli stessi neuroni che guidano i nostri movimen rispondo- no anche a s moli ta li applica alla stessa parte del corpo e con cui rispondiamo agli s moli visivi, che si muovono a orno alla stessa parte del cor- po, o agli even che producono suoni nella stessa porzione di spazio che circonda la parte del corpo controllata da questo motoneurone. Quindi que- sto campo visivo rice vo non è ancorato a dove dirigo il mio sguardo, non è legato alla posizio-

Studio Azzurro, Tavoli, perché queste mani mi toccano?, “Oltre il villaggio globale”, La Triennale, Milano, 1995.

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ne dei miei occhi e quindi non è re nocentrico, è centrato sul corpo. In eff e si muove insieme alla parte del corpo – fi nché io mi muovo, anche il campo visivo rice vo si muove» [16]. «Nel pro- cesso di visione (che non è solo o co), il cervello fa costantemente un lavoro di integrazione degli s moli perce vi ricevu da tu o il corpo (o - ci, sensori-motorii, ta li, aff e vi) e un lavoro di montaggio. Possiamo dire che vediamo con la pelle, con i muscoli, con le emozioni, che sen a- mo con la vista, il tocco, il movimento ecc.» [17].

Derrick De Kerckhove qualche anno fa aff ermava che per cogliere la relazione tra il corpo e l’am- biente il riferimento fondamentale non è ‘il pun- to di vista’, come nel Rinascimento, ma il punto della propriocezione, della percezione di sé, il punto da cui parte ogni relazione con il mondo.

‘The point of being’ lo chiamava. Espressione che Paolo Rosa traduceva con «il punto di vita»

[18]. Un guizzo linguis co che con una ba uta e la caduta di una sola consonante ci sposta da quello stare fermi alla fi nestra. Facendo perno sul punto di vita possiamo girare su noi stessi e recuperare la coscienza dello spazio periperso- nale e dello spazio che sta molto più in là, quello extra personale.

La qualità dell’esperienza del mondo in cui vivia- mo «sembra fondamentalmente dipendere dalla natura della visione periferica, è lei che dispiega il sogge o nello spazio» [19]. La visione periferica raccoglie una straordinaria quan tà di s moli che sollecitano «il sistema perce vo precosciente» e si è ormai cer che il suo peso è grande nell’e- sperienza perce va. «La percezione periferica inconsapevole trasforma le immagini re niche in esperienze spaziali e corporee. La visione perife- rica ci integra nello spazio e nei suoi even , men- tre la visione focalizzata ci spinge al di fuori dello spazio e ci rende semplici osservatori. Lo sguardo difensivo e focalizzato del nostro tempo, caricato e torturato da un sovraccarico sensi vo, potreb- be aprire, fi nalmente nuovi regni della visione e del pensiero, aff rancarci dall’implicito desiderio di controllo e potere dell’occhio. Forse, la perdita del fuoco può liberare gli occhi dalla loro storica dominazione patriarcale» [20].

Studio Azzurro, Coro, Mole Antonelliana, Torino, 1995.

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Da queste rifl essioni sulla relazione tra presen- za ed elaborazione complessa dell’esperienza possiamo provare ad avvicinarci ad alcuni casi di pra che ar s che concepite ai margini o fuori dal modello prospe co-macchinico, ma certamente dentro alla domanda di Agamben in epigrafe:

quale è il luogo dell’arte nel presente?

GA: Penso che il le ore sia curioso di vedere e toccare con tu i sensi, vivere l’esperienza ar - s ca senza barriere. Iniziamo dalle opere di Stu- dio Azzurro: come aff rontano il senso del ta o e me ono in relazione con la vista?

LM: Con un apparente paradosso, pico della sinestesia: vedere con le mani e toccare con lo sguardo [21].

Nello stesso periodo della scoperta dei neuroni specchio e delle prime proposte del pensiero siste- mico [22], Studio Azzurro si soff erma per circa tre anni sul senso del ta o e sull’arche po del tocca- re, sulla sua relazione con la vista e con la tecnica di ripresa video. Anche grazie al folgorante incon- tro con i tes del poeta greco Ghiannis Ritsos che indaga apodi camente il rapporto tra guardare/

vedere/fotografare, tra a enzione e memoria, na- scono uno spe acolo teatrale con Moni Ovadia e due videoambien in cui si cerca di rendere visi- bile l’aura perduta degli ogge quo diani, la pos- sibilità di ritrovarla prendendosene cura, dedican- do loro tempo e a enzione. Per ques tre lavori (Delfi , Teatro 2, Parma 1990; Il Giardino delle Cose, Milano 1992; Il viaggio, Milano 1992) si sceglie di u lizzare camere che vedono cose che l’occhio umano non vede. Si inibisce il senso della vista per ritrovare il senso delle cose. Si guarda con altri oc- chi, paradossalmente tecnologici.

Gli ogge si stanno facendo sempre più ‘con- sumabili’, la plas ca trionfa, il turismo di mas- sa riempie i si archeologici, la diff usione delle handycam e delle macchine fotografi che cambia il comportamento delle persone durante i viaggi.

Ma anche le immagini sembrano des nate a una sorte analoga.

L’a enzione agli aspe invisibili del percepito porta a uno lavoro cardine della ricerca di Studio Azzurro,

un videoambiente che raccoglie in sé il senso degli altri due lavori cita e chiude la stagione dell’u lizzo dei monitor. Si in tola Il Giardino delle Cose, u lizza una camera termica che rileva il calore e non la luce.

È un’installazione di dodici monitor sincronizza . In un blu scuro, oltremarino, gli ogge rimango- no invisibili fi nché le mani non entrano in campo, bianche, incandescen , senza defi nizione. Li percor- rono, li accarezzano e ricompongono la loro forma fi nché essi si manifestano all’occhio umano per poi tornare a riposare nel buio.

Questa installazione è stata presentata molte vol- te con layout diff eren , spesso con elemen ma-

terici (frammen fi li, tavoli di legno, fotografi e) a dialogare con il racconto video. È sorprendente come sia in grado di generare un al ssimo gra- do di coinvolgimento. La sensazione ta le che produce nello spe atore, la sorpresa per l’occhio che fronteggia il suo limite rispe o alla cosiddet- ta realtà, la nostalgia del gesto della cura e infi ne le accortezze ironiche nel montaggio e il lirismo concreto dell’ambiente sonoro, ne fanno un la- voro che an cipa poe camente la svolta tecno- logica di metà anni Novanta e ne fa sen re tu a l’urgenza. È metafora della svolta verso la ricerca di forme di interazione che portano l’a enzione

Studio Azzurro, Sensitive City, ambiente sensibile, Padiglione Italia, EXPO Shanghai, 2010.

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dell’autore totalmente fuori di sé, alla ricerca di un conta o anche fi sico con lo spe atore e con le materie dei raccon . Di una ricerca che manifesta proprio nel ta o esteso il primo salto nel vuoto nell’universo dell’interazione tecnologica, assu- mendo l’intento relazionale come stella polare.

GA: Emerge un cambio sostanziale, come me ere in relazione fa , conce , fenomeni e persone?

LM: La ricerca sull’intera vità di Studio Azzurro si è fi n da principio radicata nella scelta rigorosa di creare interfacce naturali, di inventare modi di interazione che appartengano all’ambito dei ges quo diani, stringendo un pa o con una tecnolo- gia che rimane nascosta, possibilmente invisibile.

Questo intento ha portato a sviluppare interna- mente al colle vo anche le competenze so wa- re e spesso a manipolare il supporto hardware, ridisegnando i limi del ‘tecnologicamente fa - bile’, come già era accaduto con la sincronizzazio- ne dei monitor per Il nuotatore (1982).

Inoltre, con l’intera vità, l’autore si sporge total- mente fuori di sé, verso la sfera di presenza dello spe atore. Proge a incorporandosi in lui, rende il suo gesto poie co [23], prova a immaginare le sue impressioni e le sue reazioni, in a esa dell’i-

naugurazione per verifi care se la sua empa a è stata suffi ciente a produrre un lavoro che susci a sua volta empa a nello spe atore.

Tavoli, perché queste mani mi toccano? (1995) è la prima opera intera va di Studio Azzurro. Rea- lizzata tre anni dopo Il Giardino delle Cose, non a caso fa esplicito riferimento alla le ura di alcune parole del cri co d’arte Bernard Berenson, che nel volume PiƩ ori fi orenƟ ni del Rinascimento (1896, 1908) aff erma con assoluta convinzione che il vero compito di un pi ore di fi gure umane dev’essere quello di «s molare la nostra immaginazione tat-

le» e ri ene che Gio o sia il supremo maestro in questa abilità: «Logori, mangia dalla polvere, gli aff reschi della cappella Brancacci non li rivedo mai senza la più violenta partecipazione della mia coscienza ta le. Sento che potrei toccare ciascuna fi gura; valuto la resistenza ch’essa opporrebbe al mio conta o, lo sforzo che dovrei fare per smuo- verla, che potrei camminarle intorno» [24].

Tavoli perme e per la prima volta di toccare delle immagini e di vederle reagire al nostro gesto. Non ne tocchiamo la materia, è vero, ma il fa o che esse reagiscano con il movimento ci fa sen re la materia presente e viva in una ‘sospensione di in- credulità’ [25] che rende evidente l’integrazione dei nostri sensi.

GA: In che modo lo spe atore, non più osserva- tore, viene coinvolto nelle installazioni di Studio Azzurro?

LM: Fin da principio l’a enzione di Studio Azzurro è stata alla relazione tra spazio immagini e spet- tatore, all’espansione della narrazione dentro lo spazio, alla luce che con la sua immaterialità mo- difi ca la percezione della plas cità delle cose e la profondità di un ambiente. Ma anche alla narra- zione spazializzata, alla forzatura del formato del monitor sopra u o nel suo rapporto con la fi gu- ra umana.

Dal 1995, con l’intera vità, cambia anche il modo di proge are i contenu perché l’intera- zione di più spe atori produce ogni volta una sceneggiatura non prevedibile dall’autore, che infa si ri ra parzialmente, aprendo alle infi nite possibilità di una interazione corale. La sceneg- giatura e la drammaturgia si trasformano in una stru ura aperta, che incrina quel predominio dell’occhio grazie al quale si sono consolidate negli ul mi secoli le stru ure chiuse [26]. La considerazione tu a nuova della presenza dello spe atore dentro l’ambiente video e non solo davan , innesca un mutamento epocale nel rap- porto con le immagini.

Effetto Larsen, Stormo© Flusso, Fabbrica del Vapore. Foto Studio Azzurro 2017.

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Il corpo inizia a farsi avan nello spazio, a spo- starsi, a cambiare punto di vista, a riaccendere la percezione del mondo a orno a sé dentro a uno spazio narra vo. La narrazione discon nua, scon- fi nante che indebolisce la linearità logica e gene- ra «una stru ura a grappolo» [27], associa va, è

anche autorigenera va e per questo potenzial- mente infi nita. Le stru ura aperta perme e allo spe atore di inserirsi nella dinamica narra va, di inter-ferire (‘portare in mezzo’) costru vamente con il racconto, e di prendersi la responsabilità dell’azione. Quest’ul mo aspe o è fondamentale

nell’innescare un mutamento radicale nella rela- zione con l’opera. Tavoli, perché queste mani mi toccano? e Coro (1995) chiamano lo spe atore a esserci, a relazionarsi non solo con le immagi- ni, non solo con lo spazio, ma anche con gli altri spe atori che stanno facendo esperienza di quel

DOM, L’uomo che cammina #Milano, performance live, Milano, ottobre 2018. Foto Studio Azzurro 2018.

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luogo. E, se è vero che ormai anche per le neuro- scienze cogni ve «l’uomo è il risultato dell’essere con», non viceversa [28], allora potrebbe essere più facile convincere che l’arte me e nelle condi- zioni di costruire nuove relazioni e nuovi modi di

‘essere con’, infl uendo realmente sui comporta- men sociali.

GA: Quindi, mi sembra di capire, che il corpo del- lo spe atore diventa un elemento chiave delle installazioni. Come considerate la sua presenza?

LM: Il corpo degli spe atori non è più ingom- brante, è importante. La presenza fi sica, corpo- rea degli spe atori diventa palesemente il mo - vo stesso dell’esistenza dell’opera, che senza di loro è ina va oltre che muta. Nel caso di Coro, addiri ura, il tolo non è soddisfa o se gli spet-

tatori che interagiscono non sono contemporane- amente più di uno, perché il coro di voci non si compone.

In questo passaggio, oltre all’importanza del ‘cor- po quo diano’, alla coralità del gesto, alla possibile emersione dell’elemento ludico nella condivisione con altri, emerge anche la teatralizzazione sponta- nea dello spazio, delle posture e dei ges . Chi in- teragisce sa di essere guardato dagli altri e prende coscienza dello spazio intorno a sé con una consa- pevolezza performa va che nasce dalle condizioni dell’ambiente. In un gioco di rispecchiamen , lo spe atore diventa ‘spe -a ore’ e ‘spe -autore’ e l’autore diventa la persona più curiosa che si possa immaginare nell’osservare la crea vità nelle inte- razioni e l’ina eso innescarsi di relazioni tra estra- nei che in quell’ambiente entrano in risonanza tra loro oltre che con la narrazione.

DOM, L’uomo che cammina #Milano, performance live, Milano, ottobre 2018. Foto Studio Azzurro 2018.

In un ambiente di questo po, la propriocezio- ne e la relazione con l’esterno reale e fi nzionale sono importan quanto la vista. Muoversi nello spazio in un modo o in un altro cambia lo spazio stesso, cambia la fruizione degli altri oltre che la propria. Nella teatralizzazione l’a tudine mime-

ca e simulatoria si amplifi ca: il fenomeno che ha sempre aff ascinato e aff ascina tu ora gli autori di Studio Azzurro durante le inaugurazioni degli ambien sensibili è l’abbandono delle normali re-

cenze alla socializzazione tra sconosciu , insie- me alla spontanea tendenza a osservare e imitare gli altri spe atori presen . L’incontro con la nar- razione di un ambiente sensibile avviene in con- dizioni prote e dal mondo esterno (come per la narrazione cinematografi ca [29]), ma anche nella coscienza di spostarsi con nuamente tra realtà e fi nzione, perché il corpo si muove e interagisce

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con uno spazio fi sico (reale) e con una dramma- turgia video-spaziale (fi nzione). Questo incontro è, in ul ma analisi, un’esperienza performa va, e «la performance trasforma se stessa […]» [30], trasformando chi la fa.

In sinergia con la «suspension of disbelief» [31]

c’è questa possibilità di interagire con il racconto, di spostarsi nello spazio e ‘montare’ la narrazio- ne con il proprio movimento, c’è una modalità di presenza che ci fa mantenere aperto sia un ca- nale con il mondo dell’immaginario, sia una re- lazione con il mondo quo diano. Ne è una prova il fa o che i comportamen degli spe atori che si relazionano con ‘interfacce naturali’ cambiano con il cambiare del mondo. A diff erenza di quanto accade al cinema, por amo dentro l’ambiente le nostre a tudini, i nostri ges , i nostri desideri.

Osservare le reazioni degli spe atori del 1995 e quelle degli spe atori del 2016, quando Tavoli è stato ripresentato a Milano (Studio Azzurro, Im- magini sensibili, una retroprospeƫ va, Palazzo Re- ale), è stato una inequivocabile verifi ca di quanto sia cambiata l’aspe a va delle persone di fron- te alle installazioni, e in par colare alle forme di interazione legate al tocco [32]. È chiaro che la confi gurazione dello spazio e il disegno del per- corso di avvicinamento al momento dell’intera- zione non solo fanno parte della narrazione, ma sono fondamentali perché un ambiente sensibile produca le interazioni appena descri e, perché agevoli quella «immaginazione sensibile» (phan- tasia aistethiché) di cui già parlava Aristotele.

Proge are ambien richiede in eff e più che una preparazione tecnica, una grande sensibilità per lo spazio esistente e per le sue possibilità, da combinare con altre anta capacità di immagi- nare quello spazio trasformato dalla presenza di una narrazione, di una drammaturgia che produ- ca un’esperienza.

Ma qual è il fi ne dell’esperienza? A seconda delle fi nalità del proge o, l’esperienza può essere l’ele- mento centrale e portante, oppure il veicolo di un signifi cato o ancora il veicolo per raggiungere una condizione di apertura rice va, di curiosità, di desiderio di conoscenza che fa uscire le persone dal proprio quo diano per ritornarci con la volon-

tà di perseguire un comportamento, di approfon- dire un tema, di portare nel mondo qualcosa che ha sperimentato o acquisito dentro al mondo pa- rallelo dell’installazione. A quest’ul ma categoria appartengono sopra u o i proge esposi vi e museali che si confrontano con la trasmissione della conoscenza e della memoria.

GA: Come valu la presenza del mul mediale nei percorsi museali e come l’ha declinata negli anni Studio Azzurro?

LM: La presenza del mul mediale nei percorsi museali è diventata d’obbligo. Ma c’è vedere e vedere, c’è raccontare e raccontare. E c’è una di- s nzione tra mul mediale e intermediale (molto cara a Pietro Montani [33], mostra la diff erenza tra l’accostamento di diversa media e l’integra- zione fra media diversi nel proge are una nar- razione composta di spazio, luce, ogge , audio, video...). L’esperienza di Studio Azzurro in questo può avere qualcosa da off rire non solo in ambito pre amente museale, bensì nella rifl essione in- torno all’incontro con i territori e con le storie da essi custodite.

Alcuni anni dopo le prime sperimentazioni muse- ali, nel 2008, l’occasione di lavorare a Casablanca con giovani ar s ha portato a sviluppare un for- mato di installazione intera va legato alla map- patura del territorio. Il formato, tu ora aperto a possibili evoluzioni, è stato chiamato Portatori di Storie e si appoggia proprio sulla possibilità di dare allo spe atore l’occasione di incontrare – in proiezione – persone che gli raccon no qualcosa.

Nella sua versione più evoluta, questo format ha rappresentato il Padiglione Italia all’EXPO Shang- hai del 2011. SensiƟ ve City è un ambiente in cui gli scenari si sovrappongono su livelli diversi di proiezione, alternando l’este ca fotorealis ca delle riprese video al disegno a mano libera [34]

dei percorsi racconta . Nella scena che accoglie il visitatore, i personaggi camminano. Per lo spe a- tore il coinvolgimento è dire o: si trova di fron- te a più persone proie ate in dimensioni reali e deve fare una scelta. La persona toccata si volta e gli si rivolge per iniziare il racconto. A questo

punto innescando una nuova scena in cui, mentre altri con nuano a camminare, sui livelli di proie- zione posteriori si vedono apparire i corrispon- den luoghi della ci à.

Lo spe atore si trova faccia a faccia con una per- sona delle sue stesse dimensioni immersa negli scenari della sua ci à.

L’interazione è fi sica, comporta uno spostamento del corpo, una responsabilità, una scelta. Cionono- stante, è un’esperienza che rimane agganciata alla possibilità di innescare una forma di comunicazio- ne prote a, in un ambiente avvolgente e sugges - vo, separato dal quo diano. I Portatori di Storie in- nescano almeno un paio di cortocircui , me endo

‘a portata di mano’ [35] una memoria altrimen diffi cile da raccogliere e incontrare, e depositando in uno spazio ‘separato’ (sacro) e parzialmente ri- tualizzato (tempio) persone e contenu che appar- tengono al quo diano, al profano [36].

GA: Vedi nuovi orientamen interessan nel mondo ar s co, rispe o a questo tema del coin- volgimento anche fi sico?

LM: Il modello prospe co è stato un terreno fer- le e solido in cui far a ecchire anche il modello cartesiano (la separazione mente/materia, res cogitans/res extensa) che dal XVII secolo fi no a noi ha pervaso il pensiero scien fi co e fi losofi co.

Se vogliamo liberarci dall’incantesimo del reame del visibile che concorre a separare corpo e men- te, tra enendoci in un punto preciso da cui avere la presunta corre a visione, dobbiamo semplice- mente disallinearci, spostarsi da quel ‘punto di vi- sta’ per scoprire che non è l’unico. Ricominciando dal corpo, spostarci, a raversare regioni cogni - ve abbandonate da secoli… millenni; amme e- re il dimen cato, squadernare la stru ura della scatola prospe ca, ripiegarla, me erla via e non avere more del vasto mul verso in cui ci trovia- mo a galleggiare. Tu o si muove insieme con noi e il nostro sistema perce vo si risveglia.

Coscien del fa o che «il corpo è strumento dell’esternalizzazione ma contemporaneamente lo è anche della ricezione» [37], sarà forse pro- prio una nuova esplorazione della performa vità

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a perme erci di ritrovare quella familiarità con il corpo che abbiamo perduto, che può traghe arci in una dimensione nuovamente umana proprio perché post-antropocentrica?

GA: Le ques oni sono tante, si espandono pro- prio perché riguardano il corpo umano e le di- mensioni ad esso legate. Credi esistano già re- altà o processi che possano suggerire un altro modo di guardare allo spazio, togliendoci di dos- so gli stereo pi?

LM: Alcune pra che emergen nella ricerca in ambito performa vo, focalizzano l’a enzione su momen normalmente integra nella propedeu-

ca al lavoro teatrale o coreografi co, con l’inten- zione di portare fuori dall’ambito specialis co e dunque ‘portare nel mondo’ a vità che possono allenarci a una rinnovata concezione del nostro esserci. Si tra a di pra che che estraggono una

componente da sistemi più complessi, per svilup- parla colle vamente in modo dichiaratamente sperimentale.

Staring Backwards è un workshop aperto a chiun- que voglia cimentarsi nel camminare in gruppo all’indietro in uno spazio pubblico. Realizzato per la prima volta nel 2016 è un proge o di Alessio Calciolari e Filippo Michelangelo Ceredi (con ‘in- tegrazioni soma che’ di Cinzia Delorenzi) [38].

Prevede una breve sessione preparatoria iniziale mirata a creare le condizioni psicofi siche di con- centrazione e a enzione necessarie alla pra ca, a cui succede una ‘misurazione fi sica’ dello spazio, percorrendone i margini, e una sorta di ‘assimila- zione dello scenario esterno’ a raverso un preci- so esercizio dello sguardo e del corpo che simula i movimen delle carrellate cinematografi che:

uno sguardo fi sso come una camera, con il cor- po in movimento camminando in avan . Il tema della ‘messa a fuoco’ è centrale: siamo dentro al

sistema prospe co, anzi lo simuliamo volonta- riamente, e ci viene chiesto di lasciar scorrere lo sguardo sul mondo senza fi ssarlo su un punto, su una meta o un obie vo.

Camminare all’indietro, poi, capovolge le inten- zioni dello sguardo che perde rapacità non aven- do un obie vo che coordina sguardo, intenzione e apparato motorio: entrare nello spazio davan-

a noi me endo a fuoco un obie vo all’inter- no di una scena ‘visivamente so o controllo’ è un’azione di caccia che me e in secondo piano tu o quello che sta fuori dal focus. Camminare all’indietro, verso qualcosa che non si vede, os- servando una scena che si allontana da noi con l’accortezza di non aggrappare lo sguardo a nulla e lasciando scorrere tu o, è altamente spiazzante e sorprendentemente liberatorio. Lo sguardo si allarga e tende a diventare sferico. La performan- ce partecipata fi nale prevede spostamen liberi in linea re a all’interno dello spazio predefi nito.

DOM, L’uomo che cammina #Milano, performance live, Milano, ottobre 2018. Foto Studio Azzurro 2018.

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L’interesse qui non sta solo nella sperimentazione di una percezione dello spazio e nell’aspe o col- labora vo non verbale, ma anche nell’osservare cosa accade a chi in quel momento sta a raver- sando lo stesso spazio per altri mo vi. Durante la performance si genera autonomamente una zona di rispe o, che raramente viene a raversata da chi non partecipa, e una intensa curiosità in chi si soff erma a osservare, talvolta chiedendo di inse- rirsi nel gruppo.

Si innesca qualcosa che auto-regolamenta quello spazio, che fa emergere pa ern riconoscibili, e che si riverbera al di fuori dell’area della performance.

Qualcosa che pone una domanda sulla potenza della presenza di corpi sintonizza in uno spazio.

Viene in mente l’aff ermazione di Humberto Ma- turana: «la comunicazione non è primariamente una trasmissione di informazioni, ma piu osto una coordinazione del comportamento tra gli or- ganismi viven » [39].

Questo par colare fenomeno autopoie co è indagato da una decina di anni da un’altra com- pagnia – che non a caso si chiama Eff e o Larsen – con il proge o STORMO: «Stormo è un pro- ge o pluriennale, un processo basato sulla coo- perazione tra individui che perme e l’emergere dell’intelligenza colle va del gruppo, la stessa usata in natura dagli uccelli per organizzare il volo degli stormi. Il suo nucleo è un workshop duran- te il quale vengono sviluppate la consapevolezza di sé e degli altri a raverso semplici a vità , che portano a una condizione di profondo ascolto e sintonia. STORMO porta alla luce risorse sepolte nella memoria del corpo, perme endo al singolo di scoprirsi parte del gruppo e al gruppo di perce- pirsi come un’unica en tà autoregolata.

La cara eris ca davvero innova va è l’assenza di un leader stabilito: la guida passa costantemen- te e rapidamente da un individuo all’altro, fi no a dissolversi totalmente nella volontà colle va.

Esa amente come accade in natura, si crea una condizione per cui qualsiasi inizia va tesa a pre- varicare gli altri o a imporre la propria volontà non viene accolta». Qui ci interessa anche che il pro- ge o inizialmente performa vo «ha rivelato nella sua evoluzione molteplici aspe e applicazioni,

che vanno dai contes ar s ci a quelli forma vi, dalla pedagogia alla scienza. Il percorso proposto ha un seguito anche nella vita quo diana delle persone, lasciando tracce emo ve e sensoriali ri- collegabili all’armonia e alla collaborazione» [40].

La pra ca prevede sessioni di ricerca per un gruppo con formazioni molto diff eren , non ne- cessariamente performa ve. Un gruppo a cui è possibile accedere per partecipare allo sviluppo.

STORMO ha visto anche sessione aperte al pub- blico, in cui la ricerca si apre alla possibilità di

‘contagio’ verso i partecipan che non conoscono il proge o. Il risultato è sempre sorprendente, la partecipazione spontanea al fenomeno di sinto- nizzazione funziona per imitazione e per osmosi, fi no a raggiungere momen in cui chiunque per- cepisce dis ntamente l’emergere di una forma di intelligenze colle va.

Questo laboratorio permanente che si apre al pubblico è un esempio della possibilità di indivi- duare forme e pra che per una ri-sensibilizzazio- ne orientata al pensiero sistemico. Al momento uno degli obie vi del dire ore ar s co del pro- ge o, Ma eo Lanfranchi, è comprendere come abbreviare il tempo per raggiungere la condizio- ne di a enzione e sensibilità che fa emergere la sintonizzazione, fi no a farla diventare una condi- zione, uno stato.

Tornando allo sguardo, in questo caso ai parteci- pan accade qualcosa di sintoma co: nelle fasi che precedono la condizione di massima armonia, lo sguardo impara naturalmente a sganciarsi dal- la messa a fuoco e si allarga su tu o lo spazio. Le espressioni dei partecipan spesso sono serie e concentrate. Contemporaneamente si riaccende la sensibilità a quello che lo sguardo non coglie: pros- simità, rumori, spostamen d’aria. Nella fase di massima sintonizzazione lo sguardo riesce a man- tenersi largo e focalizzato insieme, l’a enzione si assesta in un dinamico equilibrio che perme e di percepire (e non solo vedere!) lo spazio e gli altri come un unico sistema vivente che si autoregola.

GA: Sperimentare lasciando interagire il corpo umano con l’ambiente per renderlo più sensibi- le, tra campo e fuori campo?

LM: Sì, per farlo tornare consapevole della co- stante mutua interazione con lo spazio in cui è calato. Una delle pra che che è possibile incon- trare prendendo parte a una camminata pubbli- ca con gli ar s di DOM- (Leonardo Delogu e Va- lerio Sirna) [41] vede richiedere ai partecipan di disporsi nello spazio in linea re a e guardare davan a sé non me endo a fuoco nulla in par-

colare, mantenendo uno sguardo più possi- bile aperto, in cui la scena fuori fuoco provoca un’immediata percezione di espansione laterale del campo visivo. Anche l’udito sembra accen- tuarsi e infi ne le percezioni ta li, come le vibra- zioni della metropolitana o uno spostamento d’aria, emergono alla coscienza perce va con maggior risalto.

Da diversi anni Leonardo Delogu e Valerio Sirna lavorano sul tema del camminare, declinandolo in formule che si muovono tra la live performan- ce e lo spe acolo teatrale sconfi nante nell’aper- to. Qualunque sia la declinazione, la performance coinvolge gli spe atori in un evento di alcune ore, vissuto in movimento. Un loro lavoro in par co- lare ha le cara eris che per incarnare la doppia natura dell’epoca che s amo vivendo.

L’uomo che cammina è una live performance di 4-6 ore, durante le quali camminando, si a raver- sa una ci à, avvicinando progressivamente i suoi margini, percorrendoli nelle loro slabbrature per poi rientrare nello spazio urbano. I partecipan sono quindici, ven al massimo, non sanno nulla dello spe acolo a meno che conoscano qualcuno che abbia già partecipato. Arrivano a un punto di ritrovo che viene comunicato via sms i giorni pre- ceden e la presenza di performer e collaboratori mime zza nel gruppo li sospinge naturalmente in un percorso urbano predefi nito che general- mente prende inizio dal centro della ci à. Solo dopo un lungo tra o, i partecipan si accorgono di avere costantemente davan a sé un uomo, a o o, dieci metri di distanza e di non raggiungerlo mai. Stanno seguendo ‘l’uomo che cammina’. È un uomo diverso per ogni ci à, una persona che ha studiato e vissuto quel par colare tessuto ur- bano in modo tale da poter collaborare con gli ar s alla costruzione del percorso.

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Dopo un primo disorientamento, il pubblico se- gue l’uomo, ‘inquadrandolo’ e facendo di lui il loro sogge o principale. Lo segue portando con sé, in sé, il disposi vo prospe co del suo sguar- do, fi nché, un po’ alla volta, il dominio della vista perde forza e il paesaggio intorno si apre a un’al- tra forma di a enzione. In questo lungo percorso tra ci à, campagna e terzo paesaggio, il sistema perce vo di ogni spe atore, camminando, ridi- segna senza sosta un ritra o di spalle dell’uomo che cammina, segue e ridipinge un Caspar Frie- drich post-umano, un Viandante sul mare di neb- bia non più solo, seguito da un gruppo di persone.

Questo disposi vo, con la sua drammaturgia spa- ziale e gli inser audio cura nel de aglio, gioca di equilibrismo tra realtà e fi nzione al punto che parte delle azioni previste dalla drammaturgia, spesso sono percepite come even appartenen al mondo esterno e non prepara . Si pone an- che in una posizione limite rispe o al disposi vo classico del teatro e della visione. Porta la scatola dello sguardo teatrale nello spazio esterno, la fa viaggiare con lo spe atore nella ci à e nel pae- saggio. La visione dell’eroe protagonista sempre di spalle, tranne per un breve momento a metà percorso, man ene a va una distanza simile a quella del palco, cara erizzandola diversamente, mentre la sua osservazione sposta con nuamen- te il punto di fuga. Il viandante non è più fermo a inebriarsi della vas tà e della meravigliosa incer- tezza dell’orizzonte. È cosciente di essere il punto di fuga dello sguardo prospe co di un gruppo, sa di poter cambiare le percezioni degli altri con i suoi ges e con la direzione del suo sguardo.

Il viandante roman co era solitario, dall’inizio del Novecento, invece, alcuni degli ar s più irrive- ren – i Dada anzitu o, poi i Surrealis – iniziano non solo a lavorare insieme, ma proprio a cammi- nare insieme in una programma ca pra ca an - sistema. Si lasciano guidare dai luoghi in forme di erranza urbana e non, visite e deambulazioni con le quali «a accare frontalmente il sistema dell’ar- te», perché «l’azione del percorrere lo spazio sarà u lizzata come forma este ca capace di sos tuir- si alla rappresentazione». «La passeggiata [...] è u lizzata come forma d’arte che si inscrive diret-

tamente nello spazio e nel tempo reali e non su suppor materiali» [42]. E non è indiff erente che sia performata in gruppo.

GA: Laura Marcolini ringrazio immensamente per questo percorso sensibile, per averci portato la tua esperienza, a raverso i proge di Studio Azzurro (e non solo) rivol all’immaginazione ta le e alla narrazione dei sensi e della perfor- mance del corpo umano. Per chiudere, torniamo alle parole di Agamben?

LM: Certamente e con piacere. Oggi sta riemer- gendo molta a enzione sulla presenza dei corpi nello spazio pubblico. Dopo che i corpi sono quasi spari dalle piazze e le piazze digitali si aff ollano di parole e immagini, occupare lo spazio pubbli- co, anche solo con un passaggio, è un’azione che sta riprendendo una grande forza ed è tanto più sconcertante per i passan non coinvol , quanto più si tra a di una azione non poli cizzata. Imme- diatamente riapre l’orizzonte di senso e di memo- ria che riallaccia alle origini della parola poli ca, alla relazione con la polis, con la ci à.

È qui che ci porta il tenta vo di assumere la domanda iniziale di Giorgio Agamben. Il luo- go dell’arte oggi sembra essere quello incerto e proposi vo di una forma di ricerca che sospinga il cambio di paradigma in modo e accompagni il mondo in questo passaggio.

NOTE

[1] Panofski, E., La prospettiva come forma simbolica, Abscondita, Milano 2007.

[2] Cfr. De Kerckhove, D., Dall’al- fabeto a internet, Mimesis, Milano 2008.

[3] «La trasformazione di un acces- so libero e di uno scambio globale in un ipermercato del consumo e del controllo globale; con il rischio di sostituire la compresenza fi si- ca con la chat e la relazione con la connessione [...], alimentando un processo di socializzazione si- mulata e “formattata” che di fatto svuota l’agorà spontanea a vantag- gio di un arcipelago pianifi cato di solitudini connesse» da Balzola, A., dalla postfazione alla riedizione de L’arte fuori di sé, Feltrinelli, Milano 2019.

[4] Fabbri, P., «La Rete è un connet- tore semantico, una forma simboli- ca che ha il valore che ebbe ai suoi tempi l’invenzione della prospetti- va» in Paolo Rosa artista plurale, alfabeta 2, https://www.alfabeta2.

it/2013/09/03/paolo-rosa-artista- plurale/ (ultima consultazione 2019.12.01).

[5] Vittorio Gallese è Professore Ordinario di Psicobiologia presso il Dip. di Medicina e Chirurgia - Unità di Neuroscienze - dell’Università di Parma. Neuroscienziato, tra i suoi contributi principali vi è la scoperta dei neuroni specchio, e l’elaborazione di un modello neu- roscientifi co della percezione e dell’intersoggettività detta la Te- oria della Simulazione Incarnata:

https://unipr.academia.edu/Vitto- rioGallese.

[6] Gallese, V., Empatia ed esperienza estetica. Una pro- spettiva neuroscientifi ca, con- ferenza a Palazzo Diamanti, Fer- rara, https://www.youtube.com/

watch?v=yOZeAWtQh6k (ultima consultazione 2019.11.26).

[7] Han, B. C., Nello sciame, notte- tempo, 2015.

[8] La logica che discende dalla visione matematizzata del mondo rischia di portare alla «nozione di differenza, intesa in senso peggio- rativo», Braidotti, R., Il postumano, Derive e approdi, Roma 2014.

[9] Le defi nizioni del pensiero sistemico fanno riferimento alle rifl essioni di Luisi P. L. & Capra F., Storia ed evoluzione del pensie- ro sistemico, 2015. http://www.

aiems.eu (ultima consultazione 2019.11.27).

[10] Sulle origini, lo sviluppo e lo stato dell’arte del pensiero siste- mico cfr. Capra F., Luisi P.L., Vita e Natura, una visione sistemica, Aboca, 2014.

[11] Gert Lovink ha recentemente sintetizzato così: «all’attuale stadio di sviluppo di internet abbiamo a che fare con infrastrutture e si- stemi centralizzati che chiamiamo piattaforme e che sono comple- tamente opposte alla precedente idea di architettura informatica.

La piattaforma è infatti l’esatto contrario della rete, la quale è per defi nizione decentralizzata e di- stribuita. La piattaforma, invece è centralizzata, corrisponde al vec- chio stile di infrastruttura mediati- ca del secolo scorso. Una struttura che, per chi la gestisce, comporta vantaggi ed economie di scala».

«L’essenza di quello che l’acca- demica statunitense Soshana Zuboff chiama “capitalismo della sorveglianza” e che produce una situazione in cui molte persone si trovano in trappola. Internet, infatti, invece di essere uno strumento di potenziamento personale, attra- verso le piattaforma, costringe gli utenti a procedere lungo un sentie- ro tracciato. Da qui nasce la

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