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Discrimen » La corruzione a due anni dalla «Riforma Severino»

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Academic year: 2022

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P A D O V A U N I V E R S I T Y P R E S S

UP

PADOVA

UP

PADOVAJusQuid Sezione Scientifica

dalla «Riforma Severino»

a cura di Riccardo Borsari

Il volume ospita gli Atti del Convegno di Studi “La corruzione a due anni dalla «Riforma Severino»”, che ha affrontato il tema, di perdurante attualità, del fenomeno corruttivo nella prospettiva giuridico penale, filosofica e della scienza politica. Sullo sfondo di un capitalismo in crisi profonda, ove la pubblica amministrazione non è estranea a “interventi nel mercato” e la competizione tra imprese si consuma nella ricerca quasi ossessiva di una relazione con il potere, la corruzione si è fatta “sistemica”: all’economia della “mazzetta”, indirizzata al mercimonio del singolo atto d’ufficio, si è sovrapposta o, addirittura, sostituita, quella dei favori e delle reciproche influenze, nell’ottica dell’asservimento diffuso della funzione pubblica all’interesse privato. Tale trasformazione criminologica avrebbe forse richiesto una radicale riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, ancora oggi incentrati su schemi normativi diretti alla repressione di atti criminosi “puntuali” e, perciò, almeno parzialmente inadatti al contesto delineato. Nondimeno, la legge n. 190/2012, che pure incarna un importante segnale di cambiamento sul piano preventivo-amministrativo, sul versante penale si è limitata a un intervento settoriale, sebbene non marginale. Permangono peraltro incertezze applicative, che hanno già impegnato a fondo dottrina e giurisprudenza, anche delle Sezioni Unite.

In ogni modo la materia rimane fluida, siccome dimostrano la recente legge n. 69/2015, caratterizzata da un generalizzato – e simbolico – inasprimento sanzionatorio, e l’approvazione del nuovo Codice degli appalti (decreto legislativo n. 50/2016), al

quale il volume è aggiornato. ISBN 978-88-6938-099-0

€ 40,00

La corruzione a due anni dalla «iforma Severino»R

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Al lavoro hanno partecipato: Richard Briffault, Antonio Da Re, Matteo Delli Carri, Grazia Mannozzi, Francesco Carlo Palazzo, Nicoletta Parisi, Marco Pelissero, Roberto Rampioni, Alfredo Robledo, Sergio Seminara, Alberto Vannucci.

File riservato ad esclusivo fine di studio

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ad esclusivo fine di studio

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Nella sezione scientifica di IusQuid sono pubblicate opere sottoposte a revisione valutativa con il procedimento del « doppio cieco » (double blind peer review process), nel rispetto dell’anonimato dell’autore e dei due revisori. I revisori sono professori di provata esperienza scientifica, italiani o stranieri, o ricercatori di istituti di ricerca notoriamente affidabili. Il revisore che accetti l’incarico di valutazione formula il suo giudizio tramite applicazione di punteggio da 1 a 10 (sufficienza: 6 punti) in relazio- ne ad ognuno dei seguenti profili: struttura (coerenza e chiarezza dell’impianto lo- gico, metodologia); riferimenti normativi, dottrinali e giurisprudenziali; correttezza espositiva; argomentazione critica e propositiva; bibliografia; rilevanza scientifica nel panorama nazionale (e internazionale, se ricorre l’esigenza relativa a questo profilo).

Precisa se l’opera sia pubblicabile senza modifiche o previo apporto di modifiche, o se sia da rivedere, oppure da rigettare, e comunque dà opportune indicazioni. Nel caso di giudizio discordante fra i due revisori, la decisione finale sarà assunta dal direttore responsabile e dal comitato scientifico, salvo casi particolari in cui il diret- tore medesimo provvederà a nominare un terzo revisore cui rimettere la valutazione dell’elaborato. Le valutazioni sono trasmesse, se è opportuno, e rispettando l’ano- nimato del revisore, all’autore dell’opera. L’elenco dei revisori e le schede di valuta- zione sono conservati presso la sede di JusQuid, a cura del direttore. Il termine per lo svolgimento dell’incarico di valutazione accettato è di venti giorni, salvo espressa proroga, decorsi i quali, previa sollecitazione e in assenza di osservazioni negative entro dieci giorni, il direttore e il comitato scientifico, qualora ritengano l’opera meritevole, considerano approvata la proposta. Sono escluse dalla valutazione opere di componenti del comitato scientifico e del direttore responsabile. A discrezione del direttore responsabile e del comitato scientifico sono escluse dalla valutazione opere di indubbia meritevolezza o comunque di contenuto da ritenersi già adeguatamente valutato in sede accademica con esito positivo, per esempio scritti pubblicati su invi- to o di autori di prestigio, atti di particolari convegni, opere collettive di provenienza accademica.

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Direttore responsabile Silvio Riondato Comitato editoriale

Riccardo Borsari, Elena Cadamuro, Chiara Candiotto, Paolo Capoti, Elisabetta Palermo Fabris, Lorenzo Pasculli, Debora Provolo, Marco Rebecca, Silvio Riondato

JusQuid

sezione scientifica Comitato scientifico

Paolo Benciolini, Riccardo Borsari, Lorenza Carlassare, Marcello M. Fracanzani, Manuela Mantovani, Francesco Moschetti, Elisabetta Palermo Fabris, Paolo Patrono, Silvio Riondato, Rino Rumiati, Daniele Rodriguez, John A. E. Vervaele, Paolo Zatti

• E. Pavanello, La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, 2012.

• S. Riondato (a cura di), Dallo Stato Costituzionale Democratico di Diritto allo Stato di Polizia? Attualità del “Problema penale”. Nel trentesimo dall’Ultima Lezione di Giuseppe Bettiol, 2012.

• L. Pasculli, Le misure di prevenzione del terrorismo e dei traffici criminosi internazionali, 2012.

• S. Riondato, R. Alagna (a cura di), Diritto penale della Repubblica di Turchia. Criminal Law of the Republic of Turkey, 2012.

• R. Borsari, Reati contro la Pubblica Amministrazione e discrezionalità amministrativa.

Dai casi in materia di pubblici appalti, 2012.

• C. Sarra, D. Velo Dalbrenta (a cura di), Res iudicata. Figure della positività giuridica nell’esperienza contemporanea, 2013.

• R. Alagna, S. Riondato (a cura di), Studi sulla riforma penale post-socialista. Studies on the Criminal Law Reform in the Post-Soviet Countries, 2013.

• R. Borsari (a cura di), Profili critici del diritto penale tributario, 2013.

• R. Borsari, Diritto penale, creatività e co-disciplinarità. Banchi di prova dell’esperienza giudiziale, 2013.

• S. Riondato, Cornici di «famiglia» nel diritto penale italiano, 2014.

• I.G. Antonini, La duplice natura della società pubblica: tra garanzia della concorrenza e alternativa all’appalto, 2014.

• D. Provolo, S. Riondato, F. Yenisey (eds.), Genetics, Robotics, Law, Punishment, 2014.

• A. Aprile, A. Fabris, D. Rodriguez, Danno da perdita di chance nella responsabilità medica, 2014.

• R. Borsari (a cura di), Crisi dell’impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell’insolvenza, 2015.

• R. Borsari, L. Sammicheli, C. Sarra (a cura di), Homo oeconomicus. Neuroscienze, razionalità decisionale ed elemento soggettivo nei reati economici, 2015.

• R. Borsari (a cura di), La corruzione a due anni dalla “Riforma Severino”, 2015.

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• S. Cardin, L’illecito punitivo-amministrativo: principi sostanziali, procedimentali e processuali, 2012.

• A. Giuliani, I reati in materia di “caporalato”, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, 2015.

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La corruzione a due anni dalla «Riforma Severino»

© 2015 Padova University Press Università degli Studi di Padova via 8 Febbraio 2, Padova www.padovauniversitypress.it Redazione

Liliana Falavigna Progetto grafico Padova University Press

Immagine di copertina

"Collegio dei dottori giuristi padovani che rende parere al Doge". Dall'affresco di Gino Severini nella Sala della Facoltà di Giurisprudenza - Palazzo del Bo, Padova.

ISBN 978-88-6938-099-0

Stampato per conto della casa editrice dell’Università degli Studi di Padova - Padova University Press.

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.

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Atti del Convegno di Studi Padova, 11 dicembre 2014

a cura di Riccardo Borsari

Crisi dell’impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell’insolvenza

Aspetti problematici

a cura di Riccardo Borsari

PADOVA UNIVERSITY PRESS

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Antonio Da Re

Il doppio volto della corruzione Alberto Vannucci

Alle radici della corruzione sistematica Francesco Carlo Palazzo

Le norme penali contro la corruzione tra presupposti criminologici e finalità etico-sociali

Alfredo Robledo

La normativa anticorruzione alla prova dei fatti e in prospettiva de iure condendo

Nicoletta Parisi

L’attività di constrasto alla corruzione sul piano della prevenzione.

A proposito di appalti, ma non solo … Sergio Seminara

La nuova disciplina della corruzione: profili introduttivi Marco Pelissero

Gli accordi corruttivi tra atto e funzioni Roberto Rampioni

Sempre più «mobili» i confini tra concussione e delitti di corruzione Richard Briffault

The Role of Conflicts of Interest Laws in Promoting Government Integrity

Grazia Mannozzi, Matteo Delli Carri

L’ago impalpabile della bilancia. Il peso del principio di proporzione nel si- stema sanzionatorio: evidenze dall’analisi delle dinamiche sanzionatorie per la criminalità comune e dei «colletti bianchi»

p. 9

p. 23

p. 61

p. 77

p. 91

p. 139

p. 153

p. 167

p. 177

p. 185

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ad esclusivo fine di studio

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Il doppio volto della corruzione

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Possibili definizioni. – 3. Il doppio volto: personale e si- stemico. – 4. Dal circolo vizioso al circolo virtuoso. – 5. Conclusione. Alì Babà e i quaranta ladroni: ancora sul circolo vizioso di corruzione e illegalità.

1. Introduzione

Nelle pagine che seguono, il fenomeno della corruzione verrà indagato da una prospettiva di tipo etico (o morale). I due termini poc’anzi citati vengono qui assunti convenzionalmente come sinonimi, dal momento che essi etimologicamente rinvia- no a famiglie semantiche del tutto simili: in greco ethos indica infatti il comporta- mento, il modo di agire, la consuetudine, il costume, e similmente il latino mos, moris sta a significare grosso modo il medesimo insieme di concetti designati dal termine greco. Affrontare un tema così complesso qual è quello della corruzione servendosi di un armamentario teorico e concettuale di tipo morale, e per giunta all’interno di un confronto scientifico che solitamente coinvolge soprattutto i giuristi, i sociologi e i politologi, presenta i suoi rischi, il primo dei quali è senz’altro quello di scivolare nel cosiddetto moralismo, in una condanna quindi del fenomeno corruttivo, che viene però percepita come estrinseca e in definitiva inefficace.

L’intenzione di chi scrive non è evidentemente quella di proporre una visione da «anima bella», figura questa non a caso dileggiata da Hegel per il suo carattere astratto e pretenzioso. Proprio l’insegnamento di Hegel può qui tornare utile nel proporre una chiave di lettura adeguata al fenomeno: attraverso il concetto cardine di «spirito oggettivo», Hegel ha cercato di interpretare l’esperienza morale nella sua concretezza e storicità, come strettamente connessa all’ethos vigente e a quell’insieme di tradizioni, consuetudini, leggi che in esso si esprimono e lo contraddistinguono.

Non è necessario condividere in toto l’approccio di Hegel per apprezzare la fecondità della sua chiave di lettura; nonostante sia obbiettivamente presente il rischio che

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la dimensione morale così intesa finisca per appiattirsi sull’ethos esistente, venendo così fortemente condizionata e quindi privata del suo elemento critico, rimane co- munque valida l’indicazione che l’esperienza morale debba essere indagata tenendo conto della rilevanza delle strutture istituzionali e sociali e degli ordinamenti giuri- dici ai quali essa si rapporta. In tal senso, un’analisi morale della corruzione non può limitarsi a considerare la dimensione strettamente personale, né può far valere un presupposto di separazione, o peggio di contrapposizione, tra la morale, che verrebbe così concepita come strettamente attinente alla sfera individuale, e il diritto, preposto alla regolazione dei rapporti sociali, che invece finirebbe per essere inteso in modo estrinseco.

Proprio il fenomeno della corruzione mostra come i diversi piani – morale, giu- ridico, istituzionale, sociale – si intersechino tra loro, cosicché approcci moralistici (come pure approcci che prescindano del tutto dalla considerazione della dimen- sione etica) risultano essere chiaramente inadeguati. Come si vedrà, la corruzione presenta un doppio volto, personale e sistemico; la responsabilità morale del soggetto è chiaramente chiamata in causa, ma essa tende progressivamente a stemperarsi a fronte proprio di quella caratterizzazione sistemica che contrassegna in modo così marcato il fenomeno corruttivo. Ciò pone dei problemi evidenti anche sul piano del diritto penale: nel momento in cui la responsabilità personale tende più o meno intenzionalmente a diluirsi, diventa senz’altro più complicato per il sistema giuridi- co accertarne la presenza ed eventualmente sanzionarne l’esercizio, quando essa sia penalmente illecita.

2. Possibili definizioni

Si corrompe e ci si lascia corrompere per molte ragioni, per esempio perché così si ha la possibilità di guadagnare somme cospicue di denaro per sé o per il pro- prio gruppo di appartenenza, sia esso commerciale, professionale, politico; oppure perché si possono acquisire posizioni considerevoli di potere (politico, economico, professionale …) e di migliorare in modo rilevante lo status sociale proprio e di altri soggetti. In senso più tecnico si può distinguere la corruzione amministrativa o buro- cratica da quella legislativa. La prima riguarda l’«abuso del potere pubblico da parte di pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio per ottenere vantaggi privati»;

la seconda si dà «quando un privato o un gruppo di interesse influenza il processo di formazione delle leggi e l’esercizio del potere decisionale delle istituzioni pubbliche attraverso comportamenti poco trasparenti o tangenti»1. Sono due gli elementi che grosso modo contraddistinguono le diverse specie e sottospecie di corruzione: ci si

1 N. Fiorino, E. Galli, La corruzione in Italia. Un’analisi economica, Il Mulino, Bologna 2013, p. 14.

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trova sempre in presenza di uno scambio illecito, che per sua natura deve rimanere nascosto, tra due parti (a), una delle quali è costituita da un pubblico ufficiale che abusa dei suoi poteri e sfrutta le sue prerogative per trarne indebiti vantaggi persona- li, venendo così meno al suo dovere che in quanto tale è finalizzato al bene comune (b)2.

La corruzione si configura come un fenomeno pervasivo, sia nel tempo che nello spazio; essa è rinvenibile in ogni società, passata e presente, ed è sin troppo facile pre- vedere che lo sarà anche in futuro. Ovviamente da una simile costatazione, ovvero la pervasività e la persistenza della corruzione, non va tratta la conclusione che essa non possa essere almeno limitata e auspicabilmente ridimensionata in modo considere- vole. La corruzione va senz’altro combattuta e repressa con gli strumenti del diritto penale, anche se ciò non basta. Negli ultimi tempi, a seguito anche di una rilettura storica dell’inchiesta di Mani Pulite, che nei primi anni Novanta dello scorso seco- lo, segnò di fatto la messa in crisi di un sistema istituzionale e politico consolidato (la cosiddetta Prima Repubblica),3 è cresciuta sempre più la consapevolezza che la repressione penale, pur necessaria, non sia sufficiente. La scoperta che i protagonisti di uno degli ultimi grandi scandali (gli appalti per Expo 2015) erano gli stessi che a suo tempo erano stati coinvolti nelle inchieste di Mani Pulite ha in qualche misura avvalorato la convinzione che la repressione penale non sia affatto risolutiva. Il man- dato stesso dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione (ANAC), presieduta da Raffaele Cantone, fa leva sull’importanza di prevenire, attraverso procedure e controlli ad hoc, il fenomeno corruttivo. Oltre a un intervento ex ante (la prevenzione) ed ex post (la repressione), è fondamentale che la corruzione sia ancor prima stigmatizzata sul piano culturale e morale, il che francamente non avviene sempre, né con la dovuta convinzione. Al di là dei fatti, tristi, della cronaca, alcuni dati non possono non suo- nare come allarmanti per il nostro paese: secondo Transparency International (Report 2013) l’Italia registra un indice di corruzione percepita quantificabile in 43 (rispetto al valore di trasparenza piena costituito da 100). Per la Germania l’indice si attesta a 78, per la Gran Bretagna a 76, per gli Stati Uniti a 73, per la Francia a 71, per la Spagna a 59, senza dimenticare chi si trova ai primi posti della classifica (Danimarca e Nuova Zelanda a 91); la stima poi del costo della corruzione in punti percentuali

2 Franco Cazzola distingue tra beni-valore e beni-merce. I primi sono diritti-doveri fondamentali (istru- zione, lavoro, assistenza sanitaria…), non negoziabili, quindi non sottoposti alla logica e alla contratta- zione di mercato; essi tuttavia nella pratica della corruzione diventano beni-merci, sono cioè fatti ogget- to di compravendita (nascosta), quando invece in quanto diritti-doveri come tali dovrebbero spettare ai cittadini ed essere garantiti dai pubblici ufficiali, senza alcuna forma di interesse e guadagno personale (F. Cazzola, L’Italia del pizzo. Fenomenologia della tangente quotidiana, Einaudi, Torino 1992, p. 5 ss.).

Cfr. inoltre Id., Della corruzione. Fisiologia e patologia di un sistema politico, Il Mulino, Bologna 1988.

3 Si veda M. Sargiacomo et al., Accounting and the Fight Against Corruption in Italian Government Procurement: A Longitudinal Critical Analysis (1992–2014), «Critical Perspectives Accounting», (2015),

<http://dx.doi.org/10.1016/j.cpa.2015.01.006>.

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del PIL è del 3,8%, mentre per l’Unione Europea è dell’1%4.

La corruzione si presenta come una piaga che, se non adeguatamente combattu- ta, si espande progressivamente, dilapidando risorse pubbliche e beni di vario genere, ostacolando il merito e la concorrenza, frustrando lo sforzo di rinnovamento e di in- novazione di singoli, gruppi e imprese. Non vengono solo sperperate somme ingenti e beni preziosi che dovrebbero andare a beneficio di tutti e che invece sono finalizzate al vantaggio improprio e illecito di alcuni; il meccanismo corruttivo per sua natura cresce e si rafforza nell’opacità e nella mancanza di trasparenza, ed esige che i soggetti implicati adottino comportamenti omertosi: tutto ciò non può che comportare il venir meno di quell’insieme di reciproca fiducia, di valorizzazione dell’impegno e del merito, di correttezza e di rispetto delle regole comuni che costituiscono la linfa vitale di un valido organismo sociale.

I diversi significati del termine «corruzione» sembrano confermare la persistenza di questa pluralità di valenze e contenuti5. Senz’altro esso indica in origine la rottura di ciò che dovrebbe rimanere integro, un’unità quindi che viene infranta e che si dissolve in tanti pezzi; soprattutto merita di essere sottolineata l’origine latina del termine, composto di con e rumpere6, quasi a voler significare che la rottura dell’unità viene provocata assieme, non è opera quindi di un singolo, ma di due o più persone, e proprio questa complicità costituisce un tratto tipico dell’atto corruttivo. Un altro significato allude alla degenerazione, alla decomposizione, al rovinarsi di una realtà, di un oggetto, di un essere vivente; trasposto al vivere civile, il termine «corruzione»

indica il guastarsi di una convivenza causato dallo stravolgimento di principi e re- gole comuni e dall’adozione di comportamenti illegali e delittuosi. A tale proposito può tornare utile il suggestivo racconto, svolto da Platone nei libri VIII e IX della Repubblica, delle possibili e progressive degenerazioni che possono colpire la buo- na costituzione della politeia, sino a giungere al massimo grado di oppressione e di perdita della libertà, la tirannide. Questo processo corruttivo non si svolge per così dire solo all’esterno; Platone fa valere il presupposto che la polis altro non sia che la proiezione dell’anima dell’individuo, di modo che se questa sarà giusta o ingiusta, tale sarà anche la polis. La degenerazione della politeia è quindi un riflesso della pa- tologia della psyche, e i comportamenti malvagi dei singoli non rimangono confinati in una sfera ristretta ma determinano la qualità negativa della politeia; si viene così a costituire un rapporto biunivoco tra leggi, strutture e istituzioni corrotte da un lato e soggetti corrotti dall’altro. L’importanza della dimensione personale riaffiora anche

4 I dati sono rintracciabili nelle pagine del sito <http://www.transparency.org/>. Si veda inoltre il Rap- porto sul primo anno di attuazione della legge n. 190/2012 dell’ANAC (Autorità Nazionale AntiCor- ruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche), <http://www.anticor- ruzione.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Attivita/Pubblicazioni/

AnticorruzioneTrasparenza/Rapporto-attuazione-l.-n.-190_2012-ANAC.pdf>.

5 L. Biagi, Corruzione, Messaggero, Padova 2014, p. 19 ss.

6 Lemma Corrompere, in Manlio e Michele A. Cortelazzo (a cura di), Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 19992, p. 403.

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in un ulteriore significato di corruzione, intesa come rottura di ciò che di più intimo vi è, rottura quindi del centro affettivo e decisionale della persona, simbolicamente rappresentato dal cuore: è il cuore infranto (cor ruptum), secondo un’etimologia che tuttavia non è attendibile, anche se spesso viene evocata.

3. Il doppio volto: personale e sistemico

Nel fenomeno della corruzione è comunque presente una dimensione sistemica, che contribuisce non poco ad affievolire il senso della responsabilità del soggetto. Più precisamente questo elemento sistemico si esplicita socialmente configurando una fattispecie, quella della relazione tra corrotto e corruttore, che per sua natura diviene qualcosa di stabile e di non occasionale: è quasi impossibile che l’atto corruttivo rimanga un atto isolato. La reciproca dipendenza che si viene a stabilire tra i sog- getti implicati, le conoscenze che costoro hanno degli illeciti compiuti assieme e da ciascuno, la possibilità di ricattare l’altro, qualora questi volesse sfilarsi dall’impresa comune avviata in precedenza, delineano una situazione del tipo simul stabunt vel simul cadent.

La corruzione tende quindi a farsi sistema instaurando innanzitutto un legame stabile tra corrotto e corruttore; non solo, tale legame è costitutivamente lesivo nei confronti di una figura terza (il cittadino, il contribuente …), vittima spesso incon- sapevole del danno subito: la lesione infatti non è diretta, immediata e per questo non è facilmente percepibile. Una simile difficoltà di percezione deriva anche dalla constatazione che il legame è per sua natura nascosto; non così accade per reati quali il furto e la violenza, nei quali le persone derubate o aggredite patiscono immediata- mente e sulla propria pelle un grave danno, sono a conoscenza di quanto accaduto e dispongono di elementi sufficienti per denunciare i fatti alla polizia7.

Il carattere sistemico produce poi degli effetti sulla personalità stessa del soggetto.

Per rendere conto di questo aspetto può risultare prezioso il ricorso alla teoria classica delle virtù (e dei vizi), che ha trovato nell’etica aristotelica una organica e compiuta tematizzazione. Per Aristotele la virtù è il risultato del compimento, da parte del soggetto, di atti buoni dello stesso genere: non è sufficiente che il soggetto compia saltuariamente un atto giusto (o coraggioso, temperante, …) per essere egli definito

7 Cfr. D. Nelken, Tangentopoli, in M. Barbagli, U. Gatti (a cura di), La criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna 2010, che così si esprime a p. 60: «quasi tutte le vittime di questi reati [= di corruzione] sono diffuse e normalmente inconsapevoli della loro vittimizzazione. La maggior parte degli accordi illeciti, con molta probabilità, non verrà mai conosciuta dai giudici: le persone coinvolte direttamente in que- sto tipo di accordi non li denunceranno mai, anche perché sono più o meno parte in causa, l’omertà è diffusa anche tra gli esclusi, che sperano prima o poi di essere inclusi, o temono le conseguenze deri- vanti dal denunciare il fatto alle autorità. Luca Magni, il piccolo imprenditore che con la sua denuncia diede il via a Tangentopoli, e che perciò dovrebbe essere un eroe nazionale, di fatto è stato escluso da successivi appalti».

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una persona giusta (coraggiosa, temperante, …); al contrario è necessario che il sog- getto compia ripetutamente e in modo consapevole atti di giustizia, di coraggio, di temperanza. In questo modo si costituisce in lui una hexis, una disposizione stabile, uno stato abituale, tale per cui può essere definito virtuoso. Egli infatti, in forza di tali disposizioni buone che contrassegnano il suo carattere (termine che in greco è sempre reso con il lemma ethos) è pronto a comportarsi in maniera giusta, coraggiosa, temperante, proprio perché è abituato a ciò, anche nelle situazioni più complicate e impreviste.

La medesima struttura si ripropone nel vizio: anche in questo caso non basta che il soggetto compia saltuariamente e in modo estemporaneo degli atti malvagi per essere definito vizioso. Il vizio è il frutto di una disposizione stabile che si co- stituisce nel soggetto in forza della ripetizione di atti cattivi, cosicché quel tratto di carattere definibile come ingiusto qualifica il soggetto stesso. In questa prospettiva, non è facile uscir fuori dallo status che si è costituito in noi e il motivo deriva proprio dalla considerazione che singoli atti difformi (per esempio di giustizia) non hanno la forza sufficiente per scalzare lo stato abituale esistente. Perché ciò avvenga ovvero perché una disposizione virtuosa si sostituisca a una viziosa, il soggetto deve passare attraverso un lungo processo di affinamento del proprio essere, grazie al quale egli sia in grado di compiere ripetutamente atti buoni che alla fine si consolideranno nel co- stituirsi di una disposizione stabile virtuosa. Ovviamente questa dinamica vale anche in senso contrario, ovvero singoli atti viziosi non infirmano una hexis virtuosa ben radicata, anche se tali atti, qualora non rimanessero isolati ma venissero ripetuti, alla lunga finirebbero per dar vita a una disposizione di segno contrario.

Questa concezione molto realistica della nostra vita morale, incentrata sulla sto- ria del soggetto e sulla formazione del suo carattere, alla luce delle esperienze che man mano compie, attribuisce grande importanza al ruolo insostituibile delle leggi (no- moi) della polis8. La formazione dei tratti del carattere in senso virtuoso certamente risente in modo considerevole dell’educazione ricevuta dal soggetto; ma nel contem- po Aristotele ritiene che vi siano dei limiti nell’educazione e che non sia sufficiente fare appello ai discorsi (logoi), alle argomentazioni, per modificare abitudini cattive consolidate; di nuovo, in modo molto realistico, Aristotele ricorda che «la massa ob- bedisce più alla costrizione che a un ragionamento (logos), più a una punizione che al bello»9. L’efficacia della legge risiede quindi nel fatto che essa ha valore coercitivo ed è dotata di un apparato sanzionatorio, elementi che come tali non può fornire il processo educativo, quale quello che per esempio si sviluppa in famiglia.

La digressione dedicata alla teoria delle virtù e dei vizi consente di interpretare più adeguatamente il processo che investe una persona qualificabile come corrotta.

Qui non si ha tanto a che vedere con il cedimento ad un atto saltuario o con l’in-

8 Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, II, 1103a 26-1103b 2.

9 Aristotele, Etica Nicomachea, X, 1180a 4-5; trad. it. di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 20012, p. 443.

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ciampare in un comportamento che rimarrà isolato; il soggetto piuttosto si assuefà a compiere atti di corruzione, e questa diviene un tratto stabile del carattere, che lo qualifica e lo contrassegna; essa diventa quindi un’abitudine, un habitus (vizioso), per dirla con il lessico dei latini che così resero il greco hexis.

Pur senza menzionare espressamente la teoria classica delle virtù e dei vizi, ad essa sembra riferirsi Jorge Mario Bergoglio, poi eletto al soglio pontificio con il nome di Papa Francesco, in un testo scritto quando egli era arcivescovo di Buenos Aires.

Scrive Bergoglio: «La corruzione non è un atto, ma uno stato, uno stato personale e sociale, nel quale uno si abitua a vivere. I valori (o i non-valori) della corruzione sono integrati in una vera cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare. È una cultura di pigmeizzazione, in quanto convoca proseliti con il fine di abbassarli al livello di complicità ammesso»10. Bergoglio, in modo pro- vocatorio, esclama: «Peccatore sì, corrotto no!»11; egli, usando parole molto dure e pur ammettendo che questo modo di esprimersi può far sorgere dei fraintendimenti, giunge a stabilire una netta differenziazione, di carattere qualitativo, tra peccato e corruzione12. Indubbiamente l’analisi di Bergoglio è di tipo teologico ed è volta a mettere in luce come il peccatore non sia interamente chiuso in una prospettiva immanente e per questo egli chieda di essere perdonato, al contrario del corrotto, completamente rinchiuso all’interno del suo orizzonte di autosufficienza che oramai considera come del tutto giustificato.

Oltre alla chiave di lettura teologica giocata sulla differenza tra trascendenza ed immanenza, non mancano rilievi psicologici e morali che possono risultare interes- santi per la nostra analisi. Si sottolinea per esempio che il corrotto non è consapevole del suo status e che anzi si pone come giudice nei riguardi del comportamento altrui.

Questa inconsapevolezza nasce proprio dal carattere abitudinario del suo comporta- mento corrotto: agire in un certo modo diviene qualcosa del tutto normale e scon- tato. Riemerge qui quel carattere sistemico che porta il soggetto ad autogiustificarsi, anzi alla lunga a non sollevare nemmeno più l’interrogativo della doverosità o meno di una qualche spiegazione del proprio comportamento: non è solo un ethos diffu- so sul piano culturale e sociale a spingere in tal senso; è anche il configurarsi di un habitus che segna in profondità l’essere del soggetto. Non stupisce in tal senso che dai numerosi resoconti giornalistici riguardanti i grandi scandali (basta limitarsi a Tangentopoli e a quelli più recenti) emerga come il corrotto difficilmente avverta (e ammetta) la propria responsabilità. È più facile che questo accada per altri reati (furto, violenza, …), come se in questi casi fosse ancora presente una consapevolezza personale che invece, nella corruzione, risulta assente.

10 J.M. Bergoglio, Corruzione e peccato. Alcune riflessioni intorno al tema della corruzione (2005), in Id., Guarire dalla corruzione, trad. it. di F. Cerutti, C. Curti, Emi, Bologna 2013, p. 33. A conferma del riferimento al lessico dell’etica delle virtù, a p. 18 si parla del «generarsi di abitudini».

11 Ivi, p. 9.

12 Ivi, p. 34.

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Può essere che l’analisi di Bergoglio, nel delineare la condizione del tutto spe- ciale, di chiusura e di autosufficienza, del corrotto volesse sottolineare proprio il venir meno della consapevolezza della propria responsabilità. È questo un aspetto che acutamente Aristotele aveva già toccato, quando si era domandato se fosse pos- sibile parlare di volontarietà o meno delle disposizioni: queste infatti, attraverso la ripetizione di atti di uno stesso tipo, sembrano a prima vista raffigurare una sorta di determinismo comportamentale. Assai significativo è l’esempio portato da Aristotele dell’ubriaco, che a prima vista appare non essere responsabile degli atti compiuti per ignoranza, considerato che tale ignoranza è frutto della sua dipendenza dall’alcol; la disposizione, nella fattispecie dell’intemperanza, sembrerebbe quindi essere contrad- distinta dall’involontarietà. In realtà – precisa Aristotele riferendosi all’ubriaco e in genere alla persona viziosa – «del divenire persone di quel genere sono essi stessi la causa (aitioi), per la loro vita disorganizzata, e sono causa anche del loro essere in- giusti o intemperanti»13. Ne consegue che della disposizione, sia essa viziosa come in questo caso o virtuosa, si predica la volontarietà; il soggetto è infatti aitios, ovvero è la causa e quindi è responsabile del suo comportamento.

La dinamica strutturale e psicologica dell’esperienza della corruzione provoca nel soggetto un indebolimento del senso della responsabilità personale; e tuttavia, il si- stema giuridico non può certo derogare dal rispetto del principio della responsabilità della persona, espressione della sua intelligenza e volontà e della sua libertà. Si tratta di un principio cardine del diritto, autorevolmente enunciato dalla nostra Costitu- zione repubblicana, all’art. 27, che ha ancor prima una valenza morale: la persona è imputabile, perché nel suo proprio essere è libera, nonostante le determinazioni culturali e sociali alle quali è inevitabilmente sottoposta e dalle quali è condizionata, ma non in modo totale e non al punto di potersi sottrarre, qualora lo decida, al con- dizionamento stesso. Questo principio di responsabilizzazione sul piano penale fa sì che lo stesso assunto tradizionale «societas delinquere non potest» abbia conosciuto nel tempo una progressiva erosione14: in esso si faceva valere il presupposto che la per- sona giuridica, in quanto mera finzione, non potesse essere equiparata alla persona fisica, né potesse subire la pena afflittiva e rieducativa, applicabile a quest’ultima. Vi erano certo buone ragioni per affermare ciò; la spinta tuttavia a riconoscere giuridica- mente la responsabilizzazione delle società a ben vedere è un modo per sottolineare la centralità appunto della responsabilità, la quale, anche se esercitata in concorso con altri e con compiti e mansioni che possono essere tra loro assai diversi, è pur sempre responsabilità della persona.

13 Aristotele, Etica Nicomachea, III, 1114a 4-6; trad. it. cit., p. 97.

14 Cfr. A. Alessandri, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in S. Moccia (a cura di), Ambito e prospettive di uno spazio giuridico-penale europeo, Esi, Napoli 2004, p. 88 ss. Con riferimento agli enti pubblici, si veda E. Pavanello, La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Societas publica delinquere potest, Padova University Press, Padova 2011.

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4. Dal circolo vizioso al circolo virtuoso

La corruzione non nasce dal nulla: essa cresce e prospera in un ethos diffuso di illegalità, di modo che tra la prima e la seconda si viene a delineare un vero e proprio circolo vizioso, in cui l’una alimenta e foraggia costantemente l’altra. Se la corru- zione, almeno nelle sue forme più eclatanti, coinvolge presumibilmente una parte minoritaria della popolazione, lo stesso non si può dire dell’illegalità, assai diffusa e giustificata sul piano sociale, con i motivi più disparati.

Non è raro rintracciare nelle varie pratiche d’illegalità l’entrata in funzione di un comodo meccanismo di stigmatizzazione e di colpevolizzazione degli altri ovvero dei corrotti e nel contempo di minimizzazione e di autogiustificazione del proprio comportamento illegale. Eppure quest’ultimo, proprio perché avviluppato nella cir- colarità viziosa, facilmente può trovarsi sul punto di trasformarsi in qualcosa di più grave ovvero nella pratica corruttiva. Sono molteplici le modalità attraverso le quali si declina l’illegalità: prevaricazioni, malversazioni di vario tipo, raccomandazioni, nepotismi, favoritismi, intimidazioni, truffe, evasione, elusione, e la lista potrebbe continuare. Alcuni studi hanno messo in luce come la circolarità viziosa possa ulte- riormente specificarsi nel clientelismo e nel voto di scambio, nella cattiva amministra- zione che incentiva la ricerca costante di canali privilegiati, nella gestione di appalti molto redditizi da parte della stessa criminalità organizzata, alla quale si garantisce una sostanziale impunità grazie alla connivenza di politici e burocrati corrotti15.

Senza giungere al caso estremo dell’implicazione della criminalità organizzata, non va neppure sottovalutata la gravità di comportamenti illeciti, che trovano esem- plificazione in una consuetudine piuttosto diffusa, ma non per questo giustificabile.

Mi riferisco alla pratica, assai onerosa per i bilanci pubblici, consistente nella pos- sibilità di godere, da parte di chi non ne avrebbe diritto per reddito, di particolari benefici ed esenzioni per accedere a prestazioni assistenziali, sanitarie, formative. Fa riflettere che la recente entrata in vigore della nuova versione del modello ISEE (Indi- catore della Situazione Economica Equivalente) abbia comportato una diminuzione vertiginosa delle domande di prestazioni sociali da parte di cittadini privi di conto corrente o depositi analoghi: fino allo scorso anno coloro che secondo le dichiarazio- ni ISEE non disponevano di beni mobiliari erano circa il 75%; ora sono crollati al 25%. Il motivo di questa discrepanza è dato dall’eliminazione dell’autocertificazione, prevista con il vecchio modello, e la sua sostituzione con la raccolta di dati da parte dell’Inps, che si serve delle banche dati delle amministrazioni, degli istituti di credito, dell’Agenzia delle Entrate16. Vien da pensare che coloro che in passato risultavano

15 D. della Porta, I circoli viziosi della corruzione in Italia, in Ead. – Y. Mény, Corruzione e democrazia.

Sette paesi a confronto, Liguori, Napoli 1995, p. 49 ss.

16 «Quaderni della ricerca sociale – flash», n. 33, 27 maggio 2015, a cura del Ministero del Lavo- ro e delle Politiche Sociali, <http://www.lavoro.gov.it/Strumenti/StudiStatistiche/sociale/Documents/

isee_2015_qsr33.pdf>.

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privi di patrimonio mobiliare compilassero in realtà delle dichiarazioni false, confi- dando poi nella buona stella di controlli carenti o addirittura inesistenti; solo che la possibilità di usufruire di riduzioni ed esenzioni, senza averne i requisiti, comporta un esborso enorme e ingiustificato da parte dello Stato (e dei contribuenti onesti), né più né meno di quanto accade con fatti di corruzione.

Queste ed altre tipologie di comportamento sono poi accompagnate da atteg- giamenti e sentimenti personali che spaziano dalla connivenza, più o meno esplicita, all’indifferenza, da intendersi sia come deresponsabilizzazione e disinteresse per il bene comune, sia come atteggiamento acritico e – appunto – indifferenziato («sono tutti uguali»), persino all’indignazione, che può essere parziale o a comando, a secon- da della parte politica che è coinvolta nello scandalo. In un articolo pubblicato qual- che anno fa sulle pagine del «Washington Post», l’autore, Steven Pearlstein, parlava dell’Italia come di un «paese cinico», privo di cultura civica, nel quale il nepotismo e i forti vincoli familiari minacciano lo stesso futuro economico17. L’assenza, ai vari livelli, di cultura civica, l’apatia delle classi dirigenti, imprenditoriale e intellettuale, e la loro indisponibilità a spendersi per l’interesse generale, un cinismo diffuso che spinge il cittadino singolo a non fidarsi degli altri e quindi ad adottare comporta- menti autointeressati, al limite della disonestà, il corporativismo delle categorie pro- fessionali, la debolezza e la poca credibilità del ceto politico: sono queste le cause che spiegherebbero il declino dell’Italia e la mancanza di prospettive future.

L’analisi di Pearlstein merita di essere ripresa, perché con molta lucidità mette in luce come l’intreccio perverso di corruzione e illegalità affondi le sue radici in un ethos diffuso, non limitato a gruppi ristretti di individui e contrassegnato appunto da una cultura civica molto labile. Per risalire la china e lasciarsi alle spalle la desolazione di un vivere civile cinico e anomico è necessario dar vita a una circolarità virtuosa, fatta di comportamenti e motivazioni personali eticamente adeguati da un lato e pro- cedure e provvedimenti legislativi coerenti all’altro. Si tratta inevitabilmente di un processo lungo, che richiederebbe in primis di investire risorse ed energie nel sistema educativo, per impiantare le radici dell’etica pubblica e alimentarle. L’obiettivo do- vrebbe essere quello di far crescere il valore dell’integrity, per usare un termine inglese molto espressivo, che dice dell’integrità, appunto, dell’interezza, della completezza, della coerenza, della dirittura morale del soggetto18. Tale valore può essere accostato alla virtù dell’andreia ovvero il coraggio di cui parla Platone nella Repubblica, a cui si è poi richiamata la fortitudo, una delle quattro virtù cardinali della tradizione cri- stiana; al di là dell’originaria valenza guerriera propria del combattente coraggioso,

17 S. Pearlstein, Italy’s Culture Threatens its Economic Future, in ««The Washington Post», 29 giugno 2012, <http://www.washingtonpost.com/italys-culture-threatens-its-economicfuture/2012/06/28/

gJQAM4OTBW_story.html>.

18 Per una disamina filosofico-morale del valore dell’integrity, si veda D. Cox, M. La Caze, M. Levine, Integrity, in «The Stanford Encyclopedia of Philosophy» (Fall 2013 Edition), E. N. Zalta (ed. by),

<http://plato.stanford.edu/archives/fall2013/entries/integrity/>.

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l’andreia/fortitudo consiste nel mantenersi saldi nelle proprie convinzioni, a fronte anche di pressioni, condizionamenti, ricatti e, nel nostro caso, tentativi di corruzio- ne; essa esprime la consapevolezza del valore della propria dignità personale e persino la fierezza dell’essere uno spirito libero.

La dimensione personale dell’integrity non è certo sufficiente a contrastare la corruzione; se, come si è detto, questa presenta un doppio volto, personale e siste- mico, anche i mezzi di contrasto al suo diffondersi dovranno articolarsi su un dupli- ce livello. Oltre quindi alla responsabilizzazione personale, ci vogliono buone leggi, chiare, efficaci, che prevedano sanzioni adeguate e che siano fatte rispettare. Non è compito di questo saggio entrare più direttamente nel merito di una valutazione dei provvedimenti legislativi già assunti o da assumere. Si può discutere dell’opportunità e della efficacia di dispositivi concernenti l’inasprimento delle pene, la confisca dei beni, la restituzione del maltolto, l’allungamento della prescrizione, l’introduzione del whistleblowing, e soprattutto delle soluzioni applicative più idonee. Il tutto però dovrebbe rendere conto di un requisito e mettere in guardia da due possibili rischi.

Il requisito in questione riguarda il tema della prevenzione19, che indubbiamente costituisce uno degli elementi distintivi della legge 190/2012. Come ricordato in precedenza, la stessa mission dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione è volta a mette- re in atto gli strumenti idonei per prevenire la corruzione, attraverso la trasparenza e adeguati controlli amministrativi, che auspicabilmente permettano di evitare il reato;

un altro strumento attraverso il quale favorire una cultura di prevenzione del reato può essere rappresentato dall’adozione di codici deontologici di comportamento: la loro forza normativa e sanzionatoria è senz’altro debole, per lo meno se confrontata con quella delle norme penali, ma essi possono svolgere una funzione preziosa in termini formativi e culturali20. I due rischi concernono invece la proliferazione delle leggi e la burocratizzazione. In merito al primo rischio, già Tacito metteva in guardia dalla moltiplicazione delle leggi21: di fronte al marasma delle prescrizioni normative si dissolve la certezza del diritto, si legittimano le scorciatoie interpretative (ed elusi- ve), si giustificano i comportamenti borderline, si lascia insomma libero campo alle pressioni dei gruppi d’interesse più spregiudicati, che influenzano potentemente la produzione legislativa ai diversi livelli. L’altro rischio è quello della burocratizzazione, che può tradursi in un appesantimento formalistico di controlli e verifiche, se non addirittura in un implicito sostegno alla pratica corruttiva, conformemente al più

19 Si vedano al riguardo B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione: i profili amministrativistici, in A. Del Vecchio, P. Severino (a cura di), Il contrasto alla corruzione nel diritto interno e nel diritto inter- nazionale, Cedam, Padova 2014, p. 301; D. Neu et al., Preventing Corruption within Government Pro- curement: Constructing the Disciplined and Ethical Subject, «Critical Perspectives Accounting», (2015),

<http://dx.doi.org/10.1016/j.cpa.2014.03.012>.

20 Cfr. E. D’Alterio, Le regole di comportamento dei dipendenti pubblici, in Del Vecchio - Severino (a cura di), Il contrasto alla corruzione nel diritto interno e nel diritto internazionale, p. 307.

21 Corruptissima republica plurimae leges (Tacito, Annales, III, 27).

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classico meccanismo di eterogenesi dei fini22.

Affiora nuovamente il criterio della circolarità: le buone leggi promuovono e sostengono le virtù civiche, ma nel contempo esse ne sono anche il prodotto. È illu- sorio immaginare che interventi legislativi, non adeguatamente sostenuti da un’etica civile da parte dei singoli, possano risultare risolutivi nei confronti della corruzione, e del resto sarebbe pretenzioso affidare questo compito esclusivamente alla testimo- nianza personale, benché nobile e meritoria. Le buone leggi sono dunque nel con- tempo effetto e causa delle virtù civiche.

È davvero singolare che proprio la tradizione di pensiero politico italiana su que- sto punto, della rilevanza dell’intreccio di leggi e virtù, abbia fornito un contributo di prim’ordine, al quale si sono ispirati gli stessi padri costituenti americani, a co- minciare da Thomas Jefferson. Mi riferisco al cosiddetto repubblicanesimo, che ha trovato nel Machiavelli dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (più che del Principe) uno dei più lucidi teorizzatori23. Per Machiavelli l’ordinamento repubbli- cano è in grado di garantire la libertà, ma perché questa sia reale, la città non deve essere corrotta, il che significa che il popolo deve rispettare le leggi e impegnarsi per salvaguardare il bene pubblico. Se ciò non avviene, se il popolo viola le leggi e pri- vilegia i propri interessi particolaristici su quelli pubblici, si diffondono corruzione e disonestà e allora la repubblica viene meno, lasciando il passo alla «prolungazione delli imperii»24 ovvero a un regime forte incentrato sul potere del principe.

Nella teoria repubblicana, la legge non rappresenta una limitazione della libertà, ma la sua condizione di possibilità. Vi è un passo di Cicerone, molto amato dalla tradizione repubblicana rinascimentale e moderna: «siamo tutti servi delle leggi per poter essere liberi»25. L’assoggettarsi alla legge permette di essere liberi, perché con- sente di evitare l’assoggettamento alla volontà arbitraria di alcuni uomini. Per questo le leggi devono essere più forti degli uomini: solo così esse costituiscono una garanzia contro possibili arbitrii e abusi da parte di singoli e gruppi. La libertà, a sua volta, è alimentata dalla virtù repubblicana; in altri termini, essa non è data una volta per tutte, e per questo va custodita e difesa giorno per giorno, attraverso l’impegno e la partecipazione dei cittadini26.

22 A proposito dell’inchiesta che ha interessato il Comune di Roma, Raffaele Cantone ha parlato addirit- tura della burocrazia come del «vero moltiplicatore della corruzione». Ecco una sintesi della sua analisi:

«Quella di Roma in generale è una situazione complessa, perché c’è una quantità di potere e di realtà amministrative che non esiste altrove in Italia. Nella capitale è più facile che si inneschino i meccanismi dell’illecito, perché la burocrazia, nata per controllare la vita pubblica, è paradossalmente diventata il vero moltiplicatore della corruzione», (R. Cantone, Il male italiano. Liberarsi dalla corruzione per cam- biare il Paese, intervista raccolta da G. Di Feo, Rizzoli, Milano 2015, p. 74).

23 N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, a cura di F. Bausi, Salerno-Roma 2001, voll. 1-2, cap. I, p. 18; cfr. anche cap. I, p. 17.

24 Ivi, cap. III, p. 24 e più in generale cap. III, p. 25.

25 Cicerone, Pro Cluentio, p. 146.

26 Machiavelli, Discorsi, cit., cap. II, p. 2.

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5. Conclusione. Alì Babà e i quaranta ladroni: ancora sul circolo vizioso di corruzione e illegalità

Concludo con un aneddoto. Mi è capitato più volte di acquistare il pane in un negozio vicino a casa mia, benché provassi un certo disagio nel constatare che le com- messe fossero piuttosto restie a rilasciare, a pagamento avvenuto, lo scontrino fiscale.

Per questo motivo, e probabilmente sollevando un moto di fastidio ben dissimulato dalle mie interlocutrici, ho sempre chiesto gentilmente, ma con fermezza, che mi venisse consegnato lo scontrino. Un giorno trovo affisso in panetteria un cartello, con la seguente frase: «Alle prossime elezioni votate la lista di Alì Babà, così almeno siete sicuri che i ladroni sono solo quaranta». Non ho saputo resistere alla provocazione e alle commesse ho espresso dei giudizi molto critici bollando come volgare il cartello.

Esso nasconde tutta una serie di pregiudizi che fungono poi da alibi per giustificare il proprio comportamento disonesto: vi è il pregiudizio che i politici siano tutti corrot- ti; vi è poi quello che i non politici siano invece puri e immacolati; si attiva inoltre un dispositivo autoassolutorio per cui gli altri (i politici) sono ladri, ma non noi stessi, anche se frodiamo lo Stato. Questo mix micidiale di moralismo peloso, di fariseismo e di disonestà personale, più o meno piccola, non fa che alimentare un humus fertile per il radicarsi del malcostume, dell’illegalità, della corruttela.

Del resto, la continua e diffusa pratica di non emettere lo scontrino fiscale, in quanto forma di illegalità, presenta delle analogie indubbie con la pratica corruttiva.

Vi ritroviamo l’elemento sistemico, in forza del quale tale comportamento viene abbondantemente giustificato, per esempio per tenere in piedi l’attività commerciale o per non soccombere alla concorrenza, che ugualmente ricorre a tali espedienti. La diffusione massiccia di tale pratica fa sì che si offuschi il giudizio di illegalità e di nuo- vo si consideri come del tutto marginale o persino inesistente la responsabilità perso- nale. Anche qui scatta un meccanismo di complicità tra l’esercente che non emette lo scontrino e il cliente, anche se ovviamente ciò avviene per lo più in modo tacito e non intenzionale, mentre nel caso assai più grave della corruzione il rapporto tra i soggetti è esplicito e voluto. La responsabilità del cliente poi è relativa e non parago- nabile a quella dell’esercente, e può essere dettata da motivi vari (inconsapevolezza, fretta, indifferenza, desiderio di evitare noie). Tale pratica, tuttavia, non presenta il carattere nascosto tipico della corruzione; inoltre essa non danneggia solo persone terze: lo stesso cliente, in quanto cittadino e contribuente, subisce un danno, solo che questo è indiretto, non facilmente quantificabile, né immediatamente percepibile; a volte, persino, specie per cifre più consistenti, la percezione è di averne un beneficio immediato, attraverso un «aggiustamento», reso possibile dall’evasione fiscale, del costo della prestazione o del bene acquistato.

La circolarità di illegalità e corruzione richiama per contrasto quella evocata poc’anzi, con riferimento alla nostra tradizione del repubblicanesimo e ancor pri-

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ma dell’Umanesimo civile, di leggi e virtù; tali circolarità, in negativo e in positivo, sono espressione di quella duplicità di aspetti, personale e sistemico, etico-politico e giuridico, che si intessono tra loro, mescolandosi e definendo l’ethos. Di conseguen- za la lotta alla corruzione, per essere efficace, richiede una vera e propria metanoia culturale e morale, già a partire dai comportamenti quotidiani di ciascuno di noi, perché i compari di Alì Babà sono senz’altro ben più di quaranta, e a volte nasce anzi il sospetto che siano milioni.

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Alle radici della corruzione sistemica

Sommario: 1. Introduzione: la corruzione e i suoi costi. – 2. Alcuni indicatori quantitativi di diffusione della corruzione in Italia. – 3. Le radici della corruzione sistemica. – 4. Corruzione e amministrazione pubblica: alcune aree sensibili. – 4.1. Gli appalti. – 4.2. Il governo del territorio. – 4.3. Il sistema dei controlli. – 5. Osservazioni conclusive: ostacoli e ritardi nell’attuazione delle politiche anticorruzione.

1. Introduzione: la corruzione e i suoi costi

La pratica della corruzione è qualificata come reato e sanzionata in tutti gli ordi- namenti giuridici contemporanei, ma i confini delle condotte corrispondenti variano anche in misura significativa in relazione ai contenuti particolari delle disposizioni che specificano le varie fattispecie. Come osserva Pizzorno (1992, p.14), qualsiasi organizzazione pubblica distingue tra fonti di potere interno, nel caso dello Stato dato dal controllo degli atti dell’autorità politica legale, e fonti di potere esterno, de- rivante dal controllo delle risorse prodotte dal mercato, ovvero dalla capacità di rap- presentare identità collettive: «Ogni sistema politico segna con norme appropriate la linea che separa l’operare del potere interno da quello del potere esterno, i comandi dell’autorità dalle esigenze private. La corruzione viene allora definita come l’attività che tende a oltrepassare, o alterare, tale linea».

Esiste però in ogni paese un certo margine di ambiguità nel tracciare tale linea, vale a dire nell’inquadramento giuridico di una serie di attività dei funzionari pub- blici e dei portatori di interessi privati che, pur configurando una qualche forma di

«corruzione» – in senso ampio – nel funzionamento di organizzazioni che dovrebbe- ro porsi a tutela di interessi generali, per le loro caratteristiche finiscono per sfuggire all’azione repressiva degli inquirenti e della magistratura. Ad ampliare questa «forbi- ce» tra pratica «sostanziale» della corruzione ed area di perseguibilità delle corrispon- denti condotte contribuiscono almeno due fattori: l’inadeguatezza delle norme del codice penale (talora lacunose, confuse, ambigue, contraddittorie, etc.) e i processi di

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apprendimento osservabili nell’universo della corruzione sistemica, che permettono ai suoi protagonisti di mettere in campo un repertorio più sofisticato di strumenti di dissimulazione delle loro condotte illecite, esemplificato nel caso italiano delle formule delle «tangenti pulite e fatturate» citate in un’intercettazione relativa alla co- siddetta «cricca della protezione civile»1, ovvero della «corruzione a norma di legge»

che avrebbe contraddistinto gli appalti della vicenda Mose e di altre grandi opere2. A questi limiti delle categorie del diritto cerca di ovviare il piano nazionale anti- corruzione (PNA), che nella sua prima versione specifica che, in quanto strumento finalizzato alla prevenzione, il concetto di corruzione preso a riferimento «ha un’ac- cezione ampia. Esso è comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. Le situazioni rilevanti sono più ampie della fattispecie pe- nalistica (...) e sono tali da comprendere (...) anche le situazioni in cui – a prescindere dalla rilevanza penale - venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministra- zione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite ovvero l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo»3. Un aggiornamento del PNA articola ulteriormen- te tale concetto, precisando che la definizione adottata non coincide con quella rica- vabile dalle fattispecie penali, bensì con quella di «maladministration», intesa come:

«assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di de- terminazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche) devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari. Occorre, cioè, avere riguardo ad atti e comportamenti che, anche se non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico e pregiudicano l’affidamento dei cittadini nell’imparzialità delle amministrazioni e dei soggetti che svolgono attività di pubblico interesse»4.

Quali che siano le fattispecie previste dal codice penale, infatti, la corruzione è stata qualificata dalla Commissione di studio istituita nel 1996 dalla Camera dei deputati come «una forma di accordo fra una minoranza allo scopo di appropriarsi di beni che spettano alla maggioranza della popolazione, considerata questa, o come insieme di consumatori, o come insieme di cittadini elettori. Poiché i danni in ter- mini di consumo, o in termini di domanda politica, si ripartiscono su di un’ampia popolazione (che, inoltre, è poco ascoltata), essi tendono a venir giudicati irrilevanti da coloro che perpetrano atti corrotti» (Camera dei deputati 1996, p.7)5. In altri

1 La Repubblica, 22 febbraio 2010.

2 Cfr. G. Barbieri, F. Giavazzi, Corruzione a norma di legge, Rizzoli, Milano 2014.

3 Cfr. Piano nazionale anticorruzione - PNA, 2012, p. 13, in <http://www.funzionepubblica.gov.it/

media/1092881/p_n_a.pdf>.

4 Cfr. ANAC, Aggiornamento 2015 del Piano nazionale anticorruzione, determinazione n.12 del 28 otto- bre 2015, p. 7, in <http://www.anticorruzione.it>.

5 Cfr. Camera dei deputati, Commissione di studio per la prevenzione della corruzione, Rapporto al Presidente della Camera, ottobre 1996, p. 7.

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termini, la corruzione è espressione di un accordo tra pochi per depredare i beni co- muni, che vengono espropriati alla collettività – e in prima istanza soprattutto a chi avrebbe necessità di esercitare su di essi diritti fondamentali, come gli appartenenti alle fasce sociali disagiate – a beneficio dei componenti di queste cerchie, variamente denominate «cricche», «comitati d’affari», o altro. Gli artefici di tali attività pongono dunque in essere una privatizzazione di fatto dei diritti collettivi su risorse pubbliche, dei quali è stata affidata loro in via fiduciaria la gestione o la regolazione, tramite forme di utilizzo o di allocazione regolate da norme e procedure, appropriandosene in forma talora illegale, ma comunque non dichiarabile (visto il danno perpetrato agli interessi collettivi), e di conseguenza occulta. Si genera così una radicale nega- zione del principio di uguaglianza sancito dallo stato di diritto, che si rovescia in una sorta di «sogno neoliberista» a vantaggio dei pochi che possono avvalersi di capitali,

«entrature», influenza per acquisire posizioni di rendita parassitaria, a detrimento di coloro che restano ai margini di questi circuiti opachi, tra i quali l’esclusione ampli- fica povertà e privazioni.

Questa evoluzione sotterranea della corruzione italiana si innesta dunque in una tendenza più generale di trasformazione delle relazioni tra politica/Stato e mercato, coerente con il paradigma neoliberista. Il ricorso estensivo al «libero mercato», esaltato come potenziale soluzione anche al problema della corruzione in virtù di deregola- mentazione e privatizzazioni di servizi pubblici e beni comuni, strumentali all’elimi- nazione di aree di rendita create dall’inefficiente mano pubblica, ha moltiplicato piut- tosto le occasioni di scambio occulto in nuovi contesti, dove la gestione privatistica o «liberalizzata» degli interessi pubblici – per via ufficiale, disinnescando il controllo pubblico mediante cessioni a soggetti privati, accorgimenti societari o formule gestio- nali e di affidamento (general contractor, project financing, concessioni, etc.), oppure informalmente, mettendo a libro paga i decisori pubblici – ha consentito piuttosto di incrementare oltremisura i proventi attesi ricavabili dalla corruzione.

Il danno prodotto dalla corruzione sistemica non è dunque solo economico, poiché investe la dimensione istituzionale e culturale, trasformando i diritti in merci disponibili per chi ha «potere d’acquisto» e relazioni, applicando una visione «consu- mistica» alla stessa gestione della cosa pubblica, nel convincimento sempre più dif- fuso che tutto e tutti «abbiano un prezzo». In questo universo opaco la stessa demo- crazia è inquinata in profondità, poiché i processi elettorali e la selezione della classe politica finiscono per premiare l’abilità nel tessere relazioni opache, la disponibilità all’illecito, l’efficacia nel reinvestire tangenti e finanziamenti irregolari nell’attività politica, la ricattabilità incrociata6.

I partecipanti alla corruzione suddividono tra loro – grazie al pagamento della tangente, monetaria o «in natura» – le risorse pubbliche (ad esempio il prezzo di un appalto, il controvalore di una concessione edilizia, etc.) che il corruttore ottiene

6 Cfr. A. Vannucci, Atlante della corruzione, Edizioni gruppo Abele, Torino 2012.

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dall’amministratore corrotto grazie all’esercizio di un potere pubblico, al suo manca- to impiego (omettendo o «addomesticando» attività di controllo, ad esempio), alla trasmissione di informazioni riservate.

Quanto maggiore è il controvalore delle risorse pubbliche che possono essere

«convertite» in diritti privati di proprietà (quote di bilancio, sfruttamento del ter- ritorio, posizioni monopolistiche, licenze, consenso politico o sostegno, etc.) trami- te processi decisionali soggetti a regolazione, supervisione, allocazione, garanzia di adempimento ad opera di agenti pubblici, tanto più i privati – tanto più se privi di adeguate barriere morali – hanno incentivi a cercare di influenzare gli esiti dei cor- rispondenti processi decisionali, se occorre anche pagando tangenti7. A seguito della pratica della corruzione beni comuni e risorse pubbliche sono deteriorati o sottratti alla disponibilità collettiva allo scopo di conseguire per vie riparate profitti privati a beneficio di pochi.

Tali attività scaturiscono dunque dalla persistenza di grumi di interessi opachi di cui sono portatori soggetti imprenditoriali, amministratori pubblici, professionisti, criminalità organizzata, ma anche comuni cittadini. Alla radice delle attività illegali c’è l’opportunità, per questi attori, di capitalizzare l’asimmetria nella distribuzione di costi e benefici. Infatti i vantaggi – in qualche caso consistenti – derivanti dall’ap- propriazione di risorse collettive si ripartiscono tra cerchie ristrette e coese di soggetti consapevoli, spesso organizzati, che hanno il potere o l’autorità di scoraggiare l’ado- zione di misure di contrasto.

Le ricadute negative si distribuiscono invece in modo diffuso sull’intera comu- nità, ripartite tra cittadini qualche volta inconsapevoli, di norma poco organizzati, e dunque con deboli incentivi a mobilitarsi a loro difesa. Di ciò scaturiscono, come si evidenzierà in questo contributo, le difficoltà incontrate dagli organismi di con- trollo e repressione a rilevare la presenza e a «spezzare» il patto di ferro – declinato in complicità e connivenza – che lega i partecipanti a queste attività illecite, ma anche la scarsità di denunce ad opera di soggetti esterni e la risposta spesso debole dell’opi- nione pubblica in caso di svelamento.

2. Alcuni indicatori quantitativi di diffusione della corruzione in Italia

Nell’ultimo decennio in Italia la corruzione politico-amministrativa ha manife- stato, secondo le stime convergenti di alcuni indicatori, connotazioni sistemiche e dinamiche diffusive. La natura illegale del fenomeno e l’assenza di «vittime» consa- pevoli dei corrispondenti reati, e dunque di soggetti incentivati a denunciarli, sug-

7 Cfr. D. della Porta, A. Vannucci, The hidden order of corruption, Farnham, Ashgate 2012; Centripetal versus centrifugal. A framework for the analysis of corrupt exchange and hidden governance structures, in B. Rothstein (a cura di), Theories of corruption, Report for the Anticorrp project, Gothenburg 2014.

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gerisce tuttavia una particolare cautela nella lettura dei dati disponibili. Accanto alle statistiche giudiziarie, che forniscono una rappresentazione della parte rilevata dagli organi di controllo e perseguita della corruzione, le informazioni sulla sua diffusio- ne sotterranea derivano principalmente da due tipi di fonti: (i) i sondaggi condotti sull’intera popolazione, relativi a esperienze od opinioni personali; (ii) gli indici fon- dati sulle percezioni di panel di esperti.

Le rilevazioni statistiche stimano la diffusione della «corruzione spicciola», fo- calizzandosi su micro-tangenti che investono l’esperienza personale di comuni cit- tadini. Confrontando il dato delle tre rilevazioni di Eurobarometro 2009, 2012 e 2014 (la domanda è se qualcuno abbia chiesto o si aspettasse il pagamento di una tangente nei 12 mesi precedenti) e le ultime due di Global Corruption Barometer 2010 e 2013 (la domanda è se qualcuno in famiglia abbia pagato una tangente nei 12 mesi precedenti per accedere a uno tra otto servizi pubblici essenziali) si riscontra nei paesi dell’Unione Europea una forte correlazione tra le diverse rilevazioni: in Italia la percentuale di risposte affermative oscilla tra il 2 e il 17 per cento (vedi figura 1), in quattro casi su cinque sensibilmente superiore alla media europea.

Oscillazioni tanto marcate in un arco temporale così breve fanno ipotizzare un forte condizionamento delle modalità di rilevazione. Secondo la rilevazione del 2014 il 9 per cento degli italiani conosce qualcuno che prende o ha preso tangenti (media UE 12 per cento), negli ultimi 12 mesi il 3 per cento ha vissuto un caso di corruzione (media EU 5), mentre il 4 per cento è stato testimone di un passaggio di tangenti (media EU 3 per cento), ma il 75 per cento non l’ha denunciato (media EU 74 per cento)8.

Un sondaggio analogo condotto su base regionale dal Quality of Government Institute (QoG) (vedi figura 2) mostra che tra il 2010 e il 2013 c’è stato un drastico incremento dei cittadini che hanno vissuto esperienze dirette di corruzione, superan- do in alcune regioni il 20 per cento: quelle maggiormente interessate sono Campa- nia, Molise, Lazio, Calabria Abruzzo e Sicilia9.

8 Cfr. European Commission – Special Eurobarometer, Corruption, February 2014, in <http://ec.europa.

eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_397_en.pdf; Flash Eurobarometer, Businesses’ attitudes towards cor- ruption in the EU, Report, February 2014, http://ec.europa.eu/public_opinion/

flash/fl_374_en.pdf>.

9 Cfr. N. Charron, V. Lapuente, B. Rothstein, (2013) Quality of Government and Corruption from a European Perspective: A Comparative Study of Good Government in EU Regions, Edward Elgar Publish- ing, London 2013.

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