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Discrimen » Regolatori del mercato, enforcement e sistema penale

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E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

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minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevo-

lezza di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto

penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche

ad approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di

fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-

dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più largo

giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza

prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione

Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni neces-

sariamente contenute, su momenti attuali o incroci particolari

degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative

spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione

il ricorrente trascorrere del “penale”.

(4)

REgOLAtORi DEL mERCAtO, enforcement

E SiStEmA pENALE

g. giAppiCHELLi EDitORE – tORiNO

(5)

iSBN/EAN 978-88-348-4997-2

I volumi pubblicati nella presente collana sono stati oggetto di procedura di doppio referaggio cieco (double blind peer review), secondo un procedimento standard concordato dai Direttori della collana con l’editore, che ne conserva la relativa documentazione.

La pubblicazione della presente ricerca si avvale del sostegno finanziario dell’U- niversità cattolica del Sacro cuore.

Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/

fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.

Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org.

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INDICE-SOMMARIO

pag.

Nota dell’Autore XI

CAPITOLO I

LA TUTELA PENALE DEL MERCATO FINANZIARIO TRA REGOLAZIONE NORMATIVA

E VIGILANZA DELL’AUTORITÀ DI CONTROLLO

1. Le ragioni dell’indagine: la necessità di affrontare l’analisi del diritto penale dei mercati finanziari gettando un ponte tra teo-

ria e prassi 1

2. L’inarrestabile finanziarizzazione dell’economia e le indicazioni

ricavabili dai recenti scandali finanziari 5 3. Il contesto normativo europeo: gli obiettivi di tutela perseguiti

dal legislatore comunitario e gli strumenti messi in campo per

difendere il mercato dai comportamenti abusivi. 28 3.1. La «Market Abuse Directive» (Direttiva n. 6/2003/CE del Par-

lamento europeo e del Consiglio) 33

3.2. La Direttiva n. 124/2003/CE della Commissione 41 3.3. La Direttiva n. 125/2003/CE della Commissione 43 3.4. Il Regolamento n. 2273/2003/CE della Commissione 44 3.5. La Direttiva n. 72/2004/CE della Commissione 46 3.6. Il terzo livello della procedura Lamfalussy: le linee guida

del CESR 49

4. Il recepimento della normativa europea in tema di market

abuse in Italia e nel Regno Unito 55

4.1. L’esperienza italiana: la legge n. 62/2005 e le disposizioni

attuative emanate dalla Consob 55

4.2. L’esperienza britannica: le modifiche al «Financial Services and Markets Act» e la normativa «secondaria» elaborata dalla

FSA 58

(7)

pag.

5. Il quarto livello della procedura Lamfalussy: le spinte verso una

nuova riforma del market abuse in ambito comunitario 62 6. La riforma della Market Abuse Directive: tante luci, poche (ma

grandi) ombre 76

6.1. Il Market Abuse Regulation (MAR): Regolamento (UE) n.

596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio 78 6.2. La Criminal Sanctions Market Abuse Directive (CSMAD):

Direttiva n. 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Con-

siglio 90

CAPITOLO II

LA TUTELA PENALE E AMMINISTRATIVA DAGLI ABUSI DI MERCATO IN ITALIA:

L’INSIDER TRADING E LA MANIPOLAZIONE DEL MERCATO

1. L’evoluzione storica del reato di abuso di informazioni privile-

giate 101

2. L’illecito penale (art. 184 TUF) 108

2.1. La nozione di informazione privilegiata 113 2.2. L’ambito di soggettività attiva del reato 128 2.3. L’elemento oggettivo e quello psicologico del delitto 134

2.4. L’apparato sanzionatorio 147

3. L’illecito amministrativo (art. 187 bis TUF) 153 4. Uno sguardo all’esperienza britannica: la disciplina penale e

amministrativa dell’insider dealing 159 5. L’evoluzione storica del reato di manipolazione del mercato e i

rapporti con i reati di aggiotaggio 166

6. L’illecito penale (art. 185 TUF) 170

6.1. Il bene giuridico oggetto di tutela e la natura plurioffen-

siva del reato 171

6.2. Le condotte di manipolazione del mercato 174 6.3. Il pericolo concreto di alterazione del prezzo di strumenti

finanziari 193 6.4. Il momento consumativo del reato e l’apparato sanziona-

torio 200

7. L’illecito amministrativo (art. 187 ter TUF) 205 8. Il sistema sanzionatorio degli abusi di mercato e le frizioni con

il principio del ne bis in idem: il caso Grande Stevens vs. Italia 218

(8)

pag.

9. I safe harbours previsti dall’art. 183 TUF e le prassi di mercato

ammesse, al confine tra esclusione del tipo e dell’antigiuridicità 231 10. La market manipulation nell’ordinamento britannico 248

CAPITOLO III

IL MODELLO ITALIANO DI ENFORCEMENT NEI MERCATI FINANZIARI:

IL RUOLO E I POTERI DELLA CONSOB NEL CONTRASTO AGLI ABUSI DI MERCATO

1. La Consob nel quadro delle authorities: uno sguardo d’insieme 255 2. L’istituzione della Consob e la successiva evoluzione normativa 261

3. La struttura della Consob 268

4. I poteri della Consob: un inquadramento generale 273

5. La potestà regolamentare 280

5.1. L’attività regolamentare della Consob nella prevenzione

dei fatti di market abuse 286 5.2. La comunicazione delle informazioni privilegiate e l’isti-

tuzione del registro delle persone che vi hanno accesso 287

5.3. La regolamentazione dell’internal dealing 296 5.4 L’individuazione delle anomalie di mercato: detection,

segnalazione di operazioni sospette, esposti 297 5.5. La gestione dei rumours e la disciplina degli studi e delle

ricerche in materia finanziaria 304

5.6. Le misure di carattere privatistico: grey lists, restricted

lists, trading windows e Chinese walls 309

6. I poteri di accertamento 311

7. I poteri sanzionatori 325

8. La progressiva «responsabilizzazione» della Consob 347 9. La tutela penale dell’attività della Commissione 355 10. La Consob come parte civile, iuris et de iure, nei processi per

reati di market abuse: un’aporia insuperabile 363 11. La commistione di ruoli della Consob: un modello da rivedere 370

(9)

pag.

CAPITOLO IV

IL MODELLO ANGLOSASSONE DI ENFORCEMENT NEI MERCATI FINANZIARI:

L’ESPERIENZA DELLA FCA E DELLA SEC E LE INDICAZIONI RICAVABILI PER L’ORDINAMENTO ITALIANO

1. Il sistema della vigilanza sui mercati in Gran Bretagna: dalla

segmentazione alla nascita (e al tramonto) della FSA 376 1.1. I compiti della FSA e il ruolo centrale del dialogo con il

mercato 378 1.2. Il tramonto del regolatore unico: la nascita della Financial

Conduct Authority e della Prudential Regulation Authority 382 1.3. L’organizzazione interna della FCA e l’approvvigiona-

mento finanziario 383

2. L’attività di prevenzione degli abusi di mercato 389

2.1 La detection sul mercato e le «Market cleanliness statistics» 391 2.2. La disciplina in materia di segnalazione delle operazioni

sospette 393

3. L’attività di enforcement 394 3.1. I poteri investigativi e la conduzione delle indagini 395

3.2. Il potere decisorio e la figura, terza e imparziale, del Reg-

ulatory Decisions Committee 399 3.3. L’irrogazione della sanzione e la pratica alternatività tra

enforcement e criminal prosecution 400 4. La tutela giurisdizionale contro i provvedimenti della FCA 404 5. La nascita, l’organizzazione e i compiti della SEC 405 5.1. Dal Black Tuesday alla nascita della Securities and Exchange

Commission 405 5.2. La struttura organizzativa della SEC 407

5.3. I compiti della SEC e l’apparato normativo di riferimento 411 6. La SEC tra Mark Twain e Isaac Newton 415

6.1. Gli scandali di inizio millennio e il Sarbanes-Oxley Act 419 6.2. La crisi finanziaria e il Dodd Frank Wall Street Reform and

Consumer Protection Act 423 6.3 Il caso Madoff e le post-Madoff reforms della SEC 427

7. L’attività di enforcement della SEC: procedura investigativa, de-

cisoria e sanzionatoria 434

7.1. La fase investigativa: matters under inquiry, informal e for-

mal investigations 435

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pag.

7.2. Il c.d. «Wells Process» 440 7.3. La fase decisoria e sanzionatoria: civil action e/o administra-

tive proceeding 443 8. Le indicazioni ricavabili per l’ordinamento italiano 449

INDICE BIBLIOGRAFICO 453

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(12)

NOTA DELL’AUTORE

L’idea di questo lavoro di ricerca è nata qualche anno fa da una felice intuizione del prof. Mario Romano, nel corso di una delle no- stre frequenti chiacchierate nel suo studio dell’Istituto Giuridico dell’Università Cattolica: a lui, che mi ha sostenuto lungo tutto lo sviluppo dell’indagine, fornendomi continuamente spunti, suggeri- menti e sollecitazioni per me preziosissime, va il mio più sincero e affettuoso ringraziamento, insieme alla gratitudine per avermi fatto da guida e avermi trasmesso, nel corso degli anni, gli strumenti in- dispensabili per affrontare con serietà gli impegni didattici e di ri- cerca.

Un altro pensiero riconoscente non può che essere dedicato ai Colleghi penalisti della mia università – Gabrio Forti, Marta Bertoli- no, Luciano Eusebi, Francesco Centonze – per il loro sostegno e le fruttuose occasioni di confronto, che riempiono di senso autentico, al di là delle inveterate consuetudini accademiche, la nostra comune appartenenza a una Scuola.

Anche ai giovani collaboratori delle cattedre penalistiche dell’Uni- versità Cattolica – e in particolare ai dottori Alain Dell’Osso ed Ennio Alagia, che più da vicino mi hanno accompagnato, con impagabile entusiasmo e osservazioni sempre acute, nell’edizione di questo vo- lume – va un sentito ringraziamento per l’ausilio prestato nelle ordi- narie attività accademiche, condizione imprescindibile per dedicare il giusto tempo all’attività di ricerca.

Da ultimo, voglio ringraziare tutte quelle persone, idealmente in cima ai miei pensieri, senza le quali il mio percorso umano e scienti- fico sarebbe stato di gran lunga più accidentato e meno gratificante:

sarebbe sforzo improbo citarle una per una, per cui spero che mi perdoneranno se, ancora una volta, mi limiterò a menzionare soltan- to il mio compianto Maestro, il prof. Federico Stella – il cui ricordo non sbiadisce al passare del tempo e segna indelebilmente la strada da percorrere, costituendo l’ispirazione ideale più genuina della mia attività di insegnamento e ricerca – e i miei familiari, specialmente

(13)

mio padre e la piccola Anna, venuta da poco a dare un senso nuovo alla vita. È a lei, con infinito amore, che dedico questo libro.

Milano, 31 agosto 2014

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C

APITOLO

I

LA TUTELA PENALE DEL MERCATO FINANZIARIO TRA REGOLAZIONE NORMATIVA E

VIGILANZA DELL’AUTORITÀ DI CONTROLLO

SOMMARIO:1. Le ragioni dell’indagine: la necessità di affrontare l’analisi del dirit- to penale dei mercati finanziari gettando un ponte tra teoria e prassi. – 2.

L’inarrestabile finanziarizzazione dell’economia e le indicazioni ricavabili dai recenti scandali finanziari. – 3. Il contesto normativo europeo: gli obiettivi di tutela perseguiti dal legislatore comunitario e gli strumenti messi in campo per difendere il mercato dai comportamenti abusivi. – 3.1. La «Market Abuse Directive» (Direttiva n. 6/2003/CE del Parlamento europeo e del Consiglio). – 3.2. La Direttiva n. 124/2003/CE della Commissione. – 3.3. La Direttiva n.

125/2003/CE della Commissione. – 3.4. Il Regolamento n. 2273/2003/CE della Commissione. – 3.5. La Direttiva n. 72/2004/CE della Commissione. – 3.6. Il terzo livello della procedura Lamfalussy: le linee guida del CESR. – 4. Il rece- pimento della normativa europea in tema di market abuse in Italia e nel Re- gno Unito. – 4.1. L’esperienza italiana: la legge n. 62/2005 e le disposizioni at- tuative emanate dalla Consob. – 4.2. L’esperienza britannica: le modifiche al

«Financial Services and Markets Act» e la normativa «secondaria» elaborata dalla FSA. – 5. Il quarto livello della procedura Lamfalussy: le spinte verso una nuova riforma del market abuse in ambito comunitario. – 6. La riforma della Market Abuse Directive: tante luci, poche (ma grandi) ombre. – 6.1. Il Market Abuse Regulation (MAR): Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento eu- ropeo e del Consiglio. – 6.2. La Criminal Sanctions Market Abuse Directive (CSMAD): Direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio.

1. Le ragioni dell’indagine: la necessità di affrontare l’analisi del diritto penale dei mercati finanziari gettando un ponte tra teoria e prassi

Nella produzione letteraria della dottrina giuridica degli ultimi an- ni, sono numerosi i contributi che hanno focalizzato l’attenzione su al- cuni degli aspetti più interessanti della regolamentazione dei mercati finanziari, tanto in chiave normativa, quanto in chiave amministrativa.

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In tutti questi elaborati, lo sforzo di riflessione – condotto indi- stintamente sul terreno del diritto civile, penale e amministrativo – ha sempre utilizzato, come base di partenza, la constatazione posta correttamente in luce da Guido Rossi, secondo cui «la crisi dell’im- presa e dei mercati finanziari attuali che sta sconvolgendo l’economia mondiale pone un interrogativo che, anche se non sempre esplicito, è comunque alla base di tutte le spiegazioni di giuristi ed economisti, nonché della frenetica attività legislativa che ha attraversato tutti gli ordinamenti. La domanda è: le leggi che c’erano e quelle di recente introdotte servono e bastano?»1.

Nel rispondere, concordemente a quanto ritiene anche chi scrive, che «law matters», lo studioso segnala come «prima ancora di sapere se queste leggi e quelle precedenti sono sufficienti ad arginare la crisi (…) è indispensabile avere un quadro dell’effettività, cioè l’applica- zione concreta delle leggi, insomma l’enforcement». Ciò perché, per quanto esaustiva e approfondita possa essere l’analisi del dato nor- mativo disponibile, essa condurrà sempre a conclusioni precarie e scarsamente soddisfacenti, qualora sia scollegata dall’esame del mo- mento applicativo di quelle norme: in un contesto, come quello del diritto dei mercati finanziari, dove i livelli di enforcement sono pluri- mi e affidati a organi diversi, con l’intervento tanto del potere giudizia- rio quanto di quello lato sensu esecutivo (attraverso la figura delle Au- torità di vigilanza), la questione diventa poi assolutamente cruciale.

Del resto, se è vero – e anche su questo punto non si può che con- dividere l’analisi di Rossi – che la reale «garanzia dell’efficienza dei mercati finanziari e della tutela delle minoranze passa soprattutto at- traverso il rafforzamento dei poteri delle Autorità di vigilanza»2, allo- ra è anche necessario interrogarsi sull’assetto e sui compiti di tali au- torità, verificando se la situazione italiana, rispetto a quella delle realtà più avanzate del capitalismo moderno, sia complessivamente accettabile o se invece necessiti (e, nel caso, in quali punti) di essere rivista e perfezionata.

I problemi e la posta in gioco, infatti, sono di portata straordina- riamente alta: la globalizzazione dell’economia, tratto distintivo del- l’attuale assetto dell’evoluzione dei mercati, determina necessaria- mente un continuo confronto tra ordinamenti (e corrispondenti for- me di regolazione normativa) tra loro anche molto eterogenei, che non risparmia nemmeno il settore del diritto penale, tradizionalmen-

1G. ROSSI, Prefazione al volume di P. STELLA, L’enforcement nei mercati fi- nanziari, Milano, 2008, p. VII.

2G. ROSSI, Prefazione, cit., p. XI.

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te il più refrattario ad aprirsi verso forme di condivisione degli ambiti di potestà legislativa. Non si tratta, semplicemente, del fenomeno già ampiamente sperimentato che identifica nella produzione normativa comunitaria – la quale, come si vedrà, riveste comunque un’impor- tanza primaria anche in questo campo – una delle forze più dirom- penti con le quali gli ordinamenti statali europei devono quotidiana- mente fare i conti: il problema, qui, è quello di una regolamentazione dei mercati che – per non far perdere competitività ai sistemi econo- mici nazionali – si modella progressivamente in base a criteri ed esi- genze veicolati direttamente dal contesto (giuridico ed economico) globalizzato.

Come è stato correttamente osservato, «le raccomandazioni, le comunicazioni e le linee guida elaborate dalle organizzazioni econo- miche internazionali hanno la forma del soft law, ma si ripercuotono sui sistemi nazionali con la forma dell’hard law»3: gli ordinamenti che non vi si adeguano, infatti, sono destinati ad essere messi ai mar- gini del mercato globale, attraverso severi meccanismi sanzionatori che non si manifestano sul terreno giuridico, bensì si sviluppano su quello economico, sotto forma di giudizi negativi da parte delle agen- zie di rating, attacchi speculativi nei confronti delle valute e dei titoli di Stato o massicce campagne di disimpegno finanziario da parte de- gli attori protagonisti del mondo economico attuale, quali fondi d’investimento istituzionali e organismi di gestione del risparmio col- lettivo.

Il risultato, in questo genere di situazioni, è presto descritto: le conseguenze pregiudizievoli, sul piano economico, della non omolo- gazione agli standard normativi richiesti dai mercati sono tanto si- gnificative da rendere sostanzialmente vincolante l’adeguamento della legislazione nazionale alle regole ritenute necessarie, nella prassi, da- gli operatori. In particolare, le dimensioni assolutamente preponde- ranti che – nell’ambito del mercato finanziario globale – sono oggi assunte dalla realtà statunitense e britannica, con le piazze borsisti- che di New York e Londra che rappresentano il punto di riferimento obbligato per tutti i sistemi economici del mondo, rende inevitabile il raffronto con le scelte, gli orientamenti e le linee di evoluzione nor- mativa che, in tali contesti, sono stati sviluppati.

Ecco perché si è ritenuto, nell’elaborazione di questa indagine, di privilegiare il confronto con la situazione dell’ordinamento america- no e inglese, soprattutto in relazione alla disciplina delle Autorità di

3F.CONSULICH, La giustizia e il mercato. Miti e realtà di una tutela penale del- l’investimento immobiliare, Milano, 2010, p. 11.

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vigilanza che operano sui mercati finanziari: gli schemi che sono sta- ti elaborati nell’ambito dei sistemi giuridici anglosassoni, infatti, da un lato costituiscono un termine di paragone estremamente interes- sante – se non altro per il fatto che governano i sistemi economici più complessi e avanzati al mondo – e dall’altro rappresentano il modello ideale al quale anche il legislatore comunitario, nel dettare la disci- plina giuridica e sanzionatoria dei fenomeni di abuso di mercato, si è apertamente ispirato, in ossequio all’idea, sottesa a tutti i sistemi di common law, che le norme dettate in materia economica debbano svolgere il ruolo di strumenti di facilitazione delle trattative commer- ciali degli operatori privati.

Il confronto tra le funzioni e i compiti che, nel contesto statuni- tense e britannico, sono rispettivamente assegnati alla Securities Ex- change Commission (SEC) e alla Financial Conduct Authority (FCA) e quelli che, nel sistema giuridico italiano, sono attribuiti alla Consob, fornisce infatti utilissimi spunti di riflessione all’interprete, nell’ottica di una possibile riforma volta a razionalizzare alcune gravi incon- gruenze insite nell’attuale disciplina nostrana.

Prima ancora, però, tale confronto risulta determinante per getta- re finalmente un ponte tra teoria e prassi, verificando come il diritto normativamente enunciato si atteggi una volta che, calato nella realtà economica oggetto di disciplina, si trasformi in autentico law in ac- tion. Il momento pratico-applicativo dell’enforcement, infatti, rappre- senta la più affidabile cartina di tornasole per valutare l’effettività dei sistemi di regolamentazione normativa e, conseguentemente, arric- chisce l’analisi giuridica di ulteriori livelli di riflessione, fornendo preziose chiavi di lettura, ancor prima che per l’elaborazione di pos- sibili prospettive di riforma, già per l’interpretazione delle norme vi- genti.

Proprio in virtù di queste considerazioni, l’indagine che ci si ap- presta a condurre si concentrerà sulla reale capacità che la legisla- zione penale in tema di abusi di mercato, da un lato, e l’attività di en- forcement condotta dalle Autorità di vigilanza, dall’altro, dimostrano in merito all’obiettivo di assicurare il corretto funzionamento del mercato e, in definitiva, condizioni di adeguata sicurezza per tutti gli operatori che al suo interno si trovano ad agire.

Una ricerca di questo contenuto, a tutt’oggi, non sembra essere ancora stata compiutamente condotta, almeno sul terreno del diritto penale4: se, da un lato, non sono mancate, negli ultimi anni, indagini

4Sul terreno del diritto commerciale, cfr. ampiamente P. STELLA, L’enforce- ment nei mercati finanziari, cit., passim, che dopo aver esaminato il ruolo dell’at-

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pregevoli sul tema dei controlli societari5, e se, dall’altro lato, sono stati condotti diversi studi approfonditi sulle norme poste a tutela del mercato finanziario6 e sulla problematica figura delle autorità indi- pendenti7, ciò che sembra essere ancora privo di adeguata attenzio- ne, nell’elaborazione degli interpreti, è il complesso intreccio di tutti questi profili, specialmente se presi in esame dal peculiare punto di osservazione rappresentato dalle dinamiche di enforcement che con- notano la regolamentazione dei mercati finanziari.

Su tale aggrovigliato coacervo di problemi cercherà di gettare una luce questa ricerca, nel tentativo di fornire al lettore gli elementi ne- cessari per valutare se, e in che misura, il sistema sanzionatorio pe- nale-amministrativo attualmente posto a presidio del corretto funzio- namento del mercato finanziario, rappresenti un’adeguata risposta, tanto in chiave preventiva quanto in ottica repressiva, nei confronti di quei comportamenti illeciti che, minando la fiducia degli operatori rispettosi delle regole, mettono a repentaglio la tenuta stessa del si- stema economico.

2. L’inarrestabile finanziarizzazione dell’economia e le indica- zioni ricavabili dai recenti scandali finanziari

Il primo passo da compiere, nell’avviare l’attività di ricerca appena descritta, è quello di delimitare i confini della realtà empirica di rife-

tore pubblico nel processo di regolamentazione dei mercati finanziari si sofferma in particolare sui rimedi messi a disposizione dell’attore privato, attraverso l’isti- tuto della class action (p. 233 ss.).

5Si vedano, in particolare, gli studi monografici di F.CENTONZE, Controlli so- cietari e responsabilità penale, Milano, 2010; A. NISCO,Controlli sul mercato finan- ziario e responsabilità penale. Posizioni di garanzia e tutela del risparmio; Bologna, 2009; N.PISANI,Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni:

posizioni di garanzia societaria e poteri giuridici di impedimento, Milano, 2003.

6F.CONSULICH, La giustizia e il mercato, cit., passim; E.AMATI, Abusi di mer- cato e sistema penale, Torino, 2012; M.B. MAGRO,Manipolazioni dei mercati finan- ziari e diritto penale. Una critica al modello di razionalità economica, Milano, 2012;

G.LOSAPPIO, Risparmio, funzioni di vigilanza e diritto penale. Lineamenti di un sot- tosistema, Bari, 2004.

7D.NOTARO,Autorità indipendenti e norma penale. La crisi del principio di le- galità nello Stato policentrico, Torino, 2010; in ambito non strettamente penalisti- co, sui compiti della Consob, cfr. W.TROISE MANGONI,Il potere sanzionatorio del- la Consob. Profili procedimentali e strumentalità rispetto alla funzione regolatoria, Milano, 2012; M.POTO, Le Autorità di vigilanza sul mercato mobiliare. I custodi incustoditi, Napoli, 2008.

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rimento, così da individuarne le caratteristiche più pregnanti e sotto- porle, successivamente, al confronto con la disciplina giuridica chia- mata a regolarne gli sviluppi.

Nell’affrontare tale analisi preliminare dei mercati finanziari8 – che costituiscono, per l’appunto, l’ambito fenomenologico oggetto di osservazione – si deve innanzi tutto segnalare come il mondo della finanza sia ormai inscindibilmente collegato alla c.d. economia reale, incidendo profondamente sui suoi equilibri e contribuendo in manie- ra decisiva alla valutazione dello stato di salute complessivo dei siste- mi economici. Tale legame emerge in maniera nettissima già sempli- cemente osservando come le imprese – specialmente nella congiun- tura attuale, che ha sperimentato un progressivo allontanamento dal sistema di finanziamento “bancocentrico” – individuino nei mercati finanziari il luogo privilegiato per reperire capitale (azionario e ob- bligazionario) per sovvenzionare la propria attività, attingendo risor- se direttamente dai risparmiatori. Inoltre, i mercati finanziari rap- presentano per le imprese anche un’utile opportunità di investimento della liquidità, che altrimenti rimarrebbe ferma nelle casse sociali;

senza contare, poi, il frequente ricorso al mercato in tutte quelle oc- casioni in cui – per il perseguimento di specifici obiettivi aziendali – si profili la necessità di coprirsi dai rischi legati alla volatilità dei cambi (si pensi, ad esempio, a quelle società che, acquistando e ven- dendo prodotti in valute diverse dalla propria moneta di conto, sono

8Secondo una nota definizione, essi possono individuarsi come «luoghi – po- co importa se reali o virtuali – nei quali si stipulano contratti». Di conseguenza, le parti contrapposte sono «soggetti privati che agiscono de iure privatorum, e perciò quel che fanno ed il modo in cui lo fanno riguarda, in primo luogo, loro stessi ed i loro interessi»: così, R.RORDORF, Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, in Le Società, 2010, p. 981. Cfr. anche A. BANFI,M.BIASIN,M.

ORIANI,G. RAGGETTI, Economia degli intermediari finanziari, Torino, 2011, p.1, secondo cui il «mercato finanziario può essere definito come il luogo ideale nel quale vengono scambiati una molteplicità di strumenti finanziari attraverso l’at- tività di intermediari finanziari e sotto la supervisione di autorità di regolamenta- zione e vigilanza». La funzione economica assolta dal sistema finanziario, nel suo complesso, è perciò quella di garantire il collegamento tra chi risparmia (unità di surplus) e le imprese (unità di deficit): cfr. M. ONADO, Mercati e intermediari fi- nanziari. Economia e regolamentazione, Bologna, 2000, p. 302. Tale nozione, come segnala A.NISCO,Controlli sul mercato finanziario, cit., p. 24, nt. 23, si contrappo- ne a quella di mercato monetario e concorre a definire quella di mercato dei capi- tali. Riferimenti interessanti sul tema in M. ONADO,I nodi al pettine. La crisi fi- nanziaria e le regole non scritte, Roma-Bari, 2009, p. 25 ss., 46 ss.; G. ROSSI,Il mercato d’azzardo, Milano, 2007, p. 15 ss.; L.NAPOLEONI, Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale, Milano, 2008, p. 18 ss.; R.J. RAJAN,L.ZIN- GALES,Salvare il capitalismo dai capitalisti, II ed., Torino, 2008, p. 28 ss.

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solite ricorrere a particolari prodotti finanziari a carattere assicurati- vo per proteggersi da tali rischi) o dai rischi, non meno minacciosi, connessi al mondo delle commodities (si pensi ancora alle compagnie di trasporti aerei, navali o su gomma che, dovendo gestire gli acquisti di carburante in un periodo di particolare volatilità del prezzo del greggio, si affidano, per limitare il rischio di perdite, a strumenti fi- nanziari ideati appositamente a tale scopo). L’accresciuta importanza della finanza rappresenta, dunque, il prodotto della «drastica riduzio- ne del divario storico tra capitale liquido, che frutta dividendi e inte- ressi, e capitale produttivo, manifatturiero o commerciale, che frutta profitti»9: le grandi corporations hanno tracciato la strada, incentran- do sempre più il proprio business anche nel campo finanziario e ri- correndo molto spesso a operazioni finanziarie per fronteggiare le perdite derivanti dalla gestione primaria dell’attività di produzione.

Così, il rapporto tra economia reale e mercati finanziari è diventa- to sempre più stretto, conferendo al mercato mobiliare (in particola- re quello degli strumenti quotati nelle borse valori di tutto il mondo) un peso sconosciuto nella storia dei sistemi economici capitalistici.

Come è stato correttamente osservato, «l’esplosione prima, e l’implo- sione poi, dei mercati azionari hanno condizionato la distribuzione del reddito, l’accumulazione del capitale, il tasso di profitto – in so- stanza tutte le componenti della cosiddetta economia reale – finendo per influenzare il prodotto interno lordo, il risparmio pensionistico, nonché la stessa crescita incontrollata della new economy»: di conse- guenza, «la distanza tra mercati (finanziari) e società (…) si è molto accorciata, con conseguenze sulle quali si è appena cominciato a ri- flettere. Negli Stati Uniti prima, e poco dopo in Europa, la borsa è in- sommadiventata la struttura portante del capitalismo»10.

Peraltro, non è solo il mondo dell’impresa ad essere legato a filo doppio all’universo dei mercati finanziari11. Un discorso del tutto

9D. HARVEY, Breve storia del neoliberalismo, Milano, 2007, p. 43. Sul tema, v.

anche P. CIOCCA,Ricchi per sempre? Una storia economica d’Italia (1796-2005), Torino, 2007, p. 320 ss.

10G. ROSSI,Il conflitto epidemico, Milano, 2003, p. 51; sulle cause della cresci- ta dei mercati finanziari e delle bolle speculative, R. SHILLER, Irrational Exube- rance, II ed., Princeton, N.J., 2005, p. 31 ss. Per una panoramica sul sistema eco- nomico-finanziario italiano, P.CIOCCA,Ricchi per sempre? Una storia economica d’Italia (1796-2005), Torino, 2007, p. 320 ss.

11Gli studiosi di diritto commerciale sono soliti distinguere tre diversi tipi di mercato finanziario, a seconda dell’oggetto negoziato: il mercato bancario, quello assicurativo e quello mobiliare. Peraltro, i confini interni di queste categorie sono soggetti a una costante, implacabile erosione da parte degli operatori, che elabo-

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analogo, infatti, vale anche per le famiglie, i cui risparmi confluisco- no con sempre maggiore frequenza nel mercato finanziario, sia diret- tamente, sotto forma di liquidità investibile in titoli in via immediata, sia indirettamente, mediante forme più articolate di investimento, quali la sottoscrizione di quote di fondi comuni di investimento o di fondi pensione12.

Ecco perché sembra senz’altro possibile concordare con quanti ri- tengono che si sia assistito, specialmente negli ultimi due decenni, a una profonda (e non ancora ultimata) mutazione del modello capita- listico classico: si è infatti passati da un sistema nel quale il rischio di impresa ricadeva essenzialmente sull’azionista a un diverso modello – definibile come «nuovo capitalismo del mercato finanziario»13 – in cui il rischio si frammenta, fino a coinvolgere una pluralità di sogget- ti che annovera al suo interno non solo i sottoscrittori di azioni ma anche i dipendenti dell’impresa, gli investitori istituzionali, le banche d’affari e quelle commerciali e via elencando.

Del resto, il «crescente ruolo assunto dai moventi finanziari, dai mercati finanziari, dagli attori finanziari e dalla istituzioni finan- ziarie nella operatività delle economie nazionali ed internaziona- li»14 è sotto gli occhi di tutti.

rano prodotti sempre più complessi e “ibridi”, rispetto alle partizioni tradizio- nalmente operate dagli interpreti. Per un quadro di sintesi, cfr. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, VII ed., Torino, 2014, p. 6 ss.; R. COSTI, Il merca- to mobiliare, VIII ed., Torino, 2013, p. 4 ss.; M. FOSCHINI, Il diritto del mercato fi- nanziario, Milano, 2008, p. 3 ss.

12F.SGUBBI,D.FONDAROLI,A.F.TRIPODI, Diritto penale del mercato finanzia- rio, Padova, 2008, p. 1.

13S.VINCENZI, Mercato finanziario e direttive europee, Roma, 2004, p. 10. Come notava già C. QUIGLEY,Tragedy and Hope. A History of the World in Our Time, New York, 1966, p. 336 ss., nel capitalismo finanziario le risorse economiche ven- gono investite non perché si «desidera incrementare la produzione di beni e ser- vizi, ma perché si deve procedere all’emissione e al collocamento (…) di strumen- ti finanziari su queste basi produttive». In questa nuova fase del capitalismo, dunque, si iniziano a «costruire ferrovie per vendere gli strumenti finanziari, non per trasportare beni»; a erigere «industrie dell’acciaio per vendere strumenti fi- nanziari e non per fabbricare acciaio, e così via». Il risultato finale di questa «pa- rabola finanziaria» è il raggiungimento di «un livello talmente sofisticato di diffu- sione dei titoli di speculazione, che non richiede più alcun investimento produtti- vo come base».

14G. EPSTEIN,Introduction: Financialization and the World Economy, Chelten- ham – Northampton, 2005, p. 5. Con il termine finanziarizzazione, viene solita- mente indicata «la crescente importanza dell’industria finanziaria nel sistema economico, dei direttori finanziari all’interno del management delle corporations, delle attività finanziarie nel patrimonio delle società, dei valori mobiliari scam-

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Così come è sotto gli occhi di tutti, negli ultimi anni, la profonda mutazione in atto all’interno dei mercati finanziari, con nuovi sogget- ti che si sono affacciati sulla scena, segnando una cesura ancor più netta tra le manovre di finanza speculativa e l’attività di gestione e sviluppo dell’impresa, alla quale il capitalismo classico aveva da sem- pre ancorato il raggiungimento dell’obiettivo di realizzazione del pro- fitto15.

Sul palcoscenico della finanza globalizzata, infatti, il ruolo dei protagonisti principali è oggi recitato dagli hedge funds, dai private equity funds16, nonché dai sovereign wealth funds (i fondi sovrani di ricchezza) gestiti dai governi nazionali (in particolare quelli asiatici e arabi, su tutti quelli del Qatar e di Dubai), che hanno ormai raggiun- to dimensioni gigantesche17 e cancellato la linea che tradizionalmen-

biati sul mercato, e in particolare delle azioni, nei patrimoni finanziari, del mer- cato azionario come mercato per il controllo delle società commerciali e delle fluttuazioni nel mercato azionario come elemento determinante del ciclo econo- mico»: così, R. DORE,Stock Market Capitalism and its Diffusion, in New political economy, 2002, p. 117, riportato da F.CENTONZE, Controlli societari e responsabi- lità penale, cit., p. 28. Cfr., sul tema, anche K.PHILLIPS, Ricchezza e democrazia. Il declino della classe media e la crisi della politica, Bologna, 2005, p. 190 ss. e S.AN- DRIANI, L’ascesa della finanza, Roma, 2006, p. 3 ss.

15G.COTTINO,Diritto societario, Padova, 2006, p. 193, il quale segnala l’accre- sciuta importanza degli «intermediari finanziari, ai quali è affidato il compito di motori ed animatori del mercato mobiliare e, last but not least, degli investitori istituzionali: fondi di investimento, fondi pensione, istituti di assicurazione, il cui ruolo e influenza (…) sono venuti crescendo con il passare degli anni».

16Per un approfondimento sul tema della crescente importanza nel governo societario dei fondi di investimento, v. G.F. DAVIS, A New Finance Capitalism?

Mutual Funds and Ownership Re-Concentration in The United States, in European Management Review, 2008, p. 11 ss.

17Secondo i più recenti dati disponibili in merito alla operatività dei cosiddet- ti fondi sovrani di investimento, «a fine 2010 si contavano 53 fondi sovrani che vantavano un patrimonio complessivo di 4mila miliardi di dollari. Ma le prospet- tive indicano che nel 2015 questo patrimonio dovrebbe più che raddoppiare e raggiungere circa 10-11mila miliardi di dollari»: così, V. LOPS, Nel 2015 i fondi sovrani avranno in cassa 11mila miliardi $, più del Pil di Germania, Uk, Francia e Italia. Un bene o una minaccia?, in Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2012; secondo G.

SOROS,J.WOODRUFF, The Financial Crisis: An Interview with George Soros, in The New York Review of Books, 2008, n. 8, p. 8, i fondi sovrani hanno raggiunto «la stessa dimensione di tutti gli hedge funds del mondo messi insieme». Per avere una misura dell’attuale portata del fenomeno si consideri, a titolo esemplificativo, il caso della Qatar investment authority, che possiede il 10% della banca svizzera Credit Suisse, il 17% della tedesca Volkswagen, il 15,1% della London Stock Ex- change e, attraverso il fondo Aabar, il 6,5% di Unicredit, oppure quello del Fondo di investimento sovrano cinese, che ha acquistato il 21% di Energias do Portugal,

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te separava, nei sistemi capitalistici, la «sfera pubblica del governo»

dal «carattere privato dell’economia»18. Con il paradosso, facilmente intuibile, che la forma attualmente più avanzata assunta dal modello capitalistico – le cui radici affondano nella libertà d’iniziativa del pri- vato e nel ruolo esclusivamente regolativo (e non direttamente opera- tivo) dello Stato rispetto al mercato – si caratterizza per un marcato allontanamento da tali radici, risolvendosi, in buona sostanza, in «un ritorno in grande stile a forme di capitalismo di Stato»19.

La stretta correlazione esistente tra mercati finanziari ed econo- mia reale, peraltro, è emersa con particolare evidenza anche nella genesi, nella rapida propagazione e nella difficile attività di conteni- mento della crisi che ha investito e indebolito, dal 2007 ad oggi, le economie di moltissimi Paesi del mondo. Difatti, se si analizzano le cause che l’hanno determinata, non si può fare a meno di notare co- me un ruolo di spicco sia stato svolto dall’utilizzo spregiudicato che molti tra gli operatori di mercato – soprattutto le grandi banche d’af- fari – hanno fatto di tecniche di traslazione del rischio, attraverso si- stematiche operazioni di cartolarizzazione20, imperniate immancabil-

il 30% della Divisione Esplorazione di Gaz de France, la società tedesca di com- ponenti automobilistici Kiekert e, attraverso la società Geely, la svedese Volvo.

18C.COX,The Rise of Sovereign Business. Guer Distinguished Lecture in Law and Policy at the American Enterprise Institute Legal Center for the Public Interest, 5 dicembre 2007, in www.sec.gov, il quale ricorda in proposito la distanza che se- para il sistema statunitense da una serie di esperienze di altri Paesi (Russia, Ger- mania, Italia, Francia).

19F.CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p 30. L’autore osserva che «i sovereign wealth funds investono in modo sempre più massiccio anche in imprese europee operanti in settori strategici e sono alimentati, oltre che da surplus di liquidità, dai profitti in eccesso che alcuni Stati ricavano dallo sfrut- tamento delle proprie ricchezze naturali (gas, petrolio, minerali). Essi agiscono spesso nella più totale segretezza degli obiettivi, non rispondono a standard di trasparenza, potrebbero fare un uso politico degli investimenti e vengono consi- derati un rischio crescente per la stabilità dei mercati finanziari. Nonostante ab- biano un potere dirompente sui mercati, i loro manager sono soggetti a poche responsabilità, sfuggono all’enforcement delle agenzie nazionali, sollevano clamo- rosi conflitti d’interessi tra regolatore (lo Stato) e soggetto regolato (i fondi gestiti dallo Stato), incrementano il rischio di corruzioni, frodi e insider trading».

20Tale processo, secondo quanto si può leggere in qualunque dizionario dei termini appartenenti al linguaggio tecnico economico, «consiste in una specie di alchimia finanziaria che tramuta una attività finanziaria indivisa – per esempio, un credito – in una attività divisa e vendibile, cioè a dire in titoli (“carta”). Per esempio, supponiamo che la banca abbia fra le sue attività un certo numero di prestiti immobiliari; la banca può decidere di cartolarizzarli, cioè di emettere dei titoli che hanno come garanzia quei mutui. Questi titoli sono poi venduti a inve-

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mente su strumenti finanziari, a partire dalle semplici obbligazioni fino ad arrivare a strumenti strutturati molto più complessi, come le c.d. asset-backed securities o gli ormai famigerati credit default swaps21.

Prima di procedere oltre nell’analisi, pare opportuno soffermarsi ulteriormente sulla descrizione di tali strumenti, che a detta di molti studiosi hanno consentito una moltiplicazione puramente virtuale (e perciò teoricamente illimitata, ma praticamente insostenibile) della ricchezza, dando vita alla crescita incontrollata di quella bolla specu- lativa che, una volta esplosa col fragore tipico degli scandali finanzia- ri, ha dato origine all’attuale momento di crisi economica globale, del quale ancora si stenta a scorgere il termine.

In particolare, sono due le «principali innovazioni» che hanno ca- ratterizzato la crescita impetuosa del mercato finanziario: le «deriva- tive securities» e la «structured finance»22.

Quanto ai prodotti finanziari derivati, si deve osservare come essi,

«nati per coprire, ridistribuendoli, i rischi delle imprese e delle isti- tuzioni finanziarie, stabilizzando i mercati», sono stati in realtà uti- lizzati «per aumentare enormemente i rischi assunti, poiché consen- tono con esborsi contenuti di assumere rischi enormi»23. I prodotti derivati, quindi, consentono agli operatori di «costruire» – e spalma- re tra il pubblico – rischi tanto grandi quanto facilmente allocabili, col risultato di poter creare in pochi istanti, se affidati a «mani in- competenti o senza scrupoli, buchi di bilancio giganteschi, la cui en-

stitori privati o istituzionali, e così la banca rientra dei soldi prestati ai mutuatari:

i fondi che la banca ottiene possono essere usati per espandere la propria attività»

(definizione tratta dal Dizionario de Il Sole 24 Ore, disponibile on line).

21In via di estrema sintesi, le asset-backed securities possono essere senz’altro ricondotte al più esteso genus delle obbligazioni, all’interno del quale si caratte- rizzano, tuttavia, per il fatto di essere garantite da specifici attivi, ad esse sotto- stanti, e di essere emesse tipicamente attraverso l’impiego di special purpose vehi- cles. Quanto al credit default swap, si tratta di uno strumento derivato che garan- tisce il rimborso del credito – a fronte del pagamento di un premio – al verificarsi di un determinato evento, tipicamente il default del debitore. Per approfondimen- ti, cfr. J.BENJAMIN, Financial Law, Oxford, 2007, passim. Secondo F. GALIMBER- TI,L’arma letale dei Credit Default Swap, in Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2009, p. 1-3, questa «specie di polizza di assicurazione contro i rischi di non-restituzione di un capitale obbligazionario», è capace di trasformarsi in un’autentica «arma letale», una volta che arrivi a essere scambiata liberamente sul mercato.

22D. SKEEL,Icarus in the Boardroom. The Fundamental Flaws in Corporate America and Where They Came From, New York, 2005, p. 156.

23S.ANDRIANI, L’ascesa della finanza, cit., p. 22; E.CHANCELLOR,Devil Take the Hindmost: A History of Financial Speculation, New York, 1999, trad. it.,Un mondo di bolle. La speculazione finanziaria dalle origini alla new economy, Roma, 2000, p.

311 ss.

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tità non può essere paragonata nemmeno a diversi anni di gestione incompetente di un’impresa industriale»24.

La potenzialità nociva di questi prodotti – emersa con particolare chiarezza nell’ambito della crisi dei mutui immobiliari americani, che ha messo in ginocchio due colossi della finanza come Fannie Mae e Freddie Mac25 – è ancor più allarmante se si pensa che il rischio che

24R.G. RAJAN,L. ZINGALES,Salvare il capitalismo dai capitalisti, cit., p. 112 ss.;

J.STIGLITZ,The Roaring Nineties, New York, 2003, trad. it., I ruggenti anni Novan- ta. Lo scandalo della finanza e il futuro dell’economia, Torino, 2004, p. 124. Per un’efficace ricostruzione delle origini dell’ultima crisi dei mercati finanziari, si veda C.R. MORRIS, The Trillion Dollar Meltdown: Easy Money, High Rollers, and the Great Credit Crash, Philadelphia, 2008, p. 13 ss.

25Fannie Mae e Freddie Mac sono due società sponsorizzate dal governo degli Stati Uniti (GSEs: Government Sponsored Enterprises), che investono nel mercato dei mutui immobiliari, avvalendosi di fondi presi a prestito a tassi piuttosto bassi, grazie al vantaggio competitivo derivante dall’essere società legate al governo e quindi implicitamente garantite contro il fallimento. Si tratta di due società enor- mi, il cui debito, nel 2004, ammontava a 1,7 trilioni di dollari, di cui circa un ter- zo era detenuto da investitori stranieri; il solo portafoglio di mutui di Freddie Mac era, all’epoca, di oltre 600 miliardi di dollari. Il compito delle due società è sempre stato quello di fornire mutui sulla casa agli americani: basti pensare che, nel 1999, esse finanziavano circa il 70% dei mutui immobiliari delle famiglie sta- tunitensi. Tuttavia, la concessione di mutui anche a soggetti sforniti delle idonee garanzie per la restituzione del capitale aveva finito per rendere sempre più allar- mante la situazione, ponendo a rischio la stessa sostenibilità economico-finan- ziaria delle due società, tanto che, nel 2002, massicce campagne di disinvestimen- to portarono a una rapida caduta del prezzo delle loro azioni: solo nel terzo tri- mestre del 2002, Fannie Mae dovette fronteggiare una diminuzione del 50% del valore delle sue azioni. Cercando di rientrare il più possibile dalle esposizioni, però, la società si ritrovò di fronte al problema dell’insolvenza di molti soggetti che avevano sottoscritto mutui per l’acquisto della casa e il cui rischio di default era stato convogliato in prodotti derivati: il risultato fu quello di svalutare il valo- re dei mutui detenuti di oltre 327 milioni di dollari, cifra comunque esigua rispet- to ai 6,9 miliardi di dollari di perdite contabilizzate in relazione ai prodotti deri- vati. A quel punto – quando ormai i buoi erano già tutti fuori dalla stalla – l’Office of Federal Housing Enterprise Oversight (OFHEO) intervenne a controllare appro- fonditamente i conti e scoprì ulteriori perdite non correttamente contabilizzate per 2,8 miliardi di dollari, derivanti da investimenti in strumenti derivati, oltre a numerose forme di falsificazione dei registri contabili.

Nel frattempo, anche Freddie Mac si trovava di fronte a problemi analoghi, che aveva cercato di arginare mediante una serie di artifici contabili, consistenti nello spostare i profitti su esercizi diversi da quelli in cui venivano effettivamente conseguiti. Ciò in quanto l’introduzione, nel 1998, del Financial Accounting Stan- dard n. 133 (intitolato Accounting for Derivative Instruments and Hedging Activi- ties e riguardante la valutazione in bilancio dei prodotti finanziari derivati), a- vrebbe portato a un aumento momentaneo degli utili, ma avrebbe determinato entrate significativamente minori negli anni successivi. Ecco allora che Freddie

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essi veicolano non è di solito connesso a qualche posizione partico- larmente azzardata che gli operatori abbiano assunto sul mercato fi- nanziario: al contrario, nello scandalo da cui ha avuto origine la crisi immobiliare del 2007, si trattava del rischio connesso a semplici mu- tui, concessi dalle banche per l’acquisto di proprietà immobiliari an- che a quelle persone (fisiche o giuridiche) che non avevano prestato le idonee garanzie in merito al futuro rimborso dell’obbligazione (e che dunque erano catalogate, proprio per questa ragione, come sub- prime)26.

Anche la vicenda degli strumenti finanziari derivati, dunque, fa par- te in qualche misura della più ampia «illusione del controllo»27, che ha caratterizzato lo sviluppo recente dell’economia e ha portato a dimenti- care, con effetti estremamente perniciosi, la c.d. «legge di Lavoisier ap- plicata alla finanza»28, secondo cui il rischio può essere sì diversificato, trasformato e trasferito, ma non può essere mai del tutto annullato. Tale regola basilare sembra essere stata dimenticata, innanzi tutto, dagli o- peratori economici29, ma anche – come si avrà modo di verificare nel

Mac, insieme alle banche d’affari Salomon Smith Barney e Morgan Stanley, diede vita a delle transazioni finanziarie, chiamate «coupon trade-up giants», attraverso le quali riusciva a ottenere lo «scivolamento» a esercizi successivi dei guadagni relativi ai derivati: attraverso tali prodotti, tuttavia, la società creò più di 700 mi- lioni di dollari di perdite. Per una descrizione completa della vicenda, cfr. OFHEO, Report of the Special Examination of Fannie Mae, Maggio 2006, p. 331 ss.; OFHEO, Report of the Special Examination of Freddie Mac, Dicembre 2003, p. 32 ss.; D.

WILCHINS, Fannie Mae makes $1.2 bln earnings statement error, in Reuters News, 29 Ottobre 2003, p. 1.

26Per una disamina puntuale delle ragioni e delle dinamiche della crisi finan- ziaria, v. M.ONADO, La crisi finanziaria internazionale: le lezioni per i regolatori, in Banca, Impresa Società, 2009, n. 1, p. 5 ss.

27Cfr., per tutti, F. CENTONZE,I controlli societari, cit., p. 64 ss., 431 ss.

28Come è noto, il chimico e geologo francese Antoine-Laurent de Lavoisier di- mostrò che, anche se la materia cambia il suo stato con una reazione chimica, la quantità di materia è la medesima all’inizio e alla fine di ogni reazione. In parti- colare, bruciando fosforo e zolfo nell’aria, egli verificò che il prodotto finale pesa- va più della materia iniziale e il maggior peso acquisito era stato tratto dall’aria.

Questi esperimenti furono alla base della formulazione della legge di conserva- zione della massa, secondo cui, in una reazione chimica, la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti. Tale legge, nel linguaggio comune, è solitamente enunciata con la formula: «nulla si crea, nulla si distrugge».

29Sul punto, cfr. S.SEMINARA, Crisi finanziaria e disorientamenti etici e giuri- dici, in Dir. pen. proc., 2009, p. 270,il quale rileva come «è assodato il ruolo rive- stito da una finanza c.d. creativa svolta soprattutto dalle banche che, reciso ogni rapporto con la loro originaria funzione creditizia e di raccolta del risparmio e celebrando il mito del ritorno sul patrimonio, in assoluto dispregio dei principi di

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corso dell’indagine – dai regolatori del mercato: come è stato giusta- mente sottolineato, uno degli aspetti più preoccupanti emersi nell’ana- lisi della crisi economica attuale è la constatazione che l’intero mondo dell’innovazione finanziaria si è sviluppato, negli ultimi decenni, nella totale assenza di un efficace presidio di regole30.

Quanto all’altro prodotto caratteristico del c.d. «genio finanziario», la finanza strutturata, si può osservare come essa comprenda un’am- pia gamma di operazioni dal contenuto anche piuttosto eterogeneo (cartolarizzazioni, leveraged financing, structured leasing, acquisition financing, loan syndication ecc.) ma tutte accomunate dal marcato tecnicismo, dalla complessità della struttura e dall’opacità informati- va31.

Si tratta, anche qui, di prodotti «originariamente nati per consen- tire le tradizionali cartolarizzazioni di crediti», che sono stati poi im- piegati per consentire «alle banche di “esternalizzare” e portare fuori dal perimetro di consolidamento alcune attività tipiche di “raccolta e impiego” del risparmio, caratterizzate da elevati margini di interesse ma anche da un forte profilo di rischio. Si sono affermate tecniche innovative di cartolarizzazione che vedono la partecipazione di una pluralità di banche e società veicolo ai rischi e ai benefici dell’opera- zione, determinando un aumento dei passaggi intermedi che portano alla “trasformazione” di crediti bancari in prodotti strutturati. Tale

“seconda generazione” di titoli strutturati si contraddistingue per una ridotta standardizzazione e un’elevata complessità di valutazione»32.

Di conseguenza, nemmeno gli operatori più accorti e gli esperti maggiormente attrezzati dal punto di visto scientifico riescono oggi a capire fino in fondo tutti gli strumenti finanziari nati negli ultimi an- ni, col risultato – di particolare interesse nella prospettiva di un’anali- si penalistica del problema – che i mercati finanziari sono diventati

«così complessi e impenetrabili, e l’ingegneria finanziaria così sofisti- cata, da essere ormai caratterizzati da una congenita mancanza di trasparenza»33.

solidità patrimoniale, hanno creato e manovrato strumenti finanziari assumendo immani rischi senza coperture e in presenza di permanenti conflitti di interesse».

30M.ONADO, La crisi finanziaria internazionale, cit., p. 24.

31C.L. PETERSON, Predatory Structured Finance, in 28 Cardozo L. Rev., 2007, p.

2186 ss.; K.C.KETTERING, Securitization and Its Discontents: The Dynamics of Fi- nancial Product Development, in 29 Cardozo L. Rev., 2008, p. 1558 ss.

32Così, C.SALINI, Crisi di liquidità e futuro dei mercati. Aspetti operativi e rego- lamentari, Bari, 18 gennaio 2008, in www.consob.it.

33J. CROTTY,The Neoliberal Paradox: The Impact of Destructive Product Market

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Le considerazioni appena svolte indicano con sufficiente chiarez- za come l’aver ammirato solo gli aspetti positivi dell’innovazione fi- nanziaria – senza rilevare anche i pericoli insiti negli strumenti dalla stessa prodotti34 – sia stato, insieme con un sistema di regole inido- neo a rispondere tempestivamente ai fulminei cambiamenti dei mer- cati, uno dei fattori decisivi nelle dinamiche di espansione della crisi finanziaria, la quale, dopo aver preso sostanza negli Stati Uniti d’Ame- rica, si è estesa, nel giro di pochi mesi, anche in Europa, colpendo prima il centro finanziario londinese e trascinando nel baratro, suc- cessivamente, le economie di numerosi Paesi membri dell’Unione eu- ropea (Grecia, Spagna e Italia su tutti) e, con esse, la fiducia che i ri- sparmiatori riponevano nei mercati finanziari.

Tecniche e strumenti teoricamente virtuosi sono stati impiegati, nella prassi, per alimentare un modello di sviluppo economico-finan- zario estremamente rischioso per gli interessi dei risparmiatori e per la tenuta stessa del sistema. Si tratta di un autentico «lato oscuro del capitalismo»35, che – per ciò che qui maggiormente interessa – ha co-

Competition and “Modern” Financial Market on Nonfinancial Corporation Perfor- mance in the Neoliberal Era, in G. EPSTEIN (a cura di),Financialization and the World Economy, cit., p. 103. Come sottolinea F. CENTONZE,I controlli societari, cit., p. 34, in questo scenario «persino il paradigma classico della trasparenza – il “mi- glior disinfettante” e il “miglior poliziotto”, secondo la icastica metafora del giudice Brandeis – deve essere ripensato: alcune transazioni sono così complesse che anche una fedele comunicazione al mercato dei sofisticati dettagli sottostanti renderebbe le stesse impenetrabili anche agli osservatori più esperti». Il riferimento è a L.

BRANDEIS,Other People’s Money. And How the Bankers Use It, New York, 1914, p.

92, secondo cui «Publicity is justly commended as a remedy for social and industri- al diseases. Sunlight is said to be the best of disinfectants; electric light the most efficient policeman». Sul tema, v. anche S.L. SCHWARCZ Rethinking the Disclosure Paradigm in a World of Complexity, in U. Ill. L. Rev., 2004, p. 2 ss.

34È corretto segnalare, peraltro, come anche in passato non siano mancate vo- ci fuori dal coro, per quanto gli allarmi che esse lanciavano siano rimasti sostan- zialmente inascoltati: tra i vari, vale la pena di citare Warren Buffett – protagonista tra i più influenti del mondo finanziario americano – il quale definì i prodotti deri- vati come delle autentiche «armi di distruzione di massa». Si veda A.R. SORKIN,

«Derivatives, as accused by Buffett», in The New York Times, 14 marzo 2011.

35Si tratta di un’espressione utilizzata molto frequentemente per definire quei fenomeni che, ciclicamente, arrivano a scuotere dalle basi gli equilibri dei sistemi economici moderni: in Italia, già all’inizio degli anni Novanta – riferendosi a una serie di scandali che avevano visto coinvolti banche come Salomon Brothers e No- mura e, in Italia, Banco Ambrosiano e Bnl – C. BASTASIN,In tutto il mondo i casi di frode finanziaria mostrano i limiti della vigilanza. Banche, i conti senza la morale, in Il Sole 24 Ore, 21 novembre 1991, p. 22, osservava che «il lato oscuro del capitali- smo finanziario è giunto alla luce contemporaneamente in ogni angolo del piane- ta», fissando «nuovi poli cardinali nella mappa dell’illegalità finanziaria. (…) “Il si-

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