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Discrimen » Eutanasia e diritto penale

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Academic year: 2022

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G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

I tinerari di D iritto P enale

Collana diretta da

G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo

ISBN 88-348-1145-3

25,82

MARIA BEATRICE MAGRO

M.B. M

AGRO –

EU TANASI A E DIRIT TO

EUTANASIA

E DIRITTO PENALE

12

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I tinerari di D iritto P enale

Collana diretta da

Giovanni Fiandaca - Enzo Musco - Tullio Padovani - Francesco Palazzo

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sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere saggi e studi che, nella consa-

pevolezza di fondo di questa necessaria ricerca di nuove identità

del diritto penale, si propongano percorsi realistici di analisi,

aperti anche ad approcci interdisciplinari.

(4)

MARIA BEATRICE MAGRO

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

EUTANASIA

E DIRITTO PENALE

(5)

VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it

ISBN 88-348-1145-3

Il presente lavoro è stato pubblicato con il contributo del CNR.

Composizione: Compograf – Torino Stampa: Stampatre s.r.l. – Torino

NESSUNA PARTE DI qUESTO VOLUME PUò ESSERE RIPRODOTTA IN qUALSIASI FORMA A STAMPA, FOTOCOPIA, MICROFILM O ALTRI SISTEMI, SENzA IL PERMESSO SCRITTO DELL’EDITORE.

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a mio padre

(7)
(8)

1

9 12 17 24 31

43 45

51

54

INDICE

Nota introduttiva

PARTE I

CAPITOLOI

EUTANASIA E DIRITTO PENALE

1. La dignità umana nell’antropologia moderna e nell’ordinamento giuridico

2. Il problema dell’eutanasia tra agnosticismo e repressione 3. Il paradosso dell’eutanasia

4. Nuovi profili di tutela penale della vita umana 5. Gli obblighi di solidarietà e la c.d. tutela da se stessi

PARTE II

CAPITOLOI

LA LIBERTA DI DISPORRE DEL CORPO

1. Il pluralismo etico-ideologico e il personalismo come contesto culturale e valore normativo

2. Il problema della legittimità degli atti autolesionisti nella discus- sione sull’eutanasia

3. I limiti alla libertà di autodeterminazione. La dignità umana co- me limite generale agli atti dispositivi autolesionisti (art. 32, se- condo comma, Cost.)

4. Riflessioni critiche sulla ricostruzione della libertà funzionalizza- ta e degli obblighi di solidarietà. Esiste il diritto a morire o al sui- cidio?

Indice VII

pag.

(9)

61 67

73 75 77 81

84

93 99 102 106

109 111 116 120 125 CAPITOLOII

IL DIVIETO DEGLI ATTI DISPOSITIVI LESIVI DELL’INTEGRITA FISICA

1. Il principio generale contenuto nell’art. 5 c.c.

2. La classificazione dei diritti disponibili e indisponibili. Le ragio- ni dell’indisponibilità dei beni personali

3. Il significato del concetto di «indisponibilità» nei diritti della per- sonalità. A) Indisponibilità come caratteristica strutturale dei di- ritti della persona. B) Indisponibilità come limite alla facoltà di godimento del diritto

4. Dal divieto alla libertà di disposizione: l’inidoneità della «dispo- nibilità» a fornire indicazioni univoche

5. L’interpretazione evolutiva dell’art. 5 c.c. La rilevanza del divieto nell’ambito dei soli rapporti negoziali

6. I rapporti tra consenso dell’avente diritto e divieto di atti dispositivi lesivi. Una premessa sulla libertà di disporre della tutela giuridica 7. La limitata efficacia euristica dell’art. 5 c.c. e la costruzione logi-

co-giuridica del rapporto tra norma penale di favore e norma di divieto

PARTE III

CAPITOLOI

LA DEFINIZIONE DELL’EUTANASIA 1. Un tentativo di definizione dell’eutanasia

2. L’eutanasia come atto terapeutico

3. L’eutanasia tra divieto di accanimento terapeutico e definizione normativa di morte

4. Segue: l’accanimento terapeutico

CAPITOLOII

I TESTAMENTI DI VITA E LA VOLONTA DEL PAZIENTE 1. Il fondamento di giustificazione morale dell’eutanasia: l’autono-

mia del paziente

2. Segue: i testamenti di vita

3. Il procedimento di ricostruzione della volontà presunta del pa- ziente ed il giudizio sostitutivo del terzo

4. La liceità del trattamento medico quando l’esito è sicuramente

«infausto»

5. Il consenso del paziente al trattamento medico

pag.

(10)

133 137 144 153 155 158

161 165 167

175 180 187 193 200 204

211

Indice IX

pag.

CAPITOLOIII

L’EUTANASIA ATTIVA E PASSIVA

1. La problematicità della differenziazione tra atti ed omissioni:

l’eutanasia attiva e passiva

2. Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del sanitario qualora vi sia stata un’anticipazione della morte 3. La condotta omissiva del medico: i casi di astensione terapeutica 4. L’eutanasia passiva: l’interruzione di una serie causale di salva-

taggio

5. La responsabilità penale per l’ipotesi attiva: la somministrazione di terapie del dolore

6. Dal rifiuto di cura al diritto alla morte. La rilevanza della volontà del paziente nell’eutanasia attiva e passiva

CAPITOLOIV

L’EUTANASIA INVOLONTARIA

1. L’eutanasia passiva involontaria o unilaterale: i mezzi ordinari e straordinari di cura e il criterio della proporzionalità

2. Segue: il «senso della vita» e la «perdita irreversibile della co- scienza»

3. La distinzione secondo l’intenzione dell’agente: l’eutanasia (attiva o passiva) indiretta e diretta

PARTE IV

CAPITOLOI

SUICIDIO E ISTIGAZIONE AL SUICIDIO

1. L’istigazione o aiuto al suicidio e l’omicidio del consenziente 2. Il suicidio nella tradizione giuridica

3. Il problema della liceità del suicidio. La tesi della tipicità implici- ta e dell’antigiuridicità per violazione degli obblighi di solidarietà 4. Alle radici della tutela della vita umana: la libertà di morire 5. Le ragioni a fondamento dell’incriminazione della partecipazione

al suicidio

6. L’idoneità ad interferire nel processo motivazionale del suicida nelle condotte di determinazione e rafforzamento. L’agevolazione 7. La presunta incostituzionalità delle leggi che vietano l’assistenza al suicidio negli Stati Uniti: una svolta nel dibattito sull’eutana- sia?

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217 224

229 230 233 238 245 253

259 CAPITOLOII

OMICIDIO DEL CONSENZIENTE E AUTODETERMINAZIONE 1. La rilevanza del consenso della vittima nel delitto di omicidio del

consenziente

2. La liceità delle condotte che accedono al suicidio: l’esempio del codice penale tedesco

CAPITOLOIII

LA REGOLAMENTAZIONE DELL’EUTANASIA 1. I modelli di regolazione dell’eutanasia

2. Il pericolo dei c.d. passi successivi

3. Il modello giudiziario: l’eutanasia passiva negli Stati Uniti e nel Regno Unito

4. Il modello legislativo: il progetto alternativo di riforma del codice penale tedesco

5. Il modello misto: l’eutanasia in Olanda

6. Gli esiti dell’indagine: il modello della giustificazione procedi- mentale

BIBLIOGRAFIA

pag.

(12)

NOTA INTRODUTTIVA

Affrontando il tema dell’eutanasia e delle sue pratiche in ambito medico, ci si imbatte in un interrogativo che scavalca i tracciati della pura descrizione ed osservazione del diritto vigente. La questione di fondo riguarda la collocazione giuridica degli atti dispositivi del pro- prio corpo, ed in particolare la valutazione di quelli che appaiono con- trastare l’istinto, comune ad ogni individuo, di preservazione di se stessi, perché «autolesionisti», cioè svantaggiosi nei confronti dello stesso disponente. La tematica necessiterebbe di precisazioni a causa del problema epistemologico legato al progressivo ridimensionamen- to di cosa possa intendersi «autolesionista», in relazione all’incessan- te sviluppo delle tecniche mediche e all’affermarsi di modelli cultura- li disomogenei. Ma l’aspetto di maggiore impellenza si coglie per il fatto che il tema della «tutela da se stessi» non investe solo le ipotesi di pregiudizio arrecato dalle determinazioni provenienti dallo stesso soggetto destinatario della tutela realizzate su se stesso, ma riguarda una vasta gamma di situazioni in cui la realizzazione di tale volontà, per svariate ragioni, necessita l’apporto di terzi. Rispetto a costoro si pone il problema della definizione giuridica della condotta. La legge penale prevede la possibilità che un individuo, in situazioni limite, qualora non sia più in grado di disporre autonomamente della pro- pria vita, possa disporre tramite altri, senza che ciò interferisca con il divieto di uccidere? Fino a che punto e in che misura l’autonomia dell’individuo può estendersi sovranamente, anche quando sono coin- volti terzi estranei, ai quali è trasferito l’esercizio del potere di dispor- re di se stessi?

Così posto l’interrogativo, la problematica si focalizza sulla valuta- zione del «peso» dell’autonomia individuale rispetto alle esigenze di controllo sociale, ovvero: quale il ruolo del diritto penale rispetto ad una così ampia affermazione della sovranità individuale come vera ra- gione legittimante del potere statuale? L’autonomia merita tutela da iniziative, spontanee o doverose, volte ad impedirne l’attuazione, ne- cessita di un intervento positivo ed attuativo affinché sia concreta- mente garantita, quantomeno esonerando da responsabilità la condot- ta del terzo, o al contrario i doveri di solidarietà si pongono esclusiva- mente nella direzione dell’impedimento della realizzazione del propo- sito? La volontà contraria connota di illiceità le prestazioni di solida-

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1Nel caso di autolesionismo isolato e solipsistico, l’opzione a favore della tute- la può orientarsi verso lo stesso soggetto, attraverso l’imposizione di divieti, in un’ottica di tutela «forte» dell’individuo da se stesso. Per ciò che riguarda il secon- do aspetto, la prospettiva di tutela si realizza attraverso la previsione di divieti di partecipazione alla vicenda, o persino di obblighi di intervento ad impedimento della realizzazione della scelta autolesionista, di cui sono destinatari i terzi.

2Sui rapporti tra scelte di criminalizzazione e consenso sociale V. MUSCO, Consenso e legislazione penale, in AA.VV., Verso un nuovo codice penale. Itinera- ri, problemi, prospettive, a cura del Centro di Studi Giuridici e Sociali Cesare Ter- ranova, Milano, 1993.

rietà non coincidenti con i desideri del beneficiario, mentre viceversa quella cui l’estraneo si conforma ne neutralizza il disvalore?

In entrambi i due aspetti della problematica1 – pregiudizio intera- mente autodeterminato – ovvero autonomia individuale – e pregiudi- zio determinato tramite altri – ovvero solidarietà e partecipazione – il problema di fondo è il medesimo e concerne la legittimazione di nor- me e di prassi interpretative poste a tutela di interessi individuali an- che contro la volontà dello stesso destinatario di tutela.

Il tema delle libertà fondamentali dell’individuo in relazione a scel- te sul suo corpo (o sul suo stato di felicità o benessere) è certamente uno dei più complessi ed impegnativi del nostro tempo. Le difficoltà sorgono a causa del venir meno del monolitismo etico, poiché sono messe a paragone ideologie e fedi religiose, modelli culturali disomo- genei e sistemi di valori contrapposti. Il carattere pluralista delle mo- derne organizzazioni giuridiche, quale unica formula in cui si esprime la libertà e dignità dell’individuo, impedisce di ricorrere al diritto come veicolo autoritario per imporre valori assoluti, perché nessuno di que- sti può avere un primato sull’altro. Nel momento in cui non c’è più una sola morale di riferimento, un unico modello che regola il com- portamento degli individui, perché tutti pacificamente possono pro- fessare e seguire i propri modelli ed aspirazioni, si solleva l’ineffabile dilemma della definizione di un criterio di valutazione cui può ispirar- si l’ordinamento giuridico nel regolamentare la materia. Posto come un problema di valore, l’eutanasia mette in crisi il diritto penale ed il tradizionale modo di legiferare: come stabilire norme che abbiano va- lore per tutti e che esprimano un consenso diffuso, quando si tratta di questioni di coscienza, per le quali è più difficile interpretare autenti- camente i bisogni?

Si presenta quindi nella sua drammaticità il tema della affermazio- ne e coesistenza di valori e principi su cui necessariamente un ordina- mento deve fondarsi per poter far fronte alle sue prestazioni di unità ed integrazione, in modo che meglio si rispettino autonomia indivi- duale e pluralismo etico-ideologico2. Da un lato, ciascuno di noi può

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3Ed infatti, oggi in questa materia è in discussione l’an della regolamenta- zione giuridica.

avere atteggiamenti e reazioni differenti, impensabili di fronte al pro- prio morire e può coltivare una propria personale risposta ai dilemmi della vita e della morte; ma non vi è alcuna ragione per giustificare la preferenza di una risposta sull’altra, imponendo una soluzione unica ed uniformante. Dall’altro, occorre verificare se individuali «concezio- ni di bene» possano aspirare ad un grado di «generalizzazione» tale non soltanto da rendere accettabile l’atto di autolesionismo, ma anche da estenderne le ragioni di giustificazioni qualora l’atto sia riconduci- bile ad altre volontà, diverse dalla stessa vittima.

Il crocevia tra sviluppo delle tecnologie della sopravvivenza e istan- ze di autodeterminazione della persona nel definire i propri standards di qualità della vita delinea situazioni in cui il momento terminale del- la vita è rappresentato come diritto o libertà. Queste situazioni «scon- volgono» le categorie tradizionali del diritto e dell’etica, mettendo in moto istanze di positivizzazione legislativa, in chiave penalistica o at- traverso discipline di mediazione tra gli schemi del diritto privato e del diritto amministrativo, ed affidando alla giurisprudenza il compito di individuare principi e regole che consentano un immediato confronto con questioni pratiche relative a comportamenti professionali e scelte personali.

Il recente caso di Eluana Englaro, anche in Italia, assegna un impe- gno forte al giurista di confrontarsi con le questioni di vita e di morte, anche se nel nostro paese il discorso di tipo etico e filosofico ha avuto, almeno fino a pochi anni fa, una netta prevalenza rispetto a quello giu- ridico3. Eluana da parecchi anni si trova in stato vegetativo perma- nente a causa di un forte trauma cranico. Ha perso non solo ogni ca- pacità di relazione superiore con il mondo esterno, ma anche la capa- cità di sensazione: non parla, non prova dolore, non controlla i movi- menti. È capace solo di funzioni vegetative. E ciò da oltre otto anni. Lo stato vegetativo permanente in cui giace Eluana non è una qualsiasi, se pur grave, menomazione fisica, ma corrisponde ad una perdita irre- versibile della coscienza, alla perdita di sé, che equivale alla morte.

Si potrà rimanere sconcertati rispetto a tali situazioni, ma esse rap- presentano uno degli effetti indesiderati conseguenti all’evoluzione tecnologica della medicina. Sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiale equivale a consentire che ella possa morire. Ma ciò equivar- rebbe anche all’astenersi dal proseguire un trattamento ordinario, che non è lecito interrompere, soprattutto quando manchi una manifesta- zione di volontà in proposito.

La Corte di Appello di Milano ha rigettato il ricorso con cui il geni- tore di Eluana chiedeva l’autorizzazione ad interrompere le cure me-

Nota introduttiva 3

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4La questione si pone rispetto alla c.d. eutanasia involontaria: la paziente è interdetta e non ha espresso alcuna volontà in proposito alla propria morte o al- la interruzione/prosecuzione di terapie. L’angolazione civilistica consente ai giu- dici di ritenere la piena legittimazione del tutore a chiedere provvedimenti che concernono lo stato di salute del paziente e che devono essere adottati nel suo precipuo interesse. Il tutore, sulla base degli artt. 357 e 424 del codice civile, ha la cura della persona anche nell’aspetto della tutela della sua dignità, e può nell’interesse di questi anche esprimere o rifiutare il consenso ad un trattamen- to terapeutico, così RESCIGNO, Relazione al convegno «Il diritto ad una morte di- gnitosa», Milano, 12 dicembre 2000.

5Corte Appello di Milano, decreto 31 dicembre 1999, in Foro it., 2000, I, 2022, con nota di SANTOSUOSSO, Novità e remore sullo «stato vegetativo permanen- te, e di PONZANELLI, Eutanasia passiva: sì, se c’è accanimento terapeutico.

6Anche in merito a questioni che attengono alle pratiche di procreazione medicalmente assistita l’unico precedente giudiziario ha coinvolto la giurispru- denza civile, e non penale; in proposito CIANI, Procreazione artificiale e gravidan- za surrogata per spirito di liberalità: il bilanciamento tra libertà di autodetermina- zione della donna e «best interest» del nascituro, in Foro it., 2000, I, 1697.

7Il disegno di legge è stato comunicato alla Presidenza del Senato il 29 giu- gno 2000.

8La proposta di legge Fortuna, presentata alla Camera dei deputati il 19 di- cembre 1984, riconosceva al soggetto maggiorenne la possibilità di disporre per diche straordinarie che consentono di protrarre uno stato vegetativo permanente (somministrazione di vitamine e l’alimentazione artificia- le) ex art. 357 e 424 c.c., pur ritenendo la piena legittimazione del tu- tore a chiedere o rifiutare provvedimenti che concernono lo stato di sa- lute del paziente, qualora questi non sia più in grado di esternare la propria volontà4. Il ricorso è stato rigettato con la motivazione che, al- lo stato attuale, in ambito scientifico, etico e giuridico, sulla qualifica- zione della idratazione e nutrizione artificiale di paziente in stato ve- getativo permanente (atto terapeutico? straordinario o ordinario?) non si è raggiunto alcun accordo.

La pronuncia dimostra come la tematica si affacci anche nella pras- si giurisprudenziale italiana, uscendo dai luoghi della discussione teo- rica ed accademica. E la strada imboccata è quella della soluzione giu- diziaria, in particolare della giurisdizione volontaria che sembra la più neutrale e flessibile5. Non sono però in alcun modo affrontati i risvol- ti penali del comportamento del medico che, qualora fosse stato auto- rizzato al distacco, avesse proceduto alla pratica6.

Attualmente, il tema dell’eutanasia è al centro di un vivace dibattito e oggetto di numerose iniziative parlamentari. Il recente disegno di leg- ge in tema di consenso informato del paziente e di direttive anticipate7, rappresenta il primo passo che introduce ad una ripresa del dibattito sul l’eutanasia, dopo la proposta di legge Fortuna del 19848a cui era se-

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il non impiego o l’interruzione delle terapie di sostentamento vitale all’estremo delle condizioni esistenziali, con disposizione sottoscritta dall’autore alla pre- senza di due testimoni, diversi dai medici curanti, non legati a lui da vincoli di parentela o di affinità, né destinatari dei suoi beni. La disposizione, rilasciata per iscritto su un apposito modulo, non avrebbe dovuto ritenersi valida qualora sia compilata da una donna in gravidanza, e dopo cinque anni.

In proposito, MONTALTO, Commento alla proposta di legge riguardante «Nor- me sulla tutela della dignità della vita e disciplina dell’eutanasia passiva», in Zac- chia, 1985, 150; CALCAGNI-MEI-PUGLISI, Considerazioni sulla proposta di legge n.

297 riguardante «Norme sulla tutela della dignità della persona e disciplina dell’eu- tanasia passiva», in Zacchia, 1991, 340.

Nel 1986 il senatore Bompiani presentò alla Presidenza del Senato un dise- gno di legge sul trattamento dei malati terminali nel quale veniva condannata l'eutanasia e respinto l'accanimento terapeutico.

Nel 1987 venne presentata una proposta di legge che consentiva l'omissione o l'interruzione di interventi di sostegno vitale su pazienti terminali, facendone richiesta all'Unità sanitaria locale o al Presidente del Tribunale.

9L’attenuante consiste nell’aver commesso il fatto con mezzi indolori e per esclusivo motivo di pietà verso la persona incapace di prestare un consenso va- lido, e che per ragioni di malattia si trovi in una irreversibile condizione di sof- ferenza fisica insopportabile o particolarmente grave, quando sia constatata l’impotenza dei trattamenti antalgici.

10La normativa sarebbe finalizzata ad assicurare a pazienti con sintomato- logie dolorose di particolari gravità, terapie antalgiche efficaci, prevedendo mo- difiche ad alcune disposizioni del testo unico sulla disciplina degli stupefacenti, di ostacolo ad una piena utilizzazione di queste terapie. Inoltre, è in preparazio- ne un disegno di legge sulla semplificazione della prescrizione, a fini terapeuti- ci, dei derivati naturali e sintetici della pianta Cannabis indica.

guìto nel 1992 il disegno di legge sulla delega legislativa al Governo per l’emanazione del nuovo codice penale del 1991, che all’art. 59 prevede- va l’introduzione di una circostanza attenuante applicabile sia all’omi- cidio comune che all’omicidio del consenziente nei casi in cui la vittima si trovi in condizioni di malattia irreversibile9.

La recente iniziativa di legge vuole riconoscere dignità e vincolati- vità alle c.d direttive anticipate del paziente, il quale, debitamente informato circa rischi e benefici, può rifiutare la somministrazione di ulteriori terapie, anche qualora ciò possa condurre alla sua morte (dunque in deroga agli artt. 579 e 580 c.p.), e malgrado che al momen- to della attuazione della decisione, abbia ormai perso la capacità natu- rale, la sua coscienza. A tale iniziativa è seguita quella del 7 luglio 2000 n. 4718, in tema di promozione delle terapie antalgiche che dimostra la maggiore sensibilità verso il dolore del paziente ed il riconoscimen- to di un’autonoma dignità delle terapie palliative10. Ma certamente di maggiore impatto è il disegno di legge, ancora in preparazione, fina- lizzato a riconoscere il diritto a chiedere assistenza sanitaria per porre

Nota introduttiva 5

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11La bozza del disegno di legge è stata oggetto di discussione nel corso del convegno organizzato dalla Consulta di Bioetica di Milano del 12 dicembre 2000. In base a questa bozza il medico curante che ha effettuato la diagnosi, con il consulto di un altro medico ad egli non subordinato che ne confermi l’esisten- za delle condizioni, verificata l’inefficacia delle cure palliative al fine di alleviare il dolore, può soddisfare tale richiesta.

fine alla propria vita, qualora il paziente capace di intendere e di vole- re, verta in condizioni di prossimità alla morte, provi dolore e soffe- renza in misura per lui non accettabile, e non si prospettino alternati- ve terapeutiche o antalgiche11.

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PARTE I

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CAPITOLOI

EUTANASIA E DIRITTO PENALE

SOMMARIO: 1. La dignità umana nell’antropologia moderna e nell’ordina- mento giuridico. – 2. Il problema dell’eutanasia tra agnosticismo e repres- sione. – 3. Il paradosso dell’eutanasia. – 4. Nuovi profili di tutela penale del- la vita umana. – 5. Gli obblighi di solidarietà e la c.d. tutela da se stessi.

1. La dignità umana nell’antropologia moderna e nell’ordinamen- to giuridico

Le codificazioni del secolo scorso e di questo secolo si caratterizza- vano per certo agnosticismo e disinteresse per i bisogni materiali e spi- rituali dell’uomo, percepiti solo nell’orizzonte sociale della povertà, del - l’impossibilità a produrre e ad inserirsi nel gruppo, secondo una visio- ne che estrapola l’uomo dalla sua reale complessità e contradditto- rietà1. A questo modello antropologico corrispondeva una concezione volontaristica del diritto, secondo cui l’individuo, in quanto soggetto astratto, ente razionale e coerente, esprime la sua volontà all’interno ed in funzione del gruppo cui appartiene. Le codificazioni dell’epoca vede- vano l’uomo come titolare di diritti su se stesso, proprietario e soddi- sfatto dalla proprietà e dalle ragioni dell’avere, inserito organicamente nel gruppo sociale come una parte s’inserisce nel tutto, secondo un pro- cesso di identificazione piena dei propri bisogni con quelli del gruppo2.

1MENGONI, La tutela giuridica della vita materiale nelle varie età dell’uomo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, 1117; FALZEA, I fatti giuridici della vita materiale, in Il diritto e la vita materiale, Roma, 1984, 7.

2Il modello di uomo presupposto e definito da queste codificazioni è stato definito da Lombardi Vallauri attraverso il concetto di «individualismo possessi- vo». Si tratta di una formula che riassume l’idea di una società di proprietari o produttori intenti ad aumentare la loro ricchezza mediante il libero scambio, LOMBARDIVALLAURI, Corso di filosofia del diritto, Padova, 1981, 287. Così pure RO-

DOTÀ, Ipotesi sul corpo «giuridificato», in Riv. crit. dir. priv., 1994, 467; BOCCIA, in- troduzione di La legge ed il corpo, in Democrazia e dir., 1996, V.

V. anche BARCELLONA, I soggetti e le norme, Milano, 1984.

Eutanasia e diritto penale 9

(21)

Questa era, fino ad una certa epoca, l’antropologia sottesa alle co- struzioni giuridiche dell’ottocento. Tale modello, che vedeva l’uomo soltanto nella sua esperienza fisica ed in relazione al gruppo di appar- tenenza, inizia tuttavia a tramontare in relazione all’affermarsi di una diversa considerazione dei bisogni dell’uomo. Ed, in effetti, grandi stravolgimenti culturali stanno verificandosi: l’esistenzialismo, la rivo- luzione psicanalitica, mettono in atto un processo culturale che tende a percepire con diversa e nuova sensibilità i bisogni dell’uomo, che non sono mai «puramente» materiali, perché anche le esigenze della vita materiale esprimono un anelito spirituale ed un significato biografico e fenomenologico. Insomma, tramonta quel dualismo che sdoppiava l’uomo in anima e corpo, in soggetto e oggetto, essendo mutata quella prospettiva che vedeva negli interessi di vita materiale esigenze di vita ben distinte e di minore dignità.

Tutto ciò non poteva non interessare il mondo del diritto, inteso sia come elaborazione teorica che come traduzione positiva. Ed è vistosissi- mo l’impatto. Il nuovo ordinamento costituzionale connota con una di- versa caratterizzazione il diritto moderno: l’assetto delle moderne costi- tuzioni pluralistiche è costantemente imperniato su un’istanza assiologi- ca suprema di controllo dell’ordinamento, che è la dignità umana, intesa come valore che inerisce all’uomo in sé. Gli interessi umani della vita ma- teriale entrano nell’orbita del diritto contemporaneo con una posizione gerarchica e un’apertura sconosciute in passato; questa attenzione per la persona umana nella sua realtà globale e in tutti i suoi valori investe la struttura e i contenuti normativi dell’intero ordinamento giuridico3.

La nuova antropologia assume un concetto di persona e di dignità umana radicato nel riconoscimento che la personalità non è solo pura astrazione di valore, essere assiologico, ma anche essere ontologico, poiché accanto alla razionalità, vi è l’esistenza empirica. C’è di nuovo che la dimensione di valore non può essere formale, astratta ma – sem- brerebbe– come ciascuno la percepisce, perché diverse preferenze, aspirazioni, stili di vita delineano ordini di valori e di giustizia dispa- rati e spesso confliggenti tra loro, ma tutti egualmente rispettabili. La dignità umana non assume contenuti su basi metafisiche o ontologi- che, perché riconosce valore alla diversità e specificità di ciascuno coincidendo con l’spirazione alla maggior riduzione possibile della propria sofferenza4. Questo concetto di dignità umana, di per sé tradi-

3In proposito, AA.VV., L’influenza dei valori costituzionali sui sistemi giuridi- ci contemporanei, a cura di PIZZORUSSO-VARANO, Milano, 1985; AA.VV., Prospetti- ve di riforma del codice penale e valori costituzionali, a cura del CENTRONAZIONA-

LE DI PREVENZIONE EDIFESA SOCIALE, Milano, 1982.

4Così LECALDANO, Bioetica. Le scelte morali, Bari, 1999, 68. Per una critica al- la concezione kantiana di dignità umana, in quando individuata come caratteri-

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zionalissimo, rappresenta il «novum categoriale»5 del diritto contem- poraneo, in quanto introduce una dimensione dinamica e concreta, che lascia emergere problemi di tutela della vita materiale e spirituale, destinati altrimenti a restare nell’ombra nell’ambito di una visione astratta e normativa.

Il tema dell’eutanasia, ovvero della solidarietà nella morte, pone tragicamente alla ribalta i bisogni per così dire «spirituali» dell’uomo, ma che tanto hanno a che fare con il corpo6.

L’eutanasia, come problema cui apprestare una soluzione normati- va, solleva questioni di senso che concernono la morte e il significato di essa all’interno della vita, ponendo in questione quale sia, in alcuni casi estremi, il valore da tutelare7. Questa ricerca presenta una dimen- sione squisitamente intima, personale, non generalizzabile o condivi- sibile universalmente. Anche se privata di un significato simbolico me- tafisico, la morte non è perciò priva del suo valore di esperienza, di ac- cadimento espressione di un vissuto interiore; i desideri di morte non necessariamente, in situazioni estreme di sofferenza fisica e psichica, esprimono una tensione nichilista e antitetica alla vita, ma al contrario possono manifestare l’esigenza di riconoscere consapevolmente un proprio significato anche a questo momento estremo della vita8. Que-

stica astratta e razionale non peculiare a ciascun individuo, FEINBERG, Harm to Self, vol. III, in The Moral Limits of the Criminal Law, Oxford, 1986, 96 ss. V. an- che ORRU` , La tutela della dignità umana del morente, in Vivere: diritto o dovere?, a cura di STORTONI, Trento, 1992, 95.

5MENGONI, La tutela giuridica della vita materiale, cit., 1128.

6RESCIGNO, La fine della vita umana, in Il diritto e la vita materiale, Roma, 1984, 189, che osserva quanto sia stato episodico e marginale l’interesse del giu- rista per le questioni che si legano alla fine della vita umana, eccezion fatta per il penalista, al quale però è toccato di trattare il tema soltanto sotto il profilo del- la tutela da interferenze ingiustificate.

7Il processo di secolarizzazione, se da un lato ha contribuito ad una libera- zione da un apparato ideologico che lega la morte al dolore e all’espiazione di una colpa originale, d’altra parte li ha svuotati di una propria ragione d’essere, drammatica se si vuole, ma in grado di riempire di un elevato senso le compo- nenti ineludibili della vita. Sul diverso atteggiamento verso la morte imminente, FIORI, La medicina e le fasi finali della vita, in Bioetica, 1999, n. 1, 29. Il desiderio di accelerare il percorso finale dell’esistenza, il mito della buona morte, possono corrispondere oggi ad una cultura che sfugge, che ne annulla il senso, divenen- do così «il luogo stesso dell’assenza di significati, dell’insignificanza pura e irre- movibile». In questo senso D’AGOSTINO, Morte, in Etica della vita, a cura di COM-

PAGNONI, Cinisello Balsamo, 1996, 60 ss.

8La morte non è solo fine dell’esistenza nel mondo, ma essere nel mondo, o essere verso la morte stessa, ovvero il riconoscimento della dimensione finita del l’essere, così KÜBLER-ROSS, La morte e il morire, Città di Castello, 1976, 14 ss.

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sta tensione a «dominare» la propria morte produce gli effetti di una vera e propria «rivoluzione copernicana»9, in cui trova voce la richie- sta di vivere una dimensione diversa, più intima e consapevole, poiché l’uomo moderno è forse più bisognoso ed in crisi, ma anche più forte nel voler vivere le proprie crisi e i propri bisogni con coscienza.

2. Il problema dell’eutanasia tra agnosticismo e repressione

L’argomento dei compiti del diritto penale rispetto ai bisogni di morte suscita disagio e sorpresa: non è forse la morte una esperienza talmente intima, personale, irripetibile dell’uomo, da essere aliena da considerazioni di tipo giuridico, tale da definire l’intervento della leg- ge, con le sue categorizzazioni e generalizzazioni, una inammissibile e grave ingerenza in una sfera ostile al linguaggio delle regole10? Non sa- rebbe forse manifestazione di arroganza da parte dei giuristi il voler interferire situazioni senza tenere conto della loro eccezionalità, del fatto di presentarsi come casi limite che, in quanto tali, fuoriescono dalla possibilità di essere disciplinati mediante regole giuridiche?

Diviene necessario interrogarsi se la scienza giuridica possa mai considerarsi competente e legittimata ad intervenire in tanta privatez- za; se uno Stato e un diritto laico possano mai imporre la salvaguardia ad oltranza della vita umana a qualsiasi costo; se certe manifestazioni di solidarietà nei confronti di malati terminali che si traducono in con- dotte di aiuto a morire, non debbano collocarsi in uno spazio sottratto alla competenza del diritto (rechtsfreier Raum), in quanto problemi in- trinsecamente morali che richiedono soltanto una soluzione indivi- duale e secondo coscienza11.

Sulle trasformazioni delle condizioni psicologiche e sociali del morire, ARIES, L’uomo e la morte dal medioevo a oggi, Roma-Bari, 1980; NULÀND, Come moria- mo. Riflessioni sull’ultimo capitolo della vita, Milano, 1995.

9Così ESER, Möglichkeiten und Grenzen der Sterbehilfe aus der Sicht eines Ju- risten, in Menschenwürdigen Sterben, a cura di JENS-KÜNG, 1995, 149. DWORKIN, Il dominio della vita, Aborto, eutanasia e libertà individuale, Milano, 1994, in cui la morte è descritta come «l’ultimo atto di un’opera teatrale», di quell’opera d’ar- te che è la vita. V. anche AMERY, Hand an sich legen. Diskurs über den Freitod, Stuttgart, 1981. Per un approccio di tipo psicoanalitico ai «bisogni di morte», V.

HILLMAN, Il suicidio e l’anima, Roma, 1972.

10ESER, Freiheit zum Sterben, Kein Recht auf Tötung, in JZ, 1986, 786.

11KAUFMANNARTH, Rechtsfreier Raum und eigenverantwortliche Entscheidung.

Dargestellt am Problem des Schwangerschaftsabbruchs, in Festschrift für MAURA-

CH, Karlsruhe, 1972, 327; HIRSCH, Strafrecht und rechtsfreier Raum, in Festschrift für BOCKELMANN, Berlin-New York, 1974, 775; STELLA, Il problema giuridico del -

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Può, ancora oggi, essere sostenuta la posizione più radicale, che esclude la possibilità che tali esigenze possano essere tradotte nel lin- guaggio giuridico? In tal caso, il ruolo della riflessione bioetica e dell’etica medica sarebbe alternativo al diritto, in quanto sistema di re- golamentazione non giuridico (deontologico?) che darebbe spazio ad una grande e diretta responsabilità personale degli stessi protagonisti.

All’opposto, c’è chi ritiene che la strategia regolamentativa più adegua- ta sia quella giuridica, dal momento che, in assenza di una diffusa co- scienza e responsabilità collettiva, non si possa fare a meno dello stru- mento «forte» della legge.

In verità, la posizione agnostica esprime questo disagio, esternando così il senso di limite, di impossibilità di relazione tra il diritto – il mon- do delle regole – e le scelte esistenziali più profonde. E ciò anche a cau- sa della strutturale incapacità del diritto – per il suo carattere paradig- matico – di penetrare la complessità delle dinamiche emotive e relazio- nali sottese alla scelta di morire e di superare la tensione che nasce dal conflitto tra diversi sistemi di valori in gioco in questioni concernenti la vita, nell’ambito di una società sempre più plurale e disomogenea. Sul presupposto dell’incapacità strutturale del diritto a regolare tali situa- zioni, si è cercata una soluzione in via eccezionale ed extra ordinem at- traverso strumenti che consentono una individualizzazione del giudizio penale in corrispondenza ad esigenze di equità, facendo fronte a situa- zioni eccezionali «senza incidere o modificare i principi»12.

In questa ottica l’eutanasia si è presentata come problema teorico di tipo filosofico o sociologico, o altrimenti, all’opposto, di tipo prati-

l’eutanasia: l’interruzione e l’abbandono delle cure mediche, in Riv. it. med. leg., 1984, 1020.

12Il dibattito sull’eutanasia tocca principi morali ultimi e le applicazioni dei principi (indisponibilità-disponibilità della vita umana), le regole e le eccezioni, la necessità di mantenere un ruolo pedagogico e di guida delle norme e dell’or- dinamento giuridico anche in casi concreti nei quali la valutazione nel merito sembrerebbe richiedere che vengano accantonati. L’eutanasia investe sia que- stioni di giustizia generale, legate all’affermazione di principi morali ultimi, che di giustizia concreta, legate alla considerazione del caso concreto, così FEINBERG, Trascurare deliberatamente il merito del singolo caso: un approccio sbagliato al di- ritto a morire, in Vivere: diritto o dovere?, a cura di STORTONI, Trento, 1992, 149.

A favore del ricorso dello strumento della grazia, quale soluzione che consente una considerazione del caso nel merito, senza però intaccare i principi, PORZIO, Eutanasia, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 103. Altrettanto STELLA, Eutanasia at- tiva ed eutanasia passiva. Problematiche giuridiche, in Rass. Giur. sanità, 1985, 175, secondo cui la soluzione a queste problematiche debba essere cercata al di fuori della tipicità e delle cause di giustificazione, in modo da sottrarre il bene della vita umana a qualsiasi giudizio di bilanciamento. Per una ricostruzione in chiave teleologica della potestà di clemenza, V. MAIELLO, La clemenza tra dom- matica e politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 1029.

Eutanasia e diritto penale 13

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co, da affidare ad un terapeuta, ma giammai come questione giuridica, poiché per definizione sfugge, a causa dell’eccezionalità della situazio- ne che ricomprende, alla possibilità di essere soggetta a qualsiasi rego- lamentazione di tipo giuridico. Il fenomeno si è presentato come pras- si oscura, sommersa, esorcizzata nella terminologia tanto da non esse- re distinto concettualmente nella sua portata e nelle sue dimensioni13. Conseguentemente, il dibattito sul tema si è sviluppato in un primo tempo in modo più serrato e combattivo fuori dall’ambito del diritto, nella sfera delle dottrine etiche, religiose e politiche, collegato com’è ad antiche matrici di pensiero e di fede. Di fondo, era la convinzione che i conflitti che si pongono nella medicina non dovessero essere ana- lizzati in termini giuridici, ma esclusivamente nell’ambito dell’etica medica; così abdicando a favore della deontologia professionale o dell’autorità morale dell’insegnamento della Chiesa cattolica. Il pre- supposto è dunque la negazione che il diritto e la scienza giuridica pos- sano comprendere quell’esperienza umana così tragica e contradditto- ria che è l’eutanasia, e che il contrasto tra legge e etica individuale sia

13Recentemente il movimento SÌ ALLAVITAha pubblicato nel periodico della Fondazione Rui i risultati di un’indagine sociologica dalla quale risulta che il 13,9% dei medici e infermieri intervistati ha ricevuto almeno una richiesta euta- nasica negli ultimi tre anni, in Sì alla vita, anno XXI, settembre 1998, 26.

Anteriormente a questa indagine, è stata condotta una ricerca di tipo empiri- co sul comportamento dei medici nei confronti dell’eutanasia in alcune province del Nord Italia nei reparti di medicina intensiva e d’urgenza, di rianimazione, di ematologia, poi pubblicata nel 1993. Dalla ricerca è risultato che, a fronte di una certa conoscenza di tipo teorico (tutti sanno che un’iniezione di morfina è un at- to dovuto, ma non lo è l’endovena di potassio), si registra la tendenza alquanto diffusa ad attribuire ad un contesto molto lontano dalla propria esperienza quo- tidiana la possibilità che l’eutanasia si verifichi. In pratica, la classe medica fa ri- ferimento ad una casistica eccezionale, emblematica, troppo emblematica, che sposta il centro d’attenzione più sul modello esemplificativo che sulla prassi te- rapeutica. Nei casi di astensione terapeutica, ad esempio, sembra emergere a tendenza ad una sorta di autolegittimazione dell’operato del medico, che espri- me a sua volta il rifiuto ad ammettere che il medico, che si prodiga per un pa- ziente in condizioni estreme, possa vedere assimilato il proprio comportamento a quello connesso all’accanimento terapeutico. È quindi diffusa una mentalità che esprime riluttanza a riferire al proprio operato e alla propria esperienza i ter- mini «eutanasia», «accanimento terapeutico», collegati, secondo numerosi me- dici intervistati, ad una anomalia comportamentale. Ciononostante la stessa ca- sistica riportata dai medici intervistati delinea una situazione in cui i problemi dell’eutanasia e del divieto di accanimento terapeutico sono ormai fermamente presenti nella prassi ospedaliera, e non solo in pochi e sparuti casi. Ciò quindi corrisponde ad una negazione, almeno sotto il profilo teorico, dell’esistenza del problema, che tuttavia appartiene a pieno titolo, alla quotidianità. Così RAUZI- MENNA, La morte medicalizzata. Una ricerca sul comportamento medico nei con- fronti dell’eutanasia, Bologna, 1993, interviste nn. 26, 68 e nn. 44, 73.

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irrisolvibile per l’impossibilità di cogliere le dinamiche relazionali e di conflittualità senza alcuna implicazione emotiva14.

Da questo approccio sono scaturiti studi ispirati alla interdiscipli- narietà, spesso contraddittori ed in antitesi, posto che ben lontani era- no i punti di partenza15. Il contrasto insanabile sui principi morali ul- timi sembrava escludere ogni possibilità di un accordo mediatore, sal- vo poi consentire nella prassi, sotto le spoglie di situazioni– limite, una inversione delle posizioni di partenza, realizzando così un certo con- senso su casi estremi ed eccezionali16.

A ben vedere, l’apparente agnosticismo e la pretesa indifferenza del di- ritto nei confronti di questa dimensione esistenziale della vita umana vo- gliono affermare l’idea che scienza e coscienza di un altro uomo possano decidere nel migliore dei modi di situazioni esistenziali estreme, che toc- cano il senso stesso della vita umana. La penalizzazione «a tappeto» di qualsiasi partecipazione alla morte sottrae le decisioni sulla vita e sulla morte alla libertà del singolo, ma le rimette alla discrezionalità del medi- co o del giudice. In entrambi i casi, la valutazione delle scelte individuali è affidata alla coscienza e alle convinzioni di un osservatore esterno.

Ed invero, il quadro attuale dei delitti posti a tutela della vita uma- na è fin troppo severo: il legislatore si è spinto ben oltre il «classico» di- vieto di uccidere, fino a porre il divieto di solidarizzare con colui che è

14Tali tentativi di interpretazione coinvolgono – forse più che in ogni altra questione – la soggettività dell’interprete, la sua emotività, la sua concezione del- la vita e della morte, così RAMACCI-RIZ-BARNI, Libertà individuale e tutela della sa- lute, in Riv. it. med. leg., 1983, 848. Sulle difficoltà di una trattazione dell’eutana- sia di tipo esclusivamente tecnico o neutrale, GIUNTA, Diritto di morire e diritto pe- nale. I termini di una relazione problematica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 74.

15Le analisi sul tema dell’eutanasia si sono in passato caratterizzate per un’impostazione radicale, come soluzioni totali, spesso dettate da opzioni ideolo- giche incapaci di differenziare i diversi aspetti della problematica, pro o contro quella che appariva come un’eccezione al principio dell’intangibilità e della tute- la della vita umana, a seconda che venissero valorizzate, in generale o in relazio- ne al singolo caso, le esigenze di equità e giustizia, o invece di certezza e garan- zia. La percezione del problema era di tipo monolitico, ovvero fenomeno sostan- zialmente unitario e non scomponibile nel suo interno. Sul punto BELLOTTO, Il

«particolare valore morale» della disperazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 215.

16MORI, Sacralità e indisponibilità della vita: per un’analisi delle prospettive ge- nerali sottese alla moralità dell’eutanasia, in Un’etica pubblica per la società aper- ta, Atti del convegno internazionale di Politeia, Milano, 1987. Di contrario avvi- so, ma con riferimento al panorama americano, è DWORKIN, Il dominio della vi- ta, cit., passim, secondo cui l’accordo che si realizza sui casi pratici non concer- ne le problematiche specifiche dell’eutanasia, ma quelle affini del divieto dell’ac- canimento terapeutico e della accettabilità delle terapie del dolore. Il disaccor- do, proprio perché verte su principi morali ultimi, è assolutamente irrisolvibile, ed esclude a priori ogni possibilità di mediazione.

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il principale esecutore della propria volontà di morire, segnando una limitatissima sfera di liceità, all’interno della quale nessuno può acce- dere senza assumersi le responsabilità dell’atto di questi17. Le fattispe- cie penali poste a tutela della vita umana escludono che possa esserci una continuità tra solidarietà e morte di un individuo e tracciano una precisa direzione degli obblighi solidaristici a favore delle pratiche di salvataggio della vita umana. La direzione degli atti solidali è quindi nettamente volta a favore della scelta di vivere, e mai in senso opposto, secondo un programma di tutela oggettiva ed incondizionata dell’inte- resse individuale che riflette altre e più chiaramente «politiche» ragio- ni delle norme incriminatici. Ed infatti, un’osservazione attenta del contenuto di questi doveri di etica solidale induce a ritenere che, in ve- rità, essi si inseriscono in una prospettiva generale di solidarismo, e cioè come solidarietà interna al gruppo, poiché vero destinatario non è colui che beneficia di tale solidarietà, ma anche o piuttosto l’intera col- lettività o lo stesso Stato18.

17La durezza del complesso normativo posto a tutela della vita umana, con la previsione di un apparato sanzionatorio che colpisce qualsiasi interferenza sulla dimensione cronologica della vita umana, a prescindere da ogni ragione, espri- me un’opzione decisamente contraria a qualsiasi pratica eutanasia. Non soltan- to le situazioni tipiche sono tutte ed interamente riconducibili alle due norme dell’istigazione o aiuto al suicidio e dell’omicidio del consenziente, ma esse stes- se, richiedendo particolari requisiti attinenti alla volontà del soggetto passivo, fi- niscono per rinviare alla più grave fattispecie dell’omicidio semplice (v. infra).

18Nell’ambito della tradizione culturale coeva all’emanazione del codice, l’eti- ca della solidarietà si è identificata nel modello religioso del buon samaritano, che prescrive l’intervento a salvataggio di colui che si trova in pericolo di vita. Ciò è chiaramente indiziato da alcune significative fattispecie incriminatrici. I delitti di omissione di soccorso, di usura, di circonvenzione di incapaci, esprimono chiara- mente quest’esigenza di tradurre, in termini secolarizzati e immanenti, precetti appartenenti alla morale religiosa, ispirati al modello biblico del buon samarita- no. L’ottica è infatti quella – solidaristica – di tutela del più debole, del più biso- gnoso. Il codice Rocco recepiva, almeno apparentemente, un’idea della solidarietà soprattutto come afflato cristiano, come principio morale che nasce da fonte reli- giosa e che si traduce nell’imposizione di una serie di regole intersoggettive, es- senzialmente dunque come regola dell’agire individuale. Nell’omissione di soc- corso la solidarietà è umana, mentre il delitto di usura si ispira alla solidarietà economica; infine nella circonvenzione di incapaci, trovano spazio entrambe le esigenze a completamento di tutela rispetto a più gravi e diverse situazioni di in- feriorità contrattuale e di incapacità ad autotutelare i propri interessi economici.

V. MUSCO, Omissione di soccorso, in Dig. disc pen., VIII, 1994, 558; CADOPPI, Il rea- to di omissione di soccorso, Padova, 1993; REINOTTI, Omissione di soccorso, in Enc.

dir., XXX, Milano, 1980, 43; MAGRO, L’omissione di soccorso tra situazione di peri- colo e obbligo di fedeltà, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 387. Sull’originaria figura di usura, anteriormente alla riforma del 1996, che conservava anch’essa intatta la sua struttura originaria di condotta contraria ai più elementari doveri di pietà e

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3. Il paradosso dell’eutanasia

Sono numerose le situazioni legate all’evolversi della tecnologia, in cui le categorizzazioni di senso e valore possono condurre a soluzioni opposte, determinando un disaccordo insanabile sia sul piano teorico che delle scelte pratiche: la solidarietà, l’autonomia e la stessa dignità umana depongono sia a favore che contro l’eutanasia19. Si dimostra in tutta evidenza l’importanza del caso concreto e la necessità di una sua

«comprensione», e cioè della categorizzazione del senso, prima della ricerca della soluzione giuridica risolutiva. Opposti intendimenti o comprensioni conducono a soluzioni opposte, ma tutte sostenibili in base al valore assunto, al senso attribuito al caso20. Così, ad esempio, l’affermazione che l’individuo ha un interesse alla conservazione della propria salute non significa necessariamente che ciascuna persona debba considerare la salute fisica come un proprio bene. Lo stato di benessere, secondo un ideale di vita ascetica e spirituale, può invece corrispondere ad una mortificazione del corpo e dei bisogni materiali.

L’angelo della morte che aiuta a morire i malati terminali può appari- re come un benefattore o come uno spietato criminale. Il diritto a mo- rire naturalmente o alla morte liberatrice quando le cure si rivelano inidonee si contrappone al diritto alla vita e ad ogni istante di essa. Il senso di umanità e di solidarietà può condurre sia a favore delle ri- solidarietà umana, mantenendo così un rapporto assai stretto con il divieto pro- prio della tradizione biblica, V. MAGRO, Considerazioni politico-criminali sul reato di usura, in Arch. pen., 1997, 283; BERTOLINO, Le opzioni penali in tema di usura: dal codice Rocco alla riforma del 1996, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 774.

Nella concezione idealista dello Stato, propria dell’ordinamento fascista, il recupero di questa tradizione etico-religiosa non è solo significativo dell’esigen- za di rinsaldare i precetti morali appartenenti al sentire del tempo, o di pro- muoverne l’interiorizzazione e perseguire un ideale di perfezionamento etico, ma anche quello politico di rafforzare i vincoli sociali e collettivistici del singolo all’interno della comunità di cui è parte, affermando una concezione dell’indivi- duo come una particella di un tutto integrale al quale egli è immanentemente e funzionalmente legato, da cui discendono una rete di doveri e divieti giuridici.

L’evoluzione del diritto vigente manifesta piuttosto un’affermazione della soli- darietà più smaccatamente politica e in una duplice direzione: solidarietà verso il reo, attraverso l’idea della rieducazione e dell’umanità della pena e solidarietà verso la vittima, reale o ancora potenziale del conflitto, attraverso gli obiettivi di prevenzione e di controllo della criminalità.

19LEIST, Diskussion um Leben und Tod, in Um Leben und Tod. Moralische Probleme bei Abtreibung, künstliche Befruchtung, Euthanasie und Selbstmord, a cura di LEIST, Frankfurt am Main, 1990, 9; FOOT, Eutanasia, in Introduzione alla bioetica, a cura di FERRANTI-MAFFETTONE, Napoli, 1992, 81; BARCARO, Eutanasia.

Un problema paradigmatico della bioetica, Milano, 1998.

20Su queste tematiche, ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992.

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chieste di morte, verso una giustificazione oltre che morale, anche giu- ridica delle pratiche eutanasiche, che contro di esse, configurando un dovere di intervento ad oltranza in ragione della tutela della vita uma- na, volto ad impedire ad ogni costo la realizzazione di un fatto non cor- rispondente ai veri e oggettivi interessi dello stesso individuo. La mor- te è altrettanto dignitosa sia quando l’individuo la decide da sé in pie- na autonomia, sia nella situazione opposta, in cui non viene in nessun modo facilitata o anticipata intenzionalmente, e la dignità si manifesta nella sua accettazione come fatto naturale21. L’espressione morire con dignità può essere utilizzata da entrambe le parti nei due sensi opposti e sembra che nessuna possa appropriarsi dell’uso linguistico o vantare una sorta di privilegio senza presupporre la correttezza del relativo principio morale ultimo che difende.

La ragione di questo paradosso risiede nel fatto che la problematica dell’eutanasia si presenta come eccezionale. L’eccezionalità sta nel para- dosso di commettere un reato – il più grave, l’omicidio – come estremo ed ultimo atto di solidarietà poiché la morte, il massimo dei mali, può assu- mere, in certe circostanze, tale significato, se collocata in una prospettiva solidaristica di partecipazione al dolore e alla sofferenza altrui22. La dif- ficoltà con cui deve misurarsi un’analisi giuridica dell’eutanasia riguarda il fatto che essa ha a che fare con la morte «voluta» della stessa vittima, con l’idea del «cagionare» la morte di un uomo, rispetto al quale l’autore è coinvolto con un atteggiamento di simpatia, di identificazione dell’altro con se stesso, secondo un meccanismo emotivo di partecipazione alla si- tuazione altrui che si determina attraverso un artificio dell’immaginazio- ne, in cui il soggetto spettatore si rappresenta la possibilità che tale situa- zione altrui lo riguardi come propria. Lo spettatore solidale simpatizza con l’altro, immaginando di trovarsi allo stesso tempo dentro e fuori quel- la data situazione, di subirne e di non subirne gli effetti, di esserne in- somma profondamente implicato pur restandone al di fuori23.

21Ad esempio, V. recentemente, in una prospettiva teologica, KÜNG-JENS, Del- la dignità del morire. Una difesa della libera scelta, Milano, 1996; JONAS, Il diritto di morire, Genova, 1991, 53 ss.

22Contro il riconoscimento di una solidarietà nella morte, MANTOVANI, Il pro- blema della disponibilità del corpo umano, in Vivere: diritto o dovere, cit., 41; CIC-

CONE, Eutanasia: verso una nuova «battaglia civile», in Vita e pensiero, 1988, II, 73; D’ADDINOSERRAVALLE, Brevi cenni in materia di eutanasia, in Legalità e giusti- zia, 1988, 314.

23Lo spettatore alla morte ad esempio immagina di trovarsi da vivo in una si- tuazione di morte. Sull’argomento V. BAGOLINI, L’etica della simpatia nella mora- le e nel diritto, Torino, 1966. A favore di un’etica della simpatia, intesa come im- maginazione partecipante capace di farci sentire e vivere come nostra l’espe- rienza altrui, SCARPELLI, Bioetica: prospettive e principi fondamentali, in AA.VV., La bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell’uomo, Milano, 1991, 47.

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Questa base psicologica è del tutto eccezionale e peculiare di una si- tuazione non paragonabile ad alcuna fattispecie penale prevista dal nostro sistema, proprio perché i presupposti psicologici sono tali da invertire il segno, il significato, di un fatto terribile24. Lo stesso fatto di

«volere» la morte sembra spostare l’attenzione da un’astratta e fredda valutazione dei significati generalizzabili e simbolici, verso la ricerca dei significati emotivi e personalissimi di un’esperienza fisica di tra- passo.

La solidarietà nella morte, essendo dettata da motivazioni del tutto spontanee e altruistiche, pone drammaticamente un conflitto tra valu- tazione secondo la propria coscienza e moralità (etica individuale o autonoma) e morale positiva, e tra valutazione morale e non morale (ad esempio di tipo economico)25. Le esperienze di aiuto a morire sem- brerebbero dettate da una scelta che assume come misura l’etica auto- noma, ma che devono fare i conti con la legge dello Stato26.

Se proprio l’amore per l’altro impone la scelta, si coglie la necessità di prospettare un’ipotesi interpretativa «laica» del sistema giuridico o

La simpatia quindi consente la elaborazione di una teoria, in termini psico- logico-razionali, dei sentimenti morali in cui il processo di formazione delle re- gole morali è razionale e di tipo induttivo, ma anche emozionale. Evidentemen- te emerge nel processo simpatetico in maniera dominante ed esclusiva l’indivi- dualità sentimentale dell’osservatore, che riflette certamente il c.d. self-love e self-interess, cioè la propria concezione e visione del mondo. Questo elemento di partecipazione soggettiva dell’osservatore determina il tipo di giudizio morale e di reazione alla situazione con cui si simpatizza. La simpatia assume quindi un significato più ampio di altre parole che esprimono anch’esse sentimenti di par- tecipazione al dolore altrui, quali la pietà o la compassione o la solidarietà, es- sendo solo una teoria che spiega la nascita dei sentimenti e degli atteggiamenti morali, senza assumere una connotazione necessariamente positiva.

24Questo sentire all’unisono – quello altruistico del benefattore e quello del beneficiario – pone un problema di apparente conflitto tra due aspetti del mede- simo principio – la c.d. regola aurea – ed in particolare tra la parte negativa del precetto, che vieta di cagionare danno ad altri, e quella positiva, che prescrive il dovere di fare del bene.

25MAGRO, Etica laica e tutela della vita umana: riflessioni sul principio di lai- cità in diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1382.

28È stato affermato che, eccetto i casi in cui vi siano caratteristiche persono- logiche abnormi, l’eutanasia, ossia l’uccisione per pietà, difficilmente possa es- sere oggetto di studio criminologico, dal momento che la condotta ausiliatrice per pietà – pur essendo immersa nella caligine della norma penale – costituisce un’ipotesi paradigmatica collocabile al di fuori dei confini oggettuali della scien- za criminologia. È difficile per il criminologo trovare un’etichetta delinquenzia- le per chi, agendo nell’ambito di un proprio sentire, s’imponga la drammatica esperienza di fornire aiuto alla soppressione di un proprio simile pietatis causa, così SCLAFANI-GIRAUD-BALBI, Istigazione o aiuto al suicidio, Napoli, 1997, 96-97.

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