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LA SOCIETÀ STRUMENTALE ALL ATTIVITÀ PROFESSIONALE

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Academic year: 2022

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L L E E SE S E RC R CI IZ Z IO I O D DE E LL L LA A P PR RO OF F ES E SS SI IO ON N E E I IN N F F O O R R M M A A A A S S S S O O C C I I A A T T A A

P P . . D D P P

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Indice

1 LO STUDIO ASSOCIATO --- 3

2 LA DENOMINAZIONE --- 4

3 LA SOCIETÀ STRUMENTALE ALL’ATTIVITÀ PROFESSIONALE --- 5

4 LA SOCIETÀ DI REVISIONE DI CUI AL D.P.R. 136/1975--- 11

5 I CENTRI AUTORIZZATI DI ASSISTENZA FISCALE (CAAF) --- 15

BIBLIOGRAFIA --- 17

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1 Lo studio associato

L’art. 1, l. 23 novembre 1939, n. 1815, stabilisce che le persone le quali, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, si associano per l’esercizio delle professioni per cui sono abilitate, devono usare nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti con i terzi, esclusivamente la dizione “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario”, con l’indicazione del nome e del titolo professionale di ciascun associato.

La norma menzionata è volta a impedire lo svolgimento in concreto delle professioni liberali da parte di soggetti non legittimati. Essa conferma e completa l’art. 2232 c.c., per cui si ricava il principio della necessaria coincidenza, in capo al professionista, della qualità di parte contraente e di esecutore della prestazione dedotta nel contratto. Benché privo di personalità giuridica, lo studio professionale associato rientra nel novero dei fenomeni di aggregazione di interessi, quali per esempio le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna e i gruppi europei di interesse economico, ai quali il legislatore attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici.

L’incarico viene affidato dal cliente al singolo professionista, e non allo studio, che non ha personalità giuridica e assume rilievo solo nei rapporti tra gli associati, al fine della divisione degli utili.

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2 La denominazione

In base alla l. n. 1815 del 1939, i professionisti associati devono essere indicati con nome e cognome nella denominazione dello studio e nei rapporti con i terzi. Fra di essi non possono essere compresi quei soggetti che, per essere deceduti, non rivestono più la qualità di associati, pur se siano stati, in vita, i fondatori dello studio.

Di conseguenza devono essere considerati nulli, in base all’art. 1418, comma 1, c.c., i contratti o i patti che, in violazione della prescrizione di cui all’art. 1, l. n. 1815 del 1939, consentano l’uso del nome del fondatore deceduto nella denominazione dell’associazione professionale.

I professionisti possono associarsi al fine di dividere le spese dello studio e gestire i proventi dell’attività. L’associazione professionale, infatti, non diviene titolare del rapporto di prestazione d’opera che intercorre con il professionista: anche nello studio associato il cliente conferisce l’incarico professionale ad un professionista e non genericamente all’associazione.

Per tale motivo, secondo la giurisprudenza di merito, deve considerarsi nullo il contratto avente a oggetto un incarico conferito ad un’associazione di professionisti impersonalmente. Lo studio associato, dunque, non ha la possibilità di sostituirsi legittimamente ai singoli prestatori d’opera nei rapporti con i clienti, qualora si tratti di prestazioni per le quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione di cui solo il singolo può essere in possesso.

Per quanto riguarda la responsabilità professionale, i professionisti che appartengono ad un’associazione professionale rispondono individualmente per gli incarichi che ciascuno assume. Vi è, invece, una responsabilità solidale in ipotesi di assunzione di incarico congiunto.

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3 La società strumentale all’attività professionale

Fra le forme di esercizio delle professioni intellettuali non si pone sicuramente in contrasto con il carattere personale delle attività liberali medesime la così detta società di mezzi.

Si tratta di una società che ha come oggetto la mera realizzazione e gestione dei mezzi strumentali quali arredamenti di studio, macchinari, software per l’esercizio di un’attività professionale protetta se tale realizzazione e gestione rimane distinta e separata nettamente, anche per l’aspetto contabile, dall’attività professionale.

Tra la società e il professionista, pertanto, interviene un contratto in base al quale la società si obbliga a mettere a disposizione del professionista i beni strumentali e i servizi accessori che consentono o facilitano l’attività professionale che deve essere svolta personalmente anche se con la collaborazione di sostituti e ausiliari, i quali rimangono sotto la direzione e responsabilità del professionista incaricato.

Il professionista, in cambio, corrisponde alla società il pagamento di un corrispettivo stabilito in misura fissa ovvero in proporzione dei suoi proventi professionali.

La società di mezzi può essere costituita da più professionisti per l’esercizio in comune dei soli strumenti necessari alla loro attività o può essere formata da soggetti che professionisti non sono. Si tratta in quest’ultimo caso delle società fra capitalisti per l’esecuzione di prestazioni intellettuali altrui: qui i professionisti non sono soci, ma dipendenti della società e l’attività esercitata in comune dai soci è una attività di interposizione fra quanti offrono il proprio lavoro intellettuale e quanti domandano servizi intellettuali.

La giurisprudenza della Cassazione ha operato una distinzione tra studi associati e società di professionisti, da un lato, e società di mezzi e società di servizi costituite tra professionisti, dall’altro, qualificando queste ultime come società la cui prestazione consiste in servizi che

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trascendono l’oggetto delle professioni “protette”. E ancora, tra prestazione intellettuale di consulenza, propria del professionista, e attività di organizzazione dei mezzi tecnici posti a servizio dei professionisti e dei terzi. Le società di servizi offrono sul mercato servizi strumentali o complementari rispetto all’attività professionale vera e propria, mentre le società di mezzi hanno ad oggetto la fornitura di beni strumentali e servizi accessori che consentono o facilitano l’esercizio della professione.

Anche il giudice amministrativo (Consiglio di Stato 17.5.93 n. 358 ) ha osservato che, in materia di tributi, “per la complessità della materia e per le conseguenze che ne possono derivare al contribuente”, l’attività professionale deve essere riservata agli iscritti negli albi professionali. La residua attività “meramente esecutiva o di supporto dell’attività intellettuale” può essere esplicata

“liberamente a prescindere dall’inclusione in un apposito elenco degli esperti della camera di commercio”; “la tenuta delle scritture contabili, la relazione e presentazione della dichiarazione dei redditi e la dichiarazione relativa all’imposta sul valore aggiunto implicano l’esplicazione di funzioni non di carattere essenzialmente pratico, in quanto non consistono nella mera compilazione di stampati, o nella sola riproduzione di semplici notizie anagrafiche o comunque deducibili da dati certi ed obiettivi forniti dal soggetto d’imposta, ma al contrario richiedono un’attività preventiva di individuazione, interpretazione ed applicazione di una normativa quale quella fiscale, complessa, di difficile interpretazione, molto articolata e spesso contraddittoria”.

Ha di fatto, quindi, legittimato la libera prestazione di attività “meramente esecutive” e di supporto all’attività professionale, limitandola però all’attività di prestazione di servizi non strettamente professionali, per i quali non sono previste “esclusive”.

Sempre con riferimento ai servizi contabili e fiscali, il Tribunale di Milano, con sentenza del 16.5.91, ha rilevato che “l’aggiornamento della contabilità ... non è necessariamente attività professionale, nella parte in cui ha implicato la semplice (ed elementare) immissione di dati forniti

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dalla cliente negli elaboratori gestiti dalla società mandataria per il fine della materiale tenuta della contabilità. Essa, tuttavia, configura attività riservata ai professionisti nella parte in cui ... ha riguardato la classificazione dei documenti e dei dati secondo le norme giuridiche civili e fiscali e con l’uso di nozioni e criteri creati dalla dottrina ragionieristica in materia di contabilità e di bilancio, e in quella che ha richiesto il controllo e la riconciliazione dei conti, o, a maggior ragione, la predisposizione delle dichiarazioni annuali IVA e dei sostituti d’imposta”.

Si tratta di servizi che non implicano l’uso di conoscenza e di esperienza tecnico-giuridica che possono essere resi dal personale dello studio professionale direttamente al cliente, senza concreto intervento del professionista. Da un punto di vista fiscale, trovano applicazione le norme degli artt. 6 co. 3 e 73 co. 1 del TUIR, a seconda che si tratti di società di persone (snc o sas) o di società di capitali (srl, spa o società cooperative). I redditi sono considerati in ogni caso d’impresa e determinati in base alla disciplina del reddito d’impresa.

I servizi di cui si sta parlando normalmente hanno carattere strumentale o complementare rispetto all’attività professionale vera e propria. Quando tali servizi assumano una rilevanza prevalente nell’ambito dell’attività complessiva dello studio, sembra consigliabile scindere l’attività di servizi dall’attività di consulenza e concentrarla in apposita società a carattere d’impresa.

La Corte di Cassazione, nella sentenza 18.4.2007 n. 9237, ha stabilito che deve considerarsi nullo il contratto stipulato da una società di servizi che, oltre all’attività di elaborazione dati, fatturi anche importi per consulenza e assistenza in materia legale e tributaria, prestazioni che possono essere svolte soltanto da professionisti iscritti in Albi professionali.

In particolare, la Suprema Corte, ribadendo un suo precedente orientamento (cfr. Cass.

8.9.99 n. 9507) ha rilevato che la nullità di un contratto per violazione del divieto di costituzione di società di capitali aventi ad oggetto l’espletamento di professioni intellettuali protette (art. 2 della L.

1815/39) si produce per il solo fatto che l’attività oggetto del contratto consista in una prestazione

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interamente ricompresa nell’attività tipica della professione protetta (in modo tale che, contrattualmente, tale prestazione sia imputabile in via diretta alla società e non ai professionisti che alla stessa facciano capo), senza che assuma rilievo la circostanza che la prestazione sia stata, in concreto, effettuata da un professionista iscritto all’Albo.

Per quanto riguarda la forma societaria, sono da evitare le società di persone per il divieto posto da taluni ordinamenti professionali ai singoli professionisti di esercitare attività d’impresa ed essere soci illimitatamente responsabili. Una società a responsabilità limitata può risultare idonea, specie se si intende nominare amministratori a tempo indeterminato, limitare la trasferibilità delle quote, prevedere prestazioni accessorie per i soci. Tale impostazione può presentare altri vantaggi operativi: la società può essere costituita tra gli stessi soci dello studio professionale o anche con terzi, con previsione di idonei compensi agli amministratori.

Quanto agli eventuali utili, questi saranno assoggettati a tassazione in capo ai soci solo in caso di distribuzione. Da ultimo, la società potrà essere intestataria di beni per svolgere la propria attività e potrà inquadrare collaboratori esterni, anche non professionisti.

SOCIETÀ DI MEZZI

Nulla quaestio in ordine alla legittimità delle società di mezzi, con cui i professionisti ripartiscono le spese o disciplinano l’utilizzazione in comune dei beni strumentali per l’esercizio della professione – quali, ad esempio, l’acquisto o la locazione di locali necessari all’esercizio della professione, l’acquisto o la locazione di mobili, arredi e macchine, l’aggiornamento di una biblioteca, l’assunzione di personale, la stipula di contratti con consulenti – avendo questi accordi rilevanza solo interna.

È, infatti, perfettamente lecito il contratto atipico che intercorre tra uno o più professionisti e una società di capitali che abbia ad oggetto la fornitura di beni strumentali e di servizi accessori che

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consentono o facilitano l’esercizio della professione. La società si pone come soggetto terzo e autonomo nei confronti dei professionisti e dei fornitori; sostiene i costi per i mezzi utilizzati dai professionisti e provvede a riaddebitare i corrispettivi dei servizi. I beni strumentali vengono, in tal modo, attribuiti alla titolarità di un diverso soggetto, la società di mezzi. È invece esclusa alla società ogni attività riservata agli iscritti ad albi professionali; pertanto i soci continueranno ad esercitare la professione individualmente o in forma associata o societaria, nel rispetto della L.

1815/39. Il Trib. Milano 16.5.91 (in Le Società, 11, 1991, p. 1546) precisa che il disposto dell’art. 1 della L. 1815/39 non opera qualora la società non abbia come oggetto l’esecuzione di compiti propri di professioni “protette”, ma si limiti a porre a disposizione dei professionisti (soci o terzi) un apparato di strutture e di mezzi che possa facilitare lo svolgimento della prestazione senza intaccare il rapporto fiduciario che si instaura tra il cliente ed il professionista, in modo che la prestazione gli sia direttamente imputabile.

In tema di legittimità, Cass. 13.5.92 n. 5656 (in Giur. it., 1993, I, 1, p. 354) rileva come non trovino applicazione i divieti di cui alla L. 1815/39 qualora la società “... abbia ad oggetto soltanto la realizzazione e la gestione di mezzi strumentali per l’esercizio di una attività professionale ancorché protetta (immobili, arredamenti, macchinari, servizi ausiliari), che resti però nettamente separata e distinta dalla organizzazione dei beni di cui si serve, anche sul piano contabile”.

ASSOCIAZIONI INTERNE

Nella realtà operativa quotidiana si assiste all’esercizio della professione negli stessi locali da parte di più professionisti individuali. Si tratta di “mere associazioni interne” tra professionisti ai fini della ripartizione delle spese di gestione dello studio in parti uguali o secondo quote di partecipazione che tengano conto della differente misura di utilizzo dei locali e dei servizi. Si pone il problema della ripartizione delle spese comuni72; di regola, uno dei professionisti è intestatario

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delle forniture dei servizi comuni e provvede a ripartire le spese pro quota tra gli altri professionisti.

In caso di apporto di nuovi beni, occorrerà procedere alla ripartizione delle relative spese pro-quota tra gli altri professionisti. In caso di ingresso nei locali di un nuovo professionista, ci si limiterà a riattribuire le quote di spese comuni relative a contratti e utenze.

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4 La società di revisione di cui al D.P.R. 136/1975

Nell’ambito dello svolgimento di attività professionali in forma associata, particolare rilievo hanno avuto le società di revisione, disciplinate con D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136 e successive modificazioni, in attuazione della delega contenuta nella legge 7 giugno 1974 n.216, recante disposizioni relative al mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli azionari.

Il D.P.R. permette infatti di costituire società cui partecipano professionisti intellettuali limitatamente alla revisione contabile ed alla certificazione dei bilanci delle società quotate in borsa.

E’ importante notare che le attività suddette sono riservate in via esclusiva a tali società, non potendo essere svolte da singoli professionisti.

Le società di revisione possono essere costituite tra dottori commercialisti e ragionieri iscritti negli albi o nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti oppure tra soggetti ad essi equiparati, in quanto adottino la forma della società semplice o della società in nome collettivo o in accomandita semplice ed in quanto la maggioranza dei soci illimitatamente responsabili sia costituita da professionisti appartenenti alle categorie sopra indicate. Se si intende utilizzare la forma della società per azioni o della società a responsabilità limitata i soci non possono essere professionisti, ma bensì istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale, istituiti di credito a medio e lungo termine. La disciplina legislativa si preoccupa di garantire l’indipendenza e la responsabilità professionale e patrimoniale di coloro che esercitano l’attività, estendendo l’ambito della responsabilità per i danni conseguenti da proprio inadempimento o da fatti illeciti derivanti dalle operazioni compiute.

Le altre garanzie di qualità dell’attività svolta sono costituite dalla previsione di specifiche ipotesi di incompatibilità da parte della società o dei suoi soci, amministratori, sindaci o direttori generali, a tutela dell’indipendenza nell’operare della società, e dall’istituzione presso la Consob di

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un albo Speciale delle Società di Revisione, l’iscrizione al quale è condizione essenziale per lo svolgimento stesso dell’attività ed è funzionale all’esercizio da parte della stessa Consob della vigilanza sull’attività delle stesse società.

NATURA E FINALITA DEL CONTROLLO LEGALE DEI CONTI ESERCITATO DALLE SOCIETA DI REVISIONE

La trasparenza, la completezza, l'affidabilità e l'esattezza dei dati verificati e certificati dalla società di revisione devono essere piene ed incondizionate, giacché è al raggiungimento dell'obiettivo di una completa ed esatta informazione del pubblico che è preordinata la normativa sulla revisione contabile obbligatoria.

Ad avvalorare l'identificazione della funzione del controllo legale dei conti esterno ed indipendente quale funzione pubblicistica'', si consideri la normativa in tema di responsabilità extracontrattuale a carico della società di revisione nei con-fronti dei terzi (investitori, finanziatori, soci) danneggiati, i quali abbiano posto affidamento sulla certificazione del bilancio rivelatasi poi inveritiera, per fatto imputabile alla negligenza (o al dolo) della società di revisione .

La fonte della responsabilità extracontrattuale della società di revisione deve rinvenirsi nella violazione del principio generale del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. Al pari dei sindaci, dunque, la società di revisione: a) deve adempiere ai propri doveri con la diligenza del mandatario;

b) è responsabile della verità delle sue attestazioni; c) è obbligata a conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui ha avuto conoscenza per ragione del suo ufficio.

Si affianca, pertanto, al generale dovere di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., uno specifico ed autonomo dovere della società di revisione di informare correttamente i terzi genericamente intesi, il quale dovere trova la propria ratio nell'affidamento che i richiami della correttezza mirano a tutelare.

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Dottrina e giurisprudenza concordano nel reputare la società di revisione responsabile nei confronti dei terzi ogniqualvolta sia ravvisabile negligenza nell'attività di certificazione contabile, ovvero sia ogniqualvolta essa rilasci una certificazione in contrasto con le risultanze contabili da essa acquisite, ovvero ometta indagini che avrebbero condotto ad accertare fatti tali da rendere necessario il rifiuto di emettere un giudizio positivo. È indubbio che la certificazione conferisce maggiore attendibilità al bilancio nella sua veste di strumento di informazione a vantaggio dei terzi, con la conseguenza che eventuali negligenti errori nel la certificazione finiscono con l'incidere sull'affidamento che chiunque sia interessato ha diritto di fare sui dati e sui risultati del bilancio stesso.

La responsabilità aquiliana della società di revisione ha infatti trovato riscontro in più di un precedente giurisprudenziale''. Anche in materia di revisione facoltativa, pur non potendosi applicare in via diretta le norme del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (il quale disciplina esclusivamente la fattispecie della revisione obbligatoria), la recente giurisprudenza si è pronunciata affermando che i principi dettati dal citato testo di legge a tutela di interessi generali o comunque ascrivibili a soggetti terzi, sono liberamente riferibili all'attività di revisione volontaria, allorché la stessa abbia la medesima funzione <certificativa> della obbligatoria, in quanto anch'essa destinata alla conoscenza da parte di terzi.

Quanto all'elemento soggettivo della responsabilità aquiliana qui trattata, la negligenza del revisore dovrà essere valutata con riferimento alla natura dell'attività esercitata (art. 1176 c.c., 2°

comma) e, trattandosi di prestazioni d'opera intellettuale, con minor rigore ove riferita alla soluzione di questioni tecniche di particolare difficoltà (art. 2236 c.c.). Per quanto poi concerne l'elemento oggettivo l'attore dovrà provare sia la condotta "ingiusta" in quanto erronea - il che può non essere facile in considerazione dell'esistenza di diversi e ermetici metodi valutativi e di revisione -, sia che tale erroneità abbia procurato la lesione di un suo diritto patrimoniale.

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Si ricorda infine che il comma secondo del citato art. 164 sancisce la responsabilità solidale con la società di revisione dei soggetti che abbiano sottoscritto la relazione contenente il giudizio sul bilancio nonché dei dipendenti che abbiano effettuato il controllo contabile, e ciò sia per l'inadempimento verso la società committente sia per i fatti illeciti commessi a danno di terzi.

Considerata dunque la portata delle disposizioni civilistiche, a maggior ragione le norme penali in materia di responsabilità dei revisori sono predisposte non solo a tutela della società revisionata ma anche, e soprattutto, a tutela dell'economia pubblica''. Ci limitiamo a ricordare qui l'art. 2624 c.c., novellato dal D. Lgs. 61/2002, in tema di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione. In particolare, la norma in questione commina per i responsabili della revisione i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione> la pena dell'arresto fino ad un anno o della reclusione da uno a quattro anni, a seconda che la condotta lesiva abbia o meno cagionato un danno patrimoniale. Va rilevato che trattandosi di un reato offensivo di interessi diffusi, vale la regola della procedibilità ex officio.

La regola generale nell'ambito della prova dell'inadempimento contrattuale dispone che il creditore debba provare semplicemente il danno causato dall'inadempimento stesso della controparte; spetta invece al debitore provare che l'inadempimento è dovuto ad una causa della quale egli non debba rispondere.

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5 I centri autorizzati di assistenza fiscale (CAAF)

I Centri Autorizzati di Assistenza Fiscale (CAAF) sono stati istituiti con la legge del 30 dicembre 1991 n. 413. Compiti specifici dei CAAF concernono l’attività di assistenza e di difesa nei rapporti tributari e contributivi, rimanendo ferma la possibilità di svolgere tali attività anche da parte degli iscritti agli albi dei dottori commercialisti o dei ragionieri, o da parte dei consulenti del lavoro e dei consulenti tributari.

Peculiarità di tali Centri è che possono essere costituiti da una o più associazioni sindacali di categoria dei lavoratori dipendenti e dei pensionati rappresentate nel CNEL ovvero di imprenditori presenti nel CNEL o riconosciute di rilevanza nazionale, o da organizzazioni aderenti alle suddette associazioni. I CAAF hanno natura privata, e sono costituiti nella forma delle società di capitali con capitale minimo di 100 milioni.

Possono essere nominati sindaci solo professionisti iscritti negli albi dei dottori commercialisti e dei ragionieri; alla direzione dei Centri è preposto un direttore tecnico responsabile, iscritto in uno dei suddetti albi, e con determinate esperienze professionali nel corso della carriera, che abbia la responsabilità personale dell’apposizione del visto di conformità, ossia della rispondenza delle dichiarazioni alla legge.

Vengono inoltre previste congrue garanzie assicurative a carico dei Centri, così come dei liberi professionisti che svolgano le attività in questione, per permettere una tutela dei diritti di rivalsa da parte dell’utente in caso di responsabilità professionale.

Possono richiedere la costituzione di un Centro di Assistenza Fiscale i seguenti organismi collettivi:

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• le associazioni sindacali di categoria fra imprenditori, con almeno dieci anni di attività, sia facenti parte del CNEL sia di altre associazioni riconosciute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;

• le associazioni sindacali dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, con un numero minimo di aderenti pari a cinquantamila;

• le associazioni di lavoratori promotrici di istituti di patronato, con un numero minimo di dipendenti pari a cinquantamila;

• i sostituti d’imposta (ovvero i datori di lavoro) con almeno cinquantamila dipendenti.

I CAF devono assumere, per espressa previsione normativa, la forma giuridica di società di capitali, con un capitale minimo pari ad euro 51.154,69 ed un oggetto sociale che preveda espressamente l’assistenza fiscale alle imprese. Ciascun Centro deve designare uno o più soggetti responsabili scelti tra gli iscritti all’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili.

Il decreto semplificazioni 175/2014 ha previsto nuovi requisiti per i centri che prestano l’assistenza fiscale ed in particolare la presentazione di una relazione tecnica per l’ottenimento dell’autorizzazione necessaria. Tale relazione deve illustrare: l’organizzazione del Centro, il tipo di contratto utilizzato per i suoi addetti, come avviene la formazione del personale e il sistema di controllo interno per garantire il corretto svolgimento dell’attività.

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Bibliografia

 D. POSCA, Diritto e management del commercialista. Ad Maiora. 2017.

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