M. Gallo 1,2 , G. Clemente 2,3 , K. Esposito 2,4 , L. Gentile 2,5 , R. Berardelli 6 , G. Boccuzzi 6 , E. Arvat 1,6
1
SC Endocrinologia Oncologica DU; AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Molinette, Torino;
2Gruppo
“Diabete e Tumori” dell’Associazione Medici Diabetologi;
3
Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali CNR, Penta di Fisciano (SA);
4Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Seconda Università di Napoli, Napoli;
5SOC di Malattie Metaboliche e Diabetologia, Asl 19 di Asti;
6Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino, Torino
Corrispondenza: dott. Marco Gallo, SC Endocrinologia Oncologica DU, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Molinette, via Genova 3, 10126 Torino e-mail: mgallo4@cittadellasalute.to.it
G It Diabetol Metab 2015;35:36-44 Pervenuto in Redazione il 21-01-2015 Accettato per la pubblicazione il 22-01-2015
Parole chiave: diabete, tumori, glucocorticoidi, nutrizione artificiale, gestione clinica
Key words: diabetes, cancer, glucocorticoids, artificial nutrition, clinical management
Rassegna
Gestione terapeutica dell’iperglicemia nel paziente oncologico in ospedale
RIASSUNTO
Diabete e cancro sono condizioni cliniche sempre più comuni, la cui gestione nello stesso individuo presenta spesso importanti difficoltà. È noto inoltre come la presenza di diabete si associ a un aumentato rischio di sviluppare vari tipi di neoplasie, e come la coesistenza di diabete conferisca un incremento del rischio di mortalità per numerose patologie tumorali. La presenza di dia- bete nel paziente oncologico pone diversi problemi complessi relativi alla gestione clinica, quali l’obiettivo di compenso glice- mico da perseguire in soggetti che possono avere un’aspettativa di vita limitata e quali modalità terapeutiche adottare per con- trollare nel modo migliore l’iperglicemia. Le terapie cortisoniche e la nutrizione artificiale, spesso impiegate nel trattamento dei pazienti con tumore, possono determinare un peggioramento acuto del compenso glicemico. Una delle prime importanti de- cisioni da assumere è la collocazione del paziente lungo la tra- iettoria della sua patologia oncologica, stimandone l’aspettativa di vita. Anche la gestione del diabete nelle fasi terminali della ma- lattia ha delle complessità intrinseche, dovendo privilegiare il mantenimento della migliore qualità di vita possibile limitando i di- sagi: in questa fase, sono da evitare sia l’iperglicemia severa sia le ipoglicemie. In questo contesto, sia nell’assistenza ospe- daliera sia in quella domiciliare al paziente oncologico, sono disponibili poche raccomandazioni condivise e basate sull’evi- denza sulle migliori soluzioni gestionali da adottare e sulle deci- sioni cliniche da assumere. Una soluzione pratica risiede nella realizzazione di reti assistenziali fondate sulla comunicazione e collaborazione continua tra oncologi, diabetologi/endocrinologi e personale infermieristico, ponendo il paziente al centro del pro- cesso assistenziale.
SUMMARY
Therapeutic management of hyperglycemia in cancer pa- tients in hospital
Diabetes and cancer are an increasingly common combination
and managing oncologic patients with diabetes as a co-morbi-
dity is often complicated. Diabetes has been linked to an in-
creased risk of different cancer types, and coexisting diabetes
confers a greater risk of mortality for many malignancies. Dia- betes in cancer patients poses several complex questions about management, including what level of glycemic control should be achieved in persons who may have a limited life expectancy, and what is the best therapeutic approach to control hypergly- cemia. Glucocorticoids and artificial nutrition, frequently used in cancer treatment, can lead to acute episodes of hyperglycemia.
The first important distinction to be made is the patient’s posi- tion on the trajectory of the oncologic illness. The management of diabetes during terminal illness is also complex, when the aim of care is to improve and maintain quality of life, maximizing comfort. Severe hyperglycemia and hypoglycemia can both im- pair the quality of life of these patients. In the clinical setting, in hospital or at home, there is little evidence-based guidance on the best course of management on which to base clinical deci- sions. A practical solution is to set up care networks based on communication and continuous collaboration between oncolo- gists, endocrinologists, and nursing staff, with the patient at the center of the care process.
Introduzione
Diabete e tumori sono patologie ampiamente diffuse nella popolazione dei Paesi occidentali, per cui non è raro che un soggetto presenti contemporaneamente entrambe le con- dizioni. Inoltre, è ormai noto come la presenza di diabete, soprattutto di tipo 2, aumenti significativamente il rischio di sviluppare varie patologie oncologiche attraverso vari mec- canismi, in parte noti. Anche l’obesità e l’insulino-resistenza si associano a un incremento del rischio neoplastico, men- tre più dibattuto è il ruolo diretto dell’iperglicemia cronica (at- traverso meccanismi di flogosi cronica) e quello potenziale svolto dai vari trattamenti farmacologici impiegati per la sua gestione (ruolo dell’insulina, dei farmaci secretagoghi, della metformina e dei nuovi antidiabetici). Anche l’invecchia- mento generale della popolazione svolge un ruolo nello spie- gare l’associazione tra diabete e patologie oncologiche, essendo entrambe condizioni più diffuse con l’avanzare del- l’età. È stato stimato che una percentuale compresa tra l’8 e il 18% dei pazienti oncologici sia affetto anche da dia- bete
(1,2).
Le dimensioni del problema
Tra i soggetti ospedalizzati, la prevalenza del diabete è noto- riamente più elevata rispetto alla popolazione generale; anche se una stima reale è difficile da ottenere, i dati della lettera- tura riportano una prevalenza di iperglicemia del 38% tra le persone degenti in strutture nosocomiali. Tale percentuale può risultare ancora più elevata considerando solamente i pazienti oncologici ricoverati
(3). In due terzi di tali casi la presenza di diabete è già nota al soggetto, mentre nel terzo rimanente l’iperglicemia è di nuovo riscontro, potendo costituire l’esito dei trattamenti subiti (interventi chirurgici, trattamenti antitu- morali o terapie di supporto) o dipendere direttamente dalla neoplasia (per es., neoplasie del pancreas).
Diabete: fattore di rischio oncologico e fattore prognostico sfavorevole
Oltre a costituire un fattore di rischio noto per l’insorgenza di numerose patologie oncologiche
(4-6), il diabete nei pazienti con neoplasie rappresenta anche un fattore prognostico sfavore- vole: diversi studi hanno documentato come le persone trat- tate per diversi tipi di neoplasie presentino una sopravvivenza libera da malattia, libera da recidive e complessiva inferiori in presenza di diabete. Innanzitutto, pare che i soggetti diabetici ricevano diagnosi tumorali più tardivamente rispetto alla po- polazione generale (per sottoutilizzo delle indagini di screening o per ridotta attenzione da parte di chi li ha in cura); inoltre, i pazienti diabetici verrebbero sottoposti a trattamenti antitu- morali meno aggressivi (per es. per la concomitante presenza di complicanze cardiologiche, renali o neuropatiche), che li esporrebbero a peggiori risposte terapeutiche. Tra le altre cause, gli esperti citano la maggiore prevalenza di infezioni, l’aumentata mortalità post-chirurgica, l’incrementata tossicità delle terapie o la maggiore aggressività delle cellule neoplasti- che, proliferanti in un ambiente di cronica iperglicemia/iperin- sulinemia. Analisi recenti indicano come siano soprattutto i soggetti con diabete di più lunga durata e in trattamento insu- linico a mostrare una sopravvivenza cumulativa inferiore, indi- pendentemente dal sesso e per moltissimi tipi di tumori
(7). Secondo una recente revisione sistematica e metanalisi della letteratura, i soggetti diabetici sottoposti a intervento per tumore presenterebbero un rischio di mortalità intra- e postoperatoria a breve termine (intraospedaliera o entro 30 giorni dalla dimissione) superiore del 50%, rispetto a quelli con normale metabolismo glucidico (dopo correzione per età, sesso e comorbilità)
(8). Anche nei pazienti con tumore, infatti, la gestione del diabete prima, durante e dopo l’intervento risulta d’importanza cruciale, anche per il rischio aumentato di sepsi e di eventi cardiovascolari.
Tra i soggetti portatori di neoplasie ematologiche, per esem- pio, è stato riportato come la coesistenza di diabete correli con un tasso d’insuccesso più elevato in seguito a trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche, rispetto alla po- polazione generale
(9). Le cause risiederebbero in un’inade- guata mobilizzazione di cellule progenitrici e staminali da parte del midollo come risposta allo stimolo sulle colonie di granu- lociti esercitato dal G-CSF, probabilmente per alterazioni acquisite a carico del microambiente midollare. Altri studi ave- vano precedentemente documentato come la presenza di iperglicemia, nei pazienti sottoposti a chemioterapia d’indu- zione per leucemia linfocitica acuta, si associ a una durata più breve di remissione completa, a un rischio aumentato di infe- zioni complesse e a una maggiore mortalità complessiva, con differenze statisticamente significative rispetto alla popola- zione con normale metabolismo del glucosio
(10).
Obiettivi glicemici nel paziente oncologico
Nell’approccio alla gestione terapeutica dell’iperglicemia nel
paziente oncologico, un aspetto rilevante è costituito dalla de-
finizione degli obiettivi di compenso glicemico.
Negli ultimi anni, sulla base delle evidenze scaturite da cele- bri trial (UKPDS, ACCORD, ADVANCE, VADT), è andato pro- gressivamente imponendosi il criterio di perseguire obiettivi di emoglobina glicata (HbA
1c) più restrittivi nei pazienti più giovani con diabete di recente insorgenza e senza precedenti car- diovascolari, adottando invece un atteggiamento più prudente in quelli con storia di diabete di lunga durata, presenza di complicanze micro- o macrovascolari e propensione a svi- luppare ipoglicemie
(11). Altri fattori fondamentali da prendere in considerazione sono poi l’aspettativa e la qualità di vita, le comorbilità e la disponibilità di risorse a supporto nella ge- stione del paziente (presenza di caregiver, autosufficienza del paziente, fattori economici ecc.)
(12-16). Nella gestione diabeto- logica di un paziente oncologico, è pertanto fondamentale tentare di collocare la situazione che si sta approcciando nel- l’ambito della traiettoria di malattia del paziente.
Un soggetto che deve affrontare un intervento chirurgico o un trattamento neoadiuvante per una neoplasia neo-diagnosti- cata, con buone possibilità di successo e ampio spazio di manovra terapeutica, richiederà l’adozione di un atteggia- mento più aggressivo anche nella gestione dell’iperglicemia nel corso del ricovero, per minimizzare l’impatto sfavorevole di un cattivo compenso metabolico sul rischio di infezioni e di complicanze post-chirurgiche. In questi casi, analogamente a quanto raccomandato per i pazienti diabetici non oncologici ospedalizzati, le società scientifiche diabetologiche interna- zionali e quelle italiane raccomandano obiettivi glicemici dif- ferenziati a seconda del setting operativo, con un target glicemico compreso tra 90-130 mg/dl nel paziente acuto (gli- cemia preprandiale < 130 mg/dl; postprandiale < 180 mg/dl, se raggiungibili senza un rischio elevato di ipoglicemia) e tra 140-180 mg/dl nel paziente critico
(17-19).
Al contrario, in un soggetto con una neoplasia in stadio avan- zato, in palliazione o con limitate possibilità di successo da parte dei trattamenti antitumorali attivi, diventa fondamentale evitare ipoglicemie o iperglicemie sintomatiche (sete, poliuria, disidratazione, malessere), trascurando il potenziale impatto di un compenso inadeguato sulle complicanze a lungo termine.
Nella fenotipizzazione della persona con diabete, un individuo nel quale vi sia una compromissione dell’aspettativa di vita è inquadrabile nella categoria del “paziente fragile”, dove di- venta realistico porsi obiettivi di emoglobina glicata compresi tra 7,6-8,5% (60-69 mmol/mol; algoritmi AMD, Tab. 1). Va sottolineato come la letteratura a supporto del medico, in queste situazioni, sia piuttosto limitata, consistendo princi- palmente in descrizioni di esperienze cliniche e in expert
opinion
(20,21). I principali testi di terapie palliative non propongono raccomandazioni precise, e anche le linee guida dell’American Diabetes Association non forniscono indicazioni specifiche in questo senso
(22). Una mirabile eccezione è quella delle società scientifiche italiane, che propongono capitoli appositamente de- dicati alla gestione del diabete nelle cure palliative
(18,23). Nella pratica clinica ospedaliera, raramente il diabetologo viene interpellato nella gestione delle glicemie di un paziente in pal- liazione. Eppure, una gestione appropriata della situazione me- tabolica in questa fase assistenziale rientra a pieno diritto negli obiettivi delle terapie palliative, ossia migliorare la qualità della vita rimanente e limitare il disagio del soggetto. Quando l’aspet- tativa di vita è di pochi mesi, diventa illogico proporre al paziente e/o ai suoi familiari restrizioni dietetiche e obiettivi gli- cemici ambiziosi, mentre ha senso adottare una gestione tera- peutica semplificata e agevole da praticare: un esempio in questo senso può essere quello di sospendere i farmaci anti- diabetici gravati da effetti collaterali o gli schemi insulinici com- plessi, preferendo piuttosto (laddove possibile) una terapia con insulina basale in monosomministrazione giornaliera. L’insulina costituisce certamente la terapia più flessibile ed efficace nella gestione di una situazione nella quale si debba prescindere dalla dieta e dall’intervento sullo stile di vita del paziente; un obiettivo realistico, in questa fase, è quello di mantenere valori glicemici compresi tra 150-180 e 270-360 mg/dl, tali cioè da ridurre al minimo il rischio di ipoglicemie e quello di iperglicemie sinto- matiche. Quando poi l’aspettativa di vita si riduca a poche set- timane o giorni, sempre allo scopo di limitare il disagio al paziente, anche il monitoraggio glicemico va interrotto o ridotto al minimo indispensabile, parallelamente alla quantità di insulina (il cui fabbisogno si ridurrà notevolmente con il ridursi dell’ap- porto nutrizionale del soggetto, tipico degli stadi avanzati di ma- lattia)
(24). Tali scelte vanno comunque motivate e condivise con i familiari, spiegando loro che tale atteggiamento non rappre- senta uno standard assistenziale inferiore nei confronti del loro congiunto, ma anzi un approccio più appropriato per la fase della vita che il paziente sta attraversando. Nel soggetto con diabete di tipo 1, la dose di insulina può essere ridotta note- volmente, mantenendo comunque una dose minima dell’or- mone anche in assenza di alimentazione, per evitare la chetoacidosi. Quando l’aspettativa di vita sia di giorni o di ore, la sospensione della terapia insulinica assume implicazioni medico-legali di rilievo, situandosi in un terreno di confine tra la necessità di evitare inutili accanimenti terapeutici e quella di evi- tare omissioni potenzialmente interpretabili come azioni volte direttamente ad abbreviare l’esistenza.
Tabella 1 Parametri per l’inquadramento/caratterizzazione del paziente fragile con diabete di tipo 2 (modificata da Ceriello et al., 2014)
(16).
Criteri di fragilità Obiettivi terapeutici
Ospite di casa di riposo/RSA
Decadimento cognitivo HbA
1c: > 7,6 e < 8,5% (> 60 e < 69 mmol/mol) Importante impedimento funzionale arti inferiori Glicemia a digiuno: > 136 e < 162 mg/dl
Allettamento (> 7,5 e < 9 mmol/l)
Storia di comorbilità invalidanti
Terapie cortisoniche e gestione del diabete
I glucocorticoidi, grazie alle loro proprietà antinfiammatorie, an- tiallergiche e antidolorifiche, sono farmaci largamente impie- gati in oncologia. Oltre a possedere effetti antitumorali diretti nel trattamento di alcune neoplasie ematologiche (come i linfomi non Hodgkin e le leucemie linfatiche), sono quotidianamente impiegati come terapie sintomatiche per il controllo del dolore, della nausea e della fatigue; inoltre rappresentano una com- ponente essenziale degli schemi di preparazione all’infusione dei chemioterapici, nella radioterapia esterna e nell’esecuzione delle indagini di imaging (per evitare reazioni allergiche), hanno proprietà antiedemigene nel trattamento delle metastasi en- cefaliche o midollari, e contribuiscono a controllare la dispnea nei soggetti con ostruzione delle vie aeree o con sintomi com- pressivi esercitati da masse tumorali (Tab. 2). Come noto, tut- tavia, gli steroidi inducono insulino-resistenza a livello epatico, muscolare e adiposo, cui si associa un’insufficiente secrezione insulinica da parte della beta-cellula che spesso perde la ca- pacità di compenso di aumentare la secrezione insulinica (Fig. 1). Evidenze recenti suggeriscono come l’esposizione ai glucocorticoidi riduca gli effetti insulinotropici del GLP-1; tali dati, se confermati, aprono nuove possibilità di trattamento dell’iperglicemia indotta da steroidi attraverso l’impiego di far- maci agenti sull’asse incretinico
(25).
Non sono disponibili stime esatte della prevalenza di diabete secondario e di alterazioni della glicemia nei soggetti in tera- pia cortisonica: gli studi di letteratura indicano una prevalenza di diabete compresa tra il 30 e il 50%, con un 20% ulteriore di casi di IGT (impaired glucose tolerance, alterata tolleranza al glucosio). Tale mancanza di dati, oltre che dall’eterogeneità
delle condizioni per le quali viene praticata la terapia steroi- dea o degli schemi terapeutici impiegati (dose, durata, tipo di cortisonico ecc.), deriva anche dal fatto che spesso la pre- senza di diabete può passare inosservata, qualora ci si limiti a misurare la glicemia a digiuno. Tipicamente, le terapie ste- roidee determinano rilevanti aumenti della glicemia postpran- diale, con valori glicemici che spesso scendono bruscamente o tornano alla normalità nel corso della notte o al risveglio. In uno studio condotto su soggetti con sindrome di Cushing, è stato infatti rilevato come circa la metà dei soggetti esaminati rispondesse ai criteri diagnostici per diabete se sottoposti a test di tolleranza al glucosio (OGTT), ma che i due terzi di tali soggetti presentasse valori glicemici basali < 110 mg/dl
(24). Sono fattori predittivi dello sviluppo di diabete, nelle persone Tabella 2 Esempi di utilizzo dei glucocorticoidi nel paziente oncologico.
Terapia antitumorale Linfomi non-Hodgkin
Leucemie linfatiche acute e croniche Terapia sintomatica
Controllo dolore, nausea, vomito, anoressia, iperter- mia, fatigue
Controllo reazioni allergiche (estemporaneamente o negli schemi chemioterapici)
Come antiedemigeni in presenza di metastasi ence- faliche o del SNC
Controllo della dispnea da ostruzione delle vie aeree, della linfangite o della sindrome cavale
IPERGLICEMIA GLUCOCORTICOIDI
Sensibilità insulinica
Beta-cellule pancreatiche
Fegato Muscolo scheletrico Tessuto adiposo
Gluconeogenesi Uptake glucosio Sintesi glicogeno Proteolisi
Uptake glucosio Lipolisi
Adiponectina NEFA Leptina
Aminoacidi
Secrezione insulinica