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Gestione terapeutica dell’iperglicemianel paziente oncologico in ospedale

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Academic year: 2021

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(1)

M. Gallo 1,2 , G. Clemente 2,3 , K. Esposito 2,4 , L. Gentile 2,5 , R. Berardelli 6 , G. Boccuzzi 6 , E. Arvat 1,6

1

SC Endocrinologia Oncologica DU; AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Molinette, Torino;

2

Gruppo

“Diabete e Tumori” dell’Associazione Medici Diabetologi;

3

Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali CNR, Penta di Fisciano (SA);

4

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Seconda Università di Napoli, Napoli;

5

SOC di Malattie Metaboliche e Diabetologia, Asl 19 di Asti;

6

Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino, Torino

Corrispondenza: dott. Marco Gallo, SC Endocrinologia Oncologica DU, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Molinette, via Genova 3, 10126 Torino e-mail: mgallo4@cittadellasalute.to.it

G It Diabetol Metab 2015;35:36-44 Pervenuto in Redazione il 21-01-2015 Accettato per la pubblicazione il 22-01-2015

Parole chiave: diabete, tumori, glucocorticoidi, nutrizione artificiale, gestione clinica

Key words: diabetes, cancer, glucocorticoids, artificial nutrition, clinical management

Rassegna

Gestione terapeutica dell’iperglicemia nel paziente oncologico in ospedale

RIASSUNTO

Diabete e cancro sono condizioni cliniche sempre più comuni, la cui gestione nello stesso individuo presenta spesso importanti difficoltà. È noto inoltre come la presenza di diabete si associ a un aumentato rischio di sviluppare vari tipi di neoplasie, e come la coesistenza di diabete conferisca un incremento del rischio di mortalità per numerose patologie tumorali. La presenza di dia- bete nel paziente oncologico pone diversi problemi complessi relativi alla gestione clinica, quali l’obiettivo di compenso glice- mico da perseguire in soggetti che possono avere un’aspettativa di vita limitata e quali modalità terapeutiche adottare per con- trollare nel modo migliore l’iperglicemia. Le terapie cortisoniche e la nutrizione artificiale, spesso impiegate nel trattamento dei pazienti con tumore, possono determinare un peggioramento acuto del compenso glicemico. Una delle prime importanti de- cisioni da assumere è la collocazione del paziente lungo la tra- iettoria della sua patologia oncologica, stimandone l’aspettativa di vita. Anche la gestione del diabete nelle fasi terminali della ma- lattia ha delle complessità intrinseche, dovendo privilegiare il mantenimento della migliore qualità di vita possibile limitando i di- sagi: in questa fase, sono da evitare sia l’iperglicemia severa sia le ipoglicemie. In questo contesto, sia nell’assistenza ospe- daliera sia in quella domiciliare al paziente oncologico, sono disponibili poche raccomandazioni condivise e basate sull’evi- denza sulle migliori soluzioni gestionali da adottare e sulle deci- sioni cliniche da assumere. Una soluzione pratica risiede nella realizzazione di reti assistenziali fondate sulla comunicazione e collaborazione continua tra oncologi, diabetologi/endocrinologi e personale infermieristico, ponendo il paziente al centro del pro- cesso assistenziale.

SUMMARY

Therapeutic management of hyperglycemia in cancer pa- tients in hospital

Diabetes and cancer are an increasingly common combination

and managing oncologic patients with diabetes as a co-morbi-

dity is often complicated. Diabetes has been linked to an in-

creased risk of different cancer types, and coexisting diabetes

(2)

confers a greater risk of mortality for many malignancies. Dia- betes in cancer patients poses several complex questions about management, including what level of glycemic control should be achieved in persons who may have a limited life expectancy, and what is the best therapeutic approach to control hypergly- cemia. Glucocorticoids and artificial nutrition, frequently used in cancer treatment, can lead to acute episodes of hyperglycemia.

The first important distinction to be made is the patient’s posi- tion on the trajectory of the oncologic illness. The management of diabetes during terminal illness is also complex, when the aim of care is to improve and maintain quality of life, maximizing comfort. Severe hyperglycemia and hypoglycemia can both im- pair the quality of life of these patients. In the clinical setting, in hospital or at home, there is little evidence-based guidance on the best course of management on which to base clinical deci- sions. A practical solution is to set up care networks based on communication and continuous collaboration between oncolo- gists, endocrinologists, and nursing staff, with the patient at the center of the care process.

Introduzione

Diabete e tumori sono patologie ampiamente diffuse nella popolazione dei Paesi occidentali, per cui non è raro che un soggetto presenti contemporaneamente entrambe le con- dizioni. Inoltre, è ormai noto come la presenza di diabete, soprattutto di tipo 2, aumenti significativamente il rischio di sviluppare varie patologie oncologiche attraverso vari mec- canismi, in parte noti. Anche l’obesità e l’insulino-resistenza si associano a un incremento del rischio neoplastico, men- tre più dibattuto è il ruolo diretto dell’iperglicemia cronica (at- traverso meccanismi di flogosi cronica) e quello potenziale svolto dai vari trattamenti farmacologici impiegati per la sua gestione (ruolo dell’insulina, dei farmaci secretagoghi, della metformina e dei nuovi antidiabetici). Anche l’invecchia- mento generale della popolazione svolge un ruolo nello spie- gare l’associazione tra diabete e patologie oncologiche, essendo entrambe condizioni più diffuse con l’avanzare del- l’età. È stato stimato che una percentuale compresa tra l’8 e il 18% dei pazienti oncologici sia affetto anche da dia- bete

(1,2)

.

Le dimensioni del problema

Tra i soggetti ospedalizzati, la prevalenza del diabete è noto- riamente più elevata rispetto alla popolazione generale; anche se una stima reale è difficile da ottenere, i dati della lettera- tura riportano una prevalenza di iperglicemia del 38% tra le persone degenti in strutture nosocomiali. Tale percentuale può risultare ancora più elevata considerando solamente i pazienti oncologici ricoverati

(3)

. In due terzi di tali casi la presenza di diabete è già nota al soggetto, mentre nel terzo rimanente l’iperglicemia è di nuovo riscontro, potendo costituire l’esito dei trattamenti subiti (interventi chirurgici, trattamenti antitu- morali o terapie di supporto) o dipendere direttamente dalla neoplasia (per es., neoplasie del pancreas).

Diabete: fattore di rischio oncologico e fattore prognostico sfavorevole

Oltre a costituire un fattore di rischio noto per l’insorgenza di numerose patologie oncologiche

(4-6)

, il diabete nei pazienti con neoplasie rappresenta anche un fattore prognostico sfavore- vole: diversi studi hanno documentato come le persone trat- tate per diversi tipi di neoplasie presentino una sopravvivenza libera da malattia, libera da recidive e complessiva inferiori in presenza di diabete. Innanzitutto, pare che i soggetti diabetici ricevano diagnosi tumorali più tardivamente rispetto alla po- polazione generale (per sottoutilizzo delle indagini di screening o per ridotta attenzione da parte di chi li ha in cura); inoltre, i pazienti diabetici verrebbero sottoposti a trattamenti antitu- morali meno aggressivi (per es. per la concomitante presenza di complicanze cardiologiche, renali o neuropatiche), che li esporrebbero a peggiori risposte terapeutiche. Tra le altre cause, gli esperti citano la maggiore prevalenza di infezioni, l’aumentata mortalità post-chirurgica, l’incrementata tossicità delle terapie o la maggiore aggressività delle cellule neoplasti- che, proliferanti in un ambiente di cronica iperglicemia/iperin- sulinemia. Analisi recenti indicano come siano soprattutto i soggetti con diabete di più lunga durata e in trattamento insu- linico a mostrare una sopravvivenza cumulativa inferiore, indi- pendentemente dal sesso e per moltissimi tipi di tumori

(7)

. Secondo una recente revisione sistematica e metanalisi della letteratura, i soggetti diabetici sottoposti a intervento per tumore presenterebbero un rischio di mortalità intra- e postoperatoria a breve termine (intraospedaliera o entro 30 giorni dalla dimissione) superiore del 50%, rispetto a quelli con normale metabolismo glucidico (dopo correzione per età, sesso e comorbilità)

(8)

. Anche nei pazienti con tumore, infatti, la gestione del diabete prima, durante e dopo l’intervento risulta d’importanza cruciale, anche per il rischio aumentato di sepsi e di eventi cardiovascolari.

Tra i soggetti portatori di neoplasie ematologiche, per esem- pio, è stato riportato come la coesistenza di diabete correli con un tasso d’insuccesso più elevato in seguito a trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche, rispetto alla po- polazione generale

(9)

. Le cause risiederebbero in un’inade- guata mobilizzazione di cellule progenitrici e staminali da parte del midollo come risposta allo stimolo sulle colonie di granu- lociti esercitato dal G-CSF, probabilmente per alterazioni acquisite a carico del microambiente midollare. Altri studi ave- vano precedentemente documentato come la presenza di iperglicemia, nei pazienti sottoposti a chemioterapia d’indu- zione per leucemia linfocitica acuta, si associ a una durata più breve di remissione completa, a un rischio aumentato di infe- zioni complesse e a una maggiore mortalità complessiva, con differenze statisticamente significative rispetto alla popola- zione con normale metabolismo del glucosio

(10)

.

Obiettivi glicemici nel paziente oncologico

Nell’approccio alla gestione terapeutica dell’iperglicemia nel

paziente oncologico, un aspetto rilevante è costituito dalla de-

finizione degli obiettivi di compenso glicemico.

(3)

Negli ultimi anni, sulla base delle evidenze scaturite da cele- bri trial (UKPDS, ACCORD, ADVANCE, VADT), è andato pro- gressivamente imponendosi il criterio di perseguire obiettivi di emoglobina glicata (HbA

1c

) più restrittivi nei pazienti più giovani con diabete di recente insorgenza e senza precedenti car- diovascolari, adottando invece un atteggiamento più prudente in quelli con storia di diabete di lunga durata, presenza di complicanze micro- o macrovascolari e propensione a svi- luppare ipoglicemie

(11)

. Altri fattori fondamentali da prendere in considerazione sono poi l’aspettativa e la qualità di vita, le comorbilità e la disponibilità di risorse a supporto nella ge- stione del paziente (presenza di caregiver, autosufficienza del paziente, fattori economici ecc.)

(12-16)

. Nella gestione diabeto- logica di un paziente oncologico, è pertanto fondamentale tentare di collocare la situazione che si sta approcciando nel- l’ambito della traiettoria di malattia del paziente.

Un soggetto che deve affrontare un intervento chirurgico o un trattamento neoadiuvante per una neoplasia neo-diagnosti- cata, con buone possibilità di successo e ampio spazio di manovra terapeutica, richiederà l’adozione di un atteggia- mento più aggressivo anche nella gestione dell’iperglicemia nel corso del ricovero, per minimizzare l’impatto sfavorevole di un cattivo compenso metabolico sul rischio di infezioni e di complicanze post-chirurgiche. In questi casi, analogamente a quanto raccomandato per i pazienti diabetici non oncologici ospedalizzati, le società scientifiche diabetologiche interna- zionali e quelle italiane raccomandano obiettivi glicemici dif- ferenziati a seconda del setting operativo, con un target glicemico compreso tra 90-130 mg/dl nel paziente acuto (gli- cemia preprandiale < 130 mg/dl; postprandiale < 180 mg/dl, se raggiungibili senza un rischio elevato di ipoglicemia) e tra 140-180 mg/dl nel paziente critico

(17-19)

.

Al contrario, in un soggetto con una neoplasia in stadio avan- zato, in palliazione o con limitate possibilità di successo da parte dei trattamenti antitumorali attivi, diventa fondamentale evitare ipoglicemie o iperglicemie sintomatiche (sete, poliuria, disidratazione, malessere), trascurando il potenziale impatto di un compenso inadeguato sulle complicanze a lungo termine.

Nella fenotipizzazione della persona con diabete, un individuo nel quale vi sia una compromissione dell’aspettativa di vita è inquadrabile nella categoria del “paziente fragile”, dove di- venta realistico porsi obiettivi di emoglobina glicata compresi tra 7,6-8,5% (60-69 mmol/mol; algoritmi AMD, Tab. 1). Va sottolineato come la letteratura a supporto del medico, in queste situazioni, sia piuttosto limitata, consistendo princi- palmente in descrizioni di esperienze cliniche e in expert

opinion

(20,21)

. I principali testi di terapie palliative non propongono raccomandazioni precise, e anche le linee guida dell’American Diabetes Association non forniscono indicazioni specifiche in questo senso

(22)

. Una mirabile eccezione è quella delle società scientifiche italiane, che propongono capitoli appositamente de- dicati alla gestione del diabete nelle cure palliative

(18,23)

. Nella pratica clinica ospedaliera, raramente il diabetologo viene interpellato nella gestione delle glicemie di un paziente in pal- liazione. Eppure, una gestione appropriata della situazione me- tabolica in questa fase assistenziale rientra a pieno diritto negli obiettivi delle terapie palliative, ossia migliorare la qualità della vita rimanente e limitare il disagio del soggetto. Quando l’aspet- tativa di vita è di pochi mesi, diventa illogico proporre al paziente e/o ai suoi familiari restrizioni dietetiche e obiettivi gli- cemici ambiziosi, mentre ha senso adottare una gestione tera- peutica semplificata e agevole da praticare: un esempio in questo senso può essere quello di sospendere i farmaci anti- diabetici gravati da effetti collaterali o gli schemi insulinici com- plessi, preferendo piuttosto (laddove possibile) una terapia con insulina basale in monosomministrazione giornaliera. L’insulina costituisce certamente la terapia più flessibile ed efficace nella gestione di una situazione nella quale si debba prescindere dalla dieta e dall’intervento sullo stile di vita del paziente; un obiettivo realistico, in questa fase, è quello di mantenere valori glicemici compresi tra 150-180 e 270-360 mg/dl, tali cioè da ridurre al minimo il rischio di ipoglicemie e quello di iperglicemie sinto- matiche. Quando poi l’aspettativa di vita si riduca a poche set- timane o giorni, sempre allo scopo di limitare il disagio al paziente, anche il monitoraggio glicemico va interrotto o ridotto al minimo indispensabile, parallelamente alla quantità di insulina (il cui fabbisogno si ridurrà notevolmente con il ridursi dell’ap- porto nutrizionale del soggetto, tipico degli stadi avanzati di ma- lattia)

(24)

. Tali scelte vanno comunque motivate e condivise con i familiari, spiegando loro che tale atteggiamento non rappre- senta uno standard assistenziale inferiore nei confronti del loro congiunto, ma anzi un approccio più appropriato per la fase della vita che il paziente sta attraversando. Nel soggetto con diabete di tipo 1, la dose di insulina può essere ridotta note- volmente, mantenendo comunque una dose minima dell’or- mone anche in assenza di alimentazione, per evitare la chetoacidosi. Quando l’aspettativa di vita sia di giorni o di ore, la sospensione della terapia insulinica assume implicazioni medico-legali di rilievo, situandosi in un terreno di confine tra la necessità di evitare inutili accanimenti terapeutici e quella di evi- tare omissioni potenzialmente interpretabili come azioni volte direttamente ad abbreviare l’esistenza.

Tabella 1 Parametri per l’inquadramento/caratterizzazione del paziente fragile con diabete di tipo 2 (modificata da Ceriello et al., 2014)

(16)

.

Criteri di fragilità Obiettivi terapeutici

Ospite di casa di riposo/RSA

Decadimento cognitivo HbA

1c

: > 7,6 e < 8,5% (> 60 e < 69 mmol/mol) Importante impedimento funzionale arti inferiori Glicemia a digiuno: > 136 e < 162 mg/dl

Allettamento (> 7,5 e < 9 mmol/l)

Storia di comorbilità invalidanti

(4)

Terapie cortisoniche e gestione del diabete

I glucocorticoidi, grazie alle loro proprietà antinfiammatorie, an- tiallergiche e antidolorifiche, sono farmaci largamente impie- gati in oncologia. Oltre a possedere effetti antitumorali diretti nel trattamento di alcune neoplasie ematologiche (come i linfomi non Hodgkin e le leucemie linfatiche), sono quotidianamente impiegati come terapie sintomatiche per il controllo del dolore, della nausea e della fatigue; inoltre rappresentano una com- ponente essenziale degli schemi di preparazione all’infusione dei chemioterapici, nella radioterapia esterna e nell’esecuzione delle indagini di imaging (per evitare reazioni allergiche), hanno proprietà antiedemigene nel trattamento delle metastasi en- cefaliche o midollari, e contribuiscono a controllare la dispnea nei soggetti con ostruzione delle vie aeree o con sintomi com- pressivi esercitati da masse tumorali (Tab. 2). Come noto, tut- tavia, gli steroidi inducono insulino-resistenza a livello epatico, muscolare e adiposo, cui si associa un’insufficiente secrezione insulinica da parte della beta-cellula che spesso perde la ca- pacità di compenso di aumentare la secrezione insulinica (Fig. 1). Evidenze recenti suggeriscono come l’esposizione ai glucocorticoidi riduca gli effetti insulinotropici del GLP-1; tali dati, se confermati, aprono nuove possibilità di trattamento dell’iperglicemia indotta da steroidi attraverso l’impiego di far- maci agenti sull’asse incretinico

(25)

.

Non sono disponibili stime esatte della prevalenza di diabete secondario e di alterazioni della glicemia nei soggetti in tera- pia cortisonica: gli studi di letteratura indicano una prevalenza di diabete compresa tra il 30 e il 50%, con un 20% ulteriore di casi di IGT (impaired glucose tolerance, alterata tolleranza al glucosio). Tale mancanza di dati, oltre che dall’eterogeneità

delle condizioni per le quali viene praticata la terapia steroi- dea o degli schemi terapeutici impiegati (dose, durata, tipo di cortisonico ecc.), deriva anche dal fatto che spesso la pre- senza di diabete può passare inosservata, qualora ci si limiti a misurare la glicemia a digiuno. Tipicamente, le terapie ste- roidee determinano rilevanti aumenti della glicemia postpran- diale, con valori glicemici che spesso scendono bruscamente o tornano alla normalità nel corso della notte o al risveglio. In uno studio condotto su soggetti con sindrome di Cushing, è stato infatti rilevato come circa la metà dei soggetti esaminati rispondesse ai criteri diagnostici per diabete se sottoposti a test di tolleranza al glucosio (OGTT), ma che i due terzi di tali soggetti presentasse valori glicemici basali < 110 mg/dl

(24)

. Sono fattori predittivi dello sviluppo di diabete, nelle persone Tabella 2 Esempi di utilizzo dei glucocorticoidi nel paziente oncologico.

Terapia antitumorale Linfomi non-Hodgkin

Leucemie linfatiche acute e croniche Terapia sintomatica

Controllo dolore, nausea, vomito, anoressia, iperter- mia, fatigue

Controllo reazioni allergiche (estemporaneamente o negli schemi chemioterapici)

Come antiedemigeni in presenza di metastasi ence- faliche o del SNC

Controllo della dispnea da ostruzione delle vie aeree, della linfangite o della sindrome cavale

IPERGLICEMIA GLUCOCORTICOIDI

Sensibilità insulinica

Beta-cellule pancreatiche

Fegato Muscolo scheletrico Tessuto adiposo

Gluconeogenesi Uptake glucosio Sintesi glicogeno Proteolisi

Uptake glucosio Lipolisi

Adiponectina NEFA Leptina

Aminoacidi

Secrezione insulinica

Figura 1 Effetti dei glu-

cocorticoidi sul meta-

bolismo glucidico (mo-

dificata da Mazziotti et

al., 2011)

(25)

.

(5)

in terapia cortisonica, la dose totale impiegata e la durata del trattamento, l’età, il BMI, le patologie e i trattamenti conco- mitanti, ma soprattutto la familiarità per diabete

(26,27)

. Anche nei pazienti oncologici senza diabete noto, quindi, è racco- mandabile monitorare la glicemia nel corso della giornata (comprendendo la rilevazione 2 ore dopo il pasto) almeno du- rante i primi cicli chemioterapici, laddove sia previsto (come avviene in moltissimi casi) l’impiego di steroidi. Analogamente, nei soggetti con diabete noto in terapia cortisonica, è racco- mandato il monitoraggio della glicemia su sangue capillare prediligendo le rilevazioni postprandiali e prima di cena

(18)

. Anche in questo caso, la letteratura relativa alla gestione del diabete metasteroideo è piuttosto scarsa. Non esistono infatti linee guida internazionali sul controllo dell’iperglicemia indotta da steroidi (sia nei pazienti senza storia di diabete sia in quelli diabetici); sono piuttosto disponibili varie raccomandazioni di esperti che tengono conto della farmacologia degli steroidi, dei tipi d’insulina, della loro durata d’azione e della rilevanza clinica dell’iperglicemia

(28-30)

. Conoscere le caratteristiche di farmacodinamica e farmacocinetica dei cortisonici utilizzati è fondamentale, anche nel caso vengano impiegati steroidi a lunga durata d’azione (come il desametasone, forse lo ste- roide più comunemente usato nei pazienti oncologici) prevale la compromissione della glicemia postprandiale rispetto a quella a digiuno. Nella maggior parte dei casi, le alterazioni della glicemia sono troppo marcate per poter essere gestite con antidiabetici diversi dall’insulina. Malgrado esistano pre- supposti fisiopatologici per poter impiegare farmaci inibenti la gluconeogenesi (come metformina e pioglitazone) o con una efficacia prevalente sulla glicemia postprandiale (per es., glinidi e acarbose), tutti i farmaci orali sono gravati da effetti collaterali tali da limitare l’utilizzo di queste molecole in un pa- ziente oncologico diabetico. Inibitori della DPP4 e agonisti re- cettoriali del GLP-1 potrebbero ridurre l’effetto inibitorio dei cortisonici sulla secrezione insulinica, ma anch’essi presen- tano svantaggi in questi individui (rischio potenzialmente au- mentato d’infezioni delle vie aeree superiori, in soggetti già immunodepressi, per i primi; accentuazione della nausea as- sociata alla chemioterapia per i secondi). Per tutti, in ogni caso, prevale poi il limite di un’efficacia limitata (riduzione del- l’HbA

1c

di 0,5-1,0%) e di un’azione poco flessibile, che nel caso delle sulfoniluree comprende anche il rischio di ipogli- cemie.

La terapia insulinica è senz’altro la soluzione più flessibile e appropriata, in grado di sopperire meglio alle esigenze del pa- ziente (alimentazione talvolta erratica, alterazione dei gusti, variabilità glicemica intra- e intergiornaliera) (Tab. 3). L’esi- genza primaria è quella di gestire le escursioni glicemiche prandiali, per cui lo schema ideale prevede l’impiego di ana- loghi insulinici rapidi ai pasti, titolando periodicamente la quan- tità di insulina sulla base dei livelli glicemici postprandiali e consigliando piccole variazioni da apportare sulla base dei ri- lievi effettuati al momento del pasto. Nel caso risulti difficile prevedere la quantità di alimenti assunti con il pasto (coesi- stenza di nausea o difficoltà di alimentazione), è consigliabile la somministrazione dell’insulina durante o subito dopo il pasto, per limitare il rischio di ipoglicemie. Talvolta sarà ne- cessaria l’aggiunta di un’insulina basale, calcolando la dose

sui livelli glicemici delle mattine precedenti. Va a tale proposito ribadito come i pazienti trattati con steroidi che necessitano di uno schema insulinico “basal-bolus” presentino un maggiore fabbisogno di insulina prandiale, rispetto a quella basale (0,2- 0,5 U/kg, con il 70% circa del fabbisogno insulinico com- plessivo come insulina prandiale e 30% come basale). Una soluzione pratica, nei pazienti con glicemie notturne o al ri- sveglio pressoché normali e importanti escursioni nel corso della giornata, può essere costituita dall’impiego di un’insulina lenta somministrata al mattino, con durata d’azione di 12-18 ore (NPH, detemir). Tale soluzione, anche da sola, risulta spesso appropriata specialmente nelle fasi avanzate di ma- lattia, quando non vi è esigenza di normalizzare la glicemia e devono correttamente prevalere aspetti quali la limitazione del disagio per il paziente e la semplificazione della gestione te- rapeutica per il caregiver. In situazioni intermedie può risultare appropriata l’adozione di schemi “basal-plus”, che prevedano l’associazione di un’insulina basale e di un analogo insulinico rapido al pasto (o ai pasti) che si accompagna alle maggiori escursioni glicemiche

(31-33)

.

Nei soggetti in scompenso iperglicemico acuto degenti in re- parto o ricoverati in regime di day hospital, è invece racco- mandato il passaggio alla terapia insulinica iv con infusione continua

(18,28)

. Negli anni, sono stati proposti diversi algoritmi per la terapia infusionale insulinica con adeguamento delle dosi di in- sulina guidato dalle rilevazioni glicemiche ottenute ogni 1-2 ore, gestibili direttamente dallo staff infermieristico. Per un’agevole implementazione pratica, è fondamentale che il protocollo di gestione locale, oltre che efficace e semplice, sia diffuso e con- diviso tra i vari operatori sanitari delle diverse strutture. L’ado- zione di protocolli semplificati, in contesti quali i day hospital o i reparti oncologici, può agevolare la gestione senza il coinvol- gimento obbligato e costante del diabetologo (Fig. 2).

Tabella 3 Fattori chiave nel controllo del diabete metasteroideo nel paziente oncologico (modificata da Oyer et al., 2006)

(30)

.

1. L’effetto principale viene esercitato sui livelli glice- mici postprandiali

2. I valori glicemici tendono a normalizzarsi durante la notte

3. Controllare la glicemia prima e 2 ore dopo i pasti principali

4. Gli antidiabetici orali sono generalmente inappro- priati, inefficaci o troppo poco flessibili

5. L’insulina costituisce generalmente la migliore soluzione terapeutica

6. L’iperglicemia è tamponabile principalmente con insulina ai pasti

7. L’insulina prandiale va titolata sulla base dei livelli glicemici postprandiali

8. Quando necessaria, somministrare l’insulina ba-

sale al mattino titolandone la dose sulla base dei

livelli glicemici delle mattine precedenti

(6)

Nutrizione artificiale

e diabete nel paziente oncologico

La nutrizione artificiale (NA) è una procedura terapeutica destinata alle persone nelle quali l’alimentazione orale non è praticabile e/o non è sufficiente a soddisfare i fabbisogni ca- lorico-proteici o è controindicata

(34,35)

.

Non raramente, l’impossibilità per il paziente oncologico di nutrirsi adeguatamente per os fa porre indicazione alla NA (Tab. 4). È il caso, per esempio, dei soggetti con impossibilità ad alimentarsi per problemi meccanici (neoplasie del tratto gastroenterico superiore, sindromi occlusive o sub-occlusive), difficoltà di deglutizione/masticazione (neoplasie del cavo orale, individui sottoposti a irradiazione della regione capo- collo con esofagite attinica, disfagia da micosi esofagee se- vere), insufficienza nutrizionale o problemi neurologici. Vi è indicazione a impostare una NA laddove l’aspettativa di vita sia superiore a 2-3 mesi, la qualità esistenziale sia accettabile (performance status > 50% sec. Karnofsky) e il problema

nutrizionale sia rilevante per la sopravvivenza del paziente (il soggetto rischia di morire per malnutrizione e non per la pa- tologia oncologica)

(36)

.

Obiettivi principali di ogni supporto nutrizionale sono: 1) pre- venire o correggere la malnutrizione; 2) ottimizzare lo stato metabolico; 3) ridurre la morbilità e la mortalità; 4) limitare i tempi di degenza e convalescenza; 5) ridurre la prevalenza delle complicanze infettive; 6) migliorare la qualità di vita. Molti di tali obiettivi, tuttavia, non sono ragionevolmente persegui- bili nel paziente oncologico in stadio avanzato di malattia. Di conseguenza, possono essere considerati accettabili anche obiettivi glicemici meno stringenti (per es., 110-200 mg/dl) rispetto a quelli generalmente raccomandati nella NA (110- 144 mg/dl)

(34,35)

.

Anche nel paziente oncologico la nutrizione enterale (NE) va preferita a quella parenterale (NP), ricorrendo a quest’ultima quando la NE non sia praticabile o risulti insufficiente a co- prire i fabbisogni. In entrambi i casi, l’alimentazione deve essere somministrata preferibilmente in continuo nell’arco delle 24 ore (per evitare ipoglicemie e semplificare la terapia Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza - Molinette di Torino

S.C.U. Endocrinologia Oncologica S.C.U. Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo

Protocollo per la gestione del

PAZIENTE ONCOLOGICO CON DIABETE MELLITO (I versione - giugno 2013)

Schema per la gestione dello scompenso glicemico acuto nel paziente oncologico Day Hospital (COES/Breast Unit ecc.) - Reparto

• Se glicemia > 400 mg/dl:

– somministrare analogo insulinico rapido (Apidra, Humalog, NovoRapid) 5-10 Ul s.c.;

se non disponibile, somministrare insulina umana regolare (Actrapid, Humulin R, Insuman) 5-10 Ul s.c.

• Idratazione con soluzione fisiologica sulla base di:

– grado di scompenso/stato di disidratazione del paziente

– capacità del paziente di tollerare idratazione (ascite, anasarca, insufficienza cardiaca ecc.)

• Infusione soluzione fisiologica 500 ml + insulina umana regolare (es. Actrapid) 50 Ul + KCI 10/20 mEq (tenendo conto dei livelli di potassiemia) partendo alla velocità di 20 ml/h (= 2 UI/h). Controllo della glicemia ogni ora, modificando la velocità d’infusione secondo il seguente schema:

• Nel paziente in DH, consentire il re-invio a domicilio se glicemia inferiore a 250 mg/dl, rac- comandando di controllare la glicemia nelle ore seguenti

• Nel paziente ricoverato, quando la glicemia scende a valori compresi tra 200-300 mg/dl, ridurre la frequenza dei controlli (ogni 2-3 ore)

Glicemia Velocità di infusione U insulina/h

< 120 mg/dl STOP –

Tra 120 e 180 mg/dl 10 ml/h 1

Tra 180 e 250 mg/dl 20 ml/h 2

Tra 250 e 350 mg/dl 30 ml/h 3

Tra 350 e 400 mg/dl 40 ml/h 4

> 400 mg/dl 50 ml/h 5

Figura 2 Esempio di proto-

collo operativo condiviso per la

gestione del paziente oncolo-

gico con scompenso iperglice-

mico in ospedale.

(7)

insulinica) e deve essere iniziata quando la glicemia a digiuno è < 250 mg/dl

(19)

. Al momento non sono disponibili trial clinici confrontabili che abbiano preso in esame le differenti strate- gie di trattamento insulinico nei pazienti con iperglicemia in NA. Le linee guida esistenti raccomandano generalmente l’adozione di protocolli infusionali insulinici iv, per il controllo della glicemia. In caso di difficoltà a ricorrere all’infusione con- tinua di insulina e per condizioni relativamente meno critiche, i soggetti iperglicemici in NA possono essere trattati con la somministrazione di una o due dosi/die di analogo lento sot- tocute, con aggiustamenti delle dosi in base ai valori glicemici del mattino e della sera

(19,37)

. In caso di NA per cicli più brevi (10-12 ore), può essere utilizzata insulina NPH o levemir, even- tualmente integrata da piccoli boli di insulina rapida (sempre sc). Più controverso è l’utilizzo di insulina direttamente nella sacca nutrizionale: nel caso si opti per tale soluzione, occorre considerare la compatibilità della miscela nutrizionale con l’in- sulina, rispettare le condizioni di asepsi nella preparazione della sacca e tenere comunque presente il fatto che sola- mente l’insulina regolare umana è compatibile per tale tipo di infusione, mentre gli analoghi insulinici non lo sono

(38)

. La dose iniziale di insulina, nel paziente già in terapia insulinica e stabilizzato dal punto di vista dell’andamento glicemico, è calcolabile considerando la quantità di insulina media som- ministrata nei due giorni precedenti. Nei soggetti non stabilizzati, la dose di insulina consigliata inizialmente è di 0,1-0,15 UI di in- sulina per grammo di glucosio infuso, mentre un fabbisogno più elevato è generalmente necessario per i pazienti con dia- bete di tipo 1. Le varie linee guida forniscono tabelle pratiche per calcolare i quantitativi di insulina da somministrare inizial- mente secondo le varie situazioni cliniche, così come proto- colli per gli aggiustamenti da praticare periodicamente a seconda dei valori glicemici rilevati. Relativamente al controllo dei valori glicemici, va effettuato (di regola mediante gluco- metro) inizialmente ogni 2-3 ore, poi anche a cadenza mag- giore, ma sempre definita secondo un protocollo strutturato (almeno 3-4 determinazioni al giorno).

Occorre sottolineare come un’improvvisa variazione della NA (brusche interruzioni, riduzione della velocità infusionale), così come la sospensione temporanea dell’alimentazione per os (per es., per l’esecuzione di indagini diagnostiche) e l’improv-

visa riduzione della dose di steroidi, costituiscono fattori sca- tenanti per il verificarsi di gravi ipoglicemie, che nel paziente oncologico possono risultare ancora più insidiose per lo stato di obnubilamento del paziente legato alle condizioni generali o all’uso di oppioidi (standard ADA).

Aspetti pratici dell’educazione al paziente

Un aspetto fondamentale dell’assistenza al paziente oncolo- gico diabetico è quello dell’addestramento, che deve pre - vedere l’educazione all’utilizzo dei “device” (penna, aghi, glu- cometri, lancette pungidito) e che incontra talvolta resistenze in un individuo già provato psicologicamente dalla situazione clinica e terapeutica (Tab. 5). Anche in questo campo le linee guida non forniscono indicazioni specifiche, e le affermazioni seguenti sono frutto dell’esperienza consolidata all’interno dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino.

Molte volte, specialmente nei soggetti che prima di affrontare le terapie antitumorali non erano diabetici o avevano un’iper- glicemia di lieve entità, il passaggio diretto a un trattamento in- sulinico genera sconforto e paura, o pare sproporzionato (essendo nella mentalità comune associato agli stadi più avanzati di diabete). Sarà quindi fondamentale dedicare del tempo a motivare la scelta al paziente e ai familiari, spiegando le peculiarità della situazione, le cause contingenti dello scom- penso glicemico, l’inopportunità di puntare su restrizioni die- tetiche (almeno in questa fase, già complicata da difficoltà nutrizionali) e i vantaggi della terapia insulinica. Come per tutti i soggetti avviati alla terapia insulinica, è raccomandabile for- nire informazioni scritte sulle tecniche di conservazione e di somministrazione dell’ormone, insieme a consigli pratici per la gestione delle ipoglicemie.

In quasi tutti i casi, anche considerato il ridursi dello spessore del sottocute in questi individui, è consigliabile raccomandare (al paziente e nella prescrizione) l’utilizzo di aghi più corti (4-5 mm) e più sottili (32-34 G) che, provocando minore Tabella 4 Aspetti rilevanti nella gestione della nutri-

zione artificiale (NA) nel paziente oncologico.

1. Valutazione delle indicazioni alla NA (presenza di malnutrizione, aspettativa e qualità di vita ecc.) 2. Definire gli obiettivi della NA e stabilire gli obiettivi

di compenso glicemico

3. Valutare il compenso glicemico attuale (iniziare quando glicemia a digiuno < 250 mg/dl)

4. Valutare la terapia insulinica più appropriata (dose, schema insulinico, via di somministrazione ecc.) 5. Valutazione del compenso glicemico in corso di NA 6. Attenzione alle ipoglicemie!

Tabella 5 Fattori chiave per l’educazione alla tera- pia insulinica nel paziente oncologico con diabete.

1. Spiegare al paziente e ai familiari i vantaggi e i mo- tivi della terapia insulinica

2. Attenzione alle capacità cognitive contingenti (for- nire indicazioni scritte, presenza di caregiver ecc.) 3. Scelta della sede di somministrazione e dell’ago

(preferire aghi corti [4-5 mm] e sottili [32-34 G]) 4. Scelta di schemi terapeutici e di monitoraggio in

base alle condizioni cliniche

5. Flessibilità delle indicazioni sulla base delle con-

dizioni generali e delle esigenze terapeutiche

(schemi correttivi, rivalutazioni ravvicinate ecc.)

6. Stretta collaborazione con gli oncologi curanti

(8)

dolore e disagio nei pazienti, garantisce una migliore accetta- zione e aderenza alla terapia

(39,40)

.

La situazione contingente richiede spesso l’adozione di schemi terapeutici e di automonitoraggio glicemico flessibili, che tengano conto del variare delle condizioni cliniche e tera- peutiche. L’addestramento può risultare ulteriormente com- plicato dall’assunzione di antidolorifici oppioidi, che possono talvolta limitare le capacità cognitive del soggetto. Anche per questo motivo risulta fondamentale poter avvalersi, nella ge- stione di un paziente oncologico diabetico, della collabora- zione di un caregiver (congiunti e familiari, ma anche badanti, infermieri, personale sociosanitario di fondazioni per l’assi- stenza ai malati terminali o del volontariato).

Un’ulteriore complicazione nell’impostazione della terapia di un soggetto oncologico è il frequente mutare delle esigenze terapeutiche, legato alla periodicità nella somministrazione della chemioterapia (e quindi nel potenziamento della terapia cortisonica, talvolta con schemi “on-and-off”), alla variabilità delle capacità nutrizionali (cachessia, anoressia, disgeusia ecc.) e al cambiamento delle condizioni cliniche (aggrava- mento o miglioramento della prognosi ecc.). In taluni casi, occorrerà prevedere il passaggio da una terapia insulinica a una terapia orale, o viceversa, oppure importanti potenzia- menti/riduzioni della terapia in atto. È quindi opportuno rive- dere il paziente a cadenza ravvicinata e proporzionata a quella delle visite oncologiche e delle indagini di ristadiazione. Anche questo aspetto si può scontrare con difficoltà pratiche, in un paziente che spesso presenta limitate capacità di sposta- mento da casa ai vari luoghi di cura (day hospital e reparti ospedalieri).

Una soluzione operativa consiste nella realizzazione di reti as- sistenziali fondate sulla comunicazione e collaborazione con- tinua tra oncologi, diabetologi/endocrinologi e personale infermieristico, nell’ambito dei luoghi di cura: l’implementa- zione di servizi di questo tipo facilita l’impostazione di una te- rapia appropriata, l’erogazione di un adeguato follow-up e la gestione logistica della situazione. Presso il COES (Centro Oncologico-Ematologico Subalpino), vasta struttura dedicata ai pazienti oncologici situata presso l’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, è attivo da diversi anni un servizio per la gestione delle complicanze metaboliche dei trattamenti an- titumorali, costruito sul principio di una gestione condivisa e vicina (sia logisticamente sia clinicamente) tra endocrinologi e oncologi. L’esperienza di questi anni è certamente positiva, sopperendo a un’esigenza reale e comunemente avvertita presso le strutture oncologiche. Inoltre, è verosimile che l’im- plementazione pratica di un punto di appoggio per i pazienti oncologici-diabetici nella stessa sede dove sono praticate le terapie antitumorali possa ridurre notevolmente gli scompensi iperglicemici e gli episodi di ipoglicemia severa, limitando il di- sagio per i pazienti e riducendo gli altrimenti inevitabili accessi presso i Pronto Soccorso e i conseguenti ricoveri.

Conflitto di interessi

Nessuno.

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