L’albumina glicata nella gestione clinica del diabete mellito
Glycated albumin in the management of diabetes mellitus
E. Dozio
1, A. Mosca
21
Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università di Milano;
2
Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti, Università di Milano
RIASSUNTO
L’albumina glicata si forma per reazione non enzimatica post-traduzionale tra l’albumina e il glucosio, e la sua misura riflette la glicemia media delle ultime 2-3 settimane antecedenti il prelievo. L’albumina glicata, a differenza dell’emoglobina glicata, può essere misurata sul siero o plasma anche in pazienti con anemie o emoglobinopatie, o con insufficienza renale, in alternativa all’emoglobina glicata, che non è utilizzabile in queste particolari situazioni. A parte il suo utilizzo in alternativa a quello dell’emo- globina A
1c, l’albumina glicata è di per sé una proteina con un potere aterogenico importante per lo sviluppo delle complicanze macrovascolari e quindi la sua misura può avere un ruolo predittivo per queste condizioni. In questa rassegna rivediamo gli aspetti fisiopatologici di base, il suo possibile utilizzo in ambito diabetologico e i principali fattori pre-analitici e analitici.
SUMMARY
Glycated albumin (GA) is a ketoamine formed through a non-enzymatic glycation reaction of serum albumin with glucose and it reflects the mean glycemia over the previous two or three weeks. GA can be measured on serum or plasma and can be used for patients with anemia or hemoglobinopathies, or chronic kidney diseases, for whom the hemoglobin A
1clevel may be inaccurate. GA is potentially an atherogenic protein in the development of diabetic atherosclerosis and its measurement may have a predic- tive role for these conditions. We review the changes induced by glycation on the properties of albumin, the possible use of GA measurements in diabetes monitoring and diagnosis, and its principal pre-analytical and analytical aspects.
Rassegna
Corrispondenza: Andrea Mosca, Dipartimento di Fisiopatologia medico-chirurgica e dei trapianti, via Fratelli Cervi 93,
20090 Segrate (MI) – Tel.: +39 02 50330422 - E-mail: andrea.mosca@unimi.it
Parole chiave: albumina, glicazione, controllo glicemico, diabete mellito • Key words: albumin, glycation, glycemic
control, diabetes mellitus
Pervenuto il 02-08-2017 • Accettato il 21-09-2017
Introduzione
L’albumina glicata (AG) è da poco entrata tra i para- metri di laboratorio utili per la gestione del diabete mellito. Le principali linee guida, sia di laboratorio che cliniche, non ne parlano per nulla
1o ne fanno solo una menzione marginale
2, in attesa che studi clinici più rilevanti possano testimoniarne il valore e fornire i valori soglia utili per l’utilizzo in routine. Pertanto, sco- po di questa rassegna è quello di prendere in esame tutti quegli aspetti che caratterizzano questo esame, mettendo in luce sia i punti di forza, che quelli che ne- cessitano ancora di ulteriori conferme. Ci auspichia- mo che questo contributo possa fare crescere l’inte-
resse e alimentare nuovi studi che portino a maggiori solide evidenze.
Proprietà biochimiche e aspetti fisiopatologici dell’AG
Albumina: aspetti biochimici e fisiologici
L’albumina è la più abbondante proteina plasmatica.
Rappresenta il 50-60% di tutte le proteine circolanti e in
condizioni fisiologiche la sua concentrazione è compre-
sa tra 3,5-5,5 g/dL. È una proteina globulare, di piccole
dimensioni (66 kDa), costituita da una singola catena aminoacidica ricca di residui di lisina (59), arginina (24) e cisteina (35). Di questi ultimi, 34 sono impegnati nella formazione di 17 ponti disolfuro, importanti per la strut- tura terziaria della proteina. La cisteina 34 (Cys-34) è invece libera da legami e nella sua forma ridotta agisce da scavanger delle specie radicaliche e conferisce alla proteina importanti proprietà antiossidanti
3.
Da un punto di vista strutturale, la proteina è organizzata in tre domini (I, II, III) ciascuno contenente due sotto-do- mini, A e B. A livello del sottodominio IIA e IIB sono state identificate due regioni, chiamate rispettivamente Sudlow site I e II, che fungono da siti di legame per diversi sub- strati sia endogeni, che esogeni con affinità preferenzia- le, ma non esclusiva
4. Ad esempio, il sito I lega principal- mente grandi composti eterociclici e sostanze endogene, tra cui la bilirubina e le porfirine. Il sito II, più piccolo, ste- reoscopico e meno flessibile, lega preferibilmente i com- posti aromatici, tra cui le benzodiazepine e l’ibuprofene
5. Anche la regione N-terminale e la Cys-34 svolgono fun- zione di legame sia nei confronti di farmaci, che di diver- si cationi metallici. La proteina contiene anche sette siti di legame per gli acidi grassi, regola l’equilibrio acido- base e il mantenimento della pressione oncotica
3 5. Sia la riduzione dei livelli circolanti, che eventuali cam- biamenti strutturali in grado di modificare alcune pro- prietà biochimiche e fisiche della proteina potrebbero quindi causare la perdita di alcune funzioni
5.
AG: modificazioni strutturali e implicazioni patologiche
La glicazione è una reazione tra uno zucchero riducen- te, come il glucosio e il fruttosio, o prodotti del loro me- tabolismo, e una proteina o un lipide senza l’azione ca- talitica di un enzima. La formazione di prodotti glicati è abbastanza complessa ma, secondo una visione più semplificata, è spesso descritta come un processo chi- mico che procede attraverso tre fasi: iniziale, intermedia e avanzata. Nella fase iniziale, l’interazione tra il carbo- nio carbonilico dello zucchero e un gruppo amminico disponibile in una proteina porta alla formazione di una aldimina intermedia (base di Schiff). La fase intermedia prevede la trasformazione chimica di questo prodot- to di glicazione precoce in un ketoammina più stabile (prodotto di Amadori) e l’ultima fase è la formazione dei prodotti di glicazione avanzata (AGEs) irreversibili a se- guito di ulteriori reazioni di ossidazione, degradazione e reazioni con altre proteine.
In realtà, la chimica del processo di glicazione è molto più complessa, come ben descritto in una rassegna di Cho focalizzata sul profilo meccanicistico dei percorsi di
glicazione
6. Questo scenario suggerisce chiaramente non solo la complessità del processo di glicazione, ma anche la ridondanza di alcune fasi, la possibilità di ge- nerare gli stessi AGEs attraverso diversi percorsi chimici e la difficoltà di concepire una strategia univoca per la prevenzione e la gestione della formazione di tali prodotti coinvolti nello sviluppo di diverse complicanze del dia- bete mellito. Rispetto ad altre proteine, l’albumina è più sensibile al processo di glicazione per diverse ragioni: 1) l’elevata concentrazione; 2) la sua vita media di circa 21 giorni; 3) il gran numero di residui di lisina e arginina che possono essere coinvolti nella formazione di prodotti di glicazione
3 7. Sebbene siano presenti 59 residui di lisina, solo pochi di essi (525, 439, 199, 51, 378, 545, 12, 233, 276, 281, 317, 323 e anche il N-terminale)
8sono un re- ale bersaglio di glicazione. Probabilmente, l’accessibilità a questi siti e la pK
adi ciascun gruppo amminico sono i fattori principali della suscettibilità di questi residui alla glicazione. AG può contenere sia prodotti di glicazione precoce che avanzati. Questi ultimi possono derivare sia dalla trasformazione di addotti precoci già presenti a li- vello della proteina, sia da nuove interazione tra la protei- na e prodotti di glicazione precoci preformati
9.
Gli studi di laboratorio indicano che le modificazioni indotte dalla glicazione alterano in modo significativo la struttura dei due siti di legame Sudlow I e II e del- la Cys-34, suggerendo così una potenziale alterazione generale delle proprietà leganti dell’albumina, anche nei confronti di molteplici farmaci, e una riduzione del suo potere antiossidante e di scavenger
10. La glicazio- ne sembra quindi causa di potenziali cambiamenti degli effetti terapeutici e / o tossici di tutti i farmaci che legano l’albumina, con una grande variazione principalmente per agenti che agiscono in una finestra terapeutica re- lativamente ristretta. Anche se fortemente sostenuto da studi in vitro, il significato clinico di questi risultati non è ancora ben chiaro. È comunque possibile che la ridotta capacità di legame nei confronti degli acidi grassi, so- prattutto acido arachidonico, si associ a un maggior ri- schio trombotico nel soggetto diabetico
11.
Nella forma glicata, l’albumina non presenta semplice-
mente cambiamenti nelle sue funzioni fisiologiche, ma
acquista anche un fenotipo patologico. I livelli elevati di
AG possono indurre danni irreversibili nei diversi orga-
ni, che sono i principali bersagli delle complicanze del
diabete mellito (come le arterie coronarie, il sistema car-
diovascolare, il rene, l’occhio e il sistema nervoso). Ad
esempio, nel rene, AG stimola le cellule epiteliali e del
mesangio a produrre molecole pro-ossidanti e tessuto
connettivo, contribuendo così all’insorgenza della ne-
fropatia
12 13. Nel campo delle malattie cardiovascolari,
AG svolge un ruolo nell’attivazione e nell’aggregazione
che richiedono un controllo a breve termine dei cambia- menti della glicemia, ad esempio dopo l’inizio o la modi- fica di una terapia
22.
I soggetti in cui si manifesta un diabete mellito tipo 1 fulminante presentano un significativo innalzamento dei livelli di glucosio plasmatico in un tempo molto breve. In queste condizioni, AG aumenta maggiormente rispetto a HbA
1ce il rapporto AG/HbA
1crisulta superiore rispetto a quello osservato in soggetti con diabete mellito scom- pensato. Per discriminare le due condizioni patologiche è stato proposto un rapporto AG/HbA
1c≥ 3,2 (sensibi- lità 97%, specificità 98%)
23. La ragione per cui i livel- li di AG aumentano più velocemente rispetto a HbA
1cdipendono molto dalla biochimica dell’albumina, dalla sua elevata velocità di glicazione e dalla sua emivita nel siero
24.
AG e glicemia post-prandiale
In termini di rischio cardiovascolare, la glicemia post- prandiale può essere un fattore di rischio più elevato rispetto ai livelli di glucosio a digiuno. È quindi impor- tante un’attenta valutazione di tale parametro, al fine di ottimizzare i livelli di glucosio post-prandiali e ridur- re il rischio associato
25. Nei pazienti con diabete melli- to, principalmente tipo 1, il glucosio post-prandiale può oscillare all’interno di un ampio intervallo di valori. Es- sendo l’albumina un substrato facilmente glicabile, AG risulta essere un valido indicatore delle fluttuazioni gli- cemiche post-prandiali. Ciò permette di identificare al- terazioni non facilmente apprezzabili, né con il monito- raggio puntiforme della glicemia, a meno dell’utilizzo di un monitoraggio in continuo, né con la HbA
1cperché poco sensibile a picchi glicemici repentini e di breve durata
17. Pertanto, questo rinforza l’utilità di AG come biomarcatore complementare a HbA
1c.
L’iperglicemia marcata è anche spesso riscontrata nei pazienti gastrettomizzati. Il loro rapporto AG/HbA
1cè di solito superiore rispetto ai valori riscontrati in soggetti sani, suggerendo che AG, aumentando maggiormen- te rispetto a HbA
1c, risulta un miglior indicatore delle escursioni glicemiche in questi individui
26.
AG: biomarcatore di complicanze del diabete mellito
Il rischio di sviluppare complicanze associate alla ma- lattia è indubbiamente un argomento di grande interes- se, ma può essere realmente stimato, solo se si hanno a disposizione dei biomarcatori validi a tal fine. A oggi sono stati condotti molteplici studi che hanno portato all’elaborazione di diversi algoritmi, alla ricerca della mi- delle piastrine, regola l’espressione delle molecole di
adesione coinvolte nella formazione di placche atero- sclerotiche, come ICAM-1 e VCAM-1, e promuove l’os- sidazione
11 14. A livello metabolico AG, aumentando la produzione intracellulare di specie reattive dell’ossige- no, riduce la secrezione di insulina e induce resistenza all’azione della stessa
15.
L’attivazione del recettore cellulare per gli AGEs (RA- GE) è uno dei principali meccanismi attraverso cui AG esercita i suoi effetti dannosi. Infatti, l’attivazione di RA- GE stimola la produzione di citochine pro-infiammatorie, induce apoptosi, stress ossidativo e aggregazione pia- strinica, tutti eventi che sono stati associati all’aumento dei livelli AGEs e nello specifico di AG
16.
L’AG come biomarcatore in diverse condizioni cliniche
AG per lo screening e il monitoraggio del diabete mellito
AG è attualmente utilizzata nei paesi asiatici, tra cui il Giappone, per lo screening e il monitoraggio del diabe- te mellito e la stratificazione del rischio di complicanze associate alla malattia
17-19. Lo studio KOPS
18ha sugge- rito l’utilità di AG nella diagnosi del diabete mellito nella popolazione giapponese, utilizzando 15,5% come cut- off diagnostico (sensibilità 83,3%, specificità 83,3%). In uno studio osservazionale trasversale condotto su indi- vidui giapponesi con glucosio a digiuno compreso tra 5,5-6,9 mmoL/L, HbA
1c< 6,5% e nei quali la diagnosi di diabete mellito è stata effettuata sulla base dei risultati del test OGTT, valori di AG > 15,2% sono risultati un uti- le strumento di screening della presenza di malattia
19. Nella Tabella I sono riportati alcuni tra i più significativi studi sull’argomento
18 20 21, principalmente condotti su popolazioni asiatiche, e i valori di riferimento AG per la diagnosi e il monitoraggio del diabete mellito. Si riman- da a una sezione successiva per la discussione degli intervalli di riferimento nella popolazione caucasica.
AG: marcatore glicemico a medio termine
Rispetto a HbA
1cche è un indicatore glicemico a lungo
termine (circa 120 giorni), AG è un indicatore glicemico
a medio termine, poiché riflette la vita media dell’albu-
mina (circa 20 giorni). Questo significa che, rispetto a
HbA
1c, AG può indicare precocemente sia un migliora-
mento, che un peggioramento del compenso glicemico
di un paziente ed è quindi utile in tutte quelle condizioni
plasmatico, e risale dal secondo al terzo trimestre, a causa della carenza di ferro
32. A differenza di HbA
1c, AG non solo non è influenzata dalla carenza di ferro ma, essendo un marcatore glicemico a medio termine (que- sto sarà discusso in dettaglio nella prossima sezione), garantisce un controllo più serrato del compenso glice- mico in gravidanza, fondamentale per ridurre il rischio di complicanze sia fetali che materne
33. Tuttavia va det- to che gli intervalli di riferimento per l’AG in gravidanza definiti dai precedenti studi andrebbero rivisti su popo- lazione di etnia caucasica, con una maggiore attenzio- ne all’arruolamento perché, a nostro avviso, la selezione dei soggetti inclusi negli studi degli autori giapponesi soffriva di diversi punti deboli.
AG è anche un utile biomarcatore per il monitoraggio del diabete mellito nei neonati nei quali HbA
1csembra non riflettere correttamente lo stato glicemico a causa degli alti livelli di emoglobina fetale
34.
Anche il controllo glicemico nel paziente nefropatico e nel dializzato sembra essere meglio gestibile con AG.
Infatti, la ridotta sintesi di eritropoietina, la sua eventua- le supplementazione e la distruzione meccanica degli eritrociti nei soggetti sottoposti a emodialisi possono alterare la vita media eritrocitaria e quindi la capacità di HbA
1cdi riflettere in maniera efficiente la glicemia media
35 36.
Per quanto riguarda la parte pre-analitica in vitro, i cam- pioni possono essere plasma in EDTA o litio eparina, e siero. I campioni congelati a -70°C hanno una stabilità di oltre 10 anni, a -20°C non oltre 6 mesi e quelli a +4°C sono stabili una settimana. A temperatura ambiente il campione è stabile 24 ore
37.
Per quanto riguarda infine la parte analitica, l’AG può essere misurata con cromatografia di affinità, a scambio ionico, liquida ad alta prestazione (HPLC) e immunodo- saggi (ELISA o radioimmunodosaggi). Recentemente è stato automatizzato un metodo enzimatico che presen- ta buone performance analitiche (QuantiLab Glycated Albumin, Instrumentation Laboratory - A Werfen Com- pany, Milano). Il metodo è basato sull’iniziale elimina- zione di aminoacidi endogeni glicati e perossidi grazie a una chetoamina ossidasi e a una preossidasi
38. L’AG viene poi idrolizzata da una proteinasi albumina-speci- fica e i prodotti di questa reazione sono ossidati da una chetoamina ossidasi. Il perossido d’idrogeno prodotto viene poi misurato quantitativamente, grazie al classico metodo colorimetrico di Trinder. In parallelo viene misu- rata con il metodo del viola di bromocresolo la concen- trazione di albumina, in modo da permettere di espri- mere il risultato finale come rapporto tra AG e albumina totale. Questo metodo può essere implementato nelle principali piattaforme analitiche automatizzate e offre glior combinazione di parametri con il più elevato valore
predittivo. Come discusso in precedenza, se AG ben ri- flette le oscillazioni glicemiche post-prandiali e tali valori sono un importante fattore di rischio per le complicanze associate al diabete mellito, soprattutto cardiovascolari, allora anche AG va tenuta in considerazione come pre- dittore del rischio. Inoltre, è importante ricordare che AG può svolgere per sé un ruolo patogenico, promuovendo l’infiammazione, la disfunzione endoteliale, lo sviluppo di placche ateromasiche e la fibrosi renale
11 27.
Lo studio ARIC ha messo in evidenza come i livelli di AG siano strettamente correlati con l’incidenza di dia- bete mellito e le sue complicanze micro vascolari, con un valore prognostico paragonabile a quello di HbA
1c28
. In una sub-popolazione dello studio DCCT/EDIC, sia AG che HbA
1csono risultate associate in maniera si- mile alla presenza di nefropatia e retinopatia e tali as- sociazioni sono state rafforzate combinando le due mi- sure. Solo HbA
1cè invece risultata associata al rischio di malattie cardiovascolari
29. AG, in maniera simile a HbA
1c, è stata ulteriormente associata allo spessore dell’intima media, un indicatore di aterosclerosi subcli- nica, suggerendo quindi la sua utilità per la stima del rischio aterosclerotico
30.
Questi dati suggeriscono che AG può essere quindi un ulteriore aiuto non solo per il monitoraggio e lo scree- ning del diabete mellito, ma anche per la stratificazio- ne del rischio associato alla malattia. Anche se ulteriori studi sono necessari per chiarire il ruolo prognostico di AG, indubbiamente quello che emerge dagli studi ad oggi disponibili è che AG non vuole sostituire HbA
1c, ma che la combinazione dei due parametri possa rappre- sentare uno strumento interessante per la stratificazione del rischio.
Aspetti pre-analitici e analitici
Per quanto riguarda gli aspetti pre-analitici in vivo, AG è scarsamente influenzata dalla carenza di ferro, men- tre negli individui con carenza di ferro i livelli di HbA
1csono superiori rispetto ai livelli medi di glucosio pla- smatico
31. Ciò dipende principalmente dal rallenta- mento della sintesi di emoglobina e dell’eritropoiesi.
Di conseguenza, la vita media degli eritrociti circolanti aumenta, l’emoglobina esistente diventa più vecchia, più facilmente glicabile e quindi si osserva un aumento della percentuale di HbA
1c.
Una condizione fisiologica in cui HbA
1csoffre di alcuni
limiti come indicatore del controllo glicemico è la gravi-
danza. Durante la gravidanza HbA
1csubisce un cam-
biamento bifasico: diminuisce dal primo al secondo tri-
mestre, a causa della diminuzione dei livelli di glucosio
sani era 14,5%. I soggetti con valori maggiore a tale li- mite avevano un’età media di 48 ± 12 anni, il 66,7% di essi era di genere maschile e la loro glicemia media era pari a 125 ± 45 mg/dL.
Limitazioni per l’utilizzo dell’AG
Come discusso nelle sezioni precedenti, in alcune spe- cifiche condizioni cliniche AG offre notevoli vantaggi per il monitoraggio dello stato glicemico rispetto ai biomar- catori attualmente disponibili e utilizzati in ambito clini- co. In alcune specifiche condizioni patologiche, soprat- tutto quelle caratterizzate da variazioni del metabolismo dell’albumina, i livelli di AG non riflettono però in ma- niera ottimale i livelli plasmatici di glucosio. La Tabel- la II riassume le principali indicazioni e i limiti dell’utilizzo dell’AG nell’ambito clinico.
Ad esempio, condizioni caratterizzate da un aumentato metabolismo dell’albumina, come la sindrome nefrosica e l’ipertiroidismo, i livelli di AG risultano inferiori rispetto ai livelli di glucosio plasmatico
43 44.
Anche nell’obesità, i livelli di AG sarebbero inferiori alla glicemia media probabilmente a causa del maggiore ca- tabolismo dell’albumina indotto dallo stato di microinfiam- mazione cronica tipica del soggetto obeso
45-47. A sup- porto di ciò è stato evidenziato come i livelli di AG sono correlati negativamente proprio con il tessuto adiposo vi- scerale, un importante fattore di rischio cardio-metaboli- co in grado di promuovere uno stato di flogosi cronica
48. Sebbene non si conoscono ancora con certezza i rea- buone prestazioni analitiche
39. In particolare, nel cor-
so di una recente valutazione multicentrica condotta in Italia, il metodo implementato sulle principali piattafor- me analitiche di grande automazione mostrava una ri- petibilità compresa tra lo 0,9 e l’1,2%, con un CV intra- laboratorio compreso tra l’1,2 e l’1,6%, con un ottimo allineamento tra i diversi centri (r compreso tra 0,996 e 0,998)
40.
Intervalli di riferimento
Due studi recenti che hanno valutato gli intervalli di nor- malità di AG in soggetti di razza caucasica hanno evi- denziato i risultati che sono mostrati in Tabella I
41 42. Indubbiamente, la differenza di età nei due gruppi di studio (17-95 anni vs 18-65 anni, rispettivamente) po- trebbe spiegare le differenze osservate nei livelli di AG, poiché è risaputo che l’invecchiamento si associa a un aumento fisiologico dei livelli dei prodotti di glicazione e quindi anche a un aumento di AG.
Il secondo studio
42, fatto in modalità multicentrica su soggetti donatori di sangue in buone condizioni di sa- lute, è sicuramente più robusto e importante anche per la numerosità campionaria (oltre 1300 soggetti), e può essere preso come riferimento per soggetti adulti sa- ni. Sono state riscontrate minime differenze significati- ve tra i generi, ed è stato invece trovato un significativo aumento dell’AG in funzione dell’età dei soggetti, con maggiori incrementi nei soggetti di sesso maschile. Se- condo tale studio, il limite superiore di AG nei soggetti
Tabella I. Valori di AG per la diagnosi e il monitoraggio del diabete mellito.
AG%* N. totale di soggetti
inclusi nello studio N. di soggetti
sani/pre-DM/DM Referenza
> 15,5 1.575 1.573/0/72 18
13,2 ± 1,4 (maschi)
13,5 ± 1,5 (femmine) 401 (maschi)
494 (femmine) 401/0/0
494/0/0 20
19,9 ± 5,4 (maschi)
18,9 ± 5,5 (femmine) 297 (maschi)
319 (femmine) 0/0/297
0/0/319 20
> 18,3 DM
16,5-18,3 (pre-DM) 15,6-16,5 (normale-alto)
< 15,6 (normale)
3.142,794 3.057,939/50.284/34.571 21
9,0 (8,7-9,5, 90% IC)-16 (15,6-16,4, 90% IC) 255 255/0/0 41
14,5 (14,3-14,7, 95% IC) 1.334 1.154/154/26 42
La tabella riporta i principali studi che hanno valutato i livelli di riferimento dell’AG nella popolazione sana e i valori per lo screening del diabete mellito (DM).
* I dati sono espressi come valori di cutt-off, media ± deviazione standard, intervallo di riferimento o intervallo di riferimento o limite superiore dell’intervallo di riferimento (intervallo
di confidenza,% IC). La presenza di diabete è stata definita sulla base dei criteri ADA
1.
glicemico. AG risulta più elevata a causa della ridotta sintesi dell’albumina mentre HbA
1cè inferiore a causa dell’ipersplenismo e del conseguente aumentato cata- bolismo degli eritrociti. Partendo dal presupposto che i livelli misurati di HbA
1csono circa un terzo dei valori di AG
52(HbA
1c= AG/3), si è osservato come il parametro CLD-HbA
1c, ricavato dalla media tra la misura di HbA
1ce il suo valore stimato con AG/3, sia un migliore indica- tore del controllo glicemico nei pazienti con CLD
53. Tale parametro infatti ben correla con il valore di HbA
1ccal- colato sulla base della formula di conversione stabilita da Rohlfing
54.
li meccanismi responsabili di tale associazione, l’effetto dell’obesità viscerale sui livelli di AG deve essere tenuta in considerazione nell’utilizzo clinico di AG.
Una simile alterazione è stata riscontrata anche in altre condizioni caratterizzate da infiammazione cronica qua- li nei fumatori, nei pazienti con malattia epatica non al- colica, nell’ipertrigliceridemia e iperuricemia
49-51. In tutte le condizioni in cui il metabolismo dell’albumina è invece ridotto, come la cirrosi epatica e l’ipotiroidismo, i livelli di AG sono superiori rispetto alla glicemia me- dia. Nelle malattie epatiche croniche (CLD), sia AG che HbA
1channo alcuni limiti per il monitoraggio dello stato
Tabella II. Indicazioni e limiti dell’utilizzo dell’AG in ambito clinico.
Indicazioni Limiti
Biomarcatore complementare a HbA
1ce al glucosio plasmati-
co per la diagnosi e il monitoraggio del diabete mellito Condizioni di aumentato catabolismo dell’albumina e microin- fiammazione (sindrome nefrosica, ipertiroidismo, obesità, ipertrigliceridemia, iperuricemia, steatoepatite non alcolica, fumatori): i livelli di AG sono ridotti rispetto alla glicemia media Valutazione a medio termine (20 giorni) della glicemia Condizioni di ridotto metabolismo dell’albumina
(cirrosi, patologie epatiche croniche, ipotiroidismo): i livelli di AG sono maggiori rispetto alla glicemia media
Utilizzabile in tutte le condizioni cliniche in cui HbA
1cpresenta dei limiti di utilizzo (vita-media eritrocitaria alterata, emoglobi- nopatie, gravidanza, diabete neonatale, malattia renale croni- ca e terminale)
AG riflette la glicemia post-prandiale meglio di HbA
1c: utile nel- la stratificazione del rischio cardiovascolare
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