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Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile - Judicium

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Michele Angelo Lupoi

Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Le “sanzioni” processuali contro i “renitenti” alla mediazione. – 3. La mediazione come condizione di procedibilità di alcune controversie civili. – 4. (Segue): nei procedimenti “complessi”. – 5. (Segue): i provvedimenti del giudice. – 6. La mediazione “suggerita” dal giudice. – 7. I riflessi del procedimento di mediazione sul processo civile successivo. – 8. Conclusioni.

1. - Parlare dei rapporti tra mediazione e processo civile impone, preliminarmente, di porre mente alla relazione che, in generale, corre tra qualsiasi strumento alternativo di risoluzione dei conflitti e l’aggiudicazione delle controversie da parte del giudice. Di base, infatti, ogni A.D.R. aspira ad evitare il ricorso alla decisione da parte del giudice e, in quest’ottica, il rapporto tra mediazione e processo civile è di prevenzione e potenzialmente esclusione. In relazione agli A.D.R. non aggiudicativi, peraltro, tale esclusione, per l’ipotesi di fallimento della soluzione conciliata della lite, è solo temporanea, essendo sempre possibile il ricorso all’autorità giudiziaria statale. Così funziona, in particolare, il procedimento di mediazione introdotto dal decreto legislativo n. 28 del 2010, su cui si incentra il presente scritto.

Il rapporto tra mediazione e processo civile, d’altro canto, non si limita ad una relazione

“cronologica”, necessaria ovvero facoltativa. Esso si traduce anche nel necessario coordinamento tra l’attività svolta avanti al mediatore e quella che ha luogo davanti al giudice, sotto una pluralità di profili.

A tutti questi aspetti sono dedicate le pagine seguenti. Trattandosi della versione ampliata e rivista dell’intervento svolto al Seminario sulla mediazione tenutosi a Bologna dell’11 aprile 2012, mi sarà perdonato, mi auspico, l’impianto di note ridotto al minimo e concentrato in particolare sulle pronunce giurisprudenziali.

2. - Il decreto legislativo n. 28 del 2010, come è noto, non si è limitato ad introdurre per la prima volta in Italia una disciplina organica sulla mediazione in materia civile commerciale, ma si è spinto sino a prevedere l’esperimento di un procedimento di mediazione come condizione di procedibilità dell’azione civile in un’articolata serie di controversie. Il legislatore delegato ha, in effetti, inteso la mediazione come un importante strumento di

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deflazione del contenzioso civile (oltre che come valida alternativa alla aggiudicazione delle liti da parte dell’autorità giurisdizionale), imponendone così l’uso in fattispecie ritenute particolarmente adeguate.

Il decreto legislativo n. 28, dunque, si è sforzato di creare un “clima” favorevole alla diffusione della cultura della mediazione, per garantirne il più ampio utilizzo. Tra tutti gli strumenti a disposizione per ottenere tale risultato, peraltro, il legislatore ne ha scelto uno che non appare molto efficace.

Ai sensi dell’art. 4, infatti, all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare

l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, delle agevolazioni fiscali di cui agli artt. 17 e 20, dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In sostanza, si è riversato sull’avvocato l’obbligo di fornire informazioni preventive al proprio cliente in merito alla mediazione e alla sua funzione. Tale scelta non appare felice: come è noto, larga parte del ceto forense non ha accolto con entusiasmo la c.d.

“mediaconciliazione” ed è facilmente intuibile che molti avvocati adempiano (se pure mai) all’obbligo loro imposto dalla norma senza grande convinzione, come un mero adempimento burocratico (in sostanza, un modulo in più da fare sottoscrivere al cliente in aggiunta agli altri già previsti in materia di privacy, antiriciclaggio e quant’altro).

Il legislatore, consapevole di una certa riottosità del ceto forense, ha previsto, come sanzione per la violazione degli obblighi di informazione previsti dall’art. 4, che il contratto tra l’avvocato e l’assistito possa essere annullato. Tale annullabilità ha un’evidente natura sanzionatoria, ma non sembra rappresentare un deterrente efficace.

La prima giurisprudenza, d’altro canto, ha chiarito che l’annullamento del contratto può essere fatto valere solo dall’assistito non adeguatamente informato (1) e non invece dalla controparte o dal giudice, coerentemente con le norme generali in materia.

Si è pure evidenziato che l’annullabilità del contratto tra cliente ed avvocato non fa venire meno la validità degli atti processuali posti in essere dal difensore munito di valido mandato (che resta autonomo rispetto al contratto sottostante di prestazione d’opera professionale). In particolare, si è

1) Trib. Palermo, 24 marzo 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 27, Inserto 8, p. 9; Trib. Teramo- Giulianova, 23 agosto 2010, ord., in Giur. it., 2011, p. 2366; Trib. Varese, 1 marzo 2011, ord., ivi:

nella specie, la parte convenuta si era costituita eccependo, oltre alla nullità dell'atto di citazione per mancata indicazione dei codici fiscali da parte della difesa legale degli attori, altresì l'annullabilità del contratto di patrocinio di questi ultimi, non essendo stata depositata l'informativa di cui al d.lg. n. 28 del 2010.

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www.judicium.it escluso che l’annullabilità del contratto incida sulla validità della procura alle liti rilasciata dalla

parte al difensore (2).

Sul piano dei requisiti formali, la norma in esame stabilisce che l’informazione debba essere fornita dal professionista in modo chiaro e per iscritto e che la stessa debba essere sottoscritta dall’assistito.

Al riguardo, si è evidenziato che l'obbligo di informativa disciplinato dall’art. 4 non può considerarsi soddisfatto quando, nella procura estesa a margine della citazione, il difensore si limiti ad inserire una clausola di stile: l'informativa, in questione, infatti, deve essere chiara, esplicita e contenuta in atto separato (3).

In un crescendo di formalismo, si prevede altresì che il documento che contiene l’informazione sia allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio (4): il tutto per mettere in condizione il giudice di verificare la mancata allegazione del documento ed eventualmente informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione, salvo che non ricorra un’ipotesi di mediazione obbligatoria non previamente esperita, poiché in quel caso dovrà provvedere ai sensi ai sensi dell’articolo 5, comma 1 (v. infra).

La norma sembrerebbe imporre al giudice di convocare il rappresentato onde fornirgli adeguata informazione ai sensi dell'art. 4, comma 2 del decreto n. 28. La prima giurisprudenza in materia, peraltro, ha ritenuto che un obbligo in tal senso, oltre a rischiare di danneggiare la parte stessa, imponendo un rallentamento del processo, apparirebbe anche irrazionale posto che, quando ad esempio vi è un difetto di procura, è sempre consentito al difensore di svolgere un'attività salvifica o, se si vuole, di sanatoria. Si è così concluso che, nel caso di omessa informativa, il giudice possa subordinare la comparizione della parte alla spontanea allegazione dell'informativa da parte del difensore, onde evitare un rallentamento del processo e un danno indiretto a tutte le altre cause pendenti sul ruolo, posto che l'incombente, inevitabilmente, può "appesantire" il calendario dei processi del giudice (5). L’annullabilità del contratto è comunque sanabile anche per atto unilaterale proveniente dalla parte (6).

2) Trib. Teramo-Giulianova, 23 agosto 2010 cit., su cui MURINO, Primi provvedimenti e prime considerazioni in tema di mediazione conciliativa, in Giur. it., 2011, p. 2369. V. pure Trib. Roma, 14 aprile 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.

3) Trib. Varese, 6 maggio 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 27, Inserto 8, p. 11.

4) V. anche Trib. Varese, 1 marzo 2011 cit.

5) Trib. Varese, 6 maggio 2011 cit.

6) MURINO, op. cit., p. 2369, il quale prospetta la possibilità anche di una “convalida tacita”, ad esempio qualora la parte, invitata a comparire avanti al giudice per essere informata della facoltà di

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L’allegazione dell’informativa è richiesta solo nei procedimenti che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto n. 28, che riguarda la materia civile e commerciale con riferimento ai soli diritti disponibili. Si è così affermato, ad esempio, che tale allegazione non è richiesta nel contesto di un ricorso ex art. 710 c. p. c., per la modifica di condizioni della separazione (7). Allo stesso modo, essa non è ritenuta necessaria rispetto ad un ricorso ex art. 696 bis c. p. c., per una rilevata incompatibilità tra le norme di cui al decreto n. 28 e la domanda giudiziale per una c.t.u. preventiva (8).

L’obbligo di depositare l’informativa sulla mediazione sottoscritta dal cliente riguarda l’attore, con la finalità di diffondere la conoscenza dell’istituto ed incentivarne l’uso, evitando così il ricorso all'autorità giudiziaria.

L’utilizzo della mediazione come strumento di deflazione del contenzioso giudiziario, peraltro, può produrre risultati apprezzabili, anche prevedendone l’obbligatorietà, solo nella misura in cui anche i potenziali convenuti siano stimolati a partecipare attivamente al relativo procedimento. In effetti, di per sé, prevedere che l’attore debba rivolgersi ad un organismo di mediazione prima di potere adire il giudice non dà alcuna garanzia, non solo in merito al successo del tentativo di soluzione stragiudiziale della controversia ma anche, e soprattutto, rispetto all’effettiva partecipazione al procedimento in questione di tutte le controparti. E’ intuitivo, infatti, che un potenziale convenuto non ha spesso alcun interesse a collaborare per soddisfare la condizione di procedibilità di una domanda proposta nei suoi confronti e comunque ad investire tempo e denaro per partecipare alla mediazione avanti all’organismo individuato dalla controparte.

Il decreto legislativo n. 28, dunque, sin dalla sua introduzione, contiene uno strumento di coazione indiretta per indurre tutti i controinteressati ad accettare l’invito e presentarsi avanti al mediatore.

Ai sensi dell’art. 8, comma 5, in particolare, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, comma 2° c. p. c.

La norma fa riferimento ad un giudizio “successivo” ma questo non sembra escluderne l’applicazione alle ipotesi di mediazione obbligatoria tentata dopo l’inizio del processo (v. infra),

chiedere la mediazione, non revochi il mandato al procuratore né chieda l’annullamento del

contratto d’opera professionale.

7) Trib. Varese, 9 aprile 2010, in Il civilista, 2010, fasc. 10, p. 79.

8) Trib. Varese, 21 aprile 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 44, Inserto 12, p. 8; Trib. Pisa, 3 agosto 2011, ord., in Foro it., 2012, I, c. 270, con riferimento alla funzione in parte cautelare e urgente del procedimento ex art. 696 bis c. p. c.; Trib. di Milano, 24 aprile 2012, ord., in www.101mediatori.it.

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www.judicium.it per soddisfare la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1, ovvero di mediazione

esperita su invito del giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2 (9).

A rigore, la “renitenza” alla mediazione non dovrebbe di per sé costituire un motivo per uscire soccombenti dal processo: sebbene, nell’applicazione dell’art. 116, comma 2, c. p. c., la prassi giunga ad affermare che l’argomento di prova possa in certi casi costituire l’unico elemento a supporto della decisione (10), in linea di massima quella qui considerata appare una sanzione non particolarmente pesante, dal momento che la parte che ha ragione sul piano del diritto non subisce nocumento da tale “argomento” (11), mentre quella che ha torto non ha nulla in più da perdere.

A fronte di dati ufficiali che, rispetto ai primi mesi di operatività del sistema di mediazione obbligatoria, documentavano che circa due terzi dei procedimenti erano “frustrati” dalla mancata partecipazione della controparte (12), dunque, il legislatore, col decreto legge n. 138, del 13 agosto 2011 ha deciso di introdurre una ulteriore sanzione, per colpire la parte che non partecipi alla mediazione sul piano patrimoniale, a prescindere dal fatto che essa esca vittoriosa o sconfitta dal giudizio. Più nel dettaglio, è stato aggiunto un periodo all'art. 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28, alla cui stregua: "Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio" (13).

La sanzione in oggetto è applicabile solo qualora il tentativo di mediazione si sia svolto dopo l’entrata in vigore della nuova norma (14) ma anche nell’ambito di procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della novella, in mancanza di norme di diritto intertemporale e in applicazione del principio “tempus regit actum” (15). Essa riguarda le ipotesi di mediazione obbligatoria e, per alcuni, anche quelle in cui una parte si sia obbligata a compiere tale tentativo ovvero abbia raccolto l’invito del giudice in tal senso (16). Essa può essere emessa d’ufficio, senza violare il principio

9) Anche per BOVE, Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione, in www.judicium.it, p.

1, questa “sanzione” si applica ad ogni tipo di mediazione. Nello stesso sensoVACCARI, Media- conciliazione e funzione conciliativa del giudice, in www.judicium.it, p. 8.

10) Per BOVE, op. cit., p. 4, nell’applicazione di questa sanzione “il legislatore si è affidato all’arbitrio del giudice”. Per una posizione intermedia Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (1), in www.101mediatori.it, per cui il “peso” dell’argomento di prova costituito dalla mancata partecipazione alla mediazione va valutato in base alle circostanza del caso concreto, potendo pure costituire “unica e sufficiente fonte di prova”.

11) Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (1), cit., al riguardo, afferma: “giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto”.

12) V. pure ANSALDI, Le recenti novità legislative in materia di mediazione, in Contr., 2012, p. 207.

13) Su cui v. anche ANSALDI, op. cit., p. 208.

14) V. pure VACCARI, op. cit., p. 8.

15) V. Trib. Siena, 25 giugno 2012, in www.101mediatori.it, in una fattispecie di opposizione a decreto ingiuntivo.

16) BOVE, op. cit., p. 1.

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www.judicium.it dispositivo, dal momento che si tratta di una sanzione da pagare non alla controparte bensì allo

Stato.

La condanna in questione va pronunciata dal giudice al momento della decisione, come capo accessorio della sentenza finale (17). Essa, peraltro, può essere emessa solo nei confronti della parte costituita, lasciando indenne la parte contumace, ciò che può apparire irragionevole (18).

L’importo della sanzione è predefinito nel minimo e nel massimo, dal momento che esso coincide con quello del contributo unificato dovuto per il giudizio.

In entrambe le ipotesi appena esaminate, la parte che sia rimasta “contumace” nel procedimento di mediazione può evitare la “sanzione” qualora dimostri (19) un giustificato motivo per aver disertato la mediazione.

Quello del giustificato motivo è un parametro flessibile, rimesso al prudente apprezzamento e alla sensibilità del singolo giudicante. Per le ipotesi di mediazione contrattualmente scelta dalle parti, si ritiene, ad esempio, che possa integrare tale fattispecie l’ipotesi in cui la parte sia invitata a comparire di fronte ad un organismo diverso (anche sul piano territoriale) da quello indicato nella clausola negoziale (20).

In generale, una parte può argomentare di non avere partecipato al procedimento di mediazione in ragione dei costi necessari e del tempo all’uopo richiesto. Si può fare l’esempio di chi, per

17) Così, ad esempio, Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (1), cit. In senso difforme, Trib. Termini Imerese, 9 maggio 2012, in www.mondoadr.it, per cui l’irrogazione della sanzione prescinde dall’esito del giudizio e dunque non può essere ritenuta subordinata alla decisione del merito della controversia. Il giudice dunque procede ad irrogare la sanzione prevista dalla norma in esame in sede di udienza ex art. 183 c. p. c. Tale provvedimento non tiene però conto dell’evoluzione del testo della norma. In particolare, l’art. 12 del decreto legge n. 212 del 2011 aveva introdotto, nella disposizione in esame, le parole: “con ordinanza non impugnabile pronunciata d'ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all'udienza successiva di cui all'articolo 5, comma 1”;

tale disposizione anticipava alla fase iniziale del procedimento il momento in cui la sanzione poteva essere emessa. Essa, peraltro, prendeva pure in considerazione l’ipotesi in cui il procedimento fosse stato instaurato senza il previo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, così rinviando l’erogazione della sanzione per la parte “contumace” all’udienza cui la causa fosse rinviata per consentire appunto l’esperimento di tale tentativo. Tali innovazioni, però, sono state soppresse in sede di conversione in legge del decreto legge (legge n. 10 del 17 febbraio 2012), segnando così il ritorno al testo originario della norma qui in esame che è poi quello attualmente in vigore. Tuttora, d’altro canto, Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, ord., in www.101mediatori.it, ritiene irrogabile la sanzione anche prima della decisione finale, quando sia sufficientemente chiaro il motivo della mancata partecipazione alla mediazione.

18) V. pure BOVE, op. cit., p. 2. Non però per Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, cit., per cui la norma evita che sia indirettamente sanzionata la contumacia, a forte rischio di incostituzionalità.

19) L’onere di provare la circostanza grava infatti sulla parte che non abbia partecipato alla mediazione: Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (1), cit.

20) BOVE, op. cit., p. 1.

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www.judicium.it partecipare ad un incontro di mediazione, dovrebbe sostenere ingenti spese di trasferta (aereo,

albergo, ristorante…) e comunque oneri economici incompatibili con il suo reddito (21).

A parere di chi scrive, inoltre, potrebbe essere giustificabile anche il comportamento di chi non partecipi alla mediazione ritenendo totalmente infondate le pretese della controparte (22). E’ vero che, come si osserva nella giurisprudenza di merito, “la ragione d’essere della mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni (…) che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole” (23); è però altrettanto vero che la parte che si ritenga investita di una pretesa manifestamente priva di fondatezza (ad esempio, per intervenuta prescrizione o decadenza…) non può essere costretta a “mediare” pur di evitare l’instaurazione di un giudizio nei suoi confronti, sacrificando così la sua posizione privata individuale per il

“bene” dell’interesse pubblico collettivo. In effetti, in questo caso, l’accertamento del giustificato motivo si fonda su un giudizio “ex post”, compiuto dal giudice al momento della decisione finale, con la quale, ad esempio, dichiari totalmente infondata la domanda dell’attore. In tale ottica, la parte che si sottrae alla mediazione si espone al rischio (più o meno “calcolato”) che la pretesa che essa considerava pretestuosa se non addirittura temeraria sia invece ritenuta meritevole di accoglimento anche parziale. La prima giurisprudenza, d’altro canto, ha negato che, di per sé, la “litigiosità” tra le parti giustifichi il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è rivolto proprio ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla attribuzione di torti e di ragioni (24).

Si è pure ritenuto “irragionevole ed inescusabile” il rifiuto di partecipare alla mediazione opposto da una compagnia assicurativa dopo la pronuncia di una sentenza parziale di accertamento della sua responsabilità, nonostante il fatto che tale decisione fosse stata appellata (25).

21) BOVE, op. cit., p. 2.

22) In questo senso, sembra, Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, cit., che menziona l’ipotesi della lite temeraria. Più prudente la posizione di BOVE, op. cit., p. 2, per cui, in casi del genere, il giudice dovrebbe applicare la norma con “particolare attenzione al caso concreto”.

23) Così Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (2), in www.101mediatori.it.

24) Trib. Termini Imerese, 9 maggio 2012, in www.mondoadr.it.

25) Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (2), cit.

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Si è altresì escluso che costituisca giustificato motivo “l’età avanzata” della parte, in una fattispecie in cui i soggetti in questione erano nati, rispettivamente, nel 1937 e nel 1939 e l’organismo avanti al quale essi erano stati convocati si trovava in un paese vicino a quello di loro residenza (26). Nella fattispecie, il giudice non manca di mettere in rilievo che le parti avrebbero potuto farsi sostituire agli incontri con il mediatore da un procuratore.

La valutazione del giustificato motivo sotto i due diversi profili sanzionatori, come si è visto, avviene nel medesimo momento della decisione finale della causa, evitando così rischi di valutazioni contraddittorie (27). Una volta esclusa la sussistenza di un “giustificato motivo”, d’altronde, al giudice non sembra lasciata alcuna discrezionalità nella irrogazione delle sanzioni qui in esame (28).

3. - L’aspetto senz’altro più controverso del decreto legislativo n. 28 è rappresentato dall’avere previsto il previo esperimento di un tentativo di mediazione come condizione di procedibilità per un articolato gruppo di controversie.

Ai sensi dell’art. 5, comma 1, infatti, “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali (29), divisione, successioni

26) Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, cit.

27) Rispetto alla situazione creatasi a seguito delle modifiche del dicembre 2012, v. BOVE, op. cit., p. 2 ss.

28) BOVE, op. cit., p. 2; Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, cit. Critico sul punto VACCARI, op.

cit., p. 10, che critica l’impossibilità per il giudice di tenere in considerazione l’atteggiamento tenuto dalla parte assente in mediazione nel corso del giudizio conseguente.

29) In questo ambito, Trib. Varese, 20 gennaio 2012, ord., distinguendo tra azione di rivendicazione (a carattere reale, con cui l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà) e azione di restituzione (a natura personale, con cui l'attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, potendosi, quindi, limitare alla dimostrazione dell'avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l'insussistenza ab origine di qualsiasi titolo), afferma che nell’azione (reale) di rivendicazione, la domanda deve essere proceduta dalla mediazione, trattandosi di controversia in materia di diritti reali; tale procedimento di mediazione non è invece necessario rispetto alla domanda (personale) di restituzione. Rispetto ai diritti reali, la situazione più controversa è, peraltro, quella relativa all’usucapione. A una corrente che ritiene che il tentativo di conciliazione sia anche qui obbligatorio, trattandosi di controversia in materia di diritti reali ed essendo possibile una risoluzione extragiudiziale della lite (Trib. Palermo - Bagheria, 30 dicembre 2011, in Giur. mer., 2012, p. 365), se ne contrappone una opposta, per cui le controversie in materia di usucapione, seguendo una lettura costituzionalmente orientata delle norme, non sarebbero soggette alla mediazione obbligatoria, perché le utilità di una sentenza sarebbero maggiori rispetto a quelle di un

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ereditarie, patti di famiglia, locazione (30), comodato (31), affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa (32) o con altro mezzo di pubblicità, contratti

accordo amichevole (Trib. Varese, 20 dicembre 2011, ivi). In tale ambito, si segnala anche

un orientamento, per così dire, intermedio, alla cui stregua la controversia sull'usucapione, in quanto relativa a diritti reali, rientra tra quelle soggette alla mediazione obbligatoria ma il verbale di conciliazione assumerebbe il valore di un mero negozio di accertamento e, quindi, non sarebbe compreso tra gli atti suscettibili di trascrizione nei registri immobiliari in relazione alle tassative previsioni di cui agli art. 2643 c.c. (accordi con effetti modificativi, estintivi e costitutivi) e 2651 c.c. (sentenze dichiarative dell'acquisto per usucapione) (Trib. Roma, 22 luglio 2011, in Giur. mer., 2011, p. 3124; Trib. Roma, 8 febbraio 2012, in www.101mediatori.it; Trib. Catania, 24 febbraio 2012, ord., ivi. In materia, di recente, DALFINO, Note in tema di negozio di accertamento e trascrivibilità dell’accordo di conciliazione sull’intervenuta usucapione, in www.judicium.it, che si esprime a favore della trascrivibilità della conciliazione in questo ambito. V. pure SCARANTINO, in Corr. mer., 2012, 466 ss.

30) Per Trib. Roma 15 marzo 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot, rientra nelle controversie in materia di locazione la domanda di rimborso delle spese affrontate dall’intimato per la ristrutturazione dell’immobile condotto appunto in locazione. Si è invece ricondotto nell’alveo dell’art. 5, comma 1 il procedimento di rilascio dell'immobile occupato senza titolo: Trib. Modena, 6 maggio 2011, in , in Giur. mer., 2012, p. 1084).

31) In mancanza di qualsiasi precisazione, si ritiene che il legislatore abbia inteso prevedere la mediazione obbligatoria per qualsiasi controversia in materia di comodato, a prescindere dalla natura del bene oggetto di esso: Trib. Verona, 18 gennaio 2012, ord., in www.101mediatori.it.

32) In questo ambito, con riferimento alla possibilità di attrarre nella disciplina sulla mediazione obbligatoria la fattispecie di concorrenza sleale integrata da una condotta di diffamazione da parte del concorrente, si è affermato che l’art. 5, comma 1 individua la maggior parte delle controversie devolute alla mediazione precontenziosa sulla base non già della loro causa petendi ma della materia sulla quale esse vertono. In particolare, con riguardo alle controversie relative a fatti illeciti, il legislatore, al fine di restringere l’ambito di applicazione della norma, ha scelto di precisare anche il contesto o le specifiche modalità di commissione del fatto generatore di responsabilità menzionando le controversie “(in materia di) risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica (espressione impropria, più che equivoca, che pare idonea a ricomprendere anche l’ipotesi della responsabilità della struttura sanitaria) e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità”. Nessuna delle ipotesi di concorrenza sleale previste dall’art. 2598 c.c. è dunque ricompresa nell’elenco di cui alla norma succitata e, d’altro canto, tale scelta risulta perfettamente in linea con quella di non sottoporre alla c.d. mediazione obbligatoria le controversie di natura commerciale e societaria: Trib. Verona, 28 settembre 2011, ord., in www101mediatori.it. Si è pure affermato che, poiché l’invio di un messaggio di testo tramite telefono cellulare è equiparabile ad una telefonata, la diffamazione tramite questo modo di comunicazione non può essere definita a mezzo stampa, restando priva di pubblicità e non essendo dunque soggetta all’obbligo di mediazione: Trib. Varese, 20 dicembre 2011, n. 6796, in Dir. &

Giustizia, 2012, 9 febbraio). Si è poi escluso il tentativo obbligatorio di conciliazione per il giudizio vertente in materia di risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito correlato ad

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assicurativi, bancari (33) e finanziari (34), è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del decreto qui in esame ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero ancora il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128 bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate.

La norma espressamente qualifica l’esperimento della mediazione in queste ipotesi come condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In altre parole, l’azione non può essere proposta (e se proposta non può proseguire) senza il previo esperimento della mediazione. L’aspettativa del legislatore, ovviamente, è che le parti, essendo comunque obbligate a percorrere tale cammino, sappiano cogliere l’occasione e raggiungere un accordo conciliativo che eviti il ricorso alla giustizia.

La mediazione obbligatoria è prevista (per il momento) solo per una ristretta cerchia di controversie, scelte dal legislatore con riferimento ai rapporti di durata in cui si è ritenuto

un reato ai sensi dell'art. 185 c.p. e 2059 c.c. (Trib. Cassino, 11 novembre 2011, in Giur.

mer., 2012, p. 1080).

33) Per una fattispecie in materia di commissione di massimo scoperto Trib. Lamezia Terme, 19 aprile 2012, ord., in www.ilcaso.it; in materia di conto corrente Trib. Varese, 18 maggio 2012, ord., ivi. Particolarmente controversa è la possibilità di fare rientrare, tra le controversie in materia di contratti bancari, le azioni revocatorie con riferimento ad operazioni bancarie: parte della giurisprudenza si schiera per la soluzione negativa (Trib. Pavia, 27 ottobre 2011, in Giur. mer., 2012, p. 1080), osservando che, nella materia dei contratti bancari dovrebbero essere inscrivibili solo le cause con cui si faccia discussione delle obbligazioni negoziali che dal contratto scaturiscono, ovvero ancora si metta in discussione la validità o efficacia della stipula (Trib. Varese, 10 giugno 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 44, Ins. 12, p. 9, per cui esercitando l'azione ex art. 2901 c.c., invece, si attiva un mezzo di tutela del diritto di credito e, quindi, l'actio è relativa a una controversia in materia di conservazione delle garanzia patrimoniale.). Per contro, altre pronunce hanno affermato che rientrerebbe ratione materiae, nell'ambito dell'art. 5, comma 1il giudizio che ha per oggetto l'azione revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67 l. fall. di rimesse intervenute su conto corrente, concernendo indubbiamente un contratto bancario (Trib. Mondovì, 11 ottobre 2011, in Riv. dottori comm., 2011, fasc. 4, p. 939).

34) Trib. Milano, 16 marzo 2012, in www.101mediatori.it, ha affermato che un contratto di opzione su azioni stipulato tra privati non rientra nell’ambito delle controversie in materia di “contratti finanziari”, con cui il legislatore ha voluto riferirsi a tipologie contrattuali che conoscono una diffusione di massa e da individuare, piuttosto, in riferimento alla natura professionale di una delle parti, che a specifiche tipologie contrattuali, di per sé di difficile ricostruzione sistematica. Il tribunale lombardo trova supporto alla sua decisione anche nella previsione dell’art. 5 per cui la mediazione obbligatoria è alternativa al procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo n. 179 del 2007 per la risoluzione di controversie tra gli investitori diversi dai clienti professionali e gli intermediari. Trib. Palermo-Bagheria, 13 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it, applica la norma in relazione ad un finanziamento concesso da un soggetto sottoposto ai controlli della Banca d’Italia, associato all’ABI e all’Assofin, iscritto all’albo degli intermediari e all’albo degli istituti di pagamento tenuto dalla Banca d’Italia, nonché all’albo degli intermediari assicurativi tenuto dall’Isvap.

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opportuno preservare la conservazione di rapporti tra le parti, a relazioni considerate particolarmente conflittuali nonché a contratti di massa.

Per tutta la prima giurisprudenza, l'elencazione di tali controversie è tassativa e non semplicemente esemplificativa: si esclude dunque la possibilità di darne un’interpretazione estensiva ai sensi dell'art. 12 preleggi (35). Peraltro, la prima giurisprudenza ritiene che la formula “controversie in materia di” sia più ampia di quella “controversie di”, ciò che giustifica un’applicazione della condizione di procedibilità posta dall’art. 5 anche a liti non strettamente dipendenti dall’istituto di riferimento ma in qualche modo collegate allo stesso (36).

In giurisprudenza, si è correttamente affermato che l’individuazione della materia del contendere ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 1 deve essere compiuta con riferimento alla domanda, e cioè alla sostanza della pretesa ed ai fatti dedotti a fondamento di questa, sebbene l’applicazione del predetto criterio non impedisca al giudice di qualificare diversamente il fatto sotto l’aspetto giuridico (37). A questo si può aggiungere che, ai fini dell’applicazione dell’art. 5, n. 1, la controversia deve avere ad oggetto principale una delle materie elencate dalla norma.

Nell’ambito delle materie sopra elencate, la condizione di procedibilità è prevista a prescindere dal modello procedimentale cui sia sottoposta la lite (ordinario, locatizio, sommario o quant’altro) (38).

Si sta, peraltro, diffondendo (39) un orientamento alla cui stregua tale condizione di procedibilità non sarebbe applicabile nei procedimenti avanti al giudice di pace, sulla base

35) Trib. Cassino, 11 novembre 2011, in banca data dejure; conf. Trib. Pavia, 27 ottobre 2011, ivi, per cui l’elenco tassativo di cui all’art. 5 non è suscettibile di esegesi estensiva; Trib. Varese, 10 giugno 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 44, Inserto 12, p. 9, esclude l’applicazione analogica; Trib.

Bologna, 1 dicembre 2011, in Giur. mer., 2012, p. 1079.

36) Trib. Palermo-Bagheria, 13 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it.

37) Trib. Verona, 28 settembre 2011, ord., in www.101mediatori.it.

38) Come osserva Trib. Varese, 20 gennaio 2012, in Giur. mer., 2012, p. 1077, non è il rito a determinare l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, ma la natura della controversia. Con riferimento al procedimento sommario, Trib. Genova, 18 novembre 2011, in Giur. mer., 2012, p.

1080. In senso contrario, però, Trib. Firenze, 22 maggio 2012, ord., in www.101mediatori.it, per cui la struttura del procedimento sommario sarebbe incompatibile con una trattazione frammentata o protratta, come quella che si avrebbe in caso di concessione del termine per esperire il tentativo di mediazione. Il giudice fiorentino ritiene che al procedimento sommario sia applicabile per analogia la disposizione dell’art. 5, comma 4, decr. legisl. n. 28 del 2010, con riferimento al procedimento monitorio: in altre parole, il giudice dovrebbe concedere il termine per tentare la mediazione solo in caso di “conversione del rito”.

39) Giudice di pace Napoli, 23 marzo 2012, in www.iussit.eu; Giudice di Pace Cava dei Tirreni, 21 aprile 2012, ord., in www.101mediatori.it.

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di un’asserita incompatibilità tra la disciplina processuale speciale posta dagli artt. 311 e 322 c. p. c. e quella qui in esame (che avrebbe potuto essere applicata solo in quanto espressamente previsto).

Tale interpretazione non è condivisibile, dal momento che l’art. 5 non prevede alcun limite alla propria applicabilità in base al tipo di organo giudiziario adito. La norma, inoltre, assume valenza di disposizione generale, come tale applicabile ad ogni tipo di controversia ivi menzionata, a prescindere dalla relativa competenza (40).

L’art. 5 del decreto n. 28 prevede pure alcune ipotesi in cui l’azione giudiziaria non è condizionata dal previo tentativo di mediazione, nonostante la controversia rientri nelle materie ivi elencate. In primo luogo, vanno menzionati i procedimenti cautelari ed urgenti (tra cui, ad esempio, quello disciplinato dall’art. 147 codice r.c.a.). E’, in effetti, evidente che l’urgenza del provvedere debba avere la meglio sulle politiche deflattive del contenzioso. Con particolare riferimento ai cautelari conservativi concessi ante causam, ci si pone il dubbio di come coordinare l’eventuale tentativo obbligatorio di conciliazione con il rispetto del termine di 60 giorni previsto dall’art. 669 octies c. p. c. per l’instaurazione della successiva causa di merito. Rispetto a tale termine, in effetti, appare inoperante il comma 6 dell’art. 5 (41), per cui la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e che, dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta (42). Potrebbe, d’altro canto, prospettarsi l’applicazione analogica o estensiva dell’art. 669 octies, comma 4, c. p. c., che disciplina il rapporto tra misura cautelare e processo del lavoro, con le difficoltà collegate alla natura speciale di tale disposizione.

Nel dubbio, sembra da condividere l’orientamento giurisprudenziale alla cui stregua la parte che ha chiesto e ottenuto un provvedimento ante causam per una controversia rientrante in una delle materie per cui è prevista la mediazione obbligatoria, pur volendo esperire il procedimento di mediazione, non possa esimersi dall'istaurare il giudizio di merito ex art. 669 octies c.p.c., prima o nel corso della mediazione stessa, in quanto il termine della durata della procedura di mediazione può spingersi fino a 4 mesi, ed è

40) In questo senso Giudice di pace Salerno, 2 luglio 2012, ord., www.101mediatori.it.

41) La dottrina prevalente, peraltro, segue l’orientamento contrario, sostenendo che la domanda di mediazione interromperebbe il termine per l’instaurazione del giudizio di merito che ricomincerebbe a decorrere dalla chiusura del procedimento: v. sul punto in Giur. it., 2012, p. 1102.

42) Con la precisazione che se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11 presso la segreteria dell’organismo.

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dunque più ampio rispetto al termine perentorio di cui all'art. 669 octies c.p.c., comma 1.

Di conseguenza, la parte interessata, se volesse attendere l'esito della mediazione, prima di introdurre il giudizio di merito, rischierebbe, in caso di mancato accordo, di vedere vanificata anche la tutela conservativa, già ottenuta, a seguito dell'inefficacia, ex art. 669 novies c.p.c. (43).

Qualche dubbio si è posto rispetto al tentativo di mediazione come condizione di procedibilità di un ricorso ex art. 696 bis c. p. c. L’accertamento tecnico finalizzato alla conciliazione della lite, in effetti, non rientra in senso stretto tra i provvedimenti cautelari (44), non richiedendo l’urgenza come presupposto di ammissibilità (45). Tuttavia, appare corretta la prima giurisprudenza che esclude la necessità di esperire il tentativo di conciliazione prima di depositare un ricorso in questo ambito, dal momento che il procedimento ex art. 696 bis c. p. c. persegue la medesima finalità della mediazione, ovvero la composizione bonaria della lite, ciò che lascia configurare una alternatività tra i due istituti (46). Sulla stessa linea, si mette in rilievo che il procedimento ex art. 696 bis non introduce “una controversia in materia di diritti disponibili”, ai sensi dell’art. 2 del decreto n. 28\2011 (47).

La mediazione non è prevista come condizione di procedibilità neppure nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata (come in caso di accertamento dell’obbligo del terzo o di divisione di bene indiviso) (48), nonché nei procedimenti in camera di consiglio e nell’azione civile esercitata nel processo penale.

In alcune ipotesi, poi, si prevede che il tentativo di mediazione abbia luogo non prima dell’inizio del procedimento ma in un momento successivo.

43) Trib. Brindisi – Francavilla Fontana, 9 gennaio 2012, in Giur. mer., 2012, p. 1078.

44) In giurisprudenza, d’altro canto, si afferma che l’istituto abbia natura “cautelare formale”: v.

Trib. Varese, 24 luglio 2012, decr., in www.ilcaso.it. Parla di provvedimento cautelare e urgente, invece, Trib. Pisa, 3 agosto 2011.

45) Trib. Varese, 24 luglio 2012, cit., peraltro, evidenzia che al procedimento si deve comunque riconoscere carattere “urgente”, in quanto mira a ridurre i tempi di definizione dell’eventuale futuro giudizio di merito.

46) Trib. Varese, 21 aprile 2011, decr., in Guida dir., 2011, fasc. 44, Inserto 12, p. 8; Trib. Milano, 24 aprile 2012, in www.ilcaso.it. Di segno contrario, invece, Trib. Siracusa, 14 giugno 2012, ord., ivi, che, peraltro, dopo avere ritenuto applicabile l’art. 5 del decreto n. 28\2011 al procedimento ex art. 696 bis c. p. c. giunge a dichiarare il ricorso inammissibile, in violazione della stessa prima norma invocata …

47) Trib. Varese, 24 luglio 2012, cit.

48) Trib. Prato, 9 maggio 2011, in Resp. civ. e prev., 2011, p. 1876.

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E’ il caso, in primo luogo, dei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, ove la mediazione va tentata dopo la pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione (49). In sostanza, libera la proponibilità del ricorso per ingiunzione, in caso di opposizione, il giudice dovrà dare i provvedimenti previsti dal comma 1 dell’art.

5 all’esito della prima udienza (o comunque contestualmente all’ordinanza in cui decida in merito alla provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo).

Per alcuni, peraltro, qualora nessuna delle parti formulasse istanze relative alla provvisoria esecutorietà del d. i., non essendo applicabile il presupposto di legge, non vi sarebbe spazio per il tentativo di conciliazione (50). La soluzione non convince. Appare infatti incongruo escludere l’obbligatorietà della mediazione in base ad un elemento così occasionale.

Piuttosto, si deve pensare che il legislatore abbia comunque voluto scollegare il tentativo di mediazione dall’esaurimento della prima udienza, mettendo l’accento sul momento (anche successivo all’esito di tale udienza) in cui il giudice si pronuncia sull’esecutorietà del d. i.

Ma ove non ci siano istanze al riguardo, nulla esclude l’applicazione del meccanismo ordinario previsto dall’art. 5, con rilievo anche ufficioso, alla prima udienza, del mancato soddisfacimento della condizione di procedibilità.

Un meccanismo analogo è previsto per i procedimenti per convalida di licenza o di sfratto:

qui, la mediazione va esperita dopo l’eventuale ordinanza di mutamento del rito ex art. 667 c. p. c., a seguito di opposizione da parte dell’intimato (51). In questo caso, la verifica circa la realizzazione della condizione di procedibilità avviene all’udienza ex art. 667 c. p. c. ed è in quella sede che, eventualmente, il giudice dovrà disporre il rinvio di cui all’art. 5, comma 1. Infine, nei procedimenti possessori, il tentativo obbligatorio di conciliazione deve avere luogo dopo la pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 703, terzo comma, c.

p. c.: qui, la mediazione diviene condizione di procedibilità dell’eventuale giudizio sul merito possessorio.

4. - L’art. 5 fa riferimento alla parte che “intenda esercitare in giudizio un’azione”: essa dunque si riferisce inequivocabilmente all’attore, ovvero agli attori, nei casi di litisconsorzio attivo.

49) Trib. Prato, 18 luglio 2011, , in Giur. mer., 2012, p. 1082.

50) MASONI, Tipologie di mediazione nei rapporti col processo, in Giur. mer., 2012, p. 70.

51) Trib. Modena – Pavullo nel Frignano, 6 marzo 2012, , in Giur. mer., 2012, p. 1077,

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Nei casi di procedimenti complessi dal punto di vista oggettivo o soggettivo, la condizione di procedibilità prevista dalla norma deve essere soddisfatta per ogni domanda cumulata dall’attore ex art. 104 c. p. c. e rientrante nella lista di cui al comma 1 dell’art. 5 (52).

In caso di più attori, ciascuno di essi dovrà avere soddisfatto la condizione dell’art. 5 nei confronti di tutti gli eventuali convenuti (53).

Meno ovvio è l’operare dalla norma rispetto alle domande fatte valere nel corso del processo dal convenuto, dai terzi intervenienti volontari o su chiamata e pure dallo stesso attore, sotto forma di riconventio reconventionis.

La proposizione di una domanda “incidentale” costituisce, come è ovvio, “esercizio del diritto d’azione”, per quanto nell’ambito di un processo cominciato da altri o comunque già in corso e quindi non sotto forma di “azione” autonoma (54). Si può, dunque, pensare che la ratio legis sia limitata all’iniziativa processuale che dà vita ad un processo, senza estendersi anche ai fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già avviato. In effetti, applicare l’art. 5 alle domande proposte in corso di causa può portare ad una molteplicità di rinvii del processo e ad aumento esponenziale dei costi per le parti (55).

In questo senso, quindi, si è orientata parte della giurisprudenza, che ha escluso dall'ambito della mediazione obbligatoria tutte le domande diverse da quella dell'attore proposta con l'atto introduttivo del giudizio, comprese le c.d. riconvenzionali inedite, ovvero quelle emerse solo nella fase giudiziale della controversia e non nel corso del procedimento di mediazione. Tale giurisprudenza, peraltro, a sostegno di questa soluzione, ha osservato che l’art. 5 indica il solo convenuto come la parte legittimata a sollevare il difetto di previo esperimento del tentativo di conciliazione (56). Questa soluzione interpretativa si lascia apprezzare almeno dal punto di vista pratico, dal momento che evita che il processo sia soggetto a dilazioni e ad ampliamenti dei costi.

52) V. pure PETTA, La mediazione obbligatoria nel giudizio oggettivamente complesso, in Giur.

mer., 2012, p. 353.

53) PETTA, op. cit., p. 353.

54) PETTA, op. cit., p. 355.

55) V. anche MASONI, Mediazione e processo: rassegna della prima giurisprudenza edita, in Giur.

mer., 2012, p. 1092, che richiama anche la soluzione raggiunta in merito all’esclusione dell’obbligatorietà del tentativo ex art. 412 bis c. p. c. con riferimento alla domanda riconvenzionale nel processo del lavoro. Per Trib. Como-Cantù, 2 febbraio 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot, a tale problema potrebbe porsi rimedio con la separazione delle diverse domande.

56) Trib. Palermo-Bagheria, 11 luglio 2011, in Giur. mer., 2012, p. 336, che, obiter, estende la decisione anche alla reconventio reconventionis dell’attore e alle domande proposte contro o da terzi chiamati o intervenuti; contra Trib. Roma – Ostia, 15 marzo 2012, in www.101mediatori.it.

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Per contro, si può argomentare che la ratio legis sia evitare il contenzioso rispetto ad ogni azione rientrante nella lista dell’art. 5, a prescindere dalla parte che l’abbia introdotta in causa e dal momento processuale in cui la stessa è stata proposta. In quest’ottica, ad esempio, si deve esperire il tentativo obbligatorio di mediazione con riferimento alla domanda riconvenzionale del convenuto (57), almeno se “inedita” (58).

Parte della dottrina, peraltro, adotta, a questo riguardo una posizione ulteriormente diversificata, ritenendo che, ove non si sia svolto tentativo di conciliazione rispetto alla domanda principale, nulla escluderebbe che tale tentativo possa avere luogo sulla domanda riconvenzionale (59). Seguendo questa linea di pensiero, si giunge ad escludere la necessità di rinnovare il tentativo di conciliazione in caso di intervento di terzo litisconsortile, ma a richiederlo in caso di intervento principale, sul rilievo che, in tale ultima ipotesi, l’esigenza di una trattazione e di una decisione unitaria delle cause non sembrerebbe tanto rilevante da giustificare una deroga al regime della mediazione obbligatoria, dal momento che il terzo non subisce alcun pregiudizio dalla decisione che definisce il giudizio fra le altre parti (60).

5. - Ai fini del soddisfacimento della condizione di procedibilità, il procedimento di mediazione (o il termine dilatorio previsto per il suo svolgimento) si deve essere esaurito prima della prima udienza avanti al giudice (61). Il che vuol dire che laddove il procedimento di mediazione sia stato attivato dopo la notifica dell’atto di citazione ma abbia esaurito il suo corso prima della comparizione delle parti avanti al giudice, nulla quest’ultimo dovrà disporre in sede di udienza ex art. 183 c. p. c.

L’attore, per dimostrare di avere soddisfatto la condizione imposta dall’art. 5, deve produrre in giudizio, al più tardi, appunto, alla prima udienza, una copia del verbale negativo rilasciato dall’organismo di mediazione.

57) In questo senso Trib. Roma – Ostia, 15 marzo 2012 cit.; Trib. Como - Cantù, 2 febbraio 2012, cit.; Giudice di pace Salerno, 2 luglio 2012, ord., www.101mediatori.it.

58) Trib. Firenze, 14 febbraio 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.it.

59) PETTA, op. cit., p. 358 ss., che osserva che, in questa ipotesi, lo svolgimento della mediazione sull’oggetto della domanda riconvenzionale conserva intatta la sua potenziale efficacia deflattiva, anche in relazione alla domanda introduttiva del processo già pendente.

60) PETTA, op. cit., p. 359 ss., che distingue ulteriormente le ipotesi di chiamata in garanzia propria (per cui non si dovrebbe soddisfare la condizione di procedibilità) da quelle in garanzia impropria (per cui invece tale condizione dovrebbe essere soddisfatta, avendo essa ad oggetto un diritto del tutto indipendente rispetto a quello dedotto con la domanda principale).

61) PETTA, op. cit., p. 351.

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Ovviamente, vi deve essere coincidenza tra l’oggetto della mediazione e le domande proposte davanti al giudice: ove tale coincidenza manchi, anche solo parzialmente, dovrà comunque scattare il meccanismo di sanatoria esaminato più avanti. L’identità tra l’oggetto della mediazione e quello della domanda giudiziaria, d’altro canto, va accertata in senso sostanziale e non formale, senza fare rigida applicazione dei criteri identificativi dell’azione (62). Le parti debbono essere le stesse, ma, sul piano oggettivo, bisogna tenere a mente che l’istanza di mediazione non necessariamente è predisposta da un avvocato (63) e che essa non richiede la esatta individuazione di un bene della vita o di fatti costitutivi specifici o, a fortiori, la formulazione di “conclusioni”, estranee alla natura stessa della mediazione.

Si deve dunque verificare l’identità di “rapporto” o di “situazione sostanziale” fatta valere nelle due sedi: nozioni senz’altro atecniche, da interpretare con sufficiente elasticità, per rispettare lo spirito e la natura della mediazione, nell’ambito della quale non esistono preclusioni, potendo le parti affrontare anche aspetti e questioni non inizialmente prospettate nell’istanza. Per fare un esempio, in materia di divisione di proprietà comuni, la condizione di procedibilità dovrà ritenersi soddisfatta anche qualora l’attore, nella domanda giudiziaria, formuli richieste (ad esempio, in merito alle modalità di divisione o al pagamento di un indennizzo per l’uso esclusivo di tali proprietà da parte della controparte) non menzionate nell’istanza di mediazione (64).

L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre, appunto, la prima udienza. Decorso tale termine, la questione non può essere ulteriormente sollevata. Si deve fare riferimento, in ogni caso, all’udienza nella quale si esauriscono tutti gli incombenti previsti dall’art. 183 c. p. c. e che, dunque, sul piano numerico, può non essere la prima in assoluto (65).

62) Va in questa direzione Trib. Mantova, 25 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it, che osserva: “non può ritenersi che le domande proposte in sede di mediazione debbano essere compiutamente ed esattamente formulate sotto il profilo giuridico”, essendo sufficiente che l’istanza contenga l’indicazione dell’oggetto e le ragioni della pretesa.

63) V. Trib. Mantova, 25 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it.

64) Ad esempio, Trib. Mantova, 25 giugno 2012, cit., con riferimento ad una domanda avente ad oggetto una servitù di passaggio, ritiene procedibile l’azione “a nulla rilevando (…) che sia stata richiesta la determinazione di modalità di esercizio del diritto di passaggio ulteriori rispetto a quelle indicate in sede di mediazione, essendo detto esercizio regolato dal titolo, o, in mancanza, dagli artt.

1065 e ss. c. c.”.

65) Così pure MASONI, Tipologie di mediazione nei rapporti col processo, in Giur. mer., 2012, p. 68.

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Il dato letterale è sufficientemente chiaro da escludere, come pure alcuni ritengono (66), che il convenuto sia tenuto a sollevare l’eccezione in esame nella propria comparsa di costituzione depositata tempestivamente, sulla falsariga di quanto previsto per l’eccezione relativa all’esistenza di una clausola compromissoria.

In merito al mancato esperimento della mediazione il giudice dovrà, in ogni caso, decidere dopo avere verificato la regolare integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti necessarie e degli eventuali terzi chiamati. Ciò vuol dire che, preliminarmente, si dovrà verificare se la domanda o la sua notificazione presentano vizi e, se del caso, disporre quanto previsto per la relativa sanatoria; analogamente, sempre in via preliminare, dovranno essere presi i provvedimenti di cui all’art. 102 c. p. c. o 182 c. p. c. In questo modo, si permette a tutte le parti interessate di prendere posizione sulla questione (67) e si evitano perdite di tempo, disponendo l’eventuale differimento della causa per esperire il tentativo di mediazione tra tutte le parti del procedimento e in relazione a tutte le domande cumulate in tale sede per cui operi la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 del decreto n. 28 del 2011.

Il tenore della norma ha fatto dire che, nelle controversie soggette al tentativo obbligatorio di mediazione, anche se le parti di comune accordo chiedono al giudice di evitare detto procedimento, quest'ultimo deve comunque rilevare d’ufficio l'improcedibilità dell'azione giudiziale (68). Gli interpreti escludono, in effetti, che il giudice possa compiere una valutazione discrezionale in merito all’opportunità di esperire la mediazione (69). Chi scrive, peraltro, ritiene preferibile un approccio più elastico che, nel consentire al giudice di valutare le circostanze della fattispecie, gli consenta di non rinviare l’udienza qualora appaiano non sussistere le condizioni minime per l’esperimento di un’utile mediazione.

Il meccanismo processuale che si innesca laddove il giudice rilevi che la mediazione è già iniziata ma non si è conclusa ovvero non è stata neppure tentata è analogo.

Nel primo caso, infatti, deve essere fissata un’udienza successiva dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 (ovvero i 4 mesi dal deposito dall’istanza di mediazione) (70).

Nel secondo (e ben più frequente) caso, l’udienza va rinviata di almeno 4 mesi, con

66) MURINO, Primi provvedimenti e prime considerazioni in tema di mediazione conciliativa, in Giur. it., 2011, p. 2369.

67) In questo senso Trib. Palermo-Bagheria, 13 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it.

68) Trib. Palermo - Bagheria, 13 luglio 2011, in Guida dir., 2011, 44, Inserto 12, p. 9.

69) MASONI, op. cit., p. 69.

70) Tale termine non è soggetto a sospensione feriale: v. Giudice di pace Salerno, 2 luglio 2012, ord., www.101mediatori.it.

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contestualmente assegnazione alle parti di un termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

In altre parole, il previo esperimento del procedimento di mediazione assurge a presupposto processuale, con la previsione di un generale meccanismo di sanatoria con effetti ex tunc che consente di preservare gli effetti della domanda giudiziale proposta senza il suo ottemperamento (71).

I provvedimenti sopra menzionati, a rigore, devono essere presi in udienza, nel contraddittorio delle parti. Nei procedimenti iniziati con ricorso, peraltro, alcuni interpreti ritengono che il giudice, verificato il mancato ottemperamento della condizione di procedibilità, li possa emettere d’ufficio, anche prima dell’udienza e dunque senza prospettare la questione alle parti (72). E, così, nell’ambito di procedimenti soggetti al rito locatizio ex art. 447 bis c.p.c., in sede di fissazione dell'udienza di discussione, alcuni giudici hanno assegnato al ricorrente termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione (73), con contestuale fissazione dell'udienza (ai sensi dell'art. 420 c.p.c.) per una data successiva alla scadenza del termine di quattro mesi previsto dall'art. 5, comma 1 (74).

71) V. PETTA, op. cit., p. 349; totalmente erronea, dunque, Trib. Campobasso, 4 gennaio 2012, che, accogliendo l’eccezione del convenuto circa il mancato esperimento della mediazione prima dell’inizio del processo, si limita a dichiarare la domanda improcedibile, definendo il procedimento avanti a sé. La sentenza è tanto più criticabile nella misura in cui applica la condizione di procedibilità ad un procedimento in cui la citazione era stata consegnata agli Ufficiali giudiziari prima dell’entrata in vigore dell’art. 5, con perfezionamento della notifica in data successiva.

Secondo il Tribunale di Campobasso i processi introdotti con citazione devono considerarsi pendenti al momento della notificazione della citazione e che ai fini della instaurazione del contraddittorio, non è sufficiente la mera consegna del plico da notificare all'ufficiale giudiziario, ma è necessario che l'atto pervenga a legale conoscenza del destinatario, sicchè - per la pendenza della lite - deve aversi riguardo non alla data del primo adempimento, bensì al momento in cui il procedimento notificatorio si perfeziona giungendo nella sfera di conoscenza del notificato. Non è questa la sede per approfondire la questione: chi scrive, peraltro, ritiene che la pendenza della lite, al fine della determinazione ratione temporis della disciplina processuale applicabile, non possa che essere ricondotta alla data in cui l’attore consegna l’atto agli ufficiali giudiziari ovvero deposita il ricorso presso l’ufficio giudiziario adito; sull’argomento v. altre prese di posizione giurisprudenziali in RUVOLO, Le prime applicazioni giurisprudenziali in tema di mediazione, in Corr. giur., 2012, p. 338

72) Per MASONI, op. cit., p. 69, ad esempio, l’invito a procedere a mediazione potrebbe essere indirizzato dal giudice alle parti già antecedentemente alla prima udienza del processo ordinario di cognizione in sede di pronuncia del decreto di differimento della prima udienza di comparizione e trattazione ex art. 168 bis c. p. c.

73) Trib. Modena, 6 maggio 2011, in Giur. locale – Modena, 2011.

74) Trib. Prato, 30 marzo 2011, decr., in Giur. it., 2012, p. 657, che specifica che il termine per la presentazione della domanda di mediazione va computato a decorrere dalla comunicazione del decreto e che, oltre a stabilire un termine per l’inizio del procedimento di mediazione da parte del

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www.judicium.it

Meccanismi analoghi a quelli appena esaminati per la mediazione c.d. obbligatoria sono previsti, dal comma 5 dell’art. 5, in caso di inottemperanza ad una clausola di mediazione o conciliazione contenuta in un contratto, in uno statuto o in un atto costitutivo di un ente ovvero qualora il procedimento di mediazione ivi previsto non sia ancora giunto a compimento. Anche in questo caso, in effetti, la mediazione è obbligatoria, anche se la fonte di tale obbligo non è la legge ma la volontà delle parti. Qui, peraltro, il favor per il tentativo di mediazione è attenuato: si prevede, infatti, la semplice eccezione di parte, proposta nella prima difesa (e dunque, rispetto al processo civile, in sede di comparsa di risposta e non direttamente all’udienza, salvo che la costituzione non avvenga in tale sede).

Dopo la concessione del termine da parte del giudice, si prospettano diverse opzioni.

In primo luogo, la parte più diligente può effettivamente procedere alla presentazione dell’istanza di mediazione. Al riguardo, il termine di 15 giorni non deve ritenersi perentorio, l’importante è che l’iter sia esaurito in 4 mesi e comunque prima dell’udienza successiva (75).

Se la mediazione ha successo, la controversia è (almeno in parte) conciliata e il procedimento potrà essere abbandonato (76) (o proseguito solo per quella parte di thema decidendum su cui eventualmente non si sia trovato un accordo).

La mediazione può però anche fallire.

Va considerata, in primo luogo, l’ipotesi in cui il procedimento non si sia neppure completamente sviluppato, per la mancata comparizione della controparte. In tali ipotesi, in base alle indicazioni di una circolare ministeriale del 4 aprile 2011, successivamente recepita dal d. m. n. 145 del 8 luglio 2011, la parte interessata deve comunque effettivamente comparire all’appuntamento col mediatore, non essendo sufficiente una mera dichiarazione dell’organismo di conclusione del procedimento per mancata adesione della parte invitata (77). Per soddisfare la condizione di procedibilità, dunque, si deve ottenere almeno un verbale “negativo” da parte del mediatore.

ricorrente fissa, oltre la scadenza dei quattro mesi, un ulteriore termine ex art. 416, comma 1 c. p. c.

per la costituzione in giudizio del resistente. Così pure MASONI, op. cit., p. 68; Trib. Larino – Termoli, 23 dicembre 2011, in Giur. mer., 2012, p. 1079.

75) In questo senso anche MASONI, op. cit., p. 70.

76) In effetti, come evidenzia Trib. Varese, 6 luglio 2012, ord., www.ilcaso.it, alle parti non è imposto, in caso di esito favorevole della mediazione, di darne atto nel processo, ben potendo semplicemente non comparire per provocare l’estinzione del giudizio.

77) V. pure MASONI, op. cit., p. 69; Trib. Roma - Ostia, 27 giugno 2011, ord.; Giudice di pace Salerno, 2 luglio 2012, ord., www.101mediatori.it. A fortiori, non può soddisfare la condizione di procedibilità l’attore che abbia promosso la procedura di mediazione senza provocare o procurare

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