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LA SVOLTA DEL CODICE DELLE ASSICURAZIONI PRIVATE IN TEMA DI DANNO NON PATRIMONIALE
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Avv. Calogero Lo Giudice**
IL CONTRASTO TRA “DIRITTO VIVENTE” E “DIRITTO VIGENTE”
Il capo III del titolo X del Decreto Legislativo 7 settembre 2005 n. 209 (Codice delle assicurazioni private) disciplina il “risarcimento del danno”.
Una rapida lettura della normativa in parola potrebbe condurre a ritenere risarcibili solamente il “danno patrimoniale” (art. 137) ed il “danno biologico” (artt. 138 e 139):
gli unici ad essere contemplati e regolati.
Si potrebbe concludere che il D. Lgs. n.209/2005, pur accogliendo il c.d. sistema risarcitorio bipolare (del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale) - secondo la ricostruzione operata dalla Cassazione, con le sentenze n. 8827 e n. 8828 del
* Articolo di Calogero Lo Giudice pubblicato il 7/3/2006 sul sito www.altalex.com
** Avvocato dell'Inail Sede di Pisa
ABSTRACT
The D. L. 7/09/2005 n. 209 rules the new code of the insurances and states that the damaged person could have the compensation for the patrimonial damage and for the biological damage, meaning not only the loss of the psychic and physical integrity but the loss of the whole person integrity (including the moral and the existential damage).
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31/5/2003 ed asseverata dalla Corte costituzionale, con la decisione n. 233 del 11/7/2003 - abbia ridotto l’ambito del “danno non patrimoniale”, identificandolo con il solo “danno biologico”, e così abbandonando la triplice configurazione prospettata dalla richiamata giurisprudenza (ossia, “danno morale soggettivo”, “danno biologico”,
“danno da lesione di ulteriori interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”).
Appare evidente, dunque, il contrasto tra il “diritto vivente”, quale risulta dalla menzionata impostazione giurisprudenziale, e il “diritto vigente” ricavabile dal recente dato normativo.
Certamente la soluzione al problema non è quella di ritenere limitato l’obbligo della impresa di assicurazione ai titoli di danno espressamente previsti dal D. Lgs.
n.209/2005, gravando l’ulteriore debito risarcitorio direttamente sul patrimonio del danneggiante.
In realtà, se è vero, da un lato, che è stata recepita la bipolarità del sistema risarcitorio, non è vero, dall’altro, che il danno non patrimoniale riconoscibile e coperto dalla garanzia assicurativa, sia soltanto il “danno biologico”, almeno nell’accezione desumibile da quello che la Corte costituzionale (n.233/2003) ha reputato “diritto vivente”.
Non può sostenersi, d’altra parte, che non vi è stata alcuna innovazione: si tratta, piuttosto, di trovare una plausibile soluzione alla fondamentale questione dei danni risarcibili ex D. Lgs. n. 209/2005 e, per fare ciò, bisogna muovere dalla considerazione di alcune significative decisioni giurisprudenziali.
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IL PERCORSO GIURISPRUDENZIALE
Una prima rilevante pronuncia è, senza dubbio, la n. 7713 del 7/6/2000 della Cassazione, la quale ha riconosciuto il risarcimento, ai sensi dell’art. 2043 c.c., del
“danno esistenziale ed alla vita di relazione”, da lesione di diritti fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti, a favore del figlio minore, per “l’iniziale ostinato rifiuto del padre di corrispondere i mezzi di sussistenza”.
La sentenza in parola ha ammesso il ristoro di un danno non patrimoniale, diverso dal danno biologico e dal danno morale da illecito penale.
Con la pronuncia n.2515 del 21/2/2002, le SS. UU. hanno, poi, chiarito che anche il danno morale soggettivo è risarcibile autonomamente, in mancanza di una lesione all’integrità psico-fisica (danno biologico), a favore di quei soggetti che provino di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi d’animo) a causa dell’esposizione a sostanze inquinanti, e per le conseguenti limitazioni al normale svolgimento della loro vita.
Del resto, già la Corte costituzionale (n. 372 del 24/10/1994), rivedendo l’orientamento espresso nella famosa sentenza n.184/1986, aveva affermato l’autonoma risarcibilità del danno morale che non “degenerasse” in “danno biologico”;
diversamente sarebbe stato risarcibile solo quest’ultimo.
Di maggiore interesse sono, sicuramente, le c.d. sentenze gemelle della Cassazione del 2003 (n.8827 e n.8828).
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Osserva, qui, la S.C. che la prassi giudiziaria ha attuato una dilatazione degli originari ambiti concettuali del danno alla salute e di quello morale soggettivo, ricomprendendo nel primo (danno biologico in senso lato) tutti i riflessi negativi che la lesione dell’integrità psicofisica normalmente comporta sul piano dell’esistenza della persona, inducendo un peggioramento della complessiva qualità della vita; e, nel secondo (o, alternativamente, nel primo), tutte le rinunce collegate alle sofferenze provocate dal fatto lesivo.
La tendenza alla dilatazione degli spazi propri di altre voci di danno (ed in particolare del danno biologico), non ha più ragione di essere, secondo la S.C., una volta riconosciuta la autonoma tutela risarcitoria degli specifici interessi della persona costituzionalmente garantiti.
La Cassazione, dunque, nell’ambito del c.d. sistema risarcitorio bipolare, da un lato, ha inteso superare quella tendenza ampliativa, operando una precisa distinzione delle voci del “danno non patrimoniale” (“danno morale soggettivo”, “danno biologico”, “danno da lesione di ulteriori interessi costituzionalmente protetti”), dall’altro, tuttavia, ha affermato l’unitarietà del “danno non patrimoniale” (come categoria ricondotta all’art.2059 c.c. e comprensiva di ogni ipotesi in cui ad essere leso sia un valore inerente alla persona, non connotato da rilevanza economica), avvertendo, nel contempo, che non è proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo, poiché ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, è l’ingiusta lesione del valore costituzionale “uomo”.
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Aggiunge pure, che non si vuole con ciò pervenire ad un “incremento generalizzato delle poste di danno”, né ad una “duplicazione degli stessi pregiudizi”.
Il giudice, pertanto, dovrà assicurare il raggiungimento di un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento, per cui, in caso ad esempio, di attribuzione congiunta del danno morale soggettivo e del “danno da perdita del rapporto parentale”, dovrà considerare, nel liquidare il primo, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazione del risarcimento.
Consapevole di tale rischio, dovuto alla coesistenza di voci di danno che, se pur distinte, concernono ambiti che tendono a sovrapporsi, la Cassazione non ha escluso che possa giungersi, nell’ottica della concezione unitaria della persona, ad un’unica complessiva valutazione del danno non patrimoniale senza distinzione alcuna, nonché ad una liquidazione espressa da un’unica somma di denaro.
La necessità di non procedere al ricalcolo, in modo autonomo, di voci di danno, quando di esse si è già tenuto conto nella valutazione di altro pregiudizio non patrimoniale, è ribadita continuamente dalla Cassazione, nelle successive pronunce.
Così pure nella recente sentenza n.15022 del 15/7/2005.
Questa ha anche precisato i confini del c.d. “danno esistenziale”, chiarendo che, in tema di danno non patrimoniale non vale il principio di atipicità dell’illecito, come per il danno patrimoniale; per cui rimane la limitazione ai “casi previsti dalla legge”, anche se
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in questi non possono non rientrare le lesioni di specifici valori costituzionalmente garantiti della persona.
Ne discende, per la Cassazione, che non può farsi riferimento ad una generica categoria di “danno esistenziale” (dagli incerti e non definiti confini), poiché attraverso questa via si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nella atipicità.
Il risarcimento del danno non patrimoniale, fuori dalla ipotesi di cui all’art.185 c.p. e dalle altre legislativamente previste (art.89 c.p.c., art.2 L. n.117/1988, art.29 L.
n.675/1996, sostituito dall’art. 152 D. Lgs n.196/2003, art.44 D. Lgs n.286/1998, art.
2 L. n.89/2001), attiene solo alle ipotesi specifiche di valori costituzionalmente garantiti (la salute, la famiglia, la reputazione, la liberta di pensiero ecc.), a prescindere da risvolti penalistici, non più condizionanti.
In tal caso, però, non vi è un generico danno non patrimoniale “esistenziale”, che non sia riferibile a specifici interessi, costituzionalmente rilevanti, inerenti alla persona.
Non è, dunque, sufficiente, come per il danno patrimoniale, che sussista una lesione di una posizione giuridica considerata meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, ma è necessario, ai fini della risarcibilità ex art. 2059 c.c., che tale lesione attenga a valori costituzionalmente garantiti della persona, come tali oggetto della tutela minima, che è quella risarcitoria.
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CONSIDERAZIONI
Il rapido percorso giurisprudenziale impone delle immediate considerazioni.
Anzitutto, le pronunce che hanno affermato l’autonomia del danno morale e del danno da lesione di specifici valori personali di rilevanza costituzionale, non presupponevano (anzi escludevano) l’esistenza, nelle concrete fattispecie, di un danno biologico.
A ben vedere, dunque, duplice – e non triplice – è la configurazione del danno non patrimoniale.
Infatti, nella concreta fattispecie di cui alla decisione n. 7713 del 7/6/2000, la Cassazione ha ravvisato e riconosciuto un autonomo “danno esistenziale” da lesione di interessi costituzionalmente garantiti, ma non erano certamente estranei, nel contempo, profili emozionali o di sofferenza, riconducibili al danno morale soggettivo.
Il rilevato pregiudizio “esistenziale-relazionale” poteva anche ritenersi espressione di
“sofferenza” per la rinuncia affettiva.
Del resto, in questo senso era formulata la domanda di parte attrice, in conseguenza del comportamento intenzionalmente e pervicacemente defatigatorio del padre naturale.
Nel caso, poi, esaminato dalle SS.UU. nella sentenza 21/2/2002 n. 2515, è stata riconosciuta la autonoma risarcibilità del danno morale soggettivo rispetto al danno biologico, per la necessità di “sottoporsi a periodici controlli sanitari, a seguito dell’esposizione a quantità imprecisate di diossina, con conseguente limitazione della
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propria libertà di azione e del normale svolgimento della vita” : il che rende innegabili i pregiudizi alla sfera “esistenziale”, oltre che (o forse, più che) a quella “interiore”.
E così pure, nelle fattispecie di danno da perdita del rapporto parentale o di lesione di congiunto, esaminate dalle altre sentenze, sono innegabili le ripercussioni in termini, insieme, di “sofferenza” ed “esistenziali”, tanto che – come raccomandato dalla S.C. - se il giudice ha già tenuto conto, nella considerazione del danno morale soggettivo anche del profilo esistenziale, non potrà e non dovrà procedere ad un autonomo ricalcolo.
In definitiva, più che “trino”, il danno non patrimoniale è, sostanzialmente, di due tipi:
a) danno non patrimoniale biologico (che esclude l’autonoma considerazione di ogni altro pregiudizio non economico); b) danno non patrimoniale non biologico, relativo alla lesione di “ulteriori” interessi di rango costituzionale.
Tanto la Cassazione che la Corte costituzionale del 2003, hanno inteso tenere distinti i vari pregiudizi non patrimoniali ma, nell’affermare ciò, hanno definito, o meglio hanno dovuto definire il “danno biologico in senso stretto”, come la “lesione dell’interesse costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art.32 Cost.)”, riconducendolo così nei confini della
“patologia”.
Inoltre, la triplice configurazione del danno non patrimoniale non ha eliminato il rischio della duplicazione risarcitoria, stante il rapporto (non disconosciuto) di
“embricazione” tra le varie voci di danno.
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IL PERCORSO STORICO-SISTEMATICO
Ancor più determinante, ai fini della soluzione del problema della estensione dell’aera risarcitoria ex D. Lgs. n.209/2005, è la considerazione del percorso storico-sistematico.
Il danno non patrimoniale ex art.2059 c.c., inteso quale danno morale soggettivo, rappresentava, in passato, l’unica forma di protezione riferita alla persona in sé considerata, a prescindere dal suo patrimonio (anche se per scopi di prevenzione e repressione di atti delittuosi).
L’introduzione del danno biologico, ha ribaltato l’assetto del sistema risarcitorio tradizionale, conferendo centralità al “valore uomo”, globalmente considerato.
Vero è che la Corte costituzionale è stata costretta a tenere distinto il danno morale soggettivo dal danno biologico, per evitare che quest’ultimo soffrisse delle limitazioni poste dall’art. 2059 c.c. per il primo, ma – una volta superata questa preoccupazione - è innegabile che la “sofferenza” del danno morale soggettivo è parte costitutiva ed inscindibile dell’evento di lesione e menomazione della integrità personale.
In poche parole, il danno biologico, che vive sotto lo stesso tetto (art.2059 c.c.) del danno morale, amplia il contenuto (minimo ed originario) di quest’ultimo e si sovrappone ad esso: la “pecunia doloris” è, in sostanza, una componente del danno biologico, in presenza di un siffatto danno.
Anche il c.d. “danno esistenziale” è stato costruito per aggirare il divieto di cui all’art.
2059 c.c. Tuttavia, il danno esistenziale faceva già parte del danno biologico che
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imponeva di prendere in considerazione la “integralità dei riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica sé stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità” (Corte cost. n.356/1991).
La novità del danno esistenziale non è consistita nella “invenzione” di una categoria nuova di danno, ma nel riconoscimento di un autonomo risarcimento per tale pregiudizio, in assenza di danno biologico.
In presenza, per contro, di un danno alla integrità psicofisica, non è concepibile un distinto pregiudizio esistenziale-relazionale, in quanto inglobato nell’aspetto dinamico del danno biologico.
Anche il percorso storico-sistematico porta a configurare un duplice danno non patrimoniale: di tipo biologico e di tipo non biologico (o morale tout court, o esistenziale-relazionale: poco conta l’etichettatura).
LA SOLUZIONE ADOTTATA DAL D.LGS. N.209/2005
Il legislatore del codice delle assicurazioni private, nel disciplinare il “risarcimento del danno” e nel contemplare, come danno non patrimoniale, il danno biologico, ha voluto, anzitutto e principalmente, evitare il rischio concreto di indebite duplicazioni
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risarcitorie, dovuto alla coesistenza di pregiudizi (non economici), concernenti ambiti tra loro, almeno in parte, sovrapponibili.
Pur accogliendo il c.d. sistema risarcitorio bipolare del “danno patrimoniale” e del
“danno non patrimoniale”, ha respinto il concetto di “danno biologico in senso stretto”
espresso dalla giurisprudenza del 2003, in modo da scongiurare risarcimenti autonomi per quelle voci di danno non patrimoniale già incluse e non scindibili dal
“danno biologico in senso lato”.
Il D. Lgs. n.209/2005 ha definito - non più transitoriamente e, nell’art.138, senza la specificazione relativa ai “sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti” contenuta, invece, nell’art.139 - il danno biologico come “la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.
Data l’ampia definizione, nessun dubbio che il danno biologico sia stato inteso “in senso lato”, come “categoria serbatoio” (per ripetere l’espressione del Tribunale di Bassano del Grappa n.65 del 14/12/2004), come tale comprensivo di quel
“contenuto” che la giurisprudenza del 2003 ha ritenuto di sottrarre, pur essendo consapevole del rischio della “triplicazione” degli stessi pregiudizi non patrimoniali, conseguente alla “triplice”, distinta configurazione del danno non patrimoniale.
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Va subito avvertito, tuttavia, che con ciò non si è inteso ridurre il risarcimento del danno non patrimoniale, limitandolo al solo danno biologico, bensì stabilire che tutte le volte in cui sussiste un siffatto danno, non possono scindersi dallo stesso, per ottenere un’autonoma riparazione, la “sofferenza” per la subita menomazione, né “le rinunce collegate alle sofferenze provocate dal fatto lesivo”, né “i riflessi negativi che la lesione della integrità psicofisica comporta sul piano dell’esistenza della persona” e che siano ritenuti meritevoli di protezione.
Si capisce che si tratta, in questi casi, di aspetti dello stesso tipo di danno e, finalmente, si comprende quanto sia del tutto inutile, ed anzi rischiosa, soprattutto ai fini della concreta ed effettiva liquidazione del danno non patrimoniale, la distinzione che si è soliti fare tra danno morale, danno biologico e “danno esistenziale”, aggiungendo e precisando che il primo consiste nel “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima”, il secondo in una “patologia” suscettibile di accertamento e valutazione medico-legale, il terzo in un peggioramento della qualità della vita derivante dalla lesione del valore costituzionale “uomo”.
Come si ricava anche da Cass. I, 4/10/2005 n.19354, all’interno dell’ampia ed unitaria categoria del danno non patrimoniale esistono, non generi o titoli di danno diversi, bensì voci, componenti omogenee dello stesso inscindibile danno.
Nell’ambito dell’unitario danno biologico ex D. Lgs. n.209/2005, il versante del
“danno esistenziale” è recuperato dalla considerazione della incidenza negativa sulle
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attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-esistenziali della vita del danneggiato, anche personali e particolari.
Il profilo soggettivo del danno morale è, invece, recuperato, sempre all’interno dell’unica figura del danno biologico, dalla considerazione delle “condizioni soggettive del danneggiato”, così escludendo, nel contempo, facili ed ingiustificati automatismi, ai fini del risarcimento della componente “sofferenza”, come finora avvenuto.
La “condizione” o “stato soggettivo” è, secondo il suo stesso significato terminologico, la situazione psicologica (e non solo fisica o sociale), duratura o momentanea, in cui si trova una persona.
Quanto all’ausilio medico-legale, al quale potrà eventualmente farsi ricorso, se non si vuol confinare il compito del consulente alla mera determinazione del grado della menomazione in sé considerata, non vi è, sicuramente, soggetto più idoneo, in presenza di un lamentato danno non patrimoniale, per accertare o escludere un danno biologico, allorché venga riscontrata una mera sofferenza personale transeunte (ad es. “depressione-lutto”) che non scada e termini in un trauma fisico o psichico (ad es.
“depressione-malattia).
Secondo Corte cost. 27/10/1994 n.372, a volte, il danno biologico è “il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo e che, in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa ecc.), anziché esaurirsi in un patema d’animo o in uno stato di angoscia transeunte, può degenerare in trauma fisico
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o psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente di pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento”.
Quanto all’aspetto dinamico del danno biologico, il medico-legale potrà, se del caso, essere chiamato ad intervenire mediante l’apporto di indicazioni descrittive che aiuteranno il giudice a giustificare l’aumento del danno-base, salva, comunque, l’allegazione e la prova delle specifiche e personali ripercussioni sulla vita del danneggiato, nonché della loro rilevanza quali-quantitativa.
Il D. Lgs. n.209/2005, in definitiva, ha categoricamente affermato l’autonomia e la onnicomprensività del “danno non patrimoniale biologico”.
Tale onnicomprensività è l’espressione della “forza centripeta” del danno biologico che ingloba in sé le altre voci di danno, prima ritenute da esso distinte ed autonomamente risarcibili, in aggiunta al danno biologico.
Muta, per conseguenza, anche il referente normativo che non è più soltanto l’art.32 della Costituzione (ove riferito al “danno biologico in senso stretto”), ma ogni disposizione che tutela un valore inerente alla persona, nella specie rilevante.
La considerazione da parte del D. Lgs. n.209/2005, del solo “danno biologico” (sia pure “in senso lato”) non significa, però, che si è tornati, in qualche modo, alla ricostruzione del 1986 (Corte cost. n.184 del 14/7/1986).
Non solo è, significativamente, cambiata la collocazione sistematica del danno biologico, ricondotto nell’area omogenea del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.;
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non solo non vi è più ragione di tenere distinto, facendo ricorso alla “sovrastruttura teorica” (SS.UU. n.2515/2002) del “danno evento” e del “danno conseguenza”, il
“danno morale” dal danno biologico, quando ricorre quest’ultimo, ma si è veramente e finalmente conseguita la “razionalità del sistema”, senza dover ricorrere ad inutili artifici e soprattutto, senza il rischio della duplicazione risarcitoria.
Sotto il profilo probatorio, mentre l’accertamento e la valutazione medico-legale possono ritenersi sufficienti, per stabilire l’entità del danno biologico-base, gli aspetti
“dinamico-emozionali” richiedono una specifica prova, sia pure per presunzioni.
La liquidazione del danno non patrimoniale biologico sarà, poi, espressa da un’unica somma di denaro, una volta operato il giusto “aumento” del valore economico tabellare.
La previsione del solo “danno biologico”, da parte del D. Lgs. n.209/2005 non conduce, tuttavia, alla irrisarcibilità degli altri pregiudizi non patrimoniali, in assenza di un pregiudizio alla integrità psicofisica, medicalmente accertabile.
La tutela degli specifici valori costituzionali, “ulteriori” rispetto all’onnicomprensivo danno biologico (come la famiglia, la reputazione, la libertà di pensiero, la serenità personale ecc.) è garantita e continua ad essere garantita al più alto livello costituzionale, mediante la tutela risarcitoria che è la forma minima di tutela.
Per questa forma minima di tutela non necessitava, ovviamente, la previsione da parte del D. Lgs. n.209/2005 che non l’ha esclusa, né poteva escluderla, attesa la superiorità della fonte costituzionale.
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Il D. Lgs. n.209/2005 ha inteso semplicemente (di qui la necessità di una espressa previsione) affermare la onnicomprensività del “nuovo danno non patrimoniale biologico”, senza impedire, e potere impedire, la tutela del “danno non patrimoniale di tipo non biologico”.
Quel che conta rilevare è, comunque, che il danno non patrimoniale è sempre unitario, in quanto afferente alla “persona” al “valore uomo”. Ciò che distingue il danno non patrimoniale biologico ex D. Lgs. n.209/2005, dal danno non patrimoniale di tipo non biologico, è la presenza di una “lesione all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale”.
Questa, però, non esaurisce il concetto di danno biologico ex D. Lgs. n.209/2005,
“dilatato” oltre il suo nucleo essenziale, a fini teorico-pratici, non di contenimento, bensì di razionalizzazione del risarcimento, costituendo nel contempo funzione e limite dello stesso, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, nel rispetto del principio
“tutto il danno e solo, e non più del danno”.
Una precisazione in ordine al “danno non patrimoniale non biologico”.
Se è vero che non è configurabile un generico danno non patrimoniale “esistenziale” - come affermato da Cass. n.15022/2005 - ciò non significa che, ove siano contemporaneamente violati specifici interessi costituzionalmente rilevanti, possa e debba procedersi a distinti risarcimenti, poiché anche il “danno non patrimoniale non biologico” (come già il danno biologico, secondo Cass. Sez. III, 27/8/1999 n.8998) è unico ed inscindibile, inerente pur sempre al “valore uomo”, globalmente considerato.
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Sotto questo aspetto - e non sotto il profilo contenutistico (valendo il principio della tipicità) - può consentirsi la denominazione unitaria di “danno esistenziale”.